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Caffè con…
Organizzato da docenti e studenti di Gioventù Studentesca
Fabio Mercorio, professore di Computer Science, Università Milano Bicocca e Fondazione per la Sussidiarietà
Caffè con…Fabio Mercorio
Mercoledì 21 Agosto 2024 ore 18:00
Arena Tracce A3
Partecipa:
Fabio Mercorio, professore di Computer Science, Università Milano Bicocca e Fondazione per la Sussidiarietà
Bonfanti. Allora, buona serata a tutti. Questo è il secondo caffè. Oggi abbiamo quì Fabio Mercorio, già protagonista dell’incontro di stamattina, “Social, intelligenza artificiale, non serve lo schermo per crescere smart.” Un incontro molto interessante, sia per come è stato impostato, sia perché è un tema attuale e lo sarà sempre di più. E’ un tema che ha suscitato molte domande. Alcuni ragazzi presenti hanno già pensato a delle domande da rivolgere a Fabio Mercorio e se c’è tempo, ne prenderemo altre dal pubblico. Direi di partire subito con la prima domanda. Michele ti passo il microfono.
Michele. Ciao, io sono Michele, faccio il liceo linguistico. Ho finito la terza quest’anno e avevo due domande da rivolgere al professore. La prima: oggi nell’incontro hai definito l’intelligenza artificiale come probabilistica a differenza dell’essere umano che è possibilistico. L’intelligenza artificiale calcola la parola più probabile quando deve riscrivere una frase, mentre l’uomo può dire anche una parola possibile ma non probabile. Si arriverà mai a un punto in cui l’intelligenza artificiale sarà anche essa possibilistica come l’essere umano? La seconda domanda nasce da un episodio che ho vissuto quest’anno: insieme al nostro professore di matematica abbiamo fatto un’indagine statistica su quanto usavamo il cellulare. Lui ci ha fatto notare che la maggior parte di noi era sopra la soglia di dipendenza e, mettendola giù in maniera tragica, ha detto che tra dieci anni saremo tutti in clinica per disintossicarci. La domanda è: noi che siamo la prima generazione nata così digitalizzata, davvero tra dieci anni saremo in clinica per disintossicarci oppure no? Cioè, arriveremo al momento in cui prenderemo coscienza di cos’è questo strumento?
Mercorio. Grazie Michele per le due splendide domande. È difficile rispondere perché sono domande sul futuro. Io tendo a stare alla larga da chi afferma di sapere come sarà il futuro tecnologico, perché gli ultimi 2, 3, 4 anni hanno dimostrato che non sappiamo come andrà. Quindi non faccio pronostici sul futuro, ma provo a rispondere sul presente. Sulla tua prima domanda: oggi ho lanciato questo messaggio: noi viviamo nella categoria della possibilità, l’intelligenza artificiale vive oggi nella categoria della probabilità. Si sta lavorando per migliorare la capacità di ragionamento dell’intelligenza artificiale, ma per rispondere alla tua domanda ributtandola sul presente, provo a dire questo: immagina tutte le volte che hai preso una scelta importante per la tua vita, come scegliere la scuola, invitare o non invitare a cena una ragazza, chiamare o non chiamare un amico. Questi momenti cruciali sono sempre stati oggetto di un ragionamento di possibilità, mai di probabilità. Io non ho mai fatto calcoli di probabilità in questi casi. La probabilità esiste e funziona, ho fatto l’esempio del mi alzo, inciampo e tutti quanti pensiamo alla stessa cosa perché abbiamo un comune background. Lo stiamo provando a riprodurre nelle macchine, ma il discrimine oggi è che noi abbiamo i criteri dell’agire nella realtà che la macchina non ha se non, uno, come elemento probabilistico e, due, come qualcosa di già detto e scritto da qualcun altro. Quando incontro studenti appassionati di musica, chiedo loro se farebbero scrivere la loro musica all’AI e la risposta è sempre “no”, mi farei aiutare, ma non la farei scrivere all’AI perché la mia musica è la mia, so io cosa voglio scrivere, non è una semplice sequenza di note mai scritte da qualcuno, c’è la mia domanda, c’è la ragione per cui io la scrivo. Ecco tutto questo non detto che noi ci portiamo dietro, credo che oggi sia il caso di dirlo, invece. Noi siamo nella condizione di avere un oggetto che prima non c’era e questo oggetto ci obbliga a dire: “ma allora quando decido, come decido? Ma allora quando scelgo perché scelgo? Ma allora la mia passione che cos’è? Oggi, noi siamo la prima generazione che sta insegnando all’intelligenza artificiale la realtà, la nostra realtà, fatta di sensi che l’AI non ha. Quindi, rapportarsi con le AI ponendo le stesse domande che abbiamo come preoccupazione noi è sbagliato metodologicamente, è un errore nostro. Non possiamo aspettarci che i grandi player tecnologici ci dicano come muoverci. Uno, perché non lo faranno mai e, due, voglio essere io a decidere come questo oggetto è pensato per rispondere a un bisogno che ho. Sulla prima domanda: sarà mai possibilistica? Dico: non lo so, ma insisto nel dire che la categoria della possibilità, di cui viviamo noi, e, come ho detto la categoria della certezza di cui vive il cristiano– che è tutta un’altra storia – sono elementi che attingono al nostro vissuto. Quindi, da questo punto di vista non so cosa accadrà, ma sono sereno rispetto al fatto che l’AI è ancora molto lontana da noi, e quanto più si avvicina, tanto più emerge la grande differenza rispetto e chi siamo noi, secondo me.
Bonfanti. Tu dici quindi che, paradossalmente, quasi l’intelligenza artificiale è un’opportunità per farci capire ancora di più l’originalità e la peculiarità dell’intelligenza umana?
Mercorio. Certamente è un’opportunità. Quando vi paragonate con un’AI che sembra avere prestazioni straordinarie, poi, utilizzandola, ci si rende conto che, per quanto sia efficace, rispetto a noi è lontanissima e, quindi, non spaventa. E’ come un’ombra proiettata sul muro che ingigantisce la sua figura, ma quando ti avvicini scopri che è qualcosa di molto più piccolo. Sulla seconda domanda: qual è la soglia limite? Io preferisco reagire così: che ognuno si osservi in azione. Perché voi non siete adolescenti, siete più grandi, quì non si pone il tema: smartphone sì o no in questo momento, ma si pone il tema: c’è un oggetto che non posso cancellare dalla realtà, il digitale, i social e tutto ciò che media i contenuti, quello che acquisto, quello che leggo.. Io mi sono dato dei limiti, per esempio sulla musica. Mi sono accorto che non ascoltavo più la musica che mi piace, ma mi piaceva la musica suggerita dai servizi di streaming che ascoltavo. Capite l’inversione di tendenza? Non c’è più la tua originalità che si paragona con qualcosa, ma ti che ti accontenti di quello un altro ti dà. Lo fai per noia, per pigrizia, etc. Questo è un tema gigante. Io mi sono accorto di questo, per esempio. Quello che io capisco è non aspettare dieci anni per disintossicarsi –come dice la provocazione del tuo insegnante -, ma aiutarsi molto prima. Cioè io torno a casa e tendenzialmente il cellulare è out, soprattutto a cena. Perché? Perché uno si aiuta, noi dobbiamo aiutarci e ognuno scopre in sé qual è quella soglia. Quindi io della tua domanda prenderei la giusta provocazione del tuo insegnante, ma non la prenderei in senso assoluto. MI chiederei: qual è la mia soglia? Quand’è che non sto più nella realtà? Cioè, ci so, ma non ci sto. Quand’è che perdo la connessione reale con i miei amici? Mi darei una regola. Io me la do. Io lavoro con questo tutto il giorno eppure ciò nonostante devo darmi un aiuto a me stesso.
Emanuele. Ciao, sono Emanuele, devo fare la quinta al classico. All’incontro di stamattina hai detto che la maggior parte degli oggetti che ci sono al mondo, come quel tavolo, ha uno scopo ben preciso e definito. Tuttavia, la tecnologia, in particolare i social e l’intelligenza artificiale, non ne hanno uno ben definito. Si arriverà dunque a un giorno in cui si darà un significato anche a questo ambito?
Mercorio. Il tema del meta-oggetto, come l’ho chiamato stamattina, è quello che tu hai ben riassunto. Proviamo a ridirlo: dalla ruota ad oggi, l’uomo crea oggetti per rispondere a bisogni specifici. Il bicchiere, il tavolo, la sedia, la bottiglia, le scarpe, i pantaloni … Ogni oggetto, dentro la nostra cultura, ha uno scopo chiaro. Posso prendere un bicchiere e giocare al telefono senza fili, ma sappiamo che è un uso improprio, perché il bicchiere è nato per bere. Quello che succede principalmente con i social media o con le piattaforme social media – per essere più ampi – è che questo scopo chiaro così manifesto, quasi che l’oggetto lo porta con sé , non c’è. Se prendo Facebook, TikTok o Instagram ognuno di voi potrebbe dire la ragione per cui si connette. Questo mi è risultato evidente parlando con un po’ di ragazzi e credo che sia un tema importante. Perché? Perché se io usassi male il bicchiere tutti me lo fareste notare e a un certo punto sarebbe quasi automatico che lo notassi anch’io. Ma se io uso un social in modo improprio … Facciamo un esempio. I social non sono pensati per i rapporti di amicizia – diversamente da quanto uno possa credere – i social sono pensati per connettere il mondo (l’idea di facebook), oppure l’idea di tiktok per portare creatività e buon umore. Non sono pensati per surrogare l’amicizia. Quindi, se a un certo punto io invece di stare con un amico e chiedergli come sta, inizio a pensare che quanto più so di quell’amico (perché leggo i suoi post, vedo dove sta, vedo dove ha passato l’estate..) questo mi fa pensare che io so come sta. Ma noi tutti sappiamo che non è così. Quindi, il messaggio latente che passa qual è? E’ che per essere amici non c’è bisogno di far fatica, ma noi sappiamo l’esatto contrario, invece, che l’amicizia è una fatica e sappiamo anche che non siamo più amici quanto più sappiamo dell’altro, che è il messaggio che esattamente del social, siamo più amici se abbiamo più contatti, siamo più amici se sappiamo più cose. Ma quella è la conseguenza, non la premessa. Capite l’inversione? E non ce ne accorgiamo neanche. Capite? Questo è il concetto di meta-oggetto, un oggetto il cui scopo non è così chiaro. È così ambiguo che fatichiamo noi a comprendere perché lo usiamo. Io non so quanti di voi si siano mai chiesti perché scrolli su facebook, perché? Per passare il tempo, tutto quelo che vuoi ., ma perché? – non sto dicendo di non farlo, lo faccio anch’io -, ma perché? Cosa ti aspetti da quell’oggetto? Se ti dicessi: perché usi il bicchiere? Per bere. Cosa ti aspetti? Che non cada l’acqua e bevo. Capite la differenza? Questa differenza è come se ci avesse messo tra le mani una lampada di Aladino, strofini e ti aspetti qualcosa da lui, il desiderio. Poiché noi non abbiamo mai avuto la lampada di Aladino il tema “che desideri poni?” non ce lo siamo mai posto. Ma visto che ora ce l’hai, puoi ascoltare qualsiasi musica e il tema del perché, cosa ti aspetti? Cosa ti aspetti dall’amicizia? E’ il modo giusto quello di un social? Capisci quello che voglio dire? Io non demonizzerei, ci sono aspetti utili: io riesco ad essere in contatto con persone che sono dall’altra parte dell’oceano che sono per me amici fraterni e sono grato di questo, ma se tu fai una esperienza così scopri che quell’oggetto risponde a un particolare e quel particolare è metterti in connessione con qualcuno che è distante e questo è un valore? Certo che lo ha, nella misura in cui il contenuto che tu porti ha valore. Il social non è il contenuto, è il contenitore, Il contenuto, cioè il messaggio lo decidiamo noi. Prendere quello che un altro ci dice io penso che sia una limitazione del potenziale, della creatività, del modo di rapportarsi. In questo senso dico è più subdolo, non un subdolo da additare alla piattaforma, perché la piattaforma non ha scopo di rendervi tutti amici, non ha detto questo, nessuno dice questo, la piattaforma ha uno scopo meta, più grande: connettervi, portare il buon umore. Come? Rendere divertenti i momenti. Come? Il fine non giustifica i mezzi. Li giudica. E’ il come. Io credo che questa è l’occasione per tornare al come.
Bonfanti. Chiarissimo.
Carlo. Salve, sono Carlo del liceo scientifico. Vorrei fare una domanda: nell’incontro di stamattina è emerso molto l’aspetto dell’intelligenza artificiale e dello smartphone nell’ambito educativo. Invece io chiedevo per me, che sono un ragazzo di 18 anni, l’IA può essere qualcosa che mi è utile, che può rendermi felice, che può essere un mezzo per essere felice, per essere più me stesso oppure è solo un distaccamento dalla realtà, qualcosa che ti isola?
Mercorio. Che domande ragazzi! Allora, partiamo piano. Prima vediamo se è utile, ok? Può essere utile? Certamente sì. Molti miei studenti caricano le slide, i documenti su cui hanno studiato su ChatGPT e chiedono: fammi 5 domande per vedere se ho studiato. Questo è un uso intelligente. Oppure, chiedono di trovare errori in un testo o di suggerire idee su cui possono lavorare. Questo è un uso smart perché funziona bene. Quello che accadrà sempre più è che noi abbiamo un assistente più evoluto che piuttosto che porre domande, quindi immaginate di dover .. Non so quanti di voi sanno cosa fa ChatGPT: è un recup superveloce. E’ uno strumento online allenato sull’intero web. Immaginate che tutto quello che è stato scritto, detto, musicato sul web sia stato fatto apprendere a una intelligenza artificiale. E questo oggetto che si crea è in grado di interagire direttamente a della domande in linguaggio naturale. Quindi se io prima dovevo scrivere su Google: dimmi la differenza tra un tavolo e un bicchiere e lui mi trovava delle pagine che mi riportavano le differenze, adesso ho un interlocutore che chi dice la differenza tra un tavole e un bicchiere. Si è disintermediato. Non sono io che cerco nelle pagine qual è la pagina più autorevole che mi spiega la differenza tra un tavolo e un bicchiere, ma c’è una entità (ce ne sono diverse: ChatGPT, Gemini, etc) che mi risponde e mi dice la differenza. Come fa a farlo? Lo fa probabilisticamente. Qual è il tema? Questa cosa è utile? Evidentemente sì. C’è un tema, però. Il probabilistico si può allucinare, può prendere un abbaglio. Visto che c’è la probabilità di risposta, lui risponde su tutto, a meno che chiediate come fare una bomba, una molotov, tendenzialmente risponde su tutto, ma risponde con una probabilità di parole. Vuol dire che certe cose se le può inventare, se le inventa verosimili. LA risposta può essere verosimile, ma è assolutamente inventata. Quindi è certamente utile , ma non demanda mai il giudizio finale a te. E’ come se facessi una ricerca su google e passassi il primo risultato senza neanche leggerlo. Quindi è certamente utile, sì. Può rendermi felice? Io non avrei dubbi a dirti, no. SE posso permettermi di dire una cosa, direi questo. Il tema dello studiare alla vostra età è questo. Perché conviene studiare alla vostra età? Perché è lo strumento privilegiato che tu hai per scoprire te stesso e scoprire te stesso è il modo privilegiato che hai per capire come puoi stare al mondo e dare un contributo al mondo che, secondo me, è parte di un elemento di felicità. Quindi in questo senso tutto ciò che collabora a questo nello studio, perché è parte della realtà che collabora a questo, quindi non è l’oggetto in sé, ma è la tua posizione con cui tu rispetto a quell’oggetto poni la domanda. E la domanda è: ma io che ci sto a fare al mondo? L’elemento contrario è se oggi uno studente dicesse: non studio arte perché Cahtgpt disegna meglio di me, non compongo musica perché l’AI fa della musica perfettamente, non studio lettere perché tanto poi il testo me lo scrive in italiano perfetto l’AI. Tutto questo: perché tanto c’è? perché tanto c’è? mi disimpegna con la realtà. Il punto che nasce allora è dire: ma io cosa mi impegno a fare nello scoprire quello che mi piace se tanto c’è un oggetto che fa le cose meglio di me? Questo è drammatico. Allora chiudendo il tentativo di risposta, perché so di non aver risposto, quello che dico è: non è un oggetto che ti rende felice, ma è la posizione con cui tu stai nelle cose che ti fa guardare e, secondo me, fa passare dalla categoria della possibilità alla categoria della certezza. E’ la categoria della certezza nella vita che rende felice. La felicità non viene dall’oggetto, ma dal modo in cui lo usi e dal significato che gli attribuisci.
Domanda. Ho letto su Avvenire che con l’AI siamo vicini a proporci i sentimeti. A lei risulta?
Mercorio. In questo momento il sentimento non è l’oggetto della ricerca. Più che altro c’è l’etica. Noi stiamo insegnando all’AI a riconoscere il mondo, lo abbiamo fatto per anni, questo è un bicchiere, questa è una bottiglia, tanti di noi lo abbiamo fatto inconsapevolmente cliccando su non sono un robot e poi dimmi dove c’è un semaforo, la bicicletta, a macchina. Fino a pochi anni fa era il testo, scrivi le parole, perché me le scrivi male.. ora il nostro cellulare scansiona il testo, anni fa la scansione OCR era un bagno di sangue, facevi prima a scriverlo, adesso prende il testo anche in diagonale e anche se è scritto male. Ora stiamo insegnando alle macchine pezzi della realtà tipicamente stradali perché stiamo insegnando alle macchine non a guidare, ma a riconoscere la variabilità stradale che è ampia come se un neopatentato dicesse ho preso la patente e so guidare perfettamente, vieni in tangenziale a Milano e vediamo se sai guidare, perché la variabilità è un elemento distorsivo. Adesso c’è il tema di dire: la macchina ora genera, rigenera quello che ha già visto, il prossimo passo è ma se l’AI deve iniziare a dialogare nella vita con noi, noi siamo la prima generazione che sta insegnando l’AI la realtà, la nostra realtà, ma non abbiamo insegnato come noi interagiamo con la realtà, abbiamo insegnato a riprodurre, a classificare, a catalogare, ma non come noi trattiamo le cose. L’elemento etico delle cose non lo abbiamo insegnato., ora c’è chi dice dobbiamo dotare l’AI nel ragionamento di un’etica, quindi non più il fine giustifica i mezzi, ma noi gli diamo un giudizio all’AI. Noi chi? E poi c’è l’atr tema di quelli che dicono,no. Come l’Europa. No, noi dobbiamo invece indicare quali sono gli elementi in cui l’AI nella vita non può entrare e su quegli elementi ci sarà sempre l’interazione umana. Facciamo un esempio. In Europa la nuova regolamentazione dirà: alcune applicazioni dell’AI sono vietate. Ad esempio il riconoscimento dallo smartphone del mio mood, del mio sentimento, della faccia, sono triste, sono felice, perché in base a quello ti raccomando una medicina, un prodotto, una canzone, un video. Ecco questo in Europa sarà vietato. Non nell’Est del mondo e probabilmente neanche in America. Quindi il tema che noi mettiamo dei guardrail alle applicazioni in Europa è sacrosanto, ma non pensiamo che ci salvi dal giudizio, perché il mondo è globalizzato. Noi come Europa stiamo mettendo dei paletti che è come dire: hanno inventato l’automobile, noi Europa che facciamo? Due cose, uno facciamo la segnaletica stradale e il codice stradale, ma nel frattempo noi abbiamo anche prodotto auto se no le auto le producono gli altri, se no tu ti prendi l’auto con il motore che fanno gli altri. Quindi, regolamentiamo, è sacrosanto, ma attenzione, proponiamo anche una nostra visione di AI nella realtà altrimenti lo fanno gli altri e poi siamo globalizzati. Non è che diciamo come in Cina: noi in Europa non lo facciamo. Noi dobbiamo sentire questa responsabilità. L’Europa la sente dal punto di vista regolamentatorio e spero anche dal punto di vista degli investimenti per produrre l’AI nella nostra realtà europea. Noi in famiglia, nella scuola, nelle istituzioni in cui possiamo dire qualcosa dobbiamo proporre una nostra idea di AI. Oggi in Italia, in Europa certe cose l’AI non potrà farle. Chiedere il mutuo online e l’AI decidere se possiamo averlo o no, questo si potrà fare con una assistenza umana, ma i criteri li avrà dettati la macchina. Ora questa cosa per noi è inaccettabile, ma per loro non lo sarà. Così come per mio papà è inaccettabile accettare di guidare su Google maps senza guardare la strada. E’ un fatto culturale, la cultura si tramanda e si trasforma. Quindi applicazioni che per noi oggi sono impensabili, l’AI che decide se posso accedere al mutuo oppure no, per loro sarà la normalità. C’è un tema culturale che non possiamo aspettare che arrivi da lati, c’è un tema educativo che noi dobbiamo prendere direttamente. L’ultima cosa che voglio dire su questo. Facevo l’esempio della bicicletta. Quando tu insegni ad andare in biciletta, non dici: questa è la bicicletta, tieni e vai. Cosa fai? Stai lì, dici prova, correggi, se sbagli riprendi, stai insieme. Io non sono un ciclista, non so smontare o rimontare l’oggetto, non c’è bisogno di una competenza tecnica, c’è bisogno di mettersi insieme. Noi i nostri figli spesso li abbandoniamo. Diciamo: questo è un tema da nuova generazione, vedetevela voi. Ma come vedetevela voi? Pellai aveva ragione a dire stamattina a dire che la libertà va educata e a piccole dosi, soprattutto quando hai l’elemento di libertà. Ora all’età di cui parliamo, ai nostri ragazzi di 16, 17, 18 anni è una libertà ormai adulta che va a formarsi. I criteri di giudizio non li possono prendere dalla società altrimenti saranno alienati. I criteri di giudizio dobbiamo aiutarli a darli noi e se non diciamo io mi disinteresso di questo oggetto perché non serve, però non è l’atteggiamento del cristiano, mi permetto di dire. Così come quelli che dicono: è bellissimo usiamolo per tutto. Ma non è vero. Io sono un informatico, adoro l’informatica e vi dico che non l’adopero su tutto. Su questo dobbiamo tornare a fare un lavoro con i criteri di giudizio tipici della nostra esperienza che non possiamo demandare, non possiamo aspettare che un altro ce li dica. Intanto perché non ce li dirà non li sanno e anche se lo sapessero passi lunghi e ben distesi da chi li sa.
Antonio. Salve, sono Antonio. Volevo anzitutto ringraziarla per quello che ci ha detto. Mi ha colpito molto un passaggio dell’ultima domanda fatta dai ragazzi, quando lei ha detto: “Se tutto può essere sostituito dall’intelligenza artificiale, evito di studiare.” Se l’intelligenza artificiale può permettermi di elaborare un testo complesso e perfetto da un punto di vista linguistico, evito di impegnarmi. Credo che questo faccia un po’ a pugni con la meritocrazia, tanto decantata soprattutto negli ultimi anni. Poco tempo fa, mi è capitato di partecipare a un incontro di premiazione per gli alunni di un liceo che hanno ottenuto il massimo dei voti all’esame di maturità. Mi è sembrata un’occasione molto diseducativa, perché premiare un ragazzo solo perché ha avuto 100 e lode, a mio parere, genera una logica non corretta. È come se dicessimo a quel ragazzo: “Tu vali per quello che produci”, e questo non posso accettarlo cristianamente. Da questo punto di vista, credo che l’intelligenza artificiale possa aiutarci moltissimo, perché sostituendoci da un punto di vista produttivo, sa scrivere meglio di noi in alcuni casi, sa produrre musica senza un impegno di chissà quale tipo..
Mercorio. Scusa, scrive meglio di noi se il concetto che noi vogliamo dire qualcuno lo ha già scritto meglio di noi. Scusi non volevo interromperla.
Antonio. Grazie. Lei crede che in questo l’intelligenza artificiale possa davvero aiutarci a scoprire che non siamo solo ciò che produciamo, ma che siamo molto di più, e quindi aiutare anche l’aspetto educativo.
Mercorio. Io credo di sì, grazie per la domanda. Porto un esempio pratico. Quando è uscito ChatGPT, ormai due anni fa, anche in università da noi si discuteva su come fare per riconoscere se una tesi fosse stata scritta dall’intelligenza artificiale. Anch’io avevo questa domanda. Allora ho fatto questo test. Ho preso il più brillante dei miei studenti, che mi aveva mandato l’introduzione alla tesi e l’ho fatta correggere interamente da ChatGPT usando la modalità di revisione. Gliel’ho rimandata e gli ho detto: “Antonio, questa è la tua tesi corretta”. Ci vediamo per un briefing e durante l’incontro, gli ho chiesto: “Antonio, hai visto le correzioni della tua tesi?”. E lui, visibilmente in imbarazzo, mi ha detto: “Sì, prof, le ho viste, ma mi sembra che alcune correzioni siano sbagliate”. “Come sono sbagliate?” gli ho chiesto, “fammi un esempio”. E lui mi ha risposto prendendo la prima riga: “Quà dice (senza entrare nel merito..) che ho fatto questo ma io in realtà ho fatto di più, ho fatto una cosa un po’ più specifica, è vero che ho fatto questo, ma ho fatto questo più specifico.” Cioè tutte le correzioni che Antonio ha fatto a me erano riferite al fatto che non era sbagliata le correzioni, ma era generalista. Lui aveva fatto qualcosa in più. Allora io ho preso spunto da questo e gli ho detto che la sua tesi l’aveva corretta Chatgpt. Perché l’ho fatto? Perché volevo che discutessimo insieme, senza stare a dire adesso provateci, ma se ci provate io vi becco.. ragazzi di 20-22 anni non puoi trattarli così, allora io l’unica arma che avevo era farti capire anche nel lavoro tu sei di più, anche nello studio tu sei di più. E quando lo capisci? Quando hai sputato sangue e sudore su una cosa per cui hai passione e li te ne accorgi. E’ chiaro che se ti serve qualcosa per cui non hai impegno e motivazione, l’ha fatto Chatgpt l’ha fatta benissimo, è chiaro che non hai speso tempo. In particolare non l’ha fata Chatgpt, è la combinazione lineare di qualcosa d’altra che qualcun altro ha scritto sul web. Allora il tema è che tu non sei minimamente ingaggiato su quella cosa. In questo senso, credo che l’intelligenza artificiale possa essere un’occasione per riflettere sul nostro valore e sulle nostre capacità. Per questo dico che è un’occasione se la guardiamo a questo livello. Ti toglie le grane da fare? Certo che tele toglie e dato che la probabilità nella vita funziona e nel lavoro funziona benissimo finché non va male, però secondo me l’elemento interessante è, uno, provare a fare esperienza di questo oggetto per paragonarlo con qualcosa con cui si è lavorato perché demistifica, perché getta l’ombra, toglie il velo, due, può oggettivamente esserci utile. Io credo che noi stiamo andando verso un periodo positivo, non negativo. Perché tutte le volte che tu vedi l’AI, e pensi “ma l’AI ci ruberà il lavoro?”, in realtà è chi sa usare le AI che può rubarti il lavoro, perché fa meglio e più velocemente quello che noi ci siamo fissati a fare in un modo che non funziona più. È come voler andare ancora in giro col calesse. Oggi dicevo nel 2008, non c’erano le app. Weh, 2008! Lo sappiamo tutti dov’eravamo nel 2008. Ma adesso ditemi chi di voi, per mandare un messaggio, apre il computer e manda un’e-mail. Usate tutti WhatsApp, giusto? Quindi, da questo punto di vista, io dico: l’atteggiamento della stoffa del cristiano è una positività nelle cose, nella misura in cui è paragonata con le proprie esigenze.
Bonfanti. Io volevo concludere con questa considerazione, che poi ti chiedo di confermare o smentire. Mi sembra che anche la conclusione di oggi è che siamo davanti a una grande sfida educativa. E l’educazione non è solo di noi insegnanti o dei genitori verso i ragazzi, ma anche, come dicevi prima, di un amico con un amico, di aiutarsi e di aiutarsi a questo tuo livello. Perché l’intelligenza artificiale ci costringe a renderci sempre di più conto di che cosa siamo fatti: qual è la natura della nostra intelligenza? Così come lo spopolare dei social, che giustamente tu dici è un surrogato di amicizia, ma che però tanti ragazzi cercano ci costringe a capire: ma qual è la vera amicizia che cerchiamo? Quali sono i veri luoghi di amicizia che possono costruirci? Perché, come ti dicevo prima, a me ha lasciato basito l’episodio che mi è successo due anni fa di una ragazza che era re dei social e in cui nessuno sapeva che sua mamma stava per morire. Il parallelismo tra le due vite, quella reale e quella digitale. Questo non è demonizzare il social, perché se uno cerca il social, in fondo in fondo cerca un bisogno di amicizia. Ma è compito educativo creare luoghi di amicizia reale che possono utilizzare anche questi strumenti per questa amicizia, così come è compito essere coscienti di che cosa siamo, di qual è la natura della nostra intelligenza, la categoria della possibilità, la categoria della ragione, e quindi poter utilizzare questi strumenti nel modo migliore possibile.
Mercorio. Non aggiungerei nient’altro perché è la sintesi perfetta di quello che avrei voluto dire, ma l’hai detto meglio. Grazie e buona serata a tutti.