DON CAMILLO, IL CRISTO E IL RISVEGLIO DELLA COSCIENZA

In diretta su Icaro Tv

A cura dell’Associazione Amici di Giovannino Guareschi e Associazione Tradizioni della Bassa
Egidio Bandini, giornalista e presidente Gruppo Amici di Giovannino Guareschi; Enrico Beruschi, regista e attore; Gianni Govi, attore e regista; Eugenio Martani, clarinettista; Corrado Medioli, fisarmonicista; Daniela Negri, docente di Lettere scuola superiore; Giancarlo Plessi, parroco di Besenzone (diocesi di Piacenza-Bobbio)

A Brescello, nella chiesa dedicata a Maria nascente, si trova il Crocifisso di don Camillo, il Cristo parlante reso famoso dei film, ma molto più presente nei racconti del “Mondo piccolo” di Giovannino Guareschi. Presente e protagonista, capace di mettere d’accordo tutti e perciò, vogliamo raccontarvelo, quel Gesù misericordioso e sorridente, paziente e comprensivo; capace di ascoltare e di suggerire il meglio da farsi. Esattamente come la nostra coscienza. Con una differenza: il Crocifisso di don Camillo è Dio. E, a differenza di noi uomini, è capace di fare miracoli, parlando all’anima sempre e solo con la voce del cuore.

DON CAMILLO, IL CRISTO E IL RISVEGLIO DELLA COSCIENZA

DON CAMILLO, IL CRISTO E IL RISVEGLIO DELLA COSCIENZA 

Venerdì 23 Agosto 2024 ore 19:00 

Sala Gruppo FS C2  

Partecipano: 

Egidio Bandini, giornalista e presidente Gruppo Amici di Giovannino Guareschi; Enrico Beruschi, regista e attore; Gianni Govi, attore e regista; Eugenio Martani, clarinettista; Corrado Medioli, fisarmonicista; Daniela Negri, docente di Lettere scuola superiore; Giancarlo Plessi, parroco di Besenzone (diocesi di Piacenza-Bobbio) 

  

Bandini. – 0:02:24 – Buonasera, buonasera a tutti, benvenuti qui alla Sala FS, benvenuti al Meeting 2024, a questo incontro dal titolo “Il Cristo è il figlio della coscienza, il figlio di Don Camillo”. Si prega di non suonare perché sennò coprite la voce, grazie. Vi presento chi è con me questa sera: Enrico Beruschi, che certamente non ha bisogno di presentazioni, l’amico Gianni Govi, attore e regista della compagnia dialettale Sisese, il maestro Corrado Medioli, fisarmonicista di fama internazionale, e il maestro Eugenio Martani, direttore dell’antico concerto a Fiato Cantoni. In più ci sono la professoressa Daniela Negri, docente di lettere, e il nostro Don Camillo, Don Giancarlo Plessi, parroco di Besenzone, che molti di voi conosceranno. Allora, questa sera ragioniamo dei dialoghi fra Don Camillo e il Cristo, che provocano appunto il risveglio della coscienza. D’altronde, era lo stesso Guareschi a dire che il Cristo era la voce della sua coscienza. E di questo parleremo. Parleremo di questo Cristo che parla, di quello che Don Camillo dice al Cristo, di quali sono le diverse situazioni, di cosa succede in questi racconti, in questo “mondo piccolo” che, come diceva Guareschi, dovrebbe essere grande come il mondo. E parleremo partendo da qualcosa di straordinario che non è il Cristo che parla, ma è il Cristo che sorride. Maestro?  

Beruschi. – 0:06:21 – Il crocifisso che sorride, una delle geniali invenzioni di Giovannino Guareschi, anzi la più essenziale delle sue invenzioni. Gesù come uomo certamente nella sua vita avrà sorriso, e il fatto che Giovannino faccia sorridere il Cristo di Don Camillo rappresenta essenzialmente il desiderio di umanizzare il figlio di Dio, renderlo più vicino a noi, appunto come vicino al “pretone” di “mondo piccolo”, con il quale dialoga, discute, lo rimprovera, ma, spesso, gli sorride. Già nel quarto racconto uscito sul “Candido”, Giovannino inquadra i suoi tre personaggi: il prete Don Camillo, il comunista Peppone e il Cristo Crocifisso. Eccolo, quel Gesù misericordioso e sorridente, paziente e comprensivo, capace di ascoltare e di suggerire il meglio da farsi, esattamente come la nostra coscienza, con una differenza. Il crocifisso di Don Camillo è Dio e, a differenza di noi uomini, è capace di fare miracoli parlando all’anima sempre e solo con la voce del cuore. 

 Bandini. – 0:08:09 – Don Camillo si era lasciato un po’ andare durante un fervorino a sfondo locale con qualche puntatina piuttosto forte per “quelli là”. E così la sera dopo, attaccatosi alle corde delle campane, era successo l’inferno. Un’anima dannata aveva legato dei petardi al battacchio delle campane. Nessun danno, ma un putiferio di scoppi da far venire il crepacuore. Chiusa la porta grande, Don Camillo si era buttato addosso il mantello e, prima di uscire, era andato a fare un rapido inchino davanti all’altare. “Don Camillo”, aveva detto il Cristo crocifisso, “mettilo via”. “Non capisco”, aveva protestato Don Camillo. “Mettilo via”. Don Camillo aveva tratto di sotto il mantello un palo e l’aveva deposto davanti all’altare. “Che brutta cosa, Don Camillo.” 

Beruschi. – 0:08:56 – “Gesù, ma non è mica rovere, è pioppo, roba leggera, pieghevole.”  

Bandini. – 0:09:02 –   Si era giustificato Don Camillo. “Vai a letto, Don Camillo, e non pensare più a Peppone.” Don Camillo aveva allargato le braccia ed era andato a letto. Così la sera dopo, quando gli comparve davanti la moglie di Peppone, saltò in piedi. “Don Camillo”, cominciò la donna, “a Castellino c’è quel maledetto che aveva tentato di fare la festa a Peppone. L’hanno messo fuori e Peppone è partito per Castellino come un dannato. Ha preso su un mitra. Don Camillo, non capite che quello lo ammazza? Se non mi aiutate voi, quello si rovina.” Don Camillo rise perfidamente. 

Beruschi. – 0:09:37 – “Così impara a legare i petardi al battacchio della campana. Fuori da questa casa.” 

Bandini. – 0:09:45 – Tre minuti dopo, Don Camillo, con la sottana legata attorno al collo, arrancava come un ossesso sulla strada per Castellino, a cavalcioni della Volsi da Corsa del figlio del sacrestano. A quattro chilometri da Castellino, Don Camillo vide un uomo seduto sulla spalletta del ponticello del fossone e rallentò. Fermò una decina di metri prima del ponte. 

Beruschi. – 0:10:07 – “Giovanotto, avete visto passare un uomo grosso in bicicletta diretto a Castellino?” 

Bandini. – 0:10:14 – “No, Don Camillo”, rispose tranquillo l’altro. Don Camillo si avvicinò.  

Beruschi. – 0:10:20 – “Sei già stato a Castellino?” 

Bandini. – 0:10:22 – Si informò. 

Govi. – 0:10:23 – “No, ci ho ripensato sopra, non ne vale la pena. È stata quella stupida di mia moglie a farvi scomodare?” 

Beruschi. – 0:10:31 – “Scomodare? Ma figurati!” 

Govi. – 0:10:34 – Peppone sghignazzò. “Però, che effetto fa un prete in bicicletta da corsa?” 

Bandini. – 0:10:41 – Don Camillo venne a sederglisi vicino.  

Beruschi. – 0:10:44 – “Figlio mio, bisogna prepararsi a vederne di tutti i colori a questo mondo.”  

Bandini. – 0:10:51 – Un’oretta dopo Don Camillo era di ritorno e andava a stendere il suo rapportino al Cristo. “Tutto bene, tutto come m’avevate ispirato voi.” “Bravo Don Camillo, ma dimmi un po’, ti avevo anche suggerito di prenderlo per i piedi e buttarlo dentro nel canale?” Don Camillo allargò le braccia.  

Beruschi. – 0:11:10 – “Veramente non ricordo bene, il fatto è che a lui non gli andava molto di vedere un prete in bicicletta da corsa, allora ho fatto in modo che non mi vedesse più.”  

Bandini. – 0:11:24 – “Capisco, è già tornato?”  

Beruschi. – 0:11:26 – “Arriverà fra poco. Vedendolo cadere nel fosso ho pensato che ritornando su un po’ bagnato si sarebbe trovato impicciato con la bicicletta. Allora ho pensato di tornare solo con tutte e due le biciclette.”  

Bandini. – 0:11:43 – Peppone si affacciò verso l’alba alla porta della Canonica. Era bagnato fradicio e Don Camillo gli chiese se piovesse. “Nebbia”, rispose Peppone a denti stretti.  

Govi. – 0:11:55 – “Posso prendere la mia bicicletta?” “Figurati, è lì. Non vi risulta che legato alla canna ci fosse per caso un mitra?” 

Bandini. – 0:12:03 – Don Camillo allargò le braccia sorridendo. “Mitra? Che roba è?”  

Govi. – 0:12:08 – Io… disse Peppone sulla porta. “Ho fatto un solo errore nella mia vita. Quello di legare dei petardi ai battacchi delle campane. Dovevo legarci mezza tonnellata di dinamite.” 

Bandini. – 0:12:21 – “Errare umano estro,” osservò sorridendo Don Camillo. “Abbiamo parlato tanto di Giovannino Guareschi in questi anni, questi lunghi anni nei quali abbiamo partecipato al Meeting. Abbiamo parlato della sua vita, delle sue storie, dei suoi personaggi, ma mai abbiamo parlato della sua scrittura. E allora ecco una piccola frase che viene dal volume ‘Vita con Gio’. A me non piace come scrive lui, disse Gio: usa parole che tutti conoscono per dire cose che tutti capiscono. E allora, dove finisce la cultura? Ce lo spiega la professoressa Daniela Negri.” 

Negri. – 0:13:31 – “Un po’ più vicino a noi? Sì, è giusto che per me l’ha detto. Ringrazio anche la mia amica Mariuccia che mi ha portato fin qui, mi ha accompagnato. Io insegno nella scuola media superiore in un professionale e ho tre classi in genere perché insegno lettere e di queste tre classi, più o meno, ho un’ottantina, 85 alunni, una cosa così, forse qualcuno di più. Di questi 85 alunni, uno. Una, anzi, legge. Gli altri? Niente. Cioè, non aprono un libro. Quando dico, ma l’ultimo libro che avete letto? Quando magari ho una prima, allora cominciano: ‘Forse quando la professoressa mia mi ha detto di leggere, ma non l’ho letto’. Quindi, dove andava a finire la cultura? Loro sono stati molto bravi a leggere, indubbiamente, ma il testo di Guareschi è bello perché noi vediamo Don Camillo, vediamo Peppone, vediamo la moglie di Peppone, vediamo persino la bicicletta, vediamo persino quando lo butta nel fosso. Questa capacità, che indubbiamente è innata in Guareschi, ma è anche frutto di tecnica, perché io sono stata all’archivio e ho visto i disegni di Guareschi. Forse non so se ne avete mai parlato, dei disegni. Ma, cioè, Guareschi disegnava anche le sequenze della serie. Se io devo raccontare una sequenza che magari, insomma, è un po’ complessa, allora faccio un disegno, la memorizzo e poi la descrivo. Quindi prima penso alla scena e poi alle parole. Oggi invece accade esattamente il contrario. Oggi, per citare Schopenhauer, che dice che spesso il profluvio di parole che uno scrittore usa nasconde il vuoto che alberga nella sua mente. Quindi significa che oggi pensano prima le parole e poi, caso mai, forse se pensano, alla scena o alla sequenza. Quindi troviamo dei racconti che sono assolutamente scompensati da un punto di vista tecnico, narrativo, usano le similitudini al proposito, faccio un esempio. Spingeva talmente forte per svuotarsi in tutta la vescica, questa la solitudine dei numeri primi, che gli occhi sembravano sgusciarli dalle occhie, come quando schiacci l’acino dell’uva fragola. Parte che qualche mio studente mi dice sempre cosa è l’uva fragola; quindi, devo spiegare che cosa è l’uva fragola. E poi perché io devo immaginare una cosa così complicata; quindi, rendere una similitudine che di per sé dovrebbe rendere più semplice un concetto, invece riescono a rendermelo più complicato. E non si capisce il motivo. Oppure sempre il buon Paolo Giordano, che per giunta ho conosciuto, dice che il suo intestino fece il rumore di quando azioni l’allava piatti. E io dicevo, ma do, perché mi devo immaginare una cosa del genere? Perché non si può essere più semplici, più raccontare una storia con un valore, con un senso, e invece ci troviamo a dover, come dire, rabatterci tra pagine di inutili dialoghi, di inutili similitudini, gerundi poi che vengono utilizzati come… cioè uno non sa che verbo mette e dice, no, ci metto un gerundio che tanto va bene lo stesso, insomma. Andando venendo, scarpe rompendo, diceva la mia maestra. Quindi, insomma, una letteratura fortemente scompensata, ammesso che di letteratura si possa parlare, insomma. Venendo qui il tassista mi ha chiesto, ma lei chi salverebbe della letteratura di oggi? Io ho detto, oddio, vivente, italiana? Ho detto, non me ne viene in mente uno, insomma, sono, come dire, non ci sono più quelli bravi, quelli veri, insomma, no? E perché poi Guareschi, per citare Guareschi, è uscito dalle antologie scolastiche? Perché le abbiamo riempiti di autori, anche moderni, che non raccontano niente, insomma, o che, come a dire, si dimenticano i passaggi, per esempio in un libro, una scrittrice, ci sono due bambini che dormono, uno si sveglia, l’altro no, ma la pagina dopo si riaddormentano tutte e due. Per carità, uno dice va bene la stupidaggine. Però significa che lo scrittore non sta attento, non ha minimamente a cuore noi lettori, perché siamo noi che in fondo facciamo vivere questi personaggi, perché come diceva Philip Roth, se muoiono i lettori e muoiono i libri, sono morti anche i personaggi, è morto tutto insomma, fondamentalmente. Quindi il problema è riuscire. Il problema è anche, prima che mi dimentichi, che oggi si pubblica troppo, si legge niente o si legge molto poco e si pubblica tantissimo, quasi sempre, pagamento, pubblicità. Per esempio, Paolo Giordano, che ho citato prima, dopo la solitudine dei numeri primi ha scritto altri tre romanzi. Sapete i titoli? Il rosso, no, il nero e l’argento, il corpo umano, divorare il cielo, e sono tutti passati sotto silenzio, nessuno lo ha più chiamato perché comunque quelli che leggono, quelli che come me o come voi, si spera, leggono e che hanno magari anche una certa, come si suol dire, sono dei lettori attenti, dei lettori che pretendono che quando si trovano per le mani un libro brutto, non è come un maglione che puoi dire, oddio, perché l’ho comprato, perché mi sta largo, perché mi sono fatta convincere, avrò commesso a comprarlo. Lo riporto. Torno indietro con il mio scontrino, restituisco il maglione, mi fa un reso. Provate con un libro. Scusi, guardi, questo libro non fa per me. Beh, se l’ha comprato. No, mi sono sbagliato. Volevo comprare un altro, ma questo aveva la fascetta di copertina. Aveva una copertina così accattivante, un titolo così bello, perché indubbiamente la solitudine dei numeri primi, per citare lui, è un titolo accattivante. Durante un reading, un crazy reading come l’ha chiamato un mio studente, avevo due signore vicino e avevo il libro cartaceo, il libro cartaceo che non riesco più a trovare. I libri brutti a volte si perdono da soli e niente; quindi, avevo tolto la sovraccopertina e quindi il libro era senza la copertina. A un certo punto, la signora mi interrompe e mi dice, ma è sicura di stare leggendo, sapere di stare leggendo la solitudine, non mi preme? No, perché noi non si vogliono mica, noi l’abbiamo letto. E ho detto, sì, sì, sì, me lo passa? 

Speaker. – 0:21:14 – “Ha passato.” 

Negri. – 0:21:15 – Questo sfoglia il libro e dice, “Madonna signorina, è proprio quello”, me lo riconsegna. E allora mi dice, “Ma perché ci siamo dimenticati, cito testualmente la signora, tutta sta merda?” Bella domanda, le prime 20 pagine non so se l’avete letto, quindi non vogliatemene, io non ce l’ho con Paolo Giordano che penso che sia una bravissima persona, un bravissimo giovane uomo, un bravissimo studioso, tutto quello che volete. Però ecco, sapete scrivere un’altra cosa, pensate che comunque ha vinto uno strega con la solitudine. Pensate anche che nel sommi viene in mente Veronesi, il fratello di Veronesi, il regista, che con “Caos calmo” ha vinto un altro strega. Se voi leggeste le prime pagine di “Caos calmo”, a parte gli errori del narratore in prima, insomma, che se Guareschi leggesse si non ridirebbe, direbbe “Ma cos’è successo alla letteratura?” Sono piene di incongruenze, di utilizzo totalmente maldestro della capacità del narratore in prima, per esempio. Il problema è che siamo davanti a una triste dinamica legata ai libri. Come dico sempre, i libri hanno bisogno di un tempo fermo. Per fermo intendo che non puoi fare altro. Devi leggere le parole, trasformarle in immagini, in sequenze, e devi costruirti mentalmente la tua storia. Se noi prendiamo tutti gli autori del passato, chi più chi meno, che magari più descrittivo chi meno, vedremo che non commettono questi errori, per esempio, tanto per citare al di là di Guareschi, non abbiamo fatto, ripeto, fatica, ma anche se citiamo uno ancora più antico, cioè Manzoni, noi vediamo Don Abbondio che cammina, Don Abbondio che si muove, è come se la camera lo seguisse, è come se ci fosse una cinepresa che lo inquadrasse prima da dietro, poi davanti, poi dall’alto, poi allarga il campo e inquadra i bravi. Cioè, non facciamo fatica, non dobbiamo dire “oddio aspetta cos’è che ho detto, aspetta cos’è che ha detto, torno indietro”, operazione che spesso facciamo quando leggiamo i cosiddetti moderni. Ecco, quello che a me poi dispiace in assoluto è che gli autori moderni non abbiano la minima considerazione di noi lettori, cioè pensano che nessuno di noi sia in grado di cogliere gli errori e di capire che cosa sia bene, che cosa sia male. Sempre per citare Schopenhauer, poi non so quanti minuti ancora a disposizione, ok, l’ultima Schopenhauer, che così chiudiamo in bellezza, dice, Schopenhauer dice che in società bisogna essere, utilizza questa parola, tolleranti, perché devi esserlo. Insomma, se trovi uno che non ti piace, non è che puoi dire, vai, fai il proprio schifo. Ma in letteratura no, dice, in letteratura popola tolleranza non è ammessa perché è colui per il quale nulla è cattivo nulla è parimenti buono per cui questo è mio piccolo intervento. 

Bandini. – 0:25:13 – La Grande era una tenuta che non finiva più, con una stalla di cento vacche, caseificio a vapore, frutteto e via discorrendo. Così lo sciopero alla Grande fu una cosa grossa, organizzata personalmente da Peppone, con squadre di sorveglianza, turni di guardia, staffette e posti di blocco. Le porte e le finestre della stalla vennero inchiodate e furono messi su i gel. Don Camillo andò ad aggrapparsi alla balaustra dell’altare. “Signore,” disse il Cristo crocifisso, “tenetemi o faccio la marcia su Roma”. “Calmati Don Camillo”, lo ammonì dolcemente il Cristo, “con la violenza non si può tenere niente, bisogna calmare la gente con ragionamento, non esasperarla con atti di violenza.” “Giusto,” sospirò Don Camillo, “bisogna indurre la gente a ragionare.” 

Beruschi. – 0:26:06 – “Peccato però che mentre si induce la gente a ragionare, le vacche crepino di fame.”  

Bandini. – 0:26:14 – Don Camillo uscì a camminare attraverso i campi perché era nervoso e così, a un tratto, guarda il caso, cominciò ad udire vicini vicini i muggiti delle cento vacche affamate della Grande. 

Beruschi. – 0:26:26 – “Alto là o sparo?” “Attento, Peppone, perché sparo anch’io.” 

Bandini. – 0:26:30 – “Ah,” borbottò l’altro. 

Govi. – 0:26:32 – “Volevo ben vedere che non mi capitaste fra i piedi anche in questo affare.” 

Beruschi. – 0:26:38 – “Peppone è una bestia cocciuta come un mulo.” 

Bandini. – 0:26:42 – Disse tranquillo, Don Camillo. 

Beruschi. – 0:26:44 – “Ma non spara alle spalle dei poveri preti che stanno facendo quello che Dio comanda loro di fare.” 

Bandini. – 0:26:52 – Don Camillo si incamminò tranquillamente, e l’altro dietro a borbottare e a minacciare. Salì per la scala pioli nel fienile, spalancò la botola e vi fece rotolare dentro una balla di fieno. La portò vicino alla mangiatoia di destra, sciolse il fieno e lo buttò davanti alle vacche. 

Beruschi. – 0:27:08 – “Tu pensa alla mangiatoia di sinistra.” 

Bandini. – 0:27:10 – Disse a Peppone.  

Govi. – 0:27:11 – “Pone anche se mi scannate.”  

Bandini. – 0:27:13 – Ride Peppone prendendo una balla e portandola verso la mangiatoia di sinistra. Lavorarono come un esercito di bovari. Prima di uscire buttarono ancora fieno in tutte le mangiatoie e Peppone non voleva in nessun costo perché diceva che era un tradimento del popolo, ma Don Camillo fu inflessibile. Così durante la notte ci fu silenzio nella stalla, e il vecchio Pasotti, non sentendo più mugire le vacche, si spaventò. E la mattina scese a parlamentare con Peppone, e mollando un po’ da tutte e due le parti, la cosa tornò a funzionare. Nel pomeriggio Peppone arrivò in Canonica. 

Govi. – 0:27:49 – “Reverendo,” disse, “il mio mitra.”   

“Il tuo mitra?”   

Rispose sorridendo Don Camillo. 

Beruschi. – 0:27:56 – “Non capisco, l’avevi tu il tuo mitra?” 

Govi. – 0:28:00 “Sì, l’avevo io, ma quando siamo usciti dalla stalla, voi avete approfittato spudoratamente della confusione che avevo in testa per fregarmelo, reverendo.” Esclamò Cupo Peppone. “È il secondo che mi fregate.” 

Beruschi. – 0:28:17 – “Beh, figliolo, non ti inquietare. Te ne prendi un altro. Chissà quanti ne hai ancora sparsi qua e là per la casa.” 

Govi. – 0:28:27 – “Voi siete uno di quei preti che dagli e dagli costringono un galantuomo di cristiano a farsi maomettano.” 

Beruschi. – 0:28:36 – “Forse,” rispose Don Camillo. “Ma tu non corri questo pericolo. Tu non sei un galantuomo.” 

Bandini. – 0:28:44**   

Peppone buttò il cappello per terra. 

Govi. – 0:28:46**   

“Voi potete fregarmi non due, ma duecentomila mitra. Il giorno della riscossa troverò sempre un pezzo da 75 per aprire il fuoco su questa casa del diavolo.” 

Beruschi. – 0:28:59**   

“e io troverò sempre un mortaio da 81 per fare la controbatteria,” rispose Don Camillo tranquillo. 

Bandini. – 0:29:09**   

Passando davanti alla chiesa, siccome la porta era spalancata e si vedeva l’altare, Peppone si cavò con rabbia il cappello e se lo rimise subito perché non lo vedesse nessuno, ma il Cristo lo aveva visto. E quando Don Camillo andò in chiesa, glielo disse, “È passato Peppone e mi ha salutato,” disse allegramente il Cristo. 

Beruschi. – 0:29:29**   

“Già, altri vi ha addirittura baciato e poi per 30 lire vi ha venduto. Quello lì che vi ha salutato è uno che tre minuti prima mi aveva detto che il giorno della riscossa troverà sempre un pezzo da 75 per sparare addosso la casa di Dio.” 

Bandini. – 0:29:52 – “E tu che gli hai risposto?”  

Beruschi. – 0:29:54 – “Che troverò sempre un mortaio da 81 per rispondergli sparando addosso la casa del popolo.” 

Bandini. – 0:30:01 – “Capisco Don Camillo, il guaio è che tu il mortaio da 81 ce l’hai sul serio.” 

Beruschi. – 0:30:07 – Don Camillo allargò le braccia. “Gesù,” disse, “ci sono delle cianfrusaglie che uno non riesce a buttarle via perché sono dei ricordi e poi, non è meglio che questa roba sia in casa mia piuttosto che in casa d’altri?”   

“Don Camillo ha sempre ragione,” rispose sorridendo il Cristo, “fino a quando non farà qualche soperchieria. Per questo non ho paura, ho il miglior consigliere dell’universo.” 

Bandini. – 0:30:39 – Rispose Don Camillo, e così il Cristo non seppe più cosa rispondergli. 

Speaker. – 0:31:26 – “e”  

Bandini. – 0:33:05 – “E adesso, visto che l’abbiamo chiamato in causa, il nostro Don Camillo, Don Giancarlo Plessi. Per meglio dire, uno dei nostri Don Camillo, perché ce n’è un altro qui che è Don Pierca Bantus, il parroco del Duomo di Cervia. È un altro dei nostri Don Camillo. E ne vedo altri due che possono ruolare nelle schiere dei Don Camillo, uno addirittura alla talare, quindi più di così. Non si potrebbe pretendere.”  

Speaker. – 0:33:45 – Qualcuno ha detto che le esperienze forti che si vivono in gioventù non sono altro che l’impalcatura su cui si costruisce l’uomo adulto. Non posso a questo punto non ringraziare con tutto il cuore quel Santo Sacerdote che da bambini ci invitava in oratorio a vedere il cinema. Quella domenica il film era “Marcellino, pane e vino”. Nella mia vita penso di averlo rivisto almeno una ventina di volte, sempre accompagnato da decine di ragazzi che a mia volta invitavano in oratorio e con cui condividevo a caldo le loro riflessioni, talvolta profondissime, che riuscivano a dare al mio cuore una vitalità sorprendente. Al centro delle riflessioni sempre le stesse immagini legate al dialogo semplice ma pieno di gioia e di stupore che illuminavano gli occhi di Marcellino nell’incontro col Crocifisso. La vera questione per noi sacerdoti è proprio questa: siamo ancora capaci, dopo tanti anni di ministero, di avere davanti ai nostri occhi l’immagine di Gesù sulla croce? Per me è ancora così. Ogni giorno spezzo il pane, bevo il vino e mi sento come Marcellino, al sicuro tra le sue braccia amorose, sempre pronto ad affrontare il mondo e gli uomini con la stessa forza che animava il Cristo sulle strade della Palestina. Se Guareschi fosse ancora tra noi, mi piacerebbe raccontargli tutto quello che passa nel cuore di noi sacerdoti ogni volta che attraversiamo la nostra Chiesa e ci soffermiamo davanti al Crocifisso. I dialoghi di Don Camillo, così belli e significativi, che generano in noi simpatia e ammirazione per un Gesù così umano nella sua saggezza, ci portano un po’ più in là, alla consapevolezza che quello di cui abbiamo bisogno è la sua imperscrutabile divinità. Quel Gesù sulla croce è vero uomo e vero Dio. Noi preti, a contatto continuamente con la realtà quotidiana del nostro gregge, quando non sappiamo più cosa rispondere per venire incontro alle necessità della nostra gente, ci mettiamo nelle sue braccia, imploriamo il suo aiuto, ascoltiamo i suoi suggerimenti, che non tardano mai ad arrivare e riempiono di significato la nostra miseria, di fronte a situazioni drammatiche, senza una risposta, come la morte improvvisa di un giovane, di una madre, alle tante malattie terribili, alle solitudini, ai fallimenti. Tutti vengono a chiedere aiuto al parroco, cercando quel conforto e quell’aiuto che da solo non riesce a dare. Quante volte nel cuore della notte ho cercato conforto ai piedi della croce. Nel silenzio assoluto ho cercato nella preghiera l’aiuto di Colui che attraverso la sofferenza, il dolore, la solitudine, ha cercato nella presenza sicura del Padre la forza per donare tutto se stesso, per la salvezza di ogni uomo. Senza croce non ci può essere risurrezione. Gli occhi di Marcellino o di Don Camillo sono anche miei. Centinaia di persone che ho incontrato in questi anni si sono specchiate nei miei occhi, sempre lieti, gioiosi, sempre certi che la croce che noi tutti portiamo è già stata portata senza un lamento. Nel mio cuore e nella mia mente sono presenti tanti testimoni che nella loro immensa fragilità hanno trovato la forza per rialzarsi fidandosi completamente di Colui che tutti chiamiamo “mio Signore e mio Dio”, l’unico che riesce a far breccia anche nei cuori più duri. Qualche anno fa ho ricevuto un grande dono: una delle tante corone del Santo Rosario appartenute a Giovanni Paolo II. Non potete immaginare la commozione e la gioia di stringere tra le mie mani qualcosa che ora mi unisce indissolubilmente a colui che ha accompagnato per 27 anni il mio cammino sacerdotale e rimane punto di riferimento e conforto per il mio cammino. Mio ringraziamento. Vacco quotidianamente al Signore, alla Beata Vergine. Nella tempesta della vita, questo sguardo misericordioso del Padre diventa un approdo sicuro, una certezza per andare avanti con fiducia e semplicità di cuore. Concludo ringraziando questi miei amici che in questi anni mi hanno letteralmente trascinato in questa avventura qui al Meeting. Con loro ho ritrovato il mio Don Camillo, un autentico discepolo di Cristo, capace di smuovere anche i più lontani, senza sminuire o svuotare la millenaria esperienza della Santa Chiesa, dono dello Spirito Santo per la salvezza degli uomini. 

Bandini. – 0:40:11 – Mi vengono alla mente le parole che ha scritto Giovannino Guareschi dal carcere, 70 anni fa giusti, proprio in questo periodo, quando andò a dire messa padre Paolino Beltrame Quattrocchi, cappellano militare che aveva accolto gli ex internati italiani dai lager nazisti. E Giovannino Guareschi ascoltò la predica di padre Paolino e, sentendo le parole di Don Giancarlo, mi viene in mente quello che poi lui scrisse: “Se il mio Don Camillo non fosse un povero prete di campagna, sono sicuro che farebbe la stessa omelia che ha fatto padre Paolino, farebbe la stessa omelia che ha fatto Don Giancarlo.” Grazie. Peppone aveva fatto il colpo di testa, aveva chiuso la vecchia officina scalcinata e, impegnandosi fino agli occhi, aveva tirato su una casa nuova, un bel fabbricato con officina attrezzata come quelle di città e al primo piano l’abitazione. Don Camillo, si capisce, non aveva potuto resistere alla tentazione e una bella mattina aveva messo il naso dentro la nuova officina.  

Beruschi. – 0:42:16 – “Bello!” disse guardandosi attorno. “Manca solo una cosa.” 

Govi. – 0:42:21 – “Che cosa mancherebbe?”  

Bandini. – 0:42:22 – Don Camillo allargò le braccia. 

Beruschi. – 0:42:24 – “Un tempo, quando si inaugurava la nuova casa, c’era l’usanza di chiamare il prete per benedirla.” 

Bandini. – 0:42:32 – Peppone si drizzò e con la mano si tirò via il sudore dalla fronte. 

Govi. – 0:42:37 – “L’acqua santa dei giorni nostri è questa!” affermò aggressivo. 

“Benedetta dal lavoro e non dal prete!” 

Bandini. – 0:42:46 – E in verità, Peppone non era più quello di prima. Aveva fatto il passo più lungo della gamba. Adesso non ce la faceva più. Aveva l’acqua alla gola e non trovava più la forza di rimettersi a galla. E per la prima volta in vita sua aveva marcato visita. Passarono dei giorni e dopo la notizia del pignoramento arrivò in paese il bando della vendita all’asta delle nuove macchine di Peppone. 

“Gesù,” disse Don Camillo al Cristo mostrandogli il comunicato sul giornale, “come vedete, un Dio c’è.” 

Beruschi. – 0:43:15 – “Dillo a me,” rispose sorridendo il Cristo. Don Camillo abbassò confuso il capo. 

“Perdonate la mia balordaggine,” mormorò. 

Bandini. – 0:43:28 – “La balordaggine causata dalla tua lingua maldestra, Don Camillo, è perdonabile. Non l’altra, quella che scaturisce dal tuo intimo convincimento. Dio non si occupa di sequestri e di vendite all’asta.” 

Beruschi. – 0:43:42 – “Gesù, tutta la brava gente del Paese è convinta che questi guai gli siano accaduti perché ha respinto la benedizione della casa.”   

Il Cristo sospirò. 

Bandini. – 0:43:55 – “E cosa direbbe tutta la brava gente del Paese se invece gli affari di Peppone fossero andati bene? Che ciò è accaduto perché ha rifiutato la benedizione della casa?”   

Don Camillo allargò le braccia. 

Beruschi. – 0:44:08 – “Gesù, relata a refero, la gente… La gente?” 

Bandini. – 0:44:12 – “Cosa significa la gente? In paradiso la gente non entrerà mai, perché Dio giudica ciascuno secondo i suoi meriti e le sue colpe, e non esistono meriti o colpe di massa. Ognuno nasce e muore per conto proprio, e Dio considera gli uomini uno per uno e non gregge per gregge. Guai a chi rinuncia alla sua coscienza personale per partecipare a una coscienza e a una responsabilità collettiva.”   

Don Camillo abbassò il capo.   

“Gesù, l’opinione pubblica ha un valore.”   

“Lo so, fu l’opinione pubblica a inchiodarmi sulla croce.”   

Venne il giorno della vendita all’asta e piombarono come falchi in paese gli avvoltoi dalla città. Erano organizzati perfettamente e con quattro soldi si divisero le spoglie di Peppone. Don Camillo, che era andato ad assistere al grande spettacolo, tornò piuttosto cupo.   

“Cosa dice la gente, Don Camillo?”   

Gli domandò il Cristo.   

Don Camillo allargò le braccia. 

Beruschi. – 0:45:14 – “Dicono che se ci fosse un Dio queste cose non succederebbero.” 

Bandini. – 0:45:20 – Il Cristo sorrise, “Da Losanna il crucifige, il passo è breve, Don Camillo.”   

Allora, a questo punto avrebbe dovuto esserci un intervento del professor Giorgio Vittadini. Il quale, però, è impegnato in altre contemporanee conferenze, incontri, che più ne ha, più ne metta, per cui dovrete accontentarvi del sottoscritto. Il quale, nella qualità di Presidente del gruppo Amici di Giovannino Guareschi, innanzitutto deve fare dei ringraziamenti. Un ringraziamento a Padanaplast, non è purtroppo qui con noi il dottore Edo Cantarelli che in genere ci accompagna sempre, al Rotary Club Corte Maggiore Pallavicino, qui c’è il Presidente Mario Veneziani, al Proloco di Brescello c’è il Presidente Gabriele Carpi, gli altri soci, che ci hanno aiutati a concretizzare un’idea che però è di Giorgio Vittadini, questo possiamo dirlo assolutamente senza tema di essere smentiti, un’idea che è una pubblicazione. Voi avete trovato sulla vostra sedia un foglio con un QR code, se voi lo inquadrate riceverete le istruzioni per poter avere, per poter mandare a prendere questa pubblicazione, che non è in vendita, ma viene data in omaggio a chi sottoscrive una tessera di socio sostenitore della nostra associazione Amici di Guareschi. Ora noi quando vendiamo questi libri un terzo di quello che è il prezzo, che non dico perché altrimenti è pubblicità, lo devolviamo in beneficenza. Lo abbiamo fatto alla presentazione a Cervia con Don Pierca Bantus, lo abbiamo fatto ad Azzonica quando siamo andati, ringrazio anche gli amici di Azzonica che hanno voluto essere qui con noi e quindi saremo ben lieti se vorrete partecipare anche voi. È una pubblicazione che vanta delle firme molto importanti, perché al di là della professoressa Daniela Negri, Don Giancarlo, che avete appena sentito, anche loro hanno contribuito, ma ci sono persone molto più importanti del sottoscritto. Uno è Enrico Beruschi, che ha partecipato anche lui scrivendo, ma parliamo di Michele Serra, parliamo di Alessandro Baricco, parliamo di Maria Rita Parsi, di Michele Brambilla, parliamo di Giacomo Porretti e chi più ne ha, più ne metta. E quindi questa pubblicazione la trovate seguendo le istruzioni che vengono da questo QR code, qui ce n’è un piccolo esempio, non dovrei ma ve lo faccio vedere, poi se qualcuno lo vorrà vedere finita l’incontro viene qui vicino a noi, ecco, è qualcosa che abbiamo fatto da un’idea di Giorgio Vittadini, si intitola “In dialogo con Cristo, la lezione di Don Camillo”, e tutti gli scritti sono incentrati su questo tema, un tema che nessuno aveva mai trattato, il dialogo e il rapporto fra il Cristo e Don Camillo. Ora, due parole velocissime perché poi ci avviamo alla conclusione. Il Cristo di Don Camillo è un Cristo umano. L’avete sentito prima, quando Don Camillo gli dice “non ho paura perché ho il miglior consigliere dell’universo”, il Cristo non sa più cosa dirgli, perché è un Cristo umano. E a lui Don Camillo si rivolge come ci rivolgeremmo noi, cristiani qualunque. E a dimostrazione di questo fatto, velocissimamente, il bambino di Peppone spesso si ammala. Questo libero Camillo Lenin, che viene battezzato anche nel film da Don Camillo, purtroppo è di salute piuttosto cagionevole; quindi, ogni tanto ha delle malattie anche abbastanza gravi. Per cui a un certo punto arriva Peppone con cinque ceri in chiesa e Don Camillo va ad accenderli davanti al Cristo. Peppone dice, no, no, quello è uno della vostra congrega. Accendeteli davanti a quella là, indicando la Madonna. Peppone esce e il Cristo dice, ma insomma mi dispiace un po’ che abbia offeso mia madre chiamandola quella là. E Don Camillo dice, no, no, Signore, avete capito male. Ha detto accendeteli davanti alla Madonna in quella cappella là. Quindi Don Camillo è talmente fiducioso della comprensione dell’umanità del Cristo che cerca di imbrogliarlo, figuriamoci se Dio non sa cosa ha detto Peppone. Lo sa benissimo perché il Cristo è Dio, non ci piove. Quindi questo è quanto. In questa pubblicazione trovate il parere di tanti, Giorgio Torelli, il Cardinale, il Vescovo emerito di Fidenza, Monsignor Carlo Mazza, insomma tantissimi scrittori, sono 50 mani perché gli autori sono 25, che ragionano di Don Camillo, del Cristo e di questo rapporto straordinario del quale appunto abbiamo cercato di parlare. Con questo mitaccio, riprendiamo il nostro incontro. La sera stessa in consiglio comunale ci fu burrasca grossa. L’unico consigliere d’opposizione, Spiletti, portò il discorso sul sindaco. “Non si sa dove sia il sindaco,” urlò. “Allora si mette un annuncio sui giornali. Competente mancia a chi riporterà un sindaco di colore rosso smarrito due mesi fa.”   

“C’è poco da fare gli spiritosi,” gridò il Brusco. “Nessuno sa dove sia il sindaco, neanche sua moglie.”   

“Io però lo so,” disse una voce, ed era Don Camillo. La gente ammutolì. Il Brusco impallidì.   

“Ditelo se lo sapete.”   

“No,” rispose Don Camillo. 

Beruschi. – 0:51:51 – “Però vi ci posso portare domattina.” 

Bandini. – 0:51:55 – Nella triste periferia di Milano, nel cantiere di un casamento in demolizione, Peppone stava sbadilando a fianco del suo camion. “Signor sindaco!”, la voce acuta di Spiletti lo riscosse facendolo balzare in piedi. Si trovò davanti al Consiglio comunale al completo.  

Govi. – 0 :52:11**   

“Non ci sono sindaci qui,” rispose. 

Bandini. – 0:52:14 – “Il guaio è che non ci sono sindaci neppure al Paese,” replicò lo Spiletti. “Vuol dirci dove possiamo trovarne uno?”   

“Affari che non mi riguardano,” affermò Peppone rimettendosi a sedere.   

“Il suo non è un linguaggio da sindaco,” protestò lo Spiletti. 

Govi. – 0:52:30 – “Il mio è un linguaggio di un uomo libero.” 

Bandini. – 0:52:34 – “Se vuole essere libero, dia le dimissioni,” urlò Spiletti.   

“Capo,” disse il Brusco, “perché ci hai abbandonato?” 

Govi. – 0:52:41 – “Io non abbandono nessuno,” affermò Peppone. 

Bandini. – 0:52:44 – “Sotto le sparate demagogiche non c’è niente di concreto,” strillò lo Spiletti.   

“Lo smilzo replicò,” intervenne Peppone.   

La discussione si fece serrata e così si svolse, fra le macerie di una casa milanese in demolizione, la più straordinaria seduta di consiglio comunale dell’universo. E fu una cosa lunga. E quando furono le 5 il guardiano disse che doveva chiudere il cantiere. Il consiglio si trasferì a posizione compresa sul cassone del camion e Peppone montò in cabina e mise in moto. 

Govi. – 0:53:13 – “Andiamo a cercare un posto più tranquillo.” Disse. 

Bandini. – 0:53:16 – Non si sa come, forse per la scarsa conoscenza della topografia di Milano, il fatto che a un bel momento il camion si trovò a navigare sull’asfalto della via Emilia. Peppone guidava a denti stretti, voleva dire qualcosa da un sacco di tempo e non riusciva a dirlo. A un tratto fece una brusca frenata. Uno dei soliti maledetti dell’autostop gli si era parato davanti e col pollice faceva segno che voleva andare in giù anche lui. Aveva nella mano sinistra un panettone e un palloncino della Rinascente. In testa portava un cappello da prete. Don Camillo salì, e Peppone innestò la marcia e partì con uno strattone da carro armato.  

Govi. – 0:53:56 – “Ma che io debba sempre avere certa gente tra i piedi!” Borbottò. 

Bandini. – 0:54:01 – Il camion pareva una sedici cilindri da corsa, e dava l’idea che dentro il cofano, al posto di un motore, ci fosse tutta l’orchestra di Toscanini. Apparve a un tratto lontano dietro l’angolo il campanile del paese. “Mah!” Sospirò Peppone.  

Beruschi. – 0:54:15 – “Chi dice ‘mah’ col cuor contento non ha,” commentò Don Camillo. 

Bandini. – 0:54:19 – E chi ‘mah’ non dice non è felice concluse un’altra voce che veniva da chissà dove e che soltanto Don Camillo poteva udire. Roba che succede in quel paese in riva al fiume, in quel piccolo paese che dovrebbe essere grande come il mondo. Questo, come ogni anno, è il nostro arrivederci al Meeting, un arrivederci di cuore che viene dal nostro mondo piccolo. Vi abbiamo portato i racconti del lager, il rapporto con le periferie, il mito di Giuseppe Verdi, la musica popolare, la poesia e la prosa della nostra terra sparsa lungo la riva destra del Po e attraversata dalla via Emilia. Una cosa manca, la musica leggera. Ma la musica leggera è quella che Guareschi chiamava “canzonette”, troverebbero spazio nel mondo piccolo. Letterariamente funzionano molto meglio le musiche da ballo dei cantoni e le immortali melodie verdiane. Ma discorrendo di trasposizioni cinematografiche e teatrali, c’è una scena nel sesto film, quello con Gastone e Moschin nei panni di Don Camillo, suggestiva anche se non scritta da Guareschi. Mentre il pretone e il sindaco tornano a casa camminando sull’argine, si sente fischiettare il motivetto beat suonato dai capelloni al matrimonio di Kat con Veleno. Don Camillo accusa Peppone di essere lui a fischiare, mentre a farlo è il Cristo della cappelletta sull’argine. E così, proprio con questa immagine di Peppone e Don Camillo che camminano sull’argine, vi diamo l’arrivederci. Ci prendiamo una pausa, ma torneremo, sulla scia della vostra sempre calorosa ed entusiastica accoglienza. Con un grazie di cuore a Giorgio Vittadini, a tutto lo staff del Meeting, alle meravigliose ragazze, agli straordinari ragazzi che abbiamo conosciuto e ci hanno accompagnati in questi anni di incontri indimenticabili. Il grazie più grande però va a voi che ci avete seguiti nel nostro cammino in compagnia di Giovannino Guareschi, un cammino che se vorrete proseguirà in attesa di rivederci a Rimini nel nostro mondo piccolo, in quella fettazza di terra grassa che sta fra il monte e il fiume, fra il Po e l’Appennino, una terra dove accadono cose che non accadono da nessun’altra parte, cose che non stonano mai con il paesaggio. E lì, nella nostra Bassa, come ha osservato Papa Francesco, si capiscono molto meglio Peppone e Don Camillo, e non ci si meraviglia che il Cristo parli e sorrida. Arrivederci. No, scusate, abbiamo ancora qualche minuto, se non avete particolarmente fretta. Vi leggo un avviso, poi lasciamo spazio alla musica. Caro amico, cara amica, verso la fine dell’incontro ti preghiamo di fare un breve avviso. Ognuno di noi può dare un contributo decisivo al Meeting e partecipare attivamente a questa grande avventura umana, alla ricerca dell’essenziale. Lungo tutta la fiera si possono trovare le postazioni “Dona Ora” caratterizzate dal cuore rosso. Le donazioni dovranno avvenire unicamente ai desk dedicati dove i volontari indossano la maglietta rossa “Dona Ora”. In questo particolare momento storico, dove sempre più incognite ci fanno chiedere come è possibile costruire dialogo e pace, non potevamo non sentirci provocati e riaccesi da quanto ci ha detto il Cardinale Pizzaballa nel suo intervento all’incontro inaugurale. Per questa ragione il Meeting devolverà parte delle donazioni raccolte nel corso di questa settimana per l’emergenza in Terra Santa e adesso, visto che abbiamo qualche minuto, io vorrei pregare i nostri musicisti di regalarci un ricordo vero della nostra Bassa e lo facciamo con un waltzer che era molto caro anche a Giovannino Guareschi perché dovete sapere che quando c’era la sagra in paese arrivava il concerto, che era quello che un tempo si chiamavano bande, arrivava il concerto, il più famoso era il concerto dei Cantoni e per far sì che la gente entrasse nel festival, che era quel tendone rotondo che sembrava la tolda di una nave, l’orchestra si metteva fuori, in piazza, di solito ai piedi del campanile, ed eseguiva un pezzo di musica che funzionava da invito, e quasi sempre questo invito era il famoso waltzer dei cantoni che si chiamava “L’usignolo”. E quando gli ottoni avevano finito il loro massiccio intervento, il clarinetto, che era dislocato non si sa dove, anche sul campanile, cominciava a snocciolare una serie infinita di note che planavano giù dall’alto, si distendevano come una formazione di aerei in volo, ritornavano verso l’alto, ritornavano ancora verso il basso per offrirsi alla gente, risalivano sfiorando i comignoli delle case, per perdersi nel buio della notte, ma rimaneva il solco nell’aria. 

Speaker. – 1:00:41 – “Beppe e ah ah no no no no” 

Speaker. – 1:03:32 – Grazie! Grazie di cuore a tutti! 

Speaker. – 1:03:53 – Grazie! Grazie a Enrico Beruschi, a Gianni Govi, al maestro Eugenio Martani, al maestro Corrado Medioli. Grazie a voi tutti, 

grazie a Don Giancarlo, alla professoressa Daniela Negri, grazie a tutti quanti, a mia moglie che mi sopporta da 40 anni. 

 

Data

23 Agosto 2024

Ora

19:00

Edizione

2024

Luogo

Sala Gruppo FS C2
Categoria
Incontri