VIAGGIO IN TERRASANTA

Organizzato da Tracce

Dialogo con Hussam Abu Sini, responsabile di CL in Terrasanta; Andrea Babbi, presidente Agenzia Petroniana Viaggi e vicepresidente Fiavet-Confcommercio; Adriano Rusconi, medico. Modera Emanuele Boffi, direttore Tempi

Il pellegrinaggio di don Giussani – raccontato da Luigi Amicone in Sulle tracce di Cristo – getta una luce sul presente. Che cosa sta accadendo? A quale testimonianza sono chiamati i cristiani? E cosa significa cercare l’“essenziale” in un conflitto che non vede soluzione?

VIAGGIO IN TERRASANTA 

Martedì 20/08/2024 ore 16:00

Arena Tracce A3

Dialogo con:
Hussam Abu Sini, responsabile di CL in Terrasanta; Andrea Babbi, presidente Agenzia Petroniana Viaggi e vicepresidente Fiavet-Confcommercio; Adriano Rusconi, medico.
Moderatore:
Emanuele Boffi, direttore Tempi

Stoppa. Buon pomeriggio a tutti, grazie di essere venuti. Io sono Alessandra Stoppa, direttrice di Tracce. Vi dò il benvenuto all’Arena Tracce, che abbiamo realizzato insieme al Meeting di Rimini in occasione dei cinquant’anni della rivista di Comunione e Liberazione. Il primo numero è uscito nel dicembre del 1974 con il nome CL, poi è diventato Littere Communionis, poi Tracce, cambiando anche grafica. Potete vedere un percorso che ripercorre la storia qui sulle pareti. Per festeggiare, per gratitudine abbiamo desiderato creare questo spazio con un ciclo di incontri “Sulle Tracce dell’Essenziale” che ci accompagnerà per tutta la settimana. Quindi, sono lieta di lasciare la parola agli ospiti del nostro primo incontro, Viaggio in Terrasanta, che nasce anche dall’attualità e dalla ristampa del libro a cura di Luigi Amicone, che racconta il pellegrinaggio con Don Luigi Giussani del 1986. Lascio quindi la parola a Emanuele Boffi, il direttore di Tempi, che vi presenterà i nostri ospiti. Grazie.

Boffi. Buongiorno, sono molto grato a Tracce e ad Alessandra Stoppa per l’organizzazione di questo incontro, perché con questo incontro ricordiamo anche la figura di Luigi Amicone, autore di questo libro, scomparso tre anni fa. Noi di Tempi diciamo sempre che Luigi Amicone aveva sei figli, il settimo figlio era Tempi, ma l’ottavo figlio era questo libro, a cui Luigi era molto legato. Come ha raccontato anche Giancarlo Cesana nell’ultimo numero di Tempi, quando, nell’86, Giussani, con un gruppo di persone tra cui Adriano Rusconi, fa questo viaggio in Terrasanta, Luigi Amicone insiste molto con Giussani per poter far diventare quel viaggio un libro, perché si accorge subito che le cose che dice Giussani durante il loro peregrinare per la Terrasanta hanno una rilevanza pubblica che tutti devono conoscere. Poi sostanzialmente Luigi ha parlato tutta la vita di questo libro, ci teneva proprio affinché quelle parole che Giussani aveva detto in quelle circostanze non andassero perse. In particolare, ci sono due parole che ritornano continuamente nella descrizione che Amicone fa di questo viaggio con Don Giussani: la parola “clamoroso” e la parola “attesa”. Don Giussani, e qui sta la sua genialità, introduce chi lo ascolta a capire sempre di più qual è il metodo con cui Dio si rivela man mano alle persone che lo seguono. C’è una genialità in Gesù nel raccontarsi, nello spiegare attraverso parole e gesti ai Suoi discepoli chi era, e c’è una genialità in Don Giussani nello spiegare a noi oggi qual è questo metodo di Dio. Don Giussani dice: cosa si aspettava l’uomo di quel tempo e l’uomo di oggi? Che Dio arrivasse e risolvesse i problemi in maniera clamorosa. Ma Dio, invec, sceglie un modo di entrare nella nostra storia che non è quel “clamoroso” che ci aspettiamo, cioè che secondo quello che noi ci aspettiamo Lui poi risolva, ma è tutto un altro metodo: nasce in una grotta, vive per trent’anni nel silenzio, e poi a un certo punto costituisce un gruppo di amici. E soltanto chi attendeva veramente, dice Giussani, chi non attendeva secondo un proprio progetto pre-costituito ma era capace di guardare effettivamente chi fosse quell’Uomo, capiva e riusciva a dire il suo sì. C’è un terzo fatto che Don Giussani ribadisce continuamente in questo viaggio: guardare al fatto cristiano, ossia che il fatto cristiano è qualcosa che accade dentro la storia. Come ha detto stamattina Pizzaballa nell’incontro, il Cristianesimo non è una bella favola, non è un discorso, è un fatto incarnato. Anche su questo Don Giussani insiste, così come fa Pizzaballa che firma l’introduzione a questa riedizione di Sulle tracce di Cristo. Qui con me c’è Adriano Rusconi, un medico che ha partecipato a quel famoso viaggio del 1986 con Don Giussani quindi a lui chiederemo di raccontarci cos’è stato quel viaggio. Poi con noi c’è Hussam Abussini, anche lui medico, responsabile di CL in Terrasanta, e alla mia destra c’è Andrea Babbi, Presidente dell’agenzia Petroniana Viaggi e Vicepresidente Fiavet Confcommercio. Con loro tre proveremo a raccontare un po’ sia cos’è questo libro, sia come ci insegnano Pizzaballa e Don Giussani la situazione oggi della Terrasanta che, come tutti sapete, è molto complicata. Adesso lascio la parola a Rusconi, e per te la domanda è facile: raccontaci cosa è successo in questo famoso viaggio che Luigi ha trasformato in un libro.

Rusconi. Intanto l’ho scritto, quindi ora lo leggo. Il viaggio in Terrasanta del 1986 fu organizzato da Don Pontiggia per permettere a Don Giussani, che non era mai stato in Terrasanta e che si accingeva a scrivere All’origine della pretesa cristiana e Perché la Chiesa, di vedere di persona i luoghi in cui Cristo era passato. Don Giorgio Pontiggia, che era rettore dell’Istituto Sacro Cuore, era anche coadiutore della parrocchia di Santa Maria alla Fontana e aveva coinvolto un folto numero di giovani dell’oratorio in Gioventù Studentesca. Un gruppo di genitori, che non conoscevano il movimento, colpiti dal cambiamento dei loro figli, era andato a chiedere a Don Giorgio di dire anche a loro quello che diceva ai loro figli. Don Giorgio quindi aveva coinvolto anche loro (imprenditori, medici, professionisti vari) e aveva cominciato a fare con loro Scuola di Comunità. Quando si trattò di organizzare il viaggio, il gruppo fondante era costituito da questi genitori che volevano conoscere di persona Don Giussani, più qualche loro figlio e una decina di persone del movimento, tra cui Enzo Piccinini. In quel tempo era obbligatorio che oltre alla guida ci fosse anche una persona ebrea che raccontasse come era nato lo Stato di Israele. Questo spiega perché nel libro di Amicone ci sia anche tutta una parte sulla valutazione della situazione dello Stato ebraico. Un’altra cosa che aggiungo io è che Don Giussani ci teneva moltissimo che in ogni luogo in cui si andava fosse dimostrata la storicità di quel luogo, che realmente Cristo fosse stato lì, fosse passato lì, fosse nato lì, fosse morto lì. Questo spiega anche tutta la parte storica che si trova nel libro. Normalmente si visitavano i vari luoghi santi dove Don Giussani faceva una breve introduzione poi la sera ci si riuniva per commentare la giornata con domande e interventi. Queste sono le cose che si leggono nel libro. Don Giussani era molto colpito dal fatto che gli sembrava di essere già stato in Terrasanta per la descrizione che ne aveva avuto da Monsignor Galbiati in seminario. Don Giussani era molto attento alle persone che aveva intorno. Quando si andò all’Orto degli ulivi, tutti i pellegrini entrarono in un negozio per comprare ricordi e lui si accorse che un venditore ambulante era rimasto addolorato e sconfortato perché nessuno aveva comprato qualcosa da lui. La mattina dopo, fece ritornare il pullman in quel luogo e invitò tutti a comprare qualcosa da quel venditore. Un’altra volta, avendo visto un lustrascarpe che era senza lavoro, si fece lucidare le scarpe. Quindi in Terrasanta, tu vai in pellegrinaggio e lui si fa lucidare le scarpe! Così tutti l’hanno fotografato e poi si sono fatti lucidare le scarpe. Una cosa che mi aveva interessato era il rapporto che Don Giuss aveva con Piccinini, che io allora non conoscevo. Quando sul pullman veniva meno un certo clima, Piccinini era invocato e convocato a gran voce dal Don Giuss perché intervenisse e dicesse cosa lo stava colpendo. Nel pellegrinaggio ciò che mi stupiva era come Don Giussani, a ogni tappa, fosse immediatamente colpito da come il Signore lì si era manifestato. In particolare, la Basilica dell’Annunciazione, Hic Verbum Caro Factum Est, la casa di San Giuseppe, il Giordano, il percorso della Via Crucis con tutti quei negozi in cui si parlava di altro, il buco della croce, il sepolcro e la certezza della resurrezione. L’intervento che più mi colpì fu al prato delle Beatitudini, quando Don Giussani disse che la gente, di fronte a un discorso così provocante non reagì sentendosi giudicata, ma accolse che Gesù stava spiegando loro come li stava guardando per quello che erano. Avendolo conosciuto, si accorsero che era il modo con cui stava comunicando loro perché li guardava così. E allo stesso modo, sta guardando noi adesso, perché con la Resurrezione Cristo ha vinto il tempo e lo spazio. Lui diceva: “Io sono qui e parlo qui, ma non mi sentono a Milano, non mi sentono a Roma”. Invece, con la Resurrezione Cristo ha tolto il tempo e lo spazio, per cui è qui ed è in Giappone, è presente ovunque. Per cui il modo con cui guardava Zaccheo, la Maddalena, è lo stesso sguardo con cui sta guardando me adesso.

Boffi. Grazie tantissimo per questo intervento. Vedete che anche quaranta anni dopo si sente ancora l’impatto di questo viaggio fatto con Don Giussani. Nel primo capitolo del libro, nelle prime pagine, Amicone racconta di un fatto accaduto proprio qui al Meeting di Rimini. Siamo negli anni novanta e il Meeting organizza un incontro tra il vicesindaco di Gerusalemme, israeliano, e un rappresentante arabo, cristiano. L’incontro doveva essere uno di quelli in cui si parla di pace: “Come facciamo a trovare la pace in questa situazione disastrosa?” allora ed è uguale oggi. Amicone racconta anche il retroscena di questo incontro, e cioè che prima dell’incontro, a pranzo, i due litigano per tutto il tempo. L’arabo cristiano accusa l’israeliano: “È tutta colpa vostra”, e l’altro ribatte: “No, è tutta colpa vostra”, finché a un certo punto il cristiano dice: “E allora noi vi uccideremo sempre, vi faremo sempre la guerra”, e l’israeliano risponde: “E allora voi perderete sempre”. E qui c’è l’annotazione di Amicone, che dice che dopo questa risposta, il vicesindaco di Gerusalemme si ferma un attimo e dice: “Però questo è il nostro destino, voi ci farete sempre la guerra, noi vi faremo sempre la guerra, il nostro destino è legato, ma nessuno vincerà mai”. Vi chiedo se questa situazione successa 40 anni fa non assomiglia, non racconta il nocciolo della questione che ancora oggi, dopo l’attacco di ottobre, viviamo e vediamo tutti i giorni. Vorrei quindi chiedere a Hussam di raccontarci cosa vuol dire essere cristiani oggi in questa terra così ferita, lacerata da questa continua e perpetua guerra che ha momenti più aspri e duri come quello di oggi, e momenti di relativa quiete, sempre relativa. Però è interessante, perché questo si vede molto bene anche nel libro, nelle parole di Giussani e nei racconti di Amicone: il fatto cristiano è sempre dentro una storia e ha a che fare con la storia, con la storia di 2000 anni fa, con la storia del 1986 e con la storia di oggi.

Abu Sini. Ok, innanzitutto buon pomeriggio a tutti, grazie per l’invito. Prima di iniziare a raccontare cosa vuol dire essere cristiani, leggendo questo primo capitolo mi è sembrato doveroso presentarmi un po’ sotto questi aspetti che ha detto Lele. Io mi chiamo Hussam e sono arabo israeliano. Siamo israeliani a tutti gli effetti, abbiamo passaporto israeliano, tutti i diritti, ma siamo gli arabi rimasti dopo l’attacco del ’48, quando fu annunciato lo Stato di Israele. Quindi ci chiamano gli arabi del ’48, poi ci sono gli arabi del ’67, in base alle guerre. Noi siamo arabi israeliani, d’origine palestinese, cattolici, e già questo spiega tutta la complessità della situazione. Oggi mi è stato chiesto di parlare di cosa vuol dire vivere sulle tracce di Cristo oggi, nelle circostanze che viviamo oggi. E perché, con le cose che vado a raccontare, trovo sempre più corrispondente quello che Giussani diceva di Gesù a scuola di comunità, cioè che usava un termine commerciale: “vi conviene essere cristiani”. Io sono medico oncologo, sposato, ho due figli: Giovanni che ha quattro anni e Marta che ha un anno. Viviamo ad Haifa, sono nato e cresciuto a Nazareth, ma viviamo ad Haifa, dove lavoro come oncologo in un ospedale misto. Entro subito nel nocciolo della questione. Il 7 ottobre, quando è iniziato tutto, eravamo in vacanza con la comunità. Per una volta abbiamo deciso di fare la vacanza di inizio anno e non di fine anno, facendo coincidere la giornata di inizio a metà. Siamo una comunità mista, vedete la complessità della situazione, noi che siamo di Haifa – io, mia moglie, i miei figli e altri – una ragazza, un ragazzo che fa il dottorato al Technion di Haifa – più un gruppo di persone del Gruppo Adulto che stanno a Gerusalemme e altre tre o quattro donne di Betlemme. In più ci sono altre due ragazze cattoliche di lingua ebraica, per farvi capire la complessità della nostra comunità. Questa vacanza l’abbiamo pensata dal 6 all’8 ottobre. Eravamo in un paesino chiamato Abu Ghosh, che si trova a 20 minuti a nord di Gerusalemme. Il 6 ottobre facciamo l’introduzione, i giochi, tutto bello. Il 7 ottobre ci svegliamo con tutte le notizie, video di cose mai viste prima. Io, essendo del posto, dicevo: “Ragazzi, fra qualche ora torniamo a fare la nostra gita”, ma non era così, erano cose mai viste prima. Quindi la prima reazione è stata ansia, agitazione, soprattutto come raccontavi tu, Lele, di quella discussione, io ho avuto paura che scattasse qualcosa. Erano venuti altri quattro amici dall’Italia a darci una mano, compreso il visitor e abbiamo deciso di andare avanti con questa vacanza e di metterci a pregare insieme. E lì è stato il primo punto che mi ha fatto capire tante cose, perché Pizzaballa in una delle sue lettere aveva scritto: “Dove c’è un disordine, solo Dio può mettere ordine”. Mettendoci a pregare insieme, la giornata che poteva essere la più disorganizzata della nostra storia si è trasformata in una delle più ordinate, perché lì ho capito che l’unità era data dal fatto che tutti guardavamo dalla stessa parte. Siamo usciti uniti in una maniera mai vista prima. Sì, siamo amici ma mai così prima: l’arabo chiedeva dell’ebreo e viceversa, poi durante la Giornata d’Inizio è caduto un razzo a 300 metri da noi, eravamo con i bambini quindi, capite, siamo corsi tutti nel bunker ma in maniera ordinata, da famiglia, per poi continuare. Al pomeriggio ci siamo messi a giocare un po’ per stemperare la tensione, arriva la notizia che il checkpoint tra Gerusalemme e Betlemme, dove c’è il muro e i palestinesi hanno bisogno di un permesso per attraversarlo, poteva essere chiuso a tempo indeterminato. Le donne di Betlemme fanno le valigie perché dovevano correre via. Una di loro, una nostra grandissima amica, mi dice mentre se ne andava con le lacrime agli occhi: “Devo andare a casa perché c’è la mia famiglia, ma non voglio perdere la qualità che sto vivendo qui”. L’ho abbracciata e le ho detto: “Guarda, non finisce qui, ma si inizia da qui”. Poi ci siamo visti e lei ha detto una frase bella che ci siamo portati dietro per tutto l’anno: “We are one”, siamo una cosa sola. La sera abbiamo fatto una serata di canti bellissima che è stato il giudizio di quella giornata perché il canto è uno dei punti più importanti della nostra storia. Una ragazza che era con noi mi disse: “Mi sento un po’ scandalizzata, perché sono in pace mentre fuori la gente si ammazza”. Finisce la vacanza, ognuno torna a casa, e dopo quattro giorni sento le sirene per la prima volta ad Haifa, perché noi al nord temiamo l’attacco del Libano. Quindi, mentre eravamo a messa con la famiglia, sento le sirene per la prima volta, e da padre di famiglia ho avuto paura. Mi aveva colpito tanto un’intervista a Pizzaballa, in cui gli chiedevano: “Dov’è Dio in tutto ciò?”. Lui rispose: “Più di chiedermi dov’è Dio, mi chiedo dov’è l’uomo”, ricordando che siamo tutti uomini. E ha richiamato tutta la diocesi a una giornata di preghiera e digiuno per la pace. Mi ha colpito che con me, al lavoro, hanno digiunato anche musulmani ed ebrei. Mi ha colpito tanto che in mezzo al caos c’era un uomo che stava chiamando la pace, l’unico al mondo che stava chiamando la pace. E quando siamo andati a messa, era un martedì sera, la chiesa era affollata. Di solito da noi la gente va a messa la domenica, durante la settimana si vede poca gente. Io sono uscito da quella messa dicendo: “Cavolo, io faccio parte di un popolo, un popolo che grida la pace”. Mi ha colpito anche la lettera che Pizzaballa allora ha mandato alla diocesi, in cui dice: “Cristo ha vinto il mondo amandolo”, e questo ci deve dare il coraggio di andare a dire chi siamo. Ho subito pensato alla mia vita, dicendo: “Veramente Cristo mi ha vinto amandomi e facendomi incontrare l’università e tornando poi a casa”. Specifico solo una cosa: quando io sono rientrato a casa nel 2016, ero tornato con un’idea ideologica, di cui parlavi tu prima: “Noi siamo arrivati qui prima, quindi non ce ne andiamo”. Solo che quell’idea non regge molto, perché alla prima tempesta che succede ti dimentichi tutto. In quest’anno qui, un po’ vi racconto come quell’idea è cambiata. Andiamo a messa con un popolo intero che grida pace. Quando siamo usciti da messa, innanzitutto, su richiesta di mia moglie, per via della guerra, perché non sapevamo come andassero le cose, abbiamo deciso di anticipare il battesimo di nostra figlia, Marta, che aveva quattro mesi. Da noi, il battesimo si fa al primo compleanno. Noi abbiamo deciso di anticiparlo. Poi, giudicando le cose insieme – sia con mia moglie che con gli amici – volevamo che nostra figlia facesse parte di quel popolo e, due, volevamo davvero affidarla all’Unico che ci dava speranza in quel momento. Il rito del battesimo è stato bellissimo perché l’abbiamo fatto in una piccola parrocchia dei cattolici di lingua ebraica, il cui parroco è un nostro amico italiano, e il rito è stato fatto in tre lingue diverse: ebraico, arabo e italiano, in un momento storico così. Io dico sempre ai miei amici: “Cercate di trovarmi un posto dove si incontrano queste tre cose”. Infatti, quel rito è stato bellissimo, con pochi amici, ma è stato bello proprio consegnare la figlia all’Unico che ci dava speranza. Per noi è stato molto significativo. Quest’amore che ricevo di continuo e che mi viene naturale ricambiare, mi accompagna anche nel lavoro. Ho scoperto che noi ci siamo non perché siamo stati qui prima, ma perché abbiamo un grande compito, dentro una certa storia, in un certo luogo, con certi amici. Come ho detto, faccio l’oncologo e lavoro in un ospedale misto, dove ci sono ebrei, arabi, cristiani, musulmani. E siccome sono arabo-cristiano di origine palestinese, coloro con i quali non ho un rapporto un po’ ti mettono alle strette. Gli ebrei da una parte ti dicono: “Noi ti abbiamo offerto il lavoro, la vita, il posto”, dall’altra parte ci sono i nostri parenti, i nostri amici che sono di là, quindi ti chiedono: “Stai con noi o stai con loro?”. Ma chi riesce ad entrare in rapporto e capisce chi siamo veramente, riesce a capire il dramma che viviamo noi. Per esempio, una segretaria ebrea mi fa: “Guardi dottore, mia sorella ebrea sta in Belgio, e dopo il 7 ottobre le hanno detto: se non lasci il quartiere ti ammazziamo”. Poi mi fa la domanda: “Dottore, perché ci odiano così tanto noi ebrei nel mondo?”. Attenzione, è una domanda fatta da un’ebrea a un arabo, che sulla carta dovrebbe essere il suo nemico, eppure si arriva a parlare di questo. Un’altra segretaria, la mia segretaria che è musulmana, mi fa: “Ma tu come mai riesci a parlare con tutti senza dare fastidio e dire quello che pensi? Con intelligenza, eh, perché altrimenti…”. E io le rispondo: “Guardi, perché l’ho imparato incontrando il movimento all’università, e il fondatore del nostro movimento ci ha sempre detto: ‘Tu puoi amare il diverso se sei amato tu'”. E io quell’amore lo ricevo di continuo. Lei mi fa: “Ma questa cosa l’hai capita leggendo i libri di quel fondatore?”. E io le dico: “Non solo, ma stando con i miei amici”. Lei mi risponde: “Ma esistono degli amici così?”. E lì ho capito ancora di più che il mondo ha sete della nostra amicizia, e noi siamo veramente qui per un compito: far vedere alla gente che c’è un altro modo di trattare le cose. Racconto un episodio: un paziente che è mancato il 28 aprile, ebreo, con un tumore al polmone, metastatico. Mi si era presentato metastatico, quindi c’era poco da fare dal punto di vista della guarigione. Ho fatto di tutto con lui: chemioterapia, radioterapia, immunoterapia, operazione alla colonna vertebrale, ma le cose peggioravano. Mi ero molto affezionato a lui. L’ultima settimana della sua vita, la moglie mi chiama dicendomi: “Dottore, non ce la fa più, è sul letto, non riesce ad alzarsi, se la fa addosso, cosa possiamo fare?”. E io le ho detto: “Portatelo da me all’ospedale, sappiamo dove stiamo andando, ma che muoia con dignità”. Arriva all’ospedale e faccio di tutto per portarlo in reparto velocemente, perché da noi la burocrazia è lunga. Quando lo vado a vedere, mi fa: “Grazie per tutto quello che hai fatto per me”. Quella frase mi ha fatto arrabbiare ancora di più, perché mi sentivo di aver fallito con lui. Il giorno dopo, alle 7 del mattino, vado a trovarlo. La prima cosa che scopro è che aveva mandato la moglie a comprare dei regali per i miei figli. Entro da lui in stanza e gli dico: “Tu sai dove stiamo andando, no? Perché l’hai fatto?”. E lui: “Perché grazie a te ho guardato la malattia in un altro modo”. E lì ho capito ancora una volta che noi siamo qui per un compito. Quel paziente è morto lo stesso giorno in cui la moglie mi ha ringraziato per l’ottimismo che trasmettevo a suo marito. Quando sono uscito, c’era un infermiere che da cinque anni cercava di dirmi: “Hai la moglie italiana, perché stai qua? Vai in Italia, è il paese più bello al mondo”. Io cercavo di spiegargli il perché e lui mi fa: “Tu da cinque anni cerchi di spiegarmi perché stai qua, oggi l’ho capito e tu devi rimanere qua”. Vivendo così, ho scoperto sempre di più il valore della comunità: siamo proprio una famiglia, dei fratelli, ma i fratelli non si risparmiano. Cerchiamo di andare una volta al mese a Betlemme, c’è la possibilità di andare comunque, nonostante tutto quello che succede. Facciamo una grigliata insieme. All’ultima grigliata che abbiamo fatto, abbiamo discusso molto intensamente. Dicevano: “Tu sei l’arabo israeliano, quindi hai tutto quello che noi non abbiamo, è colpa di Israele”. Ragionando insieme da amici, abbiamo avuto la grande fortuna di poter discutere, di riuscire a non arrivare a una conclusione, ma di guardare le cose, di capire qual è il vero e qual è il falso. E per concludere, dico: vivere sulle tracce di Cristo conviene veramente, perché uno si scopre più se stesso, si scopre più uomo, e lo dico sempre: più padre dei miei figli, più marito di mia moglie e più oncologo dei miei pazienti. Grazie.

Boffi. Grazie, grazie Hussam. Ora passo la parola a Babbi chiedendogli: in questo libro si parla di un pellegrinaggio. Sempre Amicone, in uno dei primi passi del libro, dice che prova un certo fastidio per i “pellegrinaggi turistici”, cioè quelli in cui si va in Terrasanta ma in fondo c’è più una preoccupazione turistica che non religiosa o di immergersi nella situazione particolare di quel paese e di capire cosa quel paese sta vivendo. Allora Babbi, ti chiedo di raccontare cosa vuol dire fare un pellegrinaggio in Terrasanta, soprattutto perché tu sei riuscito in una cosa quasi miracolosa, ossia organizzare un pellegrinaggio a giugno nonostante la situazione complicatissima.

Babbi. Beh, intanto togliamo il termine “quasi miracolosa”, è stata miracolosa. Poi qui ci sono degli amici che organizzano viaggi e pellegrinaggi e potete immaginare. Tre cose. La prima: è stato il progetto più difficile e complicato della mia vita. In 40 anni ne ho fatti tanti, e questo è stato l’impegno più bello, ma anche più difficile e complicato. La seconda cosa: è stata una cosa miracolosa, non quasi. La terza cosa: è stata talmente miracolosa che ha cambiato anche me stesso. Cos’è successo? Una telefonata improvvisa, inaspettata, imprevedibile, mi chiede di organizzare un viaggio in Terrasanta. La mia risposta è stata: “Per quando? In che anno?”. E dall’altra parte mi hanno detto: “Il mese prossimo”. In quanti siete? “Qualche centinaio”. Immediatamente nella mia testa è scattata l’impossibilità della cosa da un punto di vista tecnico, umano, perché non c’erano voli, non c’erano le condizioni, non c’era nulla che umanamente fosse possibile. Ma poiché, come abbiamo letto stamattina nella prima lettura, “ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio”, in quegli istanti, in un minuto secondo, ero con mia moglie e due preti in macchina, ho detto: “Va bene, buttiamo il cuore oltre l’ostacolo e affidiamo questo al buon Dio e alla Madonna”. La prima cosa è stata andare in un convento di suore a Napoli e dire: “Preghiamo per questo”. E di lì a tre giorni, quattro giorni, tutto ciò che era tecnicamente impossibile è diventato possibile. Certamente non per meriti particolari, ma semplicemente per un affidamento totale, immediato, istantaneo a ciò che non era mio. Dico sempre che è miracoloso anche per me, che non sono un tipo molto “baciapile”, sono un tipo pratico. Siamo partiti in 160, appartenenti a 22 gruppi, movimenti e associazioni diverse: Azione Cattolica, Acli, Pax Christi, CISL… 22. Potete immaginare ventidue sensibilità, modi di fare le cose, di pregare, di essere, eccetera. La prima cosa che Zuppi ci chiese al gruppetto stretto che avevamo inevitabilmente fatto fu: “Guardate, questo è un pellegrinaggio che non è un pellegrinaggio, andiamo ad abbracciare un amico che sta male. Non gli mandiamo un SMS comodo con due preghierine, un sorrisino, ma andiamo a casa sua, come Marta ha fatto, andiamo a casa sua e andiamo a chiedergli di cosa ha bisogno”. Comunione e pace erano i temi, ed era una missione sostanzialmente di pace e di comunione, di identificazione, di immedesimazione, di aiuto, di sostegno, di fraternità. Fra di noi e con loro. Quindi è scattata tra i 22 responsabili di gruppi, movimenti e associazioni diversi – molti sono qui con noi oggi, perché siamo tornati tutti quanti a salutare Pizzaballa e a stare insieme – una fraternità e un’amicizia al di là delle appartenenze, perché l’essenziale è Cristo. Questo è stato importantissimo nella preparazione. In un mese abbiamo fatto 4 incontri di preparazione, per prepararci all’incontro, non solo da un punto di vista tecnico, ma anche per incontrare le persone. E abbiamo organizzato, nei 4 giorni in cui siamo stati lì, 35 incontri diversi, coscienti che non andavamo a incontrare delle pietre, non andavamo a incontrare dei monumenti, ma andavamo a incontrare delle pietre vive, dei santuari fatti di carne. Siamo partiti con un incontro straordinario, quello con Pizzaballa. Siamo arrivati al Getsemani, la prima cosa che abbiamo fatto – considerate: 160 persone, 7 aeroporti, voli da tutta Italia, una gestione molto complicata – chi fa questo mestiere nei tempi e nei modi si rende conto di ciò che stavamo facendo non per merito nostro. Siamo arrivati là senza sapere esattamente quale fosse il programma. Avevamo il compito di organizzare questa cosa tenendo il più possibile segreto il programma, per non mettere in difficoltà tanti fratelli cristiani, arabi, ebrei, musulmani che stavamo andando a incontrare. Vi posso garantire che nello Stato di Israele è complicata la situazione. Quindi la gente è partita per un atto di fiducia e di fede, non sapeva il programma. Gli abbiamo svelato giorno per giorno, notte per notte – molti sono qui e ridono – cosa si sarebbe fatto il giorno dopo, cosa si sarebbe fatto l’ora dopo. Primo incontro con Pizzaballa, messa straordinaria, con Patton e tutti i preti che erano lì. Considerate Gerusalemme deserta: non c’era un negozio aperto, non c’era un lustrascarpe, non c’era nessuno. Tutti però sapevano che arrivavano questi 160 italiani pazzi. E abbiamo fatto la messa, siamo andati poi dai frati di Terrasanta: è stata una festa, come quando arriva un amico da un viaggio incredibile. E abbiamo iniziato subito uno dei 35 incontri, con due genitori di due ragazzi ebrei rapiti da Hamas il 7 ottobre. Un incontro straordinario. Rachel, la mamma di uno dei ragazzi ancora prigioniero, per cui in queste ore si fanno trattative per riportarlo a casa, questa donna diceva: “Il mio dolore non deve essere motivo di dolore per altri”. Se non siete stati all’incontro di stamattina, andatelo a rivedere. Quello che ha detto Pizzaballa è straordinario, perché chi è lì capisce la drammaticità e il peso delle parole: cosa vuol dire perdono, cosa vuol dire condivisione, fratellanza, cosa vuol dire convivenza. Ciò che a noi sembra una cosa semplice, lì è veramente difficile, è veramente impossibile. Oggi lui è stato straordinario, delicato, non ha detto neanche tutto. E questa donna è veramente commovente, ancora oggi ci scrive, prega lei per noi. Piuttosto preghiamo tutti noi per lei, per suo figlio e per gli altri 150 ragazzi ancora rapiti, e per le migliaia di morti che ogni giorno continuano a cadere. E dopo questo, incontri con rabbini, arabi, israeliani, e molte realtà anche nostre che sono lì e che fanno esperienza, abbiamo fatto 35 incontri. Poi ci dividevamo, facevamo due incontri plenari ogni giorno e 4 più 4 incontri dove ciascuno di noi si divideva a seconda di quello che anche casualmente decidevamo. Abbiamo visitato vari ospedali, varie parrocchie. In ogni realtà che andavamo a incontrare, avevamo raccolto oltre 100 mila dollari in pochi giorni, e in ogni realtà portavamo un sacchetto di carità, con un pezzo di parmigiano reggiano perché, come dire, bisognava anche dare un segno della mia terra. Questa cosa è stata veramente un tema di affidamento, di mortificazione anche della presunzione tecnica che avevamo, e l’offerta di questo nostro lavoro ha prodotto tutti questi miracoli. Un altro tema è stata questa sinodalità tra tutti i gruppi e i movimenti. Quello che ci chiede il Papa, a volte teoricamente lo guardiamo, ma chi ha fatto un lavoro sul Sinodo? Lì è venuto fuori in maniera straordinaria. Io sono diventato amicissimo del capo dei Dossettiani. A Bologna CL e i Dossettiani sono come Inter-Milan a San Siro, per capirci. Per me è stata la cosa più grande che potesse accadere: trovarmi in un riconoscimento dell’essenziale di Gesù morto e risorto, proprio lì, dove abbiamo messo la mano nel buco della croce, sulla pietra dove è stato deposto, per me è stata la concretezza di un miracolo di cui noi stessi eravamo testimoni. Un altro tema è che il pellegrinaggio adesso continua. Continua tra di noi, continua con tutte queste 35 realtà e persone che ciascuno ha adottato. Stasera sono con il presidente nazionale delle ACLI, che domani sarà qui al Meeting in forma privata, e loro ospiteranno 50 ragazzi per l’Anno Santo il prossimo anno. Ci sono parrocchie che hanno ospitato in questi giorni ragazzi che scappavano dalla guerra. Le nostre guide arabe-israeliane-cattoliche – che sono tre paradossi uno dietro l’altro, perché è difficile metterle in ordine nella nostra mente: dire arabo, cattolico, israeliano, sono tre cose che nella nostra testa sono distinte – ecco, questo pellegrinaggio continua, e anche i rapporti di scambio tra di noi. Anche io conoscevo il testo di Amicone a memoria, perché Enzo ce lo raccontava, ma quando è stata pubblicata questa nuova edizione con la straordinaria presentazione di Pizzaballa, è stato un regalo incredibile. Poterlo ritrovare e offrire a chi va in Terrasanta, a noi stessi, con una presentazione davvero profondissima di Pizzaballa per me è stato il regalo dentro a tutto questo. Come continuare? Adesso in Terrasanta è ancora più complicato che a giugno, quindi non facciamo sciocchezze: è andata bene una volta, ma non è detto che vada sempre bene. Quando è atterrato l’ultimo aereo, ho dormito ventiquattro ore, ma vi posso garantire che quelle settimane e giornate sono state molto complicate. Però torneremo, no? Ci torneremo. Spero prestissimo, speriamo che scoppi la pace. Preghiamo tanto, davvero pregate tanto, tutte le sere, che si mettano d’accordo, e come diceva oggi Pizzaballa, la pace viene dal basso, non dall’alto. Voi dovevate vedere le persone, di qualunque etnia, di qualunque religione, come ci accoglievano, come ci abbracciavano, come si vedeva che non avevano un problema tra di loro. Era talmente grande il male che stavano vedendo, e che stanno vivendo ora, che c’è un desiderio di pace nel popolo, tutto, incredibile. Quindi dobbiamo davvero pregare perché si illuminino i potenti, perché dal basso la convivenza è possibile. La testimonianza che noi abbiamo visto lì con loro, con i nostri amici del movimento, con gli amici di ogni religione, è che il desiderio è veramente quello di una convivenza pacifica.

Boffi. Siccome sono stati bravissimi e hanno rispettato i tempi, abbiamo qualche minuto per qualche domanda se qualcuno vuole farsi avanti. Alzate la mano e vi verrà consegnato un microfono. C’è qualcuno?

DOMANDA. Volevo chiedere a Hussam che rapporto c’è fra voi di CL e il Cardinale Pizzaballa.

Abu Sini. Come vi stavo raccontando prima, c’è un grande rapporto di amicizia da anni, quando capita ci si vede, si parla. Siccome lui è la guida ultima della Chiesa, da quando sono diventato responsabile, dal 2018, vado spesso da lui a chiedere suggerimenti, lui è sempre preso da mille cose, ma quando ci si riesce si parla tanto. Lo ringrazio sempre per tutti i suggerimenti che dà, per guidare un movimento, pur con l’aiuto di tanti amici, tutte le cose che ci sta dicendo, come “Cristo ha vinto il mondo amandolo”, soprattutto quest’anno sono state un richiamo per me e per tutta la nostra comunità. Come diceva stamattina all’incontro, tra Israele e Palestina noi (cristiani) siamo il 3%; ciò che mi ha colpito dal primo giorno di guerra, oltre all’amicizia, alla stima che ho di lui, è che lui non abbia mai detto: “Siete il 3%, salviamo il salvabile, chiudetevi altrimenti passeremo al 2% o all’1%”. Lui ha detto: “Usciamo, andiamo a dire, non per dare fastidio, ma perché siamo gli unici che riescono a guardare le cose in un’altra maniera. Siamo gli unici che richiamano l’amore in mezzo a due popolazioni che, per motivi magari anche validi, per come la vede il mondo: a uno ha perso un cugino, l’altro è stato ammazzato…”. Lui è stato l’unico che ha richiamato la pace, dicendo: “Voi avete un tesoro grande, andate a comunicarlo al mondo”. Per questo desideriamo sempre avere un rapporto ancora più stretto con lui, e quando c’è l’occasione, andiamo subito a trovarlo.

DOMANDA. Vi ringrazio tantissimo, ho la pelle d’oca perché ascoltarvi è veramente emozionante, ma per la prima volta ho la sensazione concreta che è possibile davvero fare qualcosa. Volevo farti una domanda diretta, Hussam. Hai parlato di Betlemme, no? Betlemme è zona palestinese, o sbaglio?

Abu Sini. Sì, Betlemme è in Palestina.

DOMANDA. E quando vi vedete con gli amici palestinesi di Betlemme, hai detto che ogni tanto vi arrabbiate, vi scontrate tra voi. Ma poi, come fate a custodire l’unità tra voi, anche se siete così diversi?

Abu Sini. Siamo molto diversi. Racconto due episodi. All’inizio della guerra, quando Pizzaballa ha detto che era disposto a darsi in ostaggio in cambio di tutti quegli ostaggi, le donne di Betlemme mi chiamano dicendo: “Ma allora lui sta con Israele e non sta con noi!”. C’è stata una chiamata con una mia amica di 40 minuti in cui abbiamo cercato di discutere ma non si può discutere se non si parte da un’origine comune, cioè che siamo amici, che ci siamo trovati insieme per qualcosa. Abbiamo incontrato qualcosa insieme, anche se io l’incontro l’ho fatto a Torino, lei l’ha incontrato a Betlemme, però siamo insieme per qualcosa. La vacanza è stata un punto che ci ha richiamato a questo, ragionando insieme, facendo sempre più memoria di ciò che ci unisce (noi abbiamo iniziato a dire l’Angelus tutti i giorni a mezzogiorno, facciamo la scuola di comunità, l’anno scorso la facevamo ad aree e quest’anno la facciamo insieme per avere un giudizio comune) perché purtroppo l’uomo ha la memoria abbastanza corta, ha bisogno di essere richiamato. Una settimana dopo, Pizzaballa manda una lettera in cui dice: “Sono vicino alla comunità cristiana a Gaza”. Mi chiamano gli altri, gli ebrei e dicono: “Ma come si permette di fare una cosa del genere, lui sta con loro?”. Però è stato bello perché io sono stato aiutato da tanti amici dall’Italia, dal visitor a ragionare a capire come gestire la cosa. Siamo tutti come diceva quella ragazza: “We are one, siamo una cosa sola”. Tutte le volte che facevamo memoria di ciò che ci ha preso, riuscivamo a guardare con altri occhi. E non è che lui intendeva esattamente darsi in ostaggio, è un po’ come diceva stamattina, ci sono 3 posizioni umane quello che ha preso il coltello, quello che si è addormentato e quello che è scappato. Invece noi dobbiamo consegnarci all’Unico che ci dà speranza. Tutte le volte che si ragionava insieme, magari iniziavamo e finivamo anche coi toni accesi, ma c’era un grande bene in mezzo, perché lei comunque mi ascoltava e io l’ascoltavo, come diceva un mio amico la crosta si scioglieva pian piano perché ed entrambi volevamo scoprire il vero.

DOMANDA. Scusa, io ho una domanda per il dottor Rusconi. Perché per Don Giussani era così importante stare nei luoghi fisici dove Gesù era passato? Invece per Hussam: come ti senti rispetto alla responsabilità di far crescere i tuoi figli in un paese così difficile?

Rusconi. Per Don Giussani era molto importante la storicità, che fosse documentato l’avvenimento, che Cristo si fosse veramente incarnato, che fosse nato e avesse detto quelle cose lì, in quei luoghi lì. Oltre a questo, per esempio, quando c’è la Chiesa del Primato di Pietro, ha in mente anche le montagne che ci sono intorno, che gli hanno fatto venire il concetto di “pietra” e quindi “su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, e quindi io sarò sempre presente con voi. Anche perché in quel periodo lì non eravamo ancora arrivati alla scoperta del Vangelo di Qumran, ma si diceva che il Vangelo fosse stato scritto dopo da persone che avevano voluto raccontare come erano andate le cose, ma che non si riferisse a fatti storici. Invece Don Giussani ci teneva moltissimo alla documentazione che Cristo fosse stato veramente lì e avesse fatto così, perché fa così e ti guarda così anche adesso. Non so come dirlo meglio. Questa è la mia interpretazione. Adesso, 38 anni dopo, cosa mi dice una cosa del genere? Io avevo citato i due libri del Percorso perché lì davvero viene descritto quello che viene accennato nel libro, e lo si coglie come la presenza di Cristo che si muove così e ti invita a guardarlo adesso così. E poi a settembre c’è il podcast in cui verranno fuori tutti i commenti alle parabole fatti direttamente dalla voce di Don Giussani, quindi da questo punto di vista la cosa continua.

Abu Sini. Per quanto riguarda la domanda sui figli, penso che io e mia moglie dobbiamo rispondere insieme, perché siamo insieme in questo. Il gesto del battesimo è stato uno dei gesti per riaffermare che noi vogliamo che i nostri figli crescano con i principi cristiani. Uno, perché, come dicevo prima, da soli non ce la facciamo ad educarli, ci sono gli amici. Mi colpisce tanto quando un amico viene da noi, la corsa che fa mio figlio dal divano alla porta per abbracciare quell’amico, e poi non vuole andare a dormire e vuole rimanere con noi a cena. Perché magari riconosce quell’amicizia che c’è, che è grandissima. Poi, più li affidi, più li lasci liberi ma noi vogliamo che crescano con quei principi, perché già io mi scopro più uomo così e voglio lo stesso per mio figlio che poi faccia la sua strada, ma con quei principi.

DOMANDA. Io mi chiamo Luciano, sono stato in Terrasanta 13 anni fa, 10 anni fa, adesso non ricordo bene. Io mi chiedo, con tutti questi morti da una parte e dall’altra, come possono trovare la pace questi due popoli? È come l’Ucraina e la Russia: dove la possono trovare la pace? Ci saranno sempre morti. Mi dispiace, perché dico: accidenti, se si ha fede si dovrebbe arrivare a un equilibrio però non credo che riescano a trovare un equilibrio, anche perché intervengono stati potenti, stati che hanno interessi… Non lo so, sono molto dubbioso.

Babbi. Credo che l’intervento di oggi di Pizzaballa sia la risposta possibile a una domanda così impossibile. A me rimane che la pace inizia da noi, qui e adesso. Nei rapporti fra di noi, nei rapporti dentro la famiglia, dentro la chiesa, anche con gli altri movimenti che non sono di serie B, dentro la società. Te lo dico in un altro modo. Alla domanda fatta al parroco di Gaza – che non è riuscito a venire da noi e noi non siamo riusciti ad andare a Gaza per evidenti motivi – qual è la priorità? La priorità per lui è stata l’educazione. Non ci ha detto che la priorità erano le medicine, il cibo, l’acqua che non hanno, però per lui il tema era già andare oltre, già guardare al dopo. Perché l’emergenza era evidente: vivere, mangiare, bere, curare un bambino che sta morendo. Ma il suo tema è stato questo: la priorità è l’educazione. L’educazione è la convivenza. Le scuole cattoliche in Israele, in Palestina, in Terrasanta, accolgono tutti, sono il primo luogo di convivenza e condivisione anche culturale. Quindi, certo tu sei scettico, e purtroppo le notizie ti danno ragione. Però, dico, come cristiani dobbiamo guardare con tanta speranza, con tanta fiducia: ciò che è impossibile agli uomini sarà possibile a Dio. E Santo Dio, crediamoci!

Boffi. Ringraziamo con un bell’applauso i nostri ospiti. Nell’incontro di stamattina Pizzaballa diceva che dobbiamo fuggire da tre tentazioni: il devozionismo sofisticato, fuggire, lo scetticismo, oppure prendere la spada. Diceva: Gesù si è donato, si è affidato, ci ha fatto un dono. Questo è certamente un libro in cui Don Giussani, in maniera spettacolare, mostra concretamente nella storia, sulle pietre, come Gesù ha fatto questo. Due avvisi prima di salutarci. La prima cosa: il Meeting siamo noi. Il Meeting non sta in piedi per i nostri bei pensieri, ma anche grazie alle nostre donazioni, quindi fate la vostra donazione, ci sono in giro i cuori dove potete farla. Seconda cosa, importantissima: Tracce. Bisogna abbonarsi a Tracce, fare abbonare gli amici, fare abbonare soprattutto i “nemici”, quindi abbonatevi tutti. C’è lo stand, e per chi si abbona c’è anche un omaggio, una sorpresa eccezionale che non potete perdervi. Buon Meeting a tutti!

Data

20 Agosto 2024

Ora

16:00

Edizione

2024

Luogo

Arena Tracce A3
Categoria
Arene