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È BENE CHE LA FAMIGLIA NON SIA SOLA. Sostenere alleanze vive
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In collaborazione con il network associativo “Ditelo sui tetti”
Mario Bolzan, professore di Statistica Sociale, Università di Padova; Elena Donazzan, deputata al parlamento Europeo; Maria Gloria Riva, biblista, scrittrice; Giuseppe Salvato, vicepresidente Associazione Nonni 2.0; Luigi Sbarra, segretario generale CISL. Modera Domenico Menorello, network associativo “Ditelo sui tetti”
Tanti giovani desiderosi di creare una famiglia, sono costretti ad affrontare problemi ingenti che rendono difficile la realizzazione di questo desiderio. Le statistiche stesse dimostrano che alle giovani famiglie serve una compagnia a questa vocazione. Per il superamento dell’inverno demografico servono alleanze vitali, come per esempio, con le generazioni dei nonni, nei luoghi di lavoro, nei percorsi educativi e scolastici. E per favorire questo tipo di “alleanze”, alcune proposte di riforme sussidiarie possono divenire una leva importante.
Con il sostegno di CISL
È BENE CHE LA FAMIGLIA NON SIA SOLA. Sostenere alleanze vive
È BENE CHE LA FAMIGLIA NON SIA SOLA. SOSTENERE ALLEANZE VIVE
Mercoledì 21 agosto 2024 ore 19:00
Sala Conai A2
Partecipano:
Mario Bolzan, professore di Statistica Sociale, Università di Padova; Elena Donazzan, deputata al Parlamento Europeo; Maria Gloria Riva, biblista, scrittrice; Giuseppe Salvato, vicepresidente Associazione Nonni 2.0; Luigi Sbarra, segretario generale CISL.
Modera:
Domenico Menorello, network associativo “Ditelo sui tetti”
Menorello. Buonasera a tutti gli amici presenti e a tutti gli amici che ci seguono collegati con i consueti mezzi telematici. Non è la prima volta, né in questo Meeting, né in quelli precedenti, che il Meeting, e in questo caso anche con la collaborazione del network di associazioni “Ditelo sui tetti”, si occupa di famiglia. Ricordo l’incontro dello scorso anno “Finalmente verso una community tax”, un titolo che però diede avvio a dei tavoli di lavoro molto interessanti e importanti con i decisori, con il Parlamento e con il Governo e in quella sede, ricordo, fu annunciato dal Governo che si stava andando verso il quoziente familiare. Quest’anno, sulla questione della famiglia, irrompe il titolo del Meeting: “Se non cerchiamo l’essenziale, cosa cerchiamo?”. Quindi ci domandiamo se all’origine del dramma demografico italiano ed europeo ci siano solo questioni organizzative o mancate riforme, a cui pure teniamo moltissimo, o se c’è da toccare un livello più importante. Qual è insomma l’essenziale? Cerchiamo l’essenziale per sostenere una famiglia nell’esperienza della genitorialità, o al contrario, qual è quell’essenziale senza il quale anche le riforme serviranno a poco? Allora ci dobbiamo calare nel contesto proprio del tempo in cui viviamo. Intanto salutiamo il segretario generale della CISL che, con delle peripezie eccezionali, è riuscito a raggiungerci. Qual è oggi il contesto in cui questa domanda dell’essenziale si cala? Papa Francesco, scrivendo al Meeting qualche giorno fa, ci ha ricordato che siamo in una mutazione antropologica senza precedenti. C’è qualcosa per cui vale la pena vivere, sperare? Ancor di più, c’è qualcosa per cui vale la pena vivere, sposarsi e fare dei figli? E allora, per questo, amici, teniamo presente quello che ci disse già Papa Benedetto XVI: oggi la questione sociale è diventata radicalmente una questione antropologica. E qual è il bivio? Quello da cui abbiamo preso spunto per il titolo del Meeting: “Non è bene che l’uomo sia solo”. L’uomo non è solo se pone al centro, come ci diceva ieri benissimo Davide Rondoni, una domanda di religiosità, di senso su tutto, che è un fattore della ragione, un fattore dell’umano. Ma oggi questo fattore è contestato. Tra i tantissimi spunti abbiamo scelto due citazioni di Stefano Zamagni e di Simoncini che ci ricordano come la contestazione odierna sia proprio sulla dimensione antropologica dell’uomo, per cui noi dovremo vivere come se la comunità non si desse. Una ragione senza interferenze è il modello verso cui siamo portati dalla mentalità dominante. Allora vediamo che percorso faremo oggi in un tempo tiranno, ma per darci solo degli spunti. Qui abbiamo anche delle clessidre che ci aiuteranno, nonostante l’autorevolezza degli ospiti, ciascuno dei quali meriterebbe uno spazio ben più ampio. Nella prima parte, cercheremo dei dati, dati di scienza, della scienza statistica, della demografia, di cosa hanno bisogno le famiglie. Lo affronteremo con il professor Mario Bolzan, ordinario di statistica all’Università di Padova, uno dei pochissimi scienziati di questo comparto della scienza che guarda la realtà anche per cercare che parli dal punto di vista delle famiglie. E vedremo che c’è una cosa straordinaria: il primo dei bisogni non è solo quello di un’organizzazione migliore, ce lo dirà bene il professore, ma c’è un fattore in più, un essenziale che sbuca fuori dai dati. Allora, perché questo dato che la scienza statistica stessa individua nelle famiglie, l’esigenza di una relazione, perché c’è questa esigenza? Ci accompagnerà su questo suor Gloria Riva, che tanti di noi hanno già avuto il piacere di seguire e conoscere in tanti incontri, anche spesso nei suoi interventi televisivi. La seconda parte della nostra chiacchierata ci dirà quali alleanze vive, la famiglia ha bisogno di alleanze vive. Faremo degli esempi, tra tanti possibili. Primo esempio sarà l’alleanza con le altre generazioni, ci introdurrà a questo Giuseppe Salvato dell’associazione “Nonni 2.0”, uno dei pilastri anche del network “Ditelo sui tetti”, e dedicheremo poi un applauso anche al suo presidente, Peppino Zola, che così ci sensibilizza su questa possibilità. Il secondo esempio: un’alleanza viva nei luoghi di lavoro è possibile? Come si può auspicare quasi questa utopia? E il segretario generale della CISL ce ne parlerà, anche proprio per il percorso che ci ha fatto vedere in questi anni, come anche un sindacato possa essere attento all’umano tutto intero. Altro esempio di alleanza viva è la scuola, la questione educativa più in se stessa, e ce ne parlerà l’onorevole Elena Donazzan che, dal 2005 mi pare, ha avuto esperienze credo molto interessanti da Assessore della formazione e del lavoro nella Regione del Veneto. Alla fine daremo solo degli spunti di lavoro che proporremo ai decisori, non perché le riforme salvino la famiglia, ma perché se cerchiamo l’essenziale, andiamo fino in fondo anche chiedendo delle riforme. Allora cominciamo con il professor Mario Bolzan, che ci introdurrà in alcune sue ricerche, in alcuni suoi dati, e gli passo pure lo scettro del PowerPoint. Professor Mario Bolzan, ci introduca: che cosa ci dice la realtà delle famiglie, su come si può aiutare una famiglia anche a guardare alla vita che nasce.
Bolzan. Buonasera a tutti, grazie per questo invito e per questa opportunità. Voglio essere anche sincero: io sono uno statistico e credo molto nella didattica motivazionale, credendo in quello che diceva anche Pavel Florenskij, cioè che i numeri non dicono tutto, ma senza i numeri il tutto è difficile da capire. Tenendo conto che stiamo parlando di un tema vitale, per questo anche qui ci viene in aiuto Madeleine Delbrêl quando dice che non si può parlare di vita con parole morte. E allora io cercherò di dare dei flash. Tra le tante informazioni che si possono trarre su questi temi, alcune… con una piccola premessa che il Covid ha rappresentato per molti aspetti uno spartiacque. Per questo molte cose subiranno cambiamenti, li vedremo meglio anche più avanti. [13.06 inizio lettura e/o commento slide] Parto subito con un’espressione molto forte che Papa Francesco ha messo nel messaggio alla Giornata Mondiale dei Nonni recentemente: la famiglia, che è la prima e più radicale contestazione dell’idea che ci si possa salvare da soli, è una vittima di questa cultura individualista. Non dimentichiamo il contesto dove siamo, anche se spesso non ne cogliamo tutto l’effetto. Allora andiamo a vedere alcuni messaggi che ci arrivano dalla società. Per oltre i due terzi dei giovani la famiglia resta la cellula fondamentale della nostra società e si fonda sul matrimonio. C’è un 10% però che non la pensa affatto così. E non possiamo non dimenticarlo, dobbiamo guardare anche a loro. Perché? Il 60% dei giovani ritiene che la famiglia sia in grado di reggere di fronte alle sfide dei tempi e non rinuncia all’idea di farne una propria. Ma dinnanzi a questo, quando noi parliamo di famiglia, intendiamo già lo standard tipo coniugi, figli. No, c’è tutta una storia che dovremmo cogliere per capire. È più importante il processo del risultato. Allora ecco che la volontà di costruire una famiglia con figli rimane alta, la quasi totalità dei giovani, seppur tenda progressivamente a calare a causa delle difficoltà incontrate nel percorso di transizione alla vita adulta. E ci sono degli elementi che i giovani incontrano che li fanno riflettere, non sono dei materassi. L’affermazione sulla centralità del matrimonio trova l’accordo del 70% dei giovani, ma scende al 45% se questi provengono da famiglie che hanno sperimentato il fallimento del matrimonio dei genitori. I figli sanno osservare, sanno capire, sanno dedurre. Negli USA, in questi anni, è emblematico questo esempio ma è comune a tutti i Paesi sviluppati, noi abbiamo che in questi ultimi 30 anni si è passati da un 75% di giovani che ritenevano molto e estremamente importante la famiglia, un buon matrimonio e una vita familiare, al 57%. Ecco allora che la famiglia è un luogo di incontro anche di problemi, non è un luogo di sintesi come lo è la scuola, l’oratorio, è un luogo di sinergie, anche di sofferenze. L’Osservatorio della povertà e delle risorse nel 2015 in un’indagine ha messo in evidenza come quasi il 60% delle famiglie si rivolgesse alla Caritas del Nord-Est per necessità e la causa era la famiglia declinata secondo problemi di conflittualità genitori-figli, difficoltà nel ciclo esecutivo familiare, quindi la nascita, l’adolescenza, l’uscita di casa dei figli, il lutto, la vedovanza e la conflittualità di coppia. C’è uno studio interessante in Francia, questa organizzazione “Familya”, molto molto interessante, che ha fatto tutta una serie di studi, recentemente pubblicati, che in Italia non sono stati fatti, perché noi abbiamo paura di quantificare in termini economici certi problemi umani. In Francia ci sono circa 420 mila separazioni all’anno, quasi tutte comportano la presenza di un minore. Il livello di vita delle donne diminuisce del 20% e questo è un problema europeo. Il 23% dei figli in meno, c’è un calo di quasi un quarto di giovani che provengono da queste famiglie e che si diplomano rispetto alle altre famiglie. Un terzo delle famiglie mono genitoriali vive sotto la soglia di povertà, c’è bisogno di una quota consistente, 90.000 alloggi ogni anno, per sostenere i familiari soli, ma c’è una cosa interessante: ogni separazione coniugale, se evitata, produce un beneficio alla comunità variabile tra 13.000 e 25.000 euro all’anno. Significa che se delle 400.000 famiglie che si separano ne salviamo il 10%, il risparmio è da mezzo milione a un miliardo all’anno. Una cosa altrettanto interessante che io trovo è che investire sulla famiglia comporta un beneficio. Investire un euro per prevenire queste cose ha un beneficio da 5 a 11 euro per mancate spese, perché tutti questi problemi sociali costano alla società. Tutta una serie di fonti di questi disagi sono rappresentate dal fatto che 7 donne su 10 pensano che una madre lavoratrice possa comunque avere un buon rapporto con i figli, anche come una madre che non lavora. Ma queste non nascondono un’insoddisfazione per la divisione dei lavori domestici, tenendo conto che questo comporta un aggravio di lavoro. Quando si dice che la donna che non ha un lavoro retribuito non lavora, si sottovaluta il fatto che il contributo che dà che è prevalente e consistente. Questo è un elemento di disagio che non può essere sottovalutato. Allora il tema qual è? Donne e madri nel lavoro? Pensiamo al tema delle donne che non hanno l’orario flessibile, sono ancora troppo poche, almeno rispetto ad altri Paesi. E il telelavoro? Ecco, sicuramente col Covid alcune cose sono cambiate. E i nonni? Questo è un tema importante, ci sono studi condotti in 11 Paesi europei, che mettono in evidenza un contributo importante sullo sviluppo della natalità, in particolar modo del primo figlio. Quasi il 60% dei genitori dell’Unione Europea si affida ai nonni per un sostegno. Una cosa interessante è che una famiglia media riceve 468 ore, quasi due mesi di giornate lavorative, dall’infanzia, per un valore di circa 5.000 euro (400 euro al mese). Quasi quattro genitori su cinque affermano che da quando i figli si sono avvicinati ai nonni, stanno pensando che è importante questo avvicinamento, e alcuni lo individuano come la base per avere altri figli. Non dimentichiamo che anche in vacanza i nonni dedicano un sostegno del 26%, da 9 ore settimanali in media a 11 ore settimanali. I nonni in Italia sono 11 milioni. Ecco, allora, qui voglio presentare uno studio che ho coordinato recentemente e che ha coinvolto esperti del tema della famiglia e della sua esistenza nel Nord-Est. Io mi occupo di scenari futuri (ma adesso interessa poco) e uno scenario che gli esperti hanno individuato come molto promettente e sempre più evidente e rilevante nel futuro è rappresentato da questo: per la madre l’organizzazione della vita familiare sarà molto più condizionata dai ritmi e dagli impegni professionali. Agli esperti è stato chiesto sulla base di otto possibili attività: quale sarebbe la più efficace? Quale la più fattibile? Chi si occupa di programmazione sa che non basta parlare di efficacia, bisogna parlare di fattibilità. E altre dimensioni importanti: qual è il livello territoriale? Locale o nazionale? Perché queste azioni possono essere più efficaci e fattibili. Ora vediamo alcuni risultati. Quali sono le più fattibili? Fornire sussidi economici, migliorare il fisco familiare. Queste sono le più fattibili, cioè non sembra, ma dare soldi non è impossibile. Sicuramente questo è un tema importante, il livello locale è risultato molto più vantaggioso. Io mi sono letto recentemente alcuni contributi di Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira, che parlano del contributo della città, che io ritengo siano molto importanti da riscoprire, perché mettono in evidenza come la centralità della vita, come la città, abbia una funzione vitale, molto più di quella che può rappresentare la dimensione nazionale. Cosa sarebbe l’Italia senza Roma, senza Venezia? Quindi la dimensione locale è molto più vantaggiosa, nel senso di fattibilità e efficacia. Ma quale sarebbe l’azione più efficace? Qui c’è una sorpresa. L’azione più efficace, purtroppo, è quella meno fattibile, e cioè promuovere un cambiamento culturale nei membri della famiglia, padre, madre e figli, attraverso azioni formative per promuovere consapevolezza e responsabilità condivise. E quindi qui si tocca il cuore, che sono le relazioni: noi siamo le relazioni che abbiamo. In passato ho collaborato col Forum regionale Veneto delle Famiglie e questo tema è emerso con forza. La relazione tra coniugalità e genitorialità. La genitorialità è una declinazione della coniugalità. Se voi organizzate incontri per problemi adolescenziali dei ragazzi nelle scuole, il primo giorno vengono entrambi i genitori, quando poi gli organizzatori mettono in evidenza che il problema è la coniugalità, i papà scompaiono. Questo è un tema importante sul quale vale la pena riflettere. Non possiamo parlare di genitorialità al netto della coniugalità e qui permettetemi un esempio, che, occupandomi di formazione di adulti e di giovani con mia moglie, abbiamo avuto modo di verificarne. Che cos’è che aiuta un giovane, un ragazzo, che cade perché si droga? Che cade perché viene deluso negli affetti? Che cade perché va male a scuola? Che cosa può aiutarlo a rialzarsi? A vedere che la morte può essere vinta? Che cosa? Se vede che i genitori si perdonano e ricominciano. Su questo dobbiamo avere le idee chiare. Non contano le parole, ma loro sanno guardare, e guardate, anche rispetto al tema dell’educazione sessuale, molto spesso i ragazzi dicono: “Ma tu pensi che noi siamo questi? Ma tu pensi che questi siano i nostri problemi? Ma tu ci pensi veramente che noi siamo così?”. Ecco, per questo io penso che il tema della… questo magari ne parlo dopo. Questo è molto importante, e qui mi fermo, perché vorrei citare, se mi sia permesso, mia moglie, quando dice che noi uomini molto spesso puntiamo a lavorare in larghezza o in altezza. Qui chiaramente quello che emerge è che bisogna investire in profondità, perché è là che si incontra l’essenziale, e dall’essenziale può nascere una nuova forza e voglia di vivere.
Menorello. Grazie. Grazie al professor Bolzan, perché suor Gloria, è un po’ clamoroso che la scienza statistica ci dica qualcosa sull’essenziale, a cui chiediamo a lei di illuminare più sotto il profilo dell’umano e anche con il linguaggio a cui lei ci ha abituato, che ci apre ad ulteriori…, al linguaggio dell’arte, che guarda il cuore, forse è ancora meglio di quanto però la statistica ha saputo scorgere.
Riva. Grazie. Il primo shock è che una monaca parli di famiglia, però questo lo superiamo facilmente. Il secondo è che voglio parlare di famiglia partendo da un autore, Rodin, che il popolo del Meeting conosce molto bene. [25.35 Inizio proiezione di foto di opere d’arte] Non è un’icona perfetta dell’uomo di famiglia, era un amico di San Pier Giuliano Eymard, chi conosce “L’Annuncio a Maria” sa che in filigrana c’è la storia di Camille Claudel, Paul Claudel e Auguste Rodin, grandissimo scultore francese. Egli, grande amico di Pierre Giuliano Eymard, voleva diventare sacramentino. L’arte, coniugare l’arte con la vita religiosa in quel momento era molto difficile, quindi astutamente Pierre Giuliano Eymard gli disse: “Vivi la tua attività di artista come una consacrazione a Dio”. Lui fa questo, ma la solitudine diventa difficile. Si innamora, diciamo così, incontra una donna verso la quale non ha un amore di grande trasporto, però alla fine si mettono insieme. Nel frattempo piomba nella sua vita Camille Claudel, una donna assolutamente estrosa, con 24 anni meno di lui, lei aveva 18 anni e lui ne aveva almeno il doppio, se non di più. È un amore travolgente, una unità e un’affinità elettiva e direi di sensibilità artistica assoluta, al punto che ancora oggi si discute se alcune opere siano di Rodin effettivamente o di Camille Claudel. E allora voglio cominciare da qui. Voglio cominciare da quel principio da cui comincia proprio Auguste Rodin nel momento in cui questo rapporto va in crisi. E va in crisi in una maniera rovinosa perché Camille Claudel sprofonda in un buco incredibile di depressione, stati d’ansia, panico, problemi di equilibrio psichico, a tal punto che verrà internata in un ospedale psichiatrico, maturando un odio profondo verso Rodin, e non sarà quasi mai visitata dai familiari, che la considerano uno scandalo per una famiglia così in vista, mentre sarà segretamente nutrita e accudita da Rodin, che le passerà alimenti e anche materiale per continuare la sua opera artistica in manicomio. Egli vive tutto questo in un assoluto nascondimento e proprio nel 1896, dove ci riporta quest’opera, vive questo sconforto grandissimo, dove si rende conto di aver sbagliato calibro, di non essere rimasto in una parola che oggi è fuori moda: dentro un rapporto virginale. E ci colloca in quel principio biblico, che si potrebbe valutare attraverso i numeri, ma il tempo non ce lo consente, dove l’uomo si accorge dello stupore meraviglioso di avere accanto a sé una donna che colma la sua solitudine. Quest’opera si intitola “La mano di Dio”, ed è un’opera enorme, grandiosa, e Rodin voleva che si guardasse da dietro, che lo spettatore incontrasse anzitutto questa mano di Dio che plasma l’argilla, la “adamà”, [29.05 foto] questa terra forgia non uno solo, non Adam che è un singolare collettivo che vuol dire uomo, ma che vuol dire anche umanità, ma Adamo ed Eva (cioè la vita). E allora pian piano, girando attorno a questa poderosa mano di Dio, si scopre la bellezza dell’unità dei due. I due sono vicini e intrecciati. Ma notate, il punto di comunione non è come fa Michelangelo nella Cappella Sistina, dove i due sono uno rivolto verso l’altro, come l’attimo precedente dell’unione tra i due. No, l’unione profonda tra uomo e donna per Rodin è il bacio. E il bacio è alla radice di una parola a me molto cara visto che sono una monaca dell’adorazione perpetua: in latino il bacio è *ad os*, ed è all’origine della parola *adorare*, cioè l’incontro tra i due per Rodin è un profondo atto di adorazione. Lui capisce che quella donna gli era stata messa accanto per imparare che c’è un “oltre”, che c’è un’unità dei due, per dirla con Giovanni Paolo II, che va oltre la materia, che si instaura a un livello che l’uomo e la donna non riescono a percepire se non dentro lo stupore, dentro un’estasi. Ecco, questo principio ci accomuna e questo principio è l’innamoramento. Se non viviamo da innamorati, non viviamo per niente. Io lo dico sempre alle mie suore: o siete innamorate, o se no fate a meno di vivere. Per me, i coniugi devono essere perennemente innamorati perché non sono i figli che danno l’identità ai coniugi, ma i coniugi hanno un’identità loro, punto. I figli sono, come dire, il frutto di qualcosa di più, è un di più. E allora c’è questo momento di estasi che deve rimanere nella vita, passando in tutte le fasi di delusione, di arrabbiature, perché poi c’è la vita, c’è il peccato, c’è l’insidia di quel momento primo che la Bibbia ci racconta così bene, dove tutti danno la colpa a un altro di quello che accade. Facciamo un altro passo, guardiamo a una famiglia già costituita, guardiamo a un altro autore [31.46 foto], un autore molto più solido, inglese, Henry Moore, vissuto nello Yorkshire, in una terra dove tutto è diviso tra pietra, cielo e verde. Egli, accompagnato dalla madre a vedere i Dolmen, si innamora di questo connubio misterioso tra cielo, prato e pietra. Tre realtà assolutamente simboliche: il cielo, Dio; la vita, la donna, la terra, il verde; la pietra, l’uomo, la certezza, la forza. Egli esprime in tutte le sue opere, che ne dedica tantissime alla famiglia, una più bella dell’altra, esprime questo connubio meraviglioso dell’educare. Ma cominciamo dalla donna: come guarda la donna Henry Moore? Come guarda la donna? [32.45 Foto] Mi ha sempre un po’ angosciato quando ero una ragazzina questa immagine, ai tempi del liceo: una donna sventrata, una donna che ha il grembo cavo. La donna può fare 10 figli, ma quel vuoto che lascia il figlio che nasce non lo riempirà nessuno. E tutti i problemi della donna nascono da questo vuoto interiore che spesso le donne non accettano e devono riempire. E lo riempiono con lavoro, con gli interessi, con millecento cose, mentre devono capire che quel vuoto è nella loro consistenza. Noi siamo un vuoto. Anche chi non genera come me deve fare i conti con questo vuoto, che vuol dire però anche fare spazio. La donna è capace di fare spazio. La donna porta nove mesi in grembo un figlio che, quando nasce (“Pinocchio” insegna) le sputa in faccia e preferisce il papà oppure la rifiuta semplicemente per mille e cento problemi o motivi. Ecco, questo vuoto che Moore disegna e rappresenta nelle sue sculture ci racconta che la donna è cavità, deve lasciare andare, e, come lascia andare il figlio, la donna deve lasciare andare il marito. Perché comunque, mi dispiace per gli uomini in sala, ma i mariti sono sempre i primi figli della moglie, e questo è poco ma sicuro. E la donna deve lasciare andare anche il marito, deve avere questa incredibile apertura verso l’altro perché è dentro nel suo DNA. Ma la donna non è soltanto vuoto, è anche grembo e cavità. [34.26 Foto] Moore rappresenta questa donna che invece è la donna che tiene il bambino dentro di sé, che lo accudisce, che lo cura. La donna ha bisogno di cure ma è capace di cura, previene, conosce, sa. È stupenda questa immagine. Però qual è il difetto della donna nell’educare, in questo senso? Che la donna chioccia non smette mai. La donna deve dire al marito cosa deve mettere quel mattino, quale cravatta, quale gilet, quale pantalone, perché non si può andare in giro così. Cioè, la donna è chioccia in tutte le sue dimensioni e se questo è bello, è una cura, può essere invasivo sulla persona. Allora la donna deve sapere curare e lasciare andare, essere vuoto ed essere cavità e la sua natura, mi viene da dire, il suo cervello… Io ho partecipato a un bellissimo incontro di studi sulla differenza tra il cervello dell’uomo e il cervello della donna. Il cervello della donna percepisce a livello intuitivo cose che la sua intelligenza, la sua cultura, la sua capacità non dicono assolutamente. Questo ci dice perché alcune donne assolutamente ignoranti, e penso alla mamma di Don Bosco come a mille altre mamme, intuivano molto di più di quello che la dottrina, la scienza ci possono dire. La donna ha un’intuizione dell’altro che deriva da questo. Lei è una cavità. Ma andiamo a vedere l’uomo. [36.05 Foto] Quando ho fatto vedere questa immagine a un incontro, si è alzata la mano di un signore e mi ha detto: “Scusi, perché l’ha fatto senza cervello?” Che non è assolutamente vero. L’uomo è stupendo, perché Henry Moore ha realizzato l’uomo come un grande direttore d’orchestra. E quella testa così tagliata, che appunto potrebbe sembrare senza cervello, in realtà è uno specchio dove si riflette tutta la volta del cielo. Come dice San Tommaso, l’uomo è capace di Dio e l’uomo è l’immagine di Dio. L’uomo è l’immagine di qualcuno che raccoglie, è una spirale. È vettoriale l’uomo, ma in questo caso lui ha fatto un direttore d’orchestra che è disegnato dentro una spirale che sale. L’uomo raccoglie tutta la realtà e la porta in alto. La donna ama un bambino che porta nove mesi nel grembo. Lo sente scalciare, sente il primo battito, sa tutto di quel bambino. Il bambino patisce con lei, mangia di lei, vive di lei. È logico che il bambino si affezioni alla madre. Ma immaginate che cos’è per un bambino scoprire che c’è uno, là fuori, che ha sofferto come la madre, che in sala parto è svenuto, oppure si è mangiato le unghie, oppure moriva dalla voglia di vedere questo bambino senza averlo mai portato nel grembo. Questo uomo che ci ama da fuori è Dio. Questo uomo è Dio. L’uomo è l’immagine di Dio per il bambino. È questa roccia meravigliosa che ci porta verso l’alto e che è capace di Dio. Facciamo un altro passo. [37.49 Foto] Questo è l’educare. Guardate, tutte e due sono *ex cathedra*. Sono seduti e quindi *docet*, insegnano, educano. E qui vorrei fare una parentesi. La famiglia ha paura di assorbire il fattore educativo dei figli. La famiglia demanda spesso, troppo spesso, alla scuola, all’oratorio, al gruppo sportivo, a Pinco Pallino. La famiglia ha il carisma, grazie a Dio per chi si sposa in chiesa, e chi non si sposa in chiesa è uguale, perché ha una marcia in meno se volete, però ha il carisma di educare i figli. Protagonista dell’educazione dei figli è la famiglia in quanto unità dei due, e l’uomo e la donna hanno due ruoli pari, diversi nel momento storico del figlio, ma pari nella qualità del loro apporto. Questi due sono seduti, sono *docet*, insegnano, sono *ex cathedra*. La donna, guardate com’è ieratica, è quasi impressionante, guarda davanti, dritto davanti a sé, quasi dà il figlio in modo scostante, casuale. Tiene una gonna, non è nuda, è finito il tempo dello svezzamento. Il bambino deve smettere di riconoscere la mamma come pappa, ciccia, sonno, caldo, ha bisogno di una forza, c’è un mondo là fuori che fa paura al bambino di 5 anni come al bambino di 8 anni, ma quel mondo là fuori che fa paura lo vince ogni giorno mio padre. E allora questo bimbo passa dalla madre, che è vestita, al padre, che è nudo, cioè il bambino ha bisogno di sentire questa corporeità con il padre, questo corpo a corpo di uno che sta con lui e che esce fuori in un mondo che lui non conosce. Facciamo un altro passo. [39.57 Foto] Questo è un altro passo della famiglia, stupendo, perché è vero, finché il bambino… sappiamo che il bambino cerca sempre la madre. Poi, a un certo punto, il bambino svezzato incomincia a mettersi le pantofole del papà, vuole leggere il giornale del papà, vuole sapere qual è la sigaretta o la pipa del papà, e così via. E l’adolescente? Moore ci racconta un’altra situazione. La donna è seduta, vestita, e passa il bambino svezzato al padre, che è in piedi, sempre vettoriale e nudo. Ma cosa fa il padre? Prende l’adolescente e lo accompagna alla madre. Gli adolescenti sono un mondo delicatissimo. Hanno un grandissimo bisogno di coccole e non le vogliono. Le vogliono solo quando dicono loro. E, care signore, quando il vostro bambino, la vostra figlia scontrosa, presuntuosa, che sa tutto lei, che non ha bisogno di voi, quando viene lì e vuole un bacio, approfittatene. È una porta di Troia, è un punto assolutamente nevralgico della sua vita: ha paura. Quel mondo là fuori fa cose che in famiglia non ha mai visto, e a quelle cose si sta abituando, allontanandosi da un modello che spesso vede in casa. E parlo delle famiglie migliori, qui si aprirebbe un ventaglio sulle famiglie dei separati, ma non possiamo. Quindi il padre riconduce l’adolescente alla madre, e sono in chiusura. [41.39 Foto] Cosa fa Rodin? Ritorniamo a lui. Abbiamo iniziato con “La mano di Dio”. Quando deve rappresentare l’uomo e la donna cosa fa? Scolpisce due mani. Due mani che lui ha preso dalla bellissima cattedrale di Chartres. [42.00 Foto] Ci sono voluti 700 anni per fare due campanili così diversi. E anche le due mani dell’uomo e della donna sono diverse, ma guardate la meraviglia. [42.15 Foto] Queste due mani, in due autori così diversi, dicono la stessa cosa. La mano della donna è coppa, accoglie, tiene e lascia andare nello stesso tempo. La mano dell’uomo è vettoriale, punta verso l’alto. L’uomo è l’immagine di Dio. La crisi vocazionale che stiamo vivendo (e dico vocazione a tutti i livelli, non solo monastica, anche alla famiglia) dipende da questo: che l’uomo non sa più di essere come Dio e la donna non sa più essere quella donna che rilancia l’uomo alla sua responsabilità. Grazie.
Menorello. Suor Gloria ci ha veramente suggerito, con delle pennellate commoventi, la possibilità di un essenziale nell’esperienza della famiglia che, francamente, ci fa sentire totalmente astratta quell’idea di uomo descritta da Andrea Simoncini: una ragione senza interferenze. È totalmente astratta, invece questa è totalmente corrispondente. E quindi, per tenere, per essere aiutati a quella immagine, a essere sempre con quella immagine nell’esperienza familiare con cui abbiamo chiuso l’introduzione e la riflessione di suor Gloria, serve spazio, serve che ci sia spazio, ci sia qualcuno che guarda la famiglia così o quanto meno domanda che sia così, che sia questa possibilità di essenziale. E quindi il sottotitolo del nostro incontro: “Servono alleanze vive”, servono relazioni. La statistica ci ha fatto vedere quali relazioni. Giuseppe Salvato dell’associazione “Nonni 2.0” ci sta facendo riscoprire una dimensione di aiuto, che quell’idea di uomo ridotta sta accantonando, e invece c’è un’esperienza viva nella cosiddetta intergenerazionalità, o meglio nei nonni, una risorsa straordinaria che chiediamo a te di raccontarci con qualche pennellata. Cambiate clessidra perché avete dieci minuti e quindi parte.
Salvato. Compito arduo. Grazie, buonasera, saluto tutti i presenti e coloro che ci seguono in collegamento. I nonni, siamo un’esperienza giovane ma vogliamo vivere intensamente la realtà e il compito che ci è stato affidato. Stiamo cercando di capire come sostenere e aiutare la famiglia a non essere sola nell’affrontare la grande avventura di una vita insieme, fedele e feconda. Stando al sentire della cultura dominante, qualcuno potrebbe chiedersi: ma cosa c’entra tutto questo con il tema dell’alleanza tra generazioni che ci è stato chiesto di affrontare? Risponderò riferendo di un’esperienza vissuta in questi ultimi mesi durante un incontro promosso dalla nostra associazione, appunto “Nonni 2.0”. Si stava discutendo di come l’alleanza tra generazioni potesse essere generatrice di esperienze di comunità. Concludendo l’incontro, l’abate generale dei Cistercensi, padre Mauro Lepori, segnalò che nella regola di San Benedetto vi è questa espressione: *Venerare seniores, diligere juniores*, venerare gli anziani, amare i giovani. Cioè le due generazioni più lontane nel tempo tra di loro. Commentando tale espressione, padre Lepori ha sottolineato come i giovani e gli anziani costituiscano due poli che danno senso e sostanza alle età intermedie, quelle che normalmente vengono giudicate come le più piene di attività e di creatività. Queste le parole di padre Lepori: “Se non ci fossero questi due poli, la comunità non avrebbe senso e la generazione attiva non avrebbe senso di quello che fa, di quello che vive, se non ci fossero questi due poli, a richiamarli al fatto che c’è una crescita e c’è una storia, che c’è un seme e c’è una maturità, c’è un inizio e una fine”. In questo senso, allora, possiamo dire, a nostro giudizio, che il primo modo per sostenere la famiglia nelle sue decisioni e nei suoi compiti sia proprio quello di far crescere negli sposi la coscienza che non sono soli. Questo non è un modo di dire perché siamo abituati a usare parole grandi ma dobbiamo coglierne il senso, e ripeto, non è un modo di dire questo: la coscienza che non sono soli, che appartengono a una storia che merita di essere continuata, che possono contare sul sostegno di persone che grazie alla loro lunga e spesso dura esperienza sono in grado di aiutarli e confortarli all’occorrenza, il che del resto già avviene nella stragrande maggioranza dei casi. E per essere molto concreti non vogliamo creare poesia, cioè realisti, utopistica su questo tema. Sappiamo che esistono nonni che non vogliono interessarsi dei nipoti, perché pensano di godersi in modo diverso il periodo del pensionamento. Sappiamo che molti giovani sono costretti ad allontanarsi dai luoghi di origine per motivi di studio o di lavoro, il che può rendere più complicato il rapporto tra generazioni. Sappiamo che ci sono nuove famiglie che non vedono di buon occhio gli interventi dei nonni sulla vita dei loro figli. Sappiamo tutto questo, ma sappiamo anche che occorre riprendere una cultura che ridia senso al rapporto sano e trasparente tra le generazioni, perché siamo convinti che la rottura della storia porta prima o poi alla fine di un’intera civiltà. E sappiamo, perché lo constatiamo con altrettanto realismo, che circa il 70% degli anziani sono autosufficienti e sono quindi in grado di dare un contributo attivo e positivo per l’intera società. Queste famiglie già si costituiscono in quanto gli sposi sanno quanto potranno essere aiutati dai propri genitori e dai nonni dei propri figli. Sulla base di queste considerazioni, anche gli enti pubblici, riteniamo, soprattutto quelli più vicini alle persone, dovrebbero prendere atto senza paraocchi ideologici della situazione di fatto esistente e dovrebbero favorire quelle condizioni che indurrebbero più facilmente gli anziani autosufficienti a svolgere azioni di supporto nei confronti delle persone e delle famiglie. Per esempio, perché non premiare quei comuni o quelle autonomie locali che riescono a valorizzare il volontariato degli anziani autosufficienti, sostenendolo con tutele assicurative o altro? Tale volontariato potrebbe rivolgersi anche a favore delle famiglie in situazioni di difficoltà. Questi comuni metterebbero in atto una grande iniziativa sociale nello spirito della più vera sussidiarietà. La seconda parte del mio intervento fa riferimento a un’alleanza tra generazioni specifica ma interessante, anche se potrebbe non apparire totalmente riferibile al sostegno diretto alle famiglie, ma indiretto senz’altro. Si tratta di un’iniziativa all’interno di una scuola dell’infanzia di Brugherio, in provincia di Monza e Brianza, l’asilo “Umberto I Margherita”. Tutto è partito per una gratitudine, un desiderio da parte di alcuni nonni di restituire il bene ricevuto quando i propri figli frequentavano la stessa scuola dell’infanzia e che oggi ospita i nipoti. Un desiderio di dar vita a una compagnia tra nonni per vivere insieme ai nipoti delle cose belle e vere, riprendere e approfondire nel percorso educativo dei propri nipoti, all’interno del progetto educativo della scuola, che cosa vuol dire essere nonni dentro la vita della scuola. Da alcuni anni un gruppo di nonni si sono messi a disposizione dell’asilo partecipando concretamente alla conduzione della scuola stessa in collaborazione con il corpo insegnante e il consiglio di amministrazione, dagli interventi di manutenzione alle gite, dalle feste alle rappresentazioni teatrali, la musica e i tanti laboratori manuali. Una presenza di nonni che si manifesta dentro la vita quotidiana della scuola con meraviglia e stupore sia dei nonni che dei nipoti. Ho raccontato l’esperienza dei nonni molto sinteticamente in una scuola dell’infanzia ma riteniamo che questo tipo di esperienza si potrebbe considerare anche nelle scuole di grado superiore. Perché, per esempio, non mettere a frutto l’esperienza professionale maturata in anni e anni di lavoro da parte dei nonni? Incontrare gli studenti e far vedere loro che è possibile studiare e lavorare con gusto e passione. Occorre vedere, vedere un’esperienza in atto, questo crea stupore. I temi non mancano, pensiamo solo per esempio al fine vita, al lavoro, al mondo dell’economia, della finanza, delle comunicazioni, l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla vita di tutti noi, e i temi potrebbero essere tantissimi. Sull’esperienza della scuola… Quando parlo di questa avventura che mi ha coinvolto personalmente, non posso non ricordare un’esperienza vissuta recentemente e che ha coinvolto i nonni. Sono stato presidente per più di dieci anni di questa scuola, e l’esperienza accaduta ci ha insegnato molto della vita e per la vita. Una bambina bellissima di nome Fiammetta, che si ammala gravemente. La presenza dei suoi nonni in asilo, un’amicizia ritrovata e cresciuta nel tempo, è stata una grazia per tutti. Recentemente il nonno materno mi ha fatto pervenire alcuni suoi pensieri su Fiammetta, e mi permetto di condividerne uno perché insegna che cos’è l’essenziale nella vita. Dice: “È stato un imprevisto. Nel gennaio del 2021 mia nipote Fiammetta, all’età di 4 anni, si è gravemente ammalata di una malattia incurabile, un fatto dolorosissimo per la sua famiglia e per i suoi amici. Da subito mi è venuto naturale farle compagnia. Perché, dopo tre anni, desidero ancora stare con lei tutti i giorni? La risposta è che, guardandola così povera e bella, stando in silenzio, lei prende sempre il sopravvento e mostra qualcosa di infinitamente più grande dei miei pensieri. Ogni mattina stiamo un po’ insieme, l’accompagno e vado a prenderla all’asilo, spingendo la carrozzella nel centro di Brugherio, anche col freddo, e provo un grande privilegio nell’essere il suo autista. Così, anche quando andiamo a Pessano per la fisioterapia, vedo molta gente semplice, ammalata, curata al Don Gnocchi, che riconosce in questa bambina la presenza di un ‘oltre’, di un ‘più in là’, che illumina la vita ed è una domanda per ognuno. Nell’imprevisto, brutto o bello che sia, passa sempre Gesù, questo me lo ha testimoniato l’amore che Giovanni, Matilde, Giorgio e Diletta, papà e mamma e i due fratelli, hanno sempre avuto per Fiammetta. Mai la sua malattia ha prevalso sulla sua persona”. Scusate, il timbro di voce mi si altera un pochino. “Sono quasi tre anni che la compagnia con lei mi ha fatto diventare più essenziale nel vivere. Grazie Fiammetta, e grazie ai nonni per la loro presenza e per la tua presenza. Ora la bambina è in cielo e sicuramente siamo sicuri che prega per noi”. La terza parte e l’ultima del mio intervento riguarda una proposta molto concreta di sostegno economico alle famiglie e che apre un percorso di lavoro.
Menorello. La diciamo dopo. Chiudiamo con questa stupenda testimonianza anche di come avete fatto spazio a quell’oltre, e credo che sia molto significativo della possibilità di una compagnia. Un altro dei luoghi in cui tutti noi viviamo sono i luoghi di lavoro. Luigi Sbarra ci ha abituato, soprattutto negli ultimi anni di conduzione del suo sindacato, CISL, a rompere questa idea per cui, per esempio, nel luogo di lavoro ci sono dei conflitti tra datori di lavoro e lavoratori. C’è un modo diverso di pensarli. Spesso però in quei luoghi di lavoro quella dimensione essenziale di cui abbiamo parlato, quelle relazioni nella famiglia che aprono all’essenziale, sono totalmente dimenticate. Come può cambiare? Può diventare un’alleanza viva per la famiglia, come l’abbiamo sentita tratteggiare, il luogo di lavoro? Luigi.
Sbarra. Buonasera, grazie. Grazie a tutti voi per questa bella presenza, per questa nutrita partecipazione e grazie soprattutto a Domenico per l’invito e per aver dedicato uno spazio importante a un problema strutturale non solo per l’Italia ma anche per la dimensione europea e internazionale. Parliamo di una questione cruciale perché attraversa tutte le criticità della nostra comunità nazionale. I luoghi di lavoro sono riferimenti importanti, essenziali, come si diceva. Nei luoghi di lavoro si condividono responsabilità, si costruiscono rapporti, relazioni. Nei luoghi di lavoro nascono amori, si vivono anche delusioni, molte volte anche cocenti. Riprendere questa discussione di come rispondere a questo tema dell’inverno demografico è importante, ne stiamo discutendo da più tempo anche nel sindacato, perché per noi oggi questa è una grande priorità morale che il Paese ha davanti. Lo è per quanto riguarda il diritto dei giovani ad avere una famiglia e a costruire condizioni sicure per realizzare una famiglia, ma oltre essere un diritto per i giovani, secondo noi è anche un dovere per il Paese nella prospettiva di guardare al futuro. Se vogliamo invertire questo arretramento demografico, lo colleghiamo anche a una esigenza forte, potente, di natura anche economica. Il lavoro vive attraverso le persone, il lavoro diventa sempre più comunità, le persone, soprattutto i giovani, producono ricchezza, valore, e questo richiede anche uno sforzo, una rete di servizi di welfare che aiuti le famiglie e soprattutto che sostenga il nostro impianto di welfare su cui si regge il rapporto tra i cittadini e lo Stato. Se questo oggi è il tema, occorre una consapevolezza diffusa tra le forze politiche e i livelli istituzionali, il sistema delle imprese, le organizzazioni sindacali, le associazioni e i movimenti. Fare di questo una grande priorità, rimettere in priorità il valore, il significato della famiglia, costruire condizioni affinché tanti ragazzi possano, attraverso il lavoro, diventare riferimento e prospettiva del Paese. È una questione che riguarda più complessivamente la fase di transizione e di cambiamento che stiamo vivendo. A me ha colpito una bellissima frase di Papa Francesco agli Stati Generali della Natalità, quando ha affermato che il numero delle nascite è il primo indicatore della speranza di un popolo. Ecco perché per noi questa è una prospettiva che deve sempre più impegnare le persone, l’approccio al problema non può che essere un approccio coordinato, concertato, pluridimensionale per realizzare una forte sinergia, una forte collaborazione soprattutto nei luoghi di lavoro tra impresa e lavoratori. Noi, proprio in questo tempo, come CISL, abbiamo rilanciato la necessità di costruire solidi strumenti per rinnovare ed innovare le relazioni sindacali tra imprese e lavoratori, tra capitale e lavoro. Abbiamo presentato una proposta di legge di iniziativa popolare che è all’esame del Parlamento per dare attuazione all’articolo 46 della nostra Carta Costituzionale, che i nostri padri costituenti vollero in quel tempo per favorire e assicurare il diritto delle persone a collaborare, a cooperare alla gestione, agli indirizzi, agli utili delle proprie aziende. Questa nostra proposta di legge si articola su quattro grandi filoni: una partecipazione di natura gestionale, un’altra di tipo economico-finanziaria-consultiva e noi assegniamo grande significato a un profilo di partecipazione organizzativa. Perché? Perché soprattutto dopo il Covid si alza nel Paese una domanda sociale nuova che investe le comunità, ma soprattutto i luoghi di lavoro. C’è da ripensare l’organizzazione del lavoro, c’è da ripensare la politica degli orari, c’è da ripensare le politiche anche di natura salariale, c’è da fare un grande investimento sulla formazione, sugli inquadramenti, c’è da ragionare su come costruiamo. L’onorevole Donazzan, come dire, è stata artefice e protagonista anche di forme di innovazione organizzativa negli ambienti lavorativi e di misure di flessibilità per agevolare soprattutto l’occupazione femminile, la necessità di costruire intese sul tema della conciliazione vita-lavoro. C’è il tema nuovo oggi che si pone nelle realtà lavorative del lavoro agile. Quindi c’è una questione importante che può essere affrontata anche come supporto, come sostegno alle famiglie, alle giovani coppie in modo particolare, che riguarda la qualità, la stabilità, l’organizzazione del lavoro, l’innovazione delle relazioni sindacali. Cosa possiamo fare per sostenere le famiglie, l’occupazione di giovani e soprattutto l’occupazione delle donne? In questi ultimi anni abbiamo trattato (con gli ultimi due governi in modo particolare) forme di agevolazione alle assunzioni per le donne in modo particolare, abbiamo costruito misure di sostegno alla famiglia che noi pensiamo nei prossimi mesi debbano costituire la cornice di riferimento per la nuova legge di stabilità. Io penso, per esempio, all’esperienza di rafforzamento dei congedi parentali, penso ai bonus e ai sostegni alle famiglie, soprattutto alle donne lavoratrici, penso all’esperienza della detassazione della contrattazione di secondo livello, soprattutto collegata ai premi di risultato, agli accordi di welfare negoziale, o penso a una rivendicazione bandiera della mia organizzazione che è denominata, sostegno attraverso fringe benefit, dove l’impresa assicura ai propri collaboratori, soprattutto alle famiglie con figli, sostegno all’acquisto dei libri scolastici, sostegno alle attività sportive, e anche un aiuto alle famiglie al cui interno ci sono figli e soprattutto anziani non autosufficienti. Ecco, io penso che il sistema delle relazioni sindacali ed un rinnovato rapporto tra impresa e lavoratori possa aiutare, agevolare e favorire anche il sostegno alle famiglie e soprattutto l’occupazione per tante donne che bussano disperatamente alle porte del mercato del lavoro e spesso sono ostaggio di part-time involontari che, come sappiamo, rappresentano anche un ostacolo formidabile. Lavorare insieme, remare tutti nella stessa direzione e scommettere sul lavoro. Io penso che il lavoro rimanga la radice più sicura, più importante, fondamentale per aiutare la famiglia e per sostenere soprattutto le giovani coppie ad avere figli. Ecco perché lavoro sicuro, stabile, ben retribuito, ben contrattualizzato da un lato, e un forte investimento sul welfare aziendale, territoriale, in una logica di prossimità, di sussidiarietà, possono rappresentare un contributo importante. Mi permetto di dire anche su questi temi, in questo Paese servirebbe meno ideologia, più concretezza, più realismo, più pragmatismo. Io penso che anche sui temi sociali collegati alla famiglia dovremmo lasciarci alle spalle definitivamente un Novecento carico solo di pregiudizi, di contrapposizioni, di antagonismi e di massimalismi, per favorire invece attraverso la ricerca del dialogo la costruzione di una prospettiva che guardi al bene comune delle persone.
Menorello. Grazie segretario, ci lasciamo volentieri alle spalle questo Novecento per un’alleanza vivace come tu l’hai descritta. E un altro luogo essenziale, l’abbiamo sentito nelle relazioni introduttive, è questo della, chiamiamola scuola, cioè la questione educativa. Elena Donazzan, dal 2005, vive la scuola in Veneto ed è stata protagonista, questo lo dico da veneto, anche di una particolare capacità di mettere assieme famiglie e scuole. Raccontaci qualcosa perché penso che sia una delle alleanze vive per sostenere la famiglia così come l’abbiamo sentita raccontare nella sua essenzialità. Elena.
Donazzan. Grazie.
Menorello. Per te devo girare la clessidra.
Donazzan. La mia preghiera è: siccome non ci vedo niente, se tu a un certo punto mi fai *tic tic*, mi richiami col sonoro. Domenico Menorello mi ha chiesto di portare qualche esempio perché poi, quando parliamo di cose così significative, riuscire a comprendere come si possono declinare, come poi diventerà qualcosa di assolutamente vero e reale, quando si parla di politica sembra quasi una dicotomia. La politica è spesso accusata, giustamente, di fare molta teoria, di fare molte parole. A me Domenico ha chiesto di tradurre quello che io ho fatto in questi molti anni alla guida di una delle più belle regioni d’Italia, non me ne vorranno le altre, ma per una condizione di grande coesione sociale, di grande diffusione delle piccole comunità, di una grandissima tradizione cristiana che ha saputo coinvolgere, contaminare in positivo anche il mondo contemporaneo. Per cui per me è stato anche più facile, se volete, fare politica dando alcune risposte molto vere, molto concrete. Erano già nella natura. Ecco, la prima questione: che cosa c’è ancora nella nostra natura che abbiamo dato per scontato e che oggi drammaticamente ci ritroviamo a dare risposte completamente diverse? Io davo per scontato, quando ho iniziato a fare politica, che la famiglia fosse esattamente qualcosa che stava, esisteva, resisteva, che determinava. Mi trovo dopo pochi anni, anche se molti, in verità, a dover dire che oggi la famiglia va difesa, promossa, proposta, perché non è più così scontata. Quei dati statistici con la lettura che è stata fatta, se noi facciamo una semplicissima valutazione in spirito di verità con noi stessi, capiamo che non è solo una questione finanziaria, c’è stato detto, ma è principalmente una questione culturale che ha a che fare con questa nostra società. Si chiama edonismo o egoismo. Allora, il primo problema è proprio quello di tipo culturale, riguarda la famiglia che davamo per scontata e oggi no. E quando io mi sono trovata in tante occasioni a dover fare i conti con quei termini anche di… poi una valutazione che un amministratore regionale, ma direi un amministratore in generale, deve fare, cioè far vedere che cosa è un costo, che cosa è un investimento, che cos’è uno spreco, come si può migliorare… Il primo tema era: come riusciamo a costruire un’alleanza educativa che tenesse conto di un territorio di comunità e provasse a rispondere alla solitudine di quella famiglia. Per cui all’affermazione: “È bene che la famiglia non sia sola”, aggiungiamo che la famiglia oggi si sente molto sola. E l’aspetto della solitudine in particolare riguarda i fallimenti che spesso hanno a che fare con ciò che accade nel nostro mondo della scuola. E allora arrivo a qualche esempio. Il primo: ho dovuto fare i conti con la dispersione scolastica. È un dato statistico allarmante, a costi sociali estremamente rilevanti. L’Europa ci dice che dobbiamo risolverlo, come se fosse il dettato europeo a dovercelo dire. No, è il buon senso, è la valutazione di ciò che è veramente importante che ci fa dire che questo è un problema. E perché vi era questa tanta dispersione scolastica? Perché non vi era una proposta legata alle creature e alle loro famiglie, alla loro idea di vita, che tenesse conto dei diversi talenti, che tenesse conto del contesto, che tenesse conto della comunità. E cosa abbiamo fatto in Veneto in particolare? Noi abbiamo molto spinto, intanto, su una visione unitaria, olistica della società. Non c’è gerarchia in questo caso tra chi fa liceo classico, chi fa l’istituto professionale o chi fa la formazione professionale, che era molto trattata come un’offerta formativa di serie minore. E lì abbiamo investito e abbiamo scoperto che (io, personalmente, sono andata ogni anno a rendermi conto personalmente) che, quando arrivavo all’inizio di settembre e queste creature si avvicinavano alla scuola, erano fallite dentro e fuori, erano tristi, lo sguardo era triste, si vestivano male, erano pieni di orpelli, da mille orecchini alla bruttura che si evidenziava. In qualche Meeting, in qualche anno fa, abbiamo parlato della bellezza. Ebbene, già a Natale, queste creature erano cambiate. Avevano trovato l’ascolto, erano state accompagnate, era stato parlato a loro come a qualcuno di cui prendersi cura. Erano state avvicinate le loro famiglie. Secondo esempio e chiudo. Vengo chiamata un paio di estati fa dal Procuratore Generale di Venezia, lo cito volentieri, il dott. Cherchi, uomo straordinario, illuminato, estremamente intelligente. Mi chiama, chiama me e la professoressa Lucangeli, che è una straordinaria scienziata delle scienze umane, e ci chiama e dice: “mi dovete aiutare perché, se io dovessi semplicemente applicare la giustizia, io dovrei avere in Veneto almeno altre sette carceri minorili, ma noi sappiamo che non è questo lo spazio”. E che cosa deve essere lo spazio? Quello di una comunità educante. E ci ha invitato (ecco perché così chiudo come ha iniziato) a guardare a che cos’è la nostra natura e la nostra realtà, le piccole realtà sono fondamentali nel prendersi cura di… Il percorso educativo e formativo che parla alla famiglia, che aiuta la famiglia addirittura con scuole per genitori che noi abbiamo sostenuto come Regione del Veneto, sembra banale, uno impara naturalmente ad essere genitore, in questa società non è così. Ecco, questi sono due esempi che noi abbiamo trattato e guardate, alla fine, i dati statistici, quelli così freddi, così distanti, ci hanno dato ragione. E quindi io credo che tra le proposte che dovremmo fare, dovranno esserci anche alcune cose che noi in Veneto abbiamo sperimentato con facilità e con successo.
Menorello. Stiamo impastando l’essenziale anche di racconti, perché l’essenziale è nel reale, e quindi velocissimamente trasmettiamo l’idea che per aiutare queste alleanze vive, Giuseppe, riprendiamo le vostre proposte dei “Nonni 2.0”, portare a breve al tavolo dei decisori nel Parlamento e al Governo alcune idee sull’intergenerazionalità. [1.17.02 Lettura e/o commento di Slide], e cioè che le spese per assistere i genitori anziani, da un lato, ma dall’altro anche una proposta che viene proprio dai “Nonni 2.0”, il sostegno che spesso i nonni danno alle famiglie possano incontrare anche una maggiore deducibilità o detraibilità sotto il profilo fiscale. E così proporremo anche alcune politiche sia socio-urbanistiche che di tipo abitativo per favorire che gli anziani possano rimanere il più possibile nella loro relazionalità, nella loro domiciliarità e vicino, anche se con forme autonome (ad esempio con appartamenti duplex) alle famiglie dei figli. Se trasmettiamo la seconda sul tema invece dell’altra alleanza viva di cui abbiamo accennato, cioè sui luoghi del lavoro, noi chiediamo a tutti, e lo diremo anche nel nostro piccolo di associazioni, di realtà, di formazioni sociali, di sostenere questa grande idea della CISL di dare attuazione all’articolo 46 della Costituzione per consentire che (lo dice questa legge delega) ci sia più sostenibilità, e abbiamo sentito i dati del professor Bolzan e ripresi dal segretario della CISL, servono accordi aziendali in grado di dare, ad esempio, più flessibilità nel lavoro alle donne, più telelavoro alle donne, così come non va assolutamente abbandonata l’idea sussidiaria dei fringe benefit e di tutto ciò che sono servizi per la famiglia nei luoghi di lavoro. E così, poi da ultimo, sul tema della scuola, di questo altro grande luogo, la scuola e la famiglia, va finalmente attuato l’articolo 30 della Costituzione. Serve, a noi sembra, un nuovo patto Scuola-Famiglia. Oggi è logorato il rapporto fra queste due grandi agenzie, in cui ci possa essere più consenso informato, ci possa essere più partecipazione, e per assicurare a tutti una libertà, le famiglie che possano, visto che sono titolari dell’educazione, scegliere veramente dove poter portare i figli, se abbiamo posto il modello della Regione Lombardia, ma bisogna dire anche il modello Regione Veneto, che con l’ISEE almeno assicura anche a delle fasce non abbienti la possibilità di scegliere la propria scuola. E quindi a questo punto noi ci prendiamo un extra time, cambiamo la clessidra da un minuto, rifacciamo il giro a rovescio, abbiamo impastato proposte, testimonianze e una altissima, come dire, tensione ideale, molto concreta, come ci è stata rappresentata. Ma credo che senza questo essenziale non avremmo sentito la passione di Giuseppe Salvato, di Luigi Sbarra, di Elena Donazzan nel raccontare come queste alleanze vive possano dare spazio alla famiglia, perché il bacio come segno di quell’oltre sia l’esperienza quotidiana. Un minuto a testa per lasciarci un prossimo appuntamento, non solo al prossimo Meeting, ma anche nelle prossime settimane quando, come ha ricordato Luigi Sbarra, si scriverà la legge di stabilità, si scriveranno alcune scelte importanti e quindi chiederei al contrario ai nostri testimoni, a Elena Donazzan, un minuto che è già partito per tema, ma tu hai anche un extra time.
Donazzan. Una proposta è che dobbiamo intervenire con il quoziente familiare che ancora in Veneto non c’è. Noi in Veneto l’abbiamo inserito, il tema dei figli è ovviamente, non è il medesimo costo averne uno o averne tre, quattro, cinque, undici. La seconda invece è nel mio nuovo incarico: si va a discutere prossimamente della nuova programmazione comunitaria dei fondi ordinari. Noi abbiamo vissuto il Next Generation EU, che è basato sul singolo, l’impresa, il lavoratore che non lavora, il disoccupato. Noi abbiamo bisogno di un Next Family.
Menorello. Il tema antropologico iniziale.
Donazzan. Perché è concettuale e culturale, e siccome questa è una discussione che si aprirà esattamente in questa legislatura, ma nei prossimi mesi, io credo che questo l’Italia dovrebbe porlo, noi deputati europei italiani sicuramente sì.
Menorello. Hai dato due obiettivi che ci segniamo con la matita rossa. Luigi Sbarra, della tua legge, abbiamo bisogno, forse serve un po’ più nell’articolato, in questo rush finale, dare ancora di più questa idea di dare spazio alle famiglie come le abbiamo ascoltate qui al Meeting.
Sbarra. Sì, intanto mi sento di condividere le proposte che presentate al Governo e al Parlamento, e se mi posso permettere, assumo l’impegno che le stesse vengano inserite nella nostra piattaforma, che sarà la base del confronto sulla legge di stabilità in modo particolare.
Menorello. Abbiamo bisogno di un sindacato che ha questo cuore.
Sbarra. Sapete che noi abbiamo delle priorità irrinunciabili, innegoziabili, prima fra tutte la conferma e, nella prospettiva, la strutturalità del taglio del cuneo contributivo, l’accorpamento delle prime due aliquote IRPEF, la proroga della detassazione sulla contrattazione di secondo livello. Io aggiungo, la prossima legge di stabilità deve dare marcatamente un segnale forte di sostegno alla famiglia, alla natalità, alla genitorialità. Si parlava di nonni, noi abbiamo combattuto con la nostra categoria dei pensionati, c’è il segretario generale nazionale in sala, una forte iniziativa con mobilitazioni per conquistare la Legge Quadro di sostegno alla non autosufficienza. Finalmente il Parlamento l’ha approvata, è una grande legge di civiltà che stenta ad essere attuata per l’insufficienza e l’inadeguatezza delle risorse per dare luogo a processi, si parlava anche questa sera, di integrazione dei servizi sociosanitari assistenziali, per la domiciliarità, per la prossimità. Sono questioni che noi assumiamo, come CISL, l’impegno a trasferirli nei momenti di confronto e di negoziato con il governo nazionale ma anche con i livelli regionali e con il sistema delle autonomie locali. Quindi avremo modo di continuare questa collaborazione, questa sinergia nella prospettiva di vedere concretizzati e di portare a casa risultati concreti.
Menorello. Grazie Luigi Sbarra, qui c’è un oltre che è molto concreto e molto interessante. Giuseppe Salvato, ti ho anticipato alcune delle proposte che abbiamo mutuato da voi.
Salvato. Questo non ci può fare altro che piacere sentire queste annunci, perché noi come associazione da tempo stiamo portando avanti un intervento sul campo fiscale dei contributi che i nonni elargiscono per i figli e i nipoti e quindi è stato acquisito, è un dato, dato e acquisito, abbiamo visto anche i dati, qual è il grande contributo dei nonni per le famiglie e per i nipoti. E allora ci siamo domandati da tempo e stiamo sostenendo questa proposta: perché non far rientrare questi contributi nel sistema fiscale italiano con una deducibilità o una detraibilità? Con la CISL è nato un bel rapporto in questo ultimo periodo. Abbiamo avuto diversi incontri, siamo molto contenti della presenza del Segretario Nazionale. È un lavoro iniziato che si svilupperà ulteriormente e sosterremo queste proposte. Grazie.
Menorello. Grazie Giuseppe, si aspettano settimane intense. Professor Bolzan, tu hai lasciato spazio prima dai tre slide, ma insomma adesso ci farai un riassunto, anche perché i 74 esperti, che sarebbe bello interrogarli su alcune prospettive che sono nate e anche su quelle immagini che abbiamo visto prima, che direbbero?
Bolzan. Non so se viene proiettata l’immagine, sarò sintetico. Da questi inattesi risultati della ricerca c’è una differenza tra efficacia e fattibilità. Emergono alcune proposte anche da altri studi internazionali molto interessanti. Innanzitutto sensibilizzare sulla necessità di investire nell’educazione ai futuri sposi, coloro che decidono o pensano di costruire una famiglia. Creare anche dei percorsi professionali nuovi, finalizzati all’accompagnamento e alla prevenzione delle crisi matrimoniali. Far conoscere le best practices, quelle esperienze migliori che ci sono nel territorio, farle socializzare, farle conoscere per diffonderle. Sostenere le associazioni che si occupano di aiutare e prevenire le divisioni o rotture matrimoniali che non sono i consultori familiari. Quindi c’è un cambio di paradigma. E innanzitutto cercare anche di creare attorno alla famiglia un luogo di accoglienza. Questo io penso che sia importante, perché come diceva Papa Francesco agli Stati Generali: “Il problema non è quanti figli dobbiamo avere, ma che mondo vogliamo”. Ecco allora che vado velocemente verso la conclusione, perché sia chiaro, la famiglia non è un aggregato di vicini, è e resta un luogo di intimità e di riconoscimento che aiuta ad andare, scusate, all’essenziale. Per questo io penso che sia importante avere le idee chiare quando noi parliamo di famiglia e io penso che uno dei pensieri più belli che mi sono permesso di… mi permetto di proporre è questo di Papa Francesco, il quale dice: “Non esiste la famiglia ideale, ma è ideale vivere in famiglia”. Questo perché questo pensiero nasce da chi ha un profondo sentimento di gratitudine rispetto alla propria famiglia e questa è la gratitudine che rende l’uomo libero e sicuramente lo aiuta a andare oltre, a rischiare, a andare avanti. Ecco, allora io vi ringrazio dell’attenzione, della pazienza, spero di aver offerto qualche elemento di riflessione. Sicuramente il tema è aperto, anche se secondo me resta un tema provocatorio, ma come tutte le provocazioni, scusate, ci aiutano ad andare all’essenziale. Grazie.
Menorello. Suor Gloria, ho capito che non si può… Mi sarebbe piaciuto che avessimo concluso anche sentendo le sue parole finali con magari l’ultima immagine che ci aveva mostrato, ma se non è possibile ce la ricordiamo tutti con le due braccia di Rodin.
Riva. Sì, due mani. Idealità e concretezza sono un impasto imprescindibile nella vita, così come l’essenziale è invisibile agli occhi, direbbe Antoine de Saint-Exupéry. Rodin realizza queste due mani impressionanti e le chiama cattedrale. Cioè, l’amore umano è una cattedrale, luogo dove si insegna la verità dell’umano e la verità della fede e la verità dell’educare. E allora mi viene da finire proprio velocemente con una frase di cui abbiamo sentito parlare tantissimo, una frase abusata, perché bisognerebbe ricollocarla nel grande romanzo di Dostoevskij: “La bellezza ci salverà”. Mi viene da dire: la famiglia ci salverà. Dobbiamo sostenerla perché la famiglia è una cattedrale che ci salverà. Grazie.
Menorello. Ringraziamo i nostri relatori. Ieri Davide Rondoni ha contestato quella frase che “l’essenziale è invisibile agli occhi” , ha detto: “No. L’essenziale ha dei segni che lo rendono visibile”. Credo che oggi abbiamo sentito e ci aspettiamo ulteriori segni per rendere l’essenziale, la bellezza, visibile a tutti. Grazie e buona continuazione del Meeting.