Chi siamo
SCUOLA E UNIVERSITÀ: RISORSE UMANE O UOMINI PER IL NUOVO LAVORO?
In diretta su askanews, Play2000
In collaborazione con Fondazione Fratelli tutti
S.Em. Card. Mauro Gambetti, presidente Fondazione Fratelli tutti; Giovanna Iannantuoni, presidente CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane); Cesare Pozzoli, vice presidente Fraternità di Comunione e Liberazione e giuslavorista; Roberto Ricci, presidente INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione); Cristiana Scelza, presidente Valore D. Introduce Francesco Occhetta, segretario generale Fondazione Fratelli tutti
Il lavoro sta cambiando vertiginosamente e continuamente: non basta più saper nozioni ma occorre essere vivaci propositivi, creativi, umili, pronti ad ammettere gli errori e correggersi capaci di lavorare con gli altri. Non sempre le aziende capiscono queste nuove esigenze e rimangono indietro. Ma la scuola e l’università lo stanno capendo? Stanno cambiando per favorire la nascita di persone pronte a questo nuovo modo di lavorare che ha a che fare con una vita piena di significato, scopo, ideale, fraternità?
SCUOLA E UNIVERSITÀ: RISORSE UMANE O UOMINI PER IL NUOVO LAVORO?
SCUOLA E UNIVERSITÀ: RISORSE UMANE O UOMINI PER IL NUOVO LAVORO?
Sabato 24 agosto 2024 ore 21:00
Sala Gruppo FS C2
Partecipano:
S.Em. Card. Mauro Gambetti, presidente Fondazione Fratelli tutti; Giovanna Iannantuoni, presidente CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane); Cesare Pozzoli, vice presidente Fraternità di Comunione e Liberazione e giuslavorista; Roberto Ricci, presidente INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione); Cristiana Scelza, presidente Valore D.
Introduce:
Francesco Occhetta, segretario generale Fondazione Fratelli tutti
Occhetta. – 0:05:44 – Grazie a tutti per essere qui questa sera con noi, grazie ai nostri relatori, tutti di altissimo livello, per aver accettato questo nostro invito. Mi permetto di darvi il benvenuto con la frase scelta dal Meeting di quest’anno, molto suggestiva e profonda per noi: “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora che cosa cerchiamo?” Questa frase di Cormac McCarthy nel libro *Il Passeggero*, che molti di noi hanno letto, ci aiuta a guardare lontano se prima guardiamo nel profondo. E l’essenziale, come dice l’autore, è anzitutto scavare nel profondo. È lì che nasce anche l’esperienza dell’amicizia, che si rinnova qui ogni anno per aiutarci a camminare insieme nella società e nella vita. Ed è per questo che vorrei ringraziare anche gli organizzatori del Meeting, dal professor Giorgio Vittadini al dottor Bernhard Scholz, presidente della Fondazione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, al direttore Emanuele Forlani e a tanti altri amici che ci donano questo spazio relazionale per ripartire in autunno e riflettere sulla nostra vita di fede e sul nostro Paese. E per aver voluto che questo incontro fosse organizzato insieme alla Fondazione Vaticana Fratelli Tutti, che il Santo Padre ha fatto nascere nel 2021. L’incontro di questa sera ha come titolo, come sapete, “Scuola e università: risorse umane o uomini per il nuovo lavoro?” Per entrare subito nel cuore del tema, vorrei proporre ai nostri relatori di fare un giro insieme per poter rispondere a questa domanda, senza che io ne faccia altre, per offrirci dei semi da piantare nel campo della cultura e nei nostri cuori, affinché possano fiorire nella vita e nel lavoro di quest’anno. Sapete che il dibattito su questa domanda è diviso tra due grandi paradigmi di pensiero. Da una parte, “istruire” significa formare risorse umane funzionali al mercato: formazione mirata, programmi funzionali, competenze trasversali, capacità di lavorare in squadra, individui come ingranaggi di un sistema competitivo ed efficiente. Dall’altra parte, si può pensare a un’istruzione che forma delle persone, persone responsabili, capaci di adattarsi ai cambiamenti del tempo e del lavoro attraverso un’educazione umanistica, olistica, critica, formati alla cittadinanza attiva, che mentre lavorano pensano anche alla politica e alla società da un punto di vista sistemico e non individualistico, per preparare persone che siano spiritualmente pronte per i grandi cambiamenti che il mondo del lavoro vive e che noi viviamo. Vorrei ora dare la parola ai nostri relatori, iniziando dalla professoressa Giovanna Iannantuoni, che ricopre un ruolo preziosissimo nella società, è presidente del CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), la prima donna a ricoprire questo ruolo, è un’economista e anche rettrice dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. A lei, professoressa, chiedo come può rispondere a questa domanda.
Iannantuoni. – 0:09:26 – Grazie. Anzitutto è veramente un grande piacere per me essere qui e poter dialogare su un tema così importante e, direi, essenziale, per usare una parola cara al Meeting di quest’anno. Io credo che quando parliamo di formazione, di giovani, e quindi del futuro dei nostri ragazzi, l’essenziale, per quanto mi riguarda, è il talento, la passione e il fatto che i nostri ragazzi devono avere l’opportunità di prendere coscienza e conoscenza del mondo che li circonda. L’università, parlo soprattutto del mondo universitario, non è semplicemente uno strumento di formazione. L’università nel nostro Paese è composta e vissuta da due milioni di studenti, dai docenti ovviamente, ma penso soprattutto a questi due milioni di studenti che devono essere consapevoli che gli anni della loro formazione universitaria sono un momento assolutamente irripetibile della loro vita, in cui devono imparare non tanto a rispondere a delle domande, ma proprio a farle. Cosa intendo con questo? Intendo che nella vita delle persone, quando scopriamo e ci facciamo la domanda del perché e del come siamo protagonisti della nostra vita, per essere protagonisti dobbiamo avere strumenti di conoscenza di ciò che ci circonda, ma anche di noi stessi. Questo approccio critico, cioè l’autonomia critica, è il primo obiettivo del mondo universitario: garantire ai nostri ragazzi strumenti per essere autonomi e indipendenti nelle loro aspettative di carriera e nella consapevolezza della realtà che li circonda. Questo percorso, che porterà i ragazzi al mondo del lavoro, è un percorso che pone i ragazzi stessi al centro. Devono avere l’ambizione di comprendere qual è il proprio talento e come coltivarlo. Per questo il mondo universitario offre moltissimi strumenti, che non si limitano a capire quale sia la disciplina giusta da studiare, sia essa una disciplina STEM, filosofia, statistica, economia, ma accanto alla disciplina specialistica, i ragazzi devono essere curiosi di esplorare altre discipline, di comprendere il mondo, la politica, il futuro, la tecnologia, gli avanzamenti tecnologici. Pensiamo, per esempio, all’intelligenza artificiale. Questo tema comporta un breakthrough tecnologico che cambierà la nostra quotidianità, e può essere compreso solo se affrontato da tutti questi punti di vista. Abbiamo bisogno di un approccio interdisciplinare per comprendere come la sostenibilità economica del nostro futuro sarà influenzata dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Quindi, l’essenziale è la passione per la ricerca, la conoscenza, la consapevolezza di sé e del mondo. La mia risposta a questa domanda è la passione per la vita, che pone ogni studente al centro della sua esistenza e anche delle nostre scelte come direzione del mondo universitario. L’università è rivoluzione, è l’idea dello scienziato, è l’eureka che si accende come una lampadina di notte. L’ambizione di quell’eureka e la generosità di voler spiegare quella scoperta, quell’idea ai ragazzi. I ragazzi, quando vengono all’università, devono pretendere un fuoco, una passione di cambiare se stessi per cambiare il mondo. Questa è l’università, due milioni di cuori che pulsano per cambiare il nostro Paese, perché il nostro Paese ha bisogno di essere cambiato. Dalla talk del governatore Panetta in poi, come economista ho assistito a molti discorsi sul tema della crescita economica in Italia. La crescita non è abbastanza, il mercato del lavoro è deficitario rispetto alle ambizioni dei nostri giovani. Cosa sta succedendo al nostro Paese? Tutti hanno nominato la parola “education”, detto in vario modo. Ma se crediamo davvero che la formazione, l’educazione, l’università, la scuola siano la porta per il futuro, dobbiamo essere conseguenti. Questo significa investire nell’università e nella formazione. Il nostro paese è l’ultimo in Europa per l’investimento in università. Investiamo per studente 13.000 euro contro i 24.000 della Germania, ma potrei citare decine di altri dati. Il punto che voglio fare è crediamoci, abbiamo la passione per questi ragazzi, ma soprattutto chiediamo alla politica di investire nel futuro, nei giovani e nella formazione se vogliamo davvero fare una rivoluzione culturale nel nostro Paese.
Occhetta. – 0:18:03 – Grazie alla rettrice Iannantuoni, crediamoci e investiamo su questo punto. A lei, dottor Ricci, Roberto Ricci, presidente dell’Invalsi, vorrei chiedere cosa emerge dai vostri studi e ricerche su chi, cosa e come preparare i ragazzi che si formano nelle nostre università e scuole.
Ricci. – 0:18:36 – Grazie, buonasera a tutte e a tutti. Vorrei partire dal concetto di essenziale e, in continuità con quanto detto dalla magnifica rettrice, per me l’essenziale, dal mio punto di vista, può essere garantito solo se affronteremo un nodo cruciale poco considerato al momento: lo spazio 0-6. Tutto ciò che abbiamo sentito e che personalmente condivido al 100% non è realizzabile se non ci occuperemo seriamente di quella fascia d’età in cui crescono e si radicano differenze che poi non riusciamo più a superare. Oggi, non 50 anni fa, non 100 anni fa, un bambino di tre anni con una madre laureata capisce il doppio delle parole rispetto a un bambino la cui madre ha solo la licenza media. E se non colmiamo questo divario, permettetemi di essere molto franco, non ci sarà possibilità di raggiungere quello che abbiamo sentito, perché parte della popolazione non ha le competenze necessarie per accedere a una serie di condizioni fondamentali. Oggi, cosa emerge dai dati sulla scuola? Già in seconda primaria, seconda elementare per parlare all’antica, abbiamo differenze enormi nelle varie aree del Paese. Credo che ci sia la necessità di affrontare scientificamente e seriamente il problema. L’essenziale vuol dire avere il coraggio di affrontare i temi, anche quelli che non ci piacciono. I modelli educativi ci spiegano solo una parte di questi divari, dobbiamo avere il coraggio di affrontare l’altra parte che finora non abbiamo mai avuto la forza o la cultura di affrontare. E qui al Meeting ho assistito a un incontro illuminante sull’inclusione di bambini con bisogni educativi speciali. Ma per fare questo dobbiamo puntare all’essenziale e pensare che ogni euro mal speso è sottratto a chi ne ha veramente bisogno. L’inclusione, se vogliamo che sia effettiva, è estremamente costosa. Dobbiamo avere il coraggio, come ci ha detto il governatore della Banca d’Italia, di affrontare anche il tema del debito pubblico di questo Paese. Per me l’essenziale significa avere il coraggio di puntare dritto ai temi dell’educazione, affrontando le disuguaglianze di cui oggi parliamo poco, o in modo superficiale. Se vogliamo portare tutti a un livello alto di istruzione, dobbiamo avere il coraggio di trovare modelli che si facciano carico di queste differenze. Nella scuola non possiamo immaginare di portare tutti al diploma apportando piccole modifiche a un sistema che, nel suo disegno originale, prevedeva l’espulsione di oltre il 30% degli studenti. Nel 2001 gli studenti espulsi dal sistema scolastico erano il 25%, uno su quattro. Quel sistema, se vogliamo andare in una direzione diversa, ha bisogno di essere cambiato. E l’università non potrà mai avere quello slancio auspicabile se non costruiamo le basi prima. Oggi in Italia, anche se in diminuzione, abbiamo un problema serio di studenti che conseguono il diploma di scuola secondaria di secondo grado, ma hanno competenze di base attese alla fine della terza media. Possiamo immaginare che questi studenti abbiano le competenze per coltivare le passioni e fare quella rivoluzione positiva di cui parla la rettrice? Dubito, perché se non ho le parole per farlo, non ho il pensiero necessario. Ecco, dal mio punto di vista, abbiamo bisogno di rimboccarci le maniche e di lavorare quotidianamente per colmare quei divari che, nonostante le migliori intenzioni, continuano a crescere. Questo richiede decisioni politiche, culturali, di visione educativa. Abbiamo bisogno di una visione educativa chiara per guidare le scuole, perché queste competenze, così importanti, sono per loro natura divisive, in quanto attengono a modelli educativi diversi. Non dobbiamo spaventarci, ma affrontare questi temi con generosità e coraggio.
Occhetta. – 0:25:27 – Grazie, presidente Ricci, per questo intervento che ha centrato il punto sulla disuguaglianza, un grande termometro delle democrazie. Giustizia, solidarietà, uguaglianza passano proprio attraverso la lotta alle disuguaglianze. Vorrei ora passare la parola alla presidente Cristina Scelza, presidente di Valore D. Valore D è un’associazione di imprese che dal 2009 si impegna per l’equilibrio di genere e per una cultura inclusiva nelle organizzazioni e nel Paese. Qual è la prospettiva che emerge dalla vostra realtà?
Scelza. – 0:26:17 – Buonasera a tutti, innanzitutto grazie a chi, anche a quest’ora, ci sta seguendo qui in sala. È la prima volta che Valore D partecipa al Meeting di Rimini, e siamo molto contenti di essere qui. Siamo stati accolti molto bene e vorrei ringraziare anche i volontari. Parlando di giovani, ne avete tantissimi e sono tutti sempre entusiasti, molto attenti e disponibili, quindi grazie. Io porto la prospettiva del mondo del lavoro, perché rappresentando 380 aziende, da 15 anni lavoriamo su una “D” che è nata come “Donna” ma che è diventata sempre più “Diversità” in senso ampio: disabilità, differenze culturali e anche generazionali. Affianchiamo le aziende in questo cammino, che procede, ma procede molto lentamente. Ovviamente parlare di diversity inclusion è etica, è giustizia, ma ogni tanto dimentichiamo che non è un “nice to have”, ma una necessità di business. E lo ripeto con forza. In questi anni abbiamo accumulato tanti dati e studi. Innanzitutto, McKinsey con il rapporto “Why Diversity Matters” ci dice che le aziende con team diversi hanno il 35% di probabilità in più di avere rendimenti finanziari superiori. Harvard, invece, ci ha insegnato che i leader inclusivi, che fanno lavorare insieme persone diverse, hanno il 17% di probabilità in più di ottenere performance elevate, il 20% in più di probabilità di prendere la decisione migliore in contesti lavorativi estremi, e il 29% in più di probabilità di avere comportamenti collaborativi ovunque si trovino. Quindi, sono dati tutti incredibilmente positivi. In più, quando la percezione di inclusività in un’azienda aumenta del 10%, si osserva una maggiore presenza in ufficio, e il costo dell’assenteismo si riduce notevolmente. Perché parliamo di inclusione? Perché stiamo procedendo così lentamente, soprattutto in Italia? Perché è faticoso? Perché circondarsi di persone che la pensano come noi è facile e immediato. Circondarsi invece di persone che ci offrono un diverso punto di vista è più difficile, richiede tempo e impegno, soprattutto quando si cerca il risultato immediato. Eppure, gli studi dimostrano che se si rappresenta la performance in funzione del tempo, i team omogenei dopo un primo momento di formazione raggiungono una performance costante, mentre i team eterogenei, dopo un primo momento di difficoltà, raggiungono una performance molto più alta. Se cerchiamo un risultato immediato, abbiamo bisogno di persone che la pensino come noi. Ma se guardiamo a uno sviluppo sostenibile, che è l’unico sviluppo possibile per aziende, società e Paese, allora abbiamo bisogno di team diversi. Questo vale per le aziende, per la società, per l’economia. È molto importante perché, come abbiamo ascoltato qui al Meeting, José Manuel Barroso ci ha detto che Cina e America sono paesi molto più innovativi perché sono più giovani, investono di più nelle tecnologie e danno spazio alle startup. Dobbiamo mettere i giovani al centro del tessuto produttivo e del mondo della formazione. Tornando alla domanda sull’università, cosa dobbiamo fare? In modo pragmatico, l’università deve essere ben connessa con il mondo del lavoro. Aziende e istituzioni educative devono essere sempre più vicine, perché il percorso di formazione deve tenere conto delle nuove strategie di mercato e delle nuove richieste. Penso ai percorsi STEM e non solo per i profili scientifici, ma anche per quelli umanistici. Anche chi studia letteratura, storia, arte ha un ruolo nel mondo dell’intelligenza artificiale. Abbiamo bisogno del cervello umano, della creatività, ma bisogna conoscere la tecnologia, quindi le materie umanistiche devono essere sempre più ibride. Secondo, esempi. I role model parlano molto più forte delle parole e delle teorie. Come Valore D, portiamo manager aziendali nelle scuole per mostrare ai bambini, ma soprattutto agli educatori e ai genitori, che non esistono mestieri “da uomo” e “da donna”, che ognuno è libero di sognare e realizzare tutto ciò che desidera. Terzo, attitudine e comportamento. Qui cito Sant’Agostino: “Il sapere non passa dal maestro all’allievo, come se quest’ultimo apprendesse ciò che prima ignorava. La verità è già presente in qualche modo nell’anima del discepolo, come in quella del maestro, e la parola del docente ha solo il compito di renderla esplicita.” Sant’Agostino era Sant’Agostino, ma uso questa citazione per dire che oggi ai giovani non basta dire “abbiamo sempre fatto così”. I giovani possono contribuire molto e lo chiedono. Valore D è qui al Meeting di Rimini per presentare un patto per il lavoro del futuro, un accordo tra aziende e giovani. Abbiamo chiesto ai giovani, dai 18 ai 35 anni, quali erano i punti di attenzione e le istanze che noi come aziende dobbiamo raccogliere. Questo patto contiene 9 punti, ma ne cito solo 2: primo, l’apertura al dialogo e al confronto, soprattutto generazionale. Per la prima volta abbiamo quattro generazioni a confronto nello stesso ambiente lavorativo, con modi diversi di intendere la vita e il lavoro. I giovani chiedono di essere ascoltati. Secondo, la valorizzazione delle differenze e lo sviluppo delle competenze. Due ragazzi su cinque dichiarano di voler cambiare lavoro perché il loro capo non dedica abbastanza attenzione ai principi di inclusività. È inutile fare proclami sull’ISG e la sostenibilità se non siamo autentici e coerenti. Questo è ciò che i giovani ci chiedono.
Occhetta. – 0:37:28 – Grazie Presidente, l’essenziale è la ricerca anche della verità. La frase di Sant’Agostino che lei ha citato è al centro del suo intervento. Permettete che ora dia la parola all’avvocato Cesare Pozzuoli, vicepresidente di Comunione e Liberazione, avvocato giuslavorista e già docente di diritto del lavoro. Nella sua esperienza in Comunione e Liberazione e come giuslavorista, cosa ci può dire sul rapporto tra università, lavoro e vita sociale e politica?
Pozzoli. – 0:38:10 – Grazie e buonasera a tutti. Cerco di leggere le provocazioni dei relatori che mi hanno preceduto alla luce della mia esperienza, del mio punto di vista professionale e personale, per raccogliere i temi della passione, dell’inclusione e del valore della diversità. Mi piacerebbe iniziare citando tre righe del messaggio del Papa al Meeting di quest’anno, che mi ha molto colpito: “Siamo amati, questa è la verità essenziale,” diceva Don Giussani ai giovani universitari, “siete amati, questo è Gesù Cristo nella storia dell’uomo. L’inizio continuo di questo messaggio: siete amati.” Cos’è la vita? Essere amati. Questo è l’essere che abbiamo addosso. E il destino è essere amati. Credo che, per non cedere a un facile e fragile volontarismo, questo sia un annuncio potentissimo. Ciascuna persona ha un valore infinito e questo fonda la sua libertà, perché è amata. Per chi è cristiano, questo annuncio è che Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto per ciascuno di noi. Credo che, per i credenti e per i non credenti, questo valore infinito della persona sia il fondamento di tutto, anche del lavoro, dell’istruzione, della passione, dell’amore per i giovani. Senza una percezione, cosciente o meno, di questo, è difficile fare figli, è difficile costruire il futuro. E vorrei dire che non è solo una questione romantica o spirituale. L’ho visto tante volte nel mio lavoro. Qualche mese fa, con un grosso cliente che doveva assumere migliaia di dipendenti per delle grandi opere pubbliche, abbiamo visitato alcune realtà per vedere come attrarre giovani al mondo del lavoro. Perché ci sono tanti giovani che non si svegliano al mattino, che non escono di casa, che non vanno a scuola. E quindi, guardare in faccia i giovani, dare loro una passione, farli sentire amati, questo è essenziale, rimetterli in movimento. Credo che questa sia anche la ragione che rende possibile un dialogo vero con l’altro, una vera inclusione. Lo dico anche dal mio punto di vista personale, come padre di 4 figli, abbiamo accolto negli ultimi anni dei bambini in affido. La prima bambina che abbiamo avuto aveva 6 mesi e gli assistenti sociali ci hanno detto che era bravissima perché dormiva sempre molto. Ma quando è arrivata, nei primi giorni dormiva fino alle 10, poi alle 9 e mezza, poi alle 9, fino alle 7. Dopo un mese abbiamo chiamato la nostra associazione pensando ci fosse qualche problema. Ci hanno risposto che era esattamente il contrario: quando un bambino è amato, ha voglia di vivere e si sveglia. Quando un bambino non è amato, l’unico modo che ha per difendersi è dormire. Questo vale per un bambino di sei mesi e vale anche per un uomo di 30, 40, 50 anni. Occorre ricordare che abbiamo un valore infinito. Questo non è poco. Poi ci sono implicazioni, perché quando riconosci questo valore, puoi sbagliare, puoi rischiare. Ho visto come avvocato del lavoro quanti errori sono stati fatti per paura di sbagliare. Ma riconoscere un errore non solo lo può ridurre o correggere, ma aiuta a migliorare, a progredire. Per fare questo, non si può vivere come un superuomo; bisogna vivere come una persona che sbaglia. Questo è fondamentale, nella scuola, nell’università, nel lavoro. Ho incontrato detenuti al Meeting che ci hanno raccontato di come hanno ricominciato, perché la vita è un continuo ricominciare. Questo porta valore nelle aziende, nelle scuole, nelle vite personali. Questa è una cosa grandiosa. Ci sono tante conseguenze che si potrebbero discutere, ma credo che questo valore della persona debba emergere fino a diventare un fattore di fratellanza, di pace, di costruzione. Questo è ciò che ciascuno di noi, dall’Ucraina alla Terra Santa, attende.
Occhetta. – 0:47:22 – Grazie, avvocato. Grazie per questo intervento che ha toccato il senso dell’umano da padre e non solo da avvocato e giuslavorista. Vorrei ora passare con grande gioia la parola al Cardinal Mauro Gambetti, che è qui nelle vesti di Presidente della Fondazione Fratelli Tutti, ma è anche vicario del Papa per la Città del Vaticano e arciprete della Basilica Papale di San Pietro. A lui non voglio ricordare, ma mettere al centro del dibattito che la Chiesa ha fatto nascere le università. La Chiesa come senso di libertà ha sempre investito sulle scuole. Noi dobbiamo anche al pensiero che dal 2003 arriva fino a oggi quello che siamo riusciti come Chiesa a donare al mondo sociale e politico. Come vede lei la situazione rispetto alla domanda che ci siamo posti, il grande tema dell’università e della scuola rispetto alla società e alla politica di oggi?
Gambetti. – 0:48:32 – Grazie, grazie a tutti, grazie al Meeting per questa opportunità. Sono rimasto molto colpito dagli interventi e riprenderei alcuni dei passaggi, con citazioni anche molto toccanti, perché riflettono un sentire comune che sottoscrivo. Ma dobbiamo anche contestualizzare questo sentire, perché, nonostante certe convinzioni, facciamo i conti con un mondo che sembra andare in direzioni diverse. Penso soprattutto ai giovani e al loro futuro. Alcune sottolineature: mi è piaciuto molto questo primo giro di interventi per aver messo al centro i giovani, la persona, la dignità fondata sull’amore, il talento da far fiorire, il tema dell’inclusione, della diversità che va messa a sistema come fa la fraternità, il tema della passione, della spinta vitale, della curiosità, della ricerca, della coscienza. E il bisogno di avere una visione educativa per capitalizzare tutto questo. Inoltre, mi ha colpito molto il collegamento tra scuola, attività educativa e impresa, il mondo del lavoro. Vorrei tentare una sintesi perché credo ci voglia chiarezza. La dignità è un dato incontrovertibile dell’umano che non si fonda su quello che facciamo o su quanto siamo talentuosi, ma è un dato che precede il nostro fare. La dignità si esprime nel lavoro, nelle attività artistiche, letterarie, eccetera. Ciascuno ha talenti e mentre la dignità dice di sé, il talento dice l’altro; quanti più talenti uno ha, tanto più può servire gli altri. Il talento non è per sé, ma per diventare grande servendo gli altri. Senza passione si perde la forza per realizzare nel mondo. Dobbiamo riscoprire la dimensione vocazionale dell’esistenza. Siamo qui perché amati, non senza motivo o fine. Riscoprire questa dimensione consente di pensare una visione educativa e di lasciare che i giovani esprimano la scintilla di verità, bellezza, divinità che è in ciascuno. Questa è la prima cosa che vorrei sottolineare. La seconda è la voglia di fare un mondo nuovo, di rivoluzionare. L’università, la scuola, devono essere ambienti di rivoluzione, non più di informazione. Dobbiamo lasciar cadere questa impostazione enciclopedica dell’illuminismo. Adesso l’intelligenza artificiale sbancherà completamente questa visione arcaica dell’educazione. Dobbiamo ritornare a una dimensione più rivoluzionaria della scuola, in cui si impara a pensare in modo critico e creativo, non solo a memorizzare informazioni. Dobbiamo ripensare l’educazione come una rivoluzione di sé e una comunione di vita. Solo così possiamo realizzare un mondo nuovo, un mondo di pace e di fratellanza. Grazie.