ACCETTARE LA SFIDA DEL CAMBIAMENTO PER CRESCERE

In diretta su Agi, Askanews

In collaborazione con Cdo.
Roberta Cocco, Membro del Consiglio di Amministrazione de Il Sole 24 ORE; Antonio Gozzi, Presidente Duferco e Presidente Federacciai; Marco Hannappel, Presidente e Amministratore Delegato di Philip Morris Italia e Presidente Europa Sud-Occidentale di Philip Morris International; Bernardo Mattarella, Amministratore Delegato Invitalia; Francesco Seghezzi, Presidente Fondazione Adapt; Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy. Modera Guido Bardelli, Presidente Compagnia delle Opere.

Le transizioni digitale ed ecologica sono sfide che ci richiamano a un nuovo modo di fare impresa e quindi a un ripensamento delle modalità di lavoro che sino ad ora abbiamo portato avanti. Le twin transition a livello globale stanno portando a un ripensamento critico che non può non vederci protagonisti. I ragazzi che oggi hanno trent’anni non hanno mai vissuto l’inflazione e tutti ci troviamo in assenza di reali bussole capaci di interpretare al meglio il fenomeno. È anch’essa una sfida che non possiamo schivare come la drammatica attualità dalla guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina che ha messo in crisi alcune nostre certezze, prima fra tutte la pace che da settant’anni dominava nel continente europeo.  Imprenditore illuminato è chi si pone l’obiettivo di accettare il cambiamento che il quotidiano offre e non esserne un soggetto passivo. Il mondo del lavoro, specie tra le giovani generazioni, vive un ripensamento di priorità e obiettivi. Il dibattito vuole essere un momento di confronto tra chi ogni giorno è chiamato a interpretare il cambiamento nel suo agire, tra chi interpreta il nuovo mercato del lavoro e chi è ai vertici del Ministero che deve orientare la politica di sviluppo del Paese.

Con il sostegno di isybank, TIM, Eni, SGR Efficienza Energetica e Coldiretti.

ACCETTARE LA SFIDA DEL CAMBIAMENTO PER CRESCERE

ACCETTARE LA SFIDA DEL CAMBIAMENTO PER CRESCERE

 

Lunedì 21 agosto 2023, ore 19.00

Sala Conai A2

 

Partecipano

Roberta Cocco, membro del consiglio di amministrazione de Il Sole 24 ORE; Antonio Gozzi, pre-sidente Duferco e presidente Federacciai; Marco Hannappel, presidente e amministratore dele-gato di Philip Morris Italia e presidente Europa sud-occidentale di Philip Morris International; Bernardo Mattarella, amministratore delegato Invitalia; Francesco Seghezzi, presidente Fon-dazione Adapt; Adolfo Urso, ministro delle imprese e del Made in Italy.

 

Modera

Guido Bardelli, presidente Compagnia delle Opere

 

Introduce

Guido Bardelli, presidente Compagnia delle opere

 

Buonasera a tutti, buonasera al pubblico presente, a coloro che ci stanno seguendo in diretta streaming, ai nostri relatori che andrò tra breve a presentarvi. Accettare la sfida del cambiamento per crescere: questo è un tema che come Compagnia delle Opere abbiamo affrontato durante questi anni. La sfida del cambiamento che sta colpendo, che coinvolge le nostre imprese e che – lo diciamo più volte, lo avete sentito più volte dire da me – il cambiamento e la crisi può essere un’opportunità o può essere una maledizione per chi svolge la propria attività ogni giorno, im-prenditoriale o negli uffici. Il tema su cui e il compito che la Compagnia delle Opere vuole avere è proprio quello di un sostegno all’imprenditore per accettare l’opportunità del cambiamento. E questa opportunità passa, secondo il lavoro che abbiamo fatto quest’anno, attraverso tre punti principali che abbiamo individuato come temi di cambiamento, come temi di sfida: il lavoro, l’intelligenza artificiale e la situazione di inflazione e di aumento delle materie prime che ha ge-nerato in questi anni una situazione che sicuramente da molti anni non si vedeva. Quindi anche questo impone un cambiamento e impone una modifica del proprio modo di lavorare, del proprio modo di fare impresa, del proprio modo di concepire la propria impresa. Allora, parliamo di que-sti temi. Abbiamo come avete visto moltissimi, molti relatori, tutti autorevoli, quindi avremo un’altra sfida, che è quella di riuscire ad affrontare questo tema tutti insieme questa sera in un’ora che è già tarda ma che, vedo, non ha fatto perdere l’interesse alla gente del Meeting.

Ne parliamo con Roberta Cocco, membro del consiglio di amministrazione de Il sole 24 ore, con Antonio Gozzi, presidente Duferco e presidente di Federacciai, con Marco Hannapel, presidente e amministratore delegato di Philip Morris Italia e presidente Europa sud-occidentale di Philip Mor-ris international, con Bernardo Mattarella, amministratore delegato Invitalia, con Francesco Se-ghezzi, presidente Fondazione Adapt e con Adolfo Urso, ministro delle imprese e del made in Italy, che ringrazio, il Ministro e tutti i relatori, per la loro presenza.

Cambio l’ordine della presentazione, perché abbiamo visto questi tre temi, lavoro, intelligenza artificiale e inflazione e aumento delle materie prime come i tre temi da affrontare per primi in questo dibattito per poi continuare con gli altri protagonisti del dibattito stesso.

Iniziamo da un tema che ci dà particolare preoccupazione ma che anche ci incita ad un approfondimento del tema stesso. Avete visto che il tema del lavoro è un tema trasversale nel Meeting, c’è una mostra, c’è Fondazione per la sussidiarietà che ha affrontato questo tema con alcuni incontri durante la giornata. Noi oggi abbiamo chiesto a Francesco Seghezzi, che ringrazio per la sua pre-senza e per la sua disponibilità, di aiutarci, brevemente perché il tempo è tiranno, in questo per-corso, in parte di conoscenza e in parte anche di suggerimento di che cosa sta succedendo nel mondo del lavoro, le grandi dimissioni, il difficile spesso rapporto tra le generazioni, e però anche capire come questa è un’opportunità e una sfida per le imprese italiane e in particolare per la pic-cola e media impresa.

A te, Francesco, grazie.

 

Seghezzi. Grazie. Grazie a tutti, grazie dell’invito. Io inizio con qualche dato. Il tema del lavoro può essere letto da tantissimi punti di vista. Ne ho scelto uno nello specifico, perché mi sembra sia un tema che riguardi il cambiamento già in corso e che riguarda in modo inequivocabile, e da un certo punto di vista anche inarrestabile, i prossimi decenni.

Vi dico qualche dato. Negli ultimi cinque anni, quindi tra il 2017 e il 2022, la popolazione in età da lavoro, quindi quella tra i 15 e i 64 anni, in Italia è diminuita di 750.000 unità. Quindi abbiamo 750.000 lavoratori potenziali in meno. L’età media, nello stesso arco di tempo, è aumentata da 38 a 44 anni, l’età media dei lavoratori. Nello stesso arco di tempo, gli occupati con meno di 35 anni, cioè i giovani di cui tanto parliamo, sono diminuiti di 3,6 milioni (parliamo di milioni, quindi delle cifre enormi) e i lavoratori con più di 45 anni sono cresciuti di 4,2 milioni. Quindi noi, negli ultimi cinque anni, e se poi prendiamo il decennio è ancor peggio, abbiamo completamente cambiato la struttura occupazionale italiana, caratterizzandola con un invecchiamento della popolazione. Noi abbiamo meno giovani, non soltanto meno giovani che possono lavorare, ma meno giovani in ge-nerale, e questo è l’elemento che non può che – secondo me, ovviamente – governare e in qual-che modo giudicare le scelte di cui chi fa impresa oggi, ma in generale tutti gli attori del mercato del lavoro, deve tenere conto.

Abbiamo parlato per anni del fatto che mancava lavoro, adesso quando aprite i giornali leggete che mancano i lavoratori, mentre il lavoro c’è. Noi oggi abbiamo in Italia il più alto numero di oc-cupati da quando abbiamo iniziato a contarli. Abbiamo il più alto numero di occupate donne da quando abbiamo iniziato a contarle. Abbiamo il più alto numero di occupati a tempo indetermina-to da quando abbiamo iniziato a contarli. Quindi il tema qui è sempre di più, per usare un termine che può sembrare freddo, di risorse che mancano, è un tema di qualità ma perché all’origine c’è un tema di scarsità. Quindi all’origine c’è un tema di quantità.

E l’ultimo dato che vi dico in questa breve introduzione è che questa è la situazione degli ultimi cinque anni. Le previsioni dell’ISTAT, quindi non di qualche ente un po’ catastrofista, sono che en-tro il 2036 l’Italia perderò 3,5 milioni di individui ulteriori in età lavorativa. Quindi la prospettiva è quella di uno svuotamento della popolazione e quindi della popolazione lavorativa, che non potrà più farci dire “non troviamo i lavoratori perché la gente non ha voglia di lavorare” (cosa che sicu-ramente succede, sicuramente ci sono persone che potrebbero farlo e non lo fanno, è evidente), ma questa tesi alla lunga non reggerà più, perché mancheranno i lavoratori perché mancheranno le persone. E questo è inevitabile. Questo dato tiene conto dell’apporto positivo dal punto di vista numerico dell’immigrazione, quindi tiene già conto di questo. Per cui questo secondo me è lo sce-nario: abbiamo fatto tanti anni a preoccuparci del fatto che la tecnologia, di cui parlerà Roberta dopo, ci avrebbe rubato il posto di lavoro. E noi oggi viviamo il tema che abbiamo posti di lavoro ma non abbiamo le persone: tutt’altro scenario. Quindi questo cosa dice? Due punti. Dice che i giovani sono una merce rarissima e che chi oggi si perde per strada un giovane, si perde per stra-da una delle poche possibilità che ha di innovare, di portare novità, di portare innovazione da tanti punti di vista, ma soprattutto ci dice che è molto facile perderceli per strada, perché sono pochi e non devo spiegare a voi l’incontro tra la domanda e l’offerta, nel senso che laddove ci sono tante imprese che cercano e pochi giovani, inevitabilmente, andando a prendersi i migliori, difficilmen-te poi possiamo stupirci del fenomeno delle dimissioni che è in crescita e che è in crescita soprat-tutto per le quote anagrafiche più giovani. Quindi c’è un problema di come attrarre le persone e di come trattenerle, soprattutto sui giovani ma non solo, perché tante volte noi abbiamo una vi-sione un po’ salvifica dei giovani, entra un giovane e porta automaticamente innovazione. Chi fa impresa sa benissimo che le persone che hanno più esperienza tante volte sono ancora più prezio-se. Oggi un tecnico non più tanto giovane che viene rubato da un’altra azienda rischia di mettere in serie difficoltà magari un’impresa piccola che ha formato quella persona per tanti anni. Quindi il messaggio principale che voglio dare è che non ci sono più tante scuse da questo punto di vista, il tema di come trattenere e di come attrarre le persone è il tema del futuro. Sicuramente pos-siamo muoverci col piano B, ossia quello di introdurre più automazione su alcuni processi, inevita-bilmente si andrà in questa direzione, anzi, abbiamo avuto troppa paura negli ultimi anni di que-sto, quando in realtà invece è necessario. Però non è l’unica soluzione. E quindi qui deve cambiare l’approccio a partire da un punto, che è l’ascolto. Soprattutto quando parliamo di giovani, c’è un tema di capirne le esigenze. SI discuteva con Guido in questi giorni del fatto che a volte non si rie-sce neanche a scontrarsi tra generazioni perché non si capisce di cosa si sta parlando. Magari ti dico: sì, sono d’accordo con te, ma in realtà non ho capito quello che stai dicendo. Quindi c’è un tema di ascolto e del tener conto che ci sono una serie di esigenze che sono diverse. C’è un inte-resse maggiore nei confronti degli equilibri tra la vita e il lavoro, c’è un interesse maggiore ad avere una chiarezza delle prospettive di crescita e di carriera, c’è un interesse maggiore all’avere una prospettiva di formazione che magari un tempo non veniva considerata. E la sfida dell’impresa se-condo me, e chiudo, così lascio tempo agli altri, è quella di distinguere quando questo ascolto porta a in-tercettare delle esigenze vere, o quando porta a intercettare delle pretese che invece a volte sono fuori dal mondo. Perché chi dice: entro in azienda e voglio diventare dirigente nel giro di un anno, perché ho le competenze, ho studiato in una buonissima università, sappiamo benissimo cosa significa. Ma allo stesso tempo questo non dev’essere buttare il bambino con l’acqua sporca. Quindi l’impresa dovrà sempre di più secondo me, data questa scarsità di risorse che è strutturale, e possiamo fare tutti i piani sulla natalità che vogliamo ma i risultati li vediamo tra vent’anni, perché se nasce una persona adesso non lavora dopo-domani, che sono importantissimi ovviamente, non voglio dire che non losono, ma nell’immediato per trattenere e trovare queste persone bisognerà sempre di più imparare ad ascoltare, capendo e quindi qui c’è tutto il tema della responsabilità dell’impresa, quando è davanti alla sfida del cambiamento o quando è davanti appunto magari a delle pretese che risentono di un contesto culturale molto diverso rispetto a quello del passato. Motivo per cui, chiudo, essere insieme tra imprese credo sia assolutamente importan-te, perché prendere abbagli su questo fronte è facile e ci si fa anche molto male.

Grazie.

 

Bardelli. Grazie, ci hai già dato alcune parole come responsabilità e essere insieme, che penso siano il filo rosso non solo di questo Meeting, ma anche del lavoro di ogni giorno della CdO, ma io lascerei alla professoressa Cocco immediatamente la palla, perché intelligenza artificiale, anche questa è una maledizione da guarda-re, per la piccola e media impresa, o è un’opportunità? E anche il rapporto con la questione del lavoro penso sia … Quindi a lei, grazie ancora di essere venuta.

 

 

Cocco. Grazie, grazie di questo invito. Allora, l’intelligenza artificiale non è il demonio, è semplicemente un insieme di algoritmi che un essere umano scrive, quindi dietro c’è sempre un essere umano, e che deve avere l’obiettivo di migliorare qualche cosa, migliorare un processo, migliorare uno stato, aiutare nel leggere miliardi di dati che tante persone non riuscirebbero a fare se non in anni, magari in pochi minuti, talvolta anche in qualche secondo. Al di là dell’intelligenza artificiale, che è sicuramente la più disruptive, la più rivoluzionaria delle tecnologie e che non nasce ieri ma è in studio da decenni, quello che è importante, devo dire che il collega ha toccato molto punti chiave, è che le imprese, le aziende, di qualsiasi dimensione siano, soprattutto di dimensioni medie o piccole, devono essere preparate, devono prepararsi a quello che sta avvenendo, non che avverrà, ma che in parte è già avvenuto e che sta avvenendo. Prepararsi co-me? Prepararsi attraverso la capacità di decodificare quelle che sono le innovazioni che stanno arrivando: reingegnerizzare i processi, anche attraverso l’intelligenza artificiale, significa offrire un beneficio all’azienda, significa migliorare la produzione, significa analizzare che le varie componenti lavorino nel mo-do adeguato. Come si può fare? Si può fare avendone le competenze. Il collega prima ha sottolineato la mancanza di persone, di personale ma mi piace di più dire, usare il termine persone. Io sottolineo, anzi, sottolineatura doppia, la drammatica carenza di competenze tecnologiche che il nostro Paese ha. Segnalo solo un indice, c’è un indice internazionale che si chiama DESI, che definisce lo stato digitale dei vari Paesi secondo diversi parametri. L’Italia ha recuperato molti posti negli ultimi anni, e lo sta continuando a fare, c’è però un parametro dove siamo penultimi, drammaticamente penultimi, ed è proprio quello delle competenze. Loro lo definiscono il capitale umano. Questo è un problema trasversale, è un problema che tocca moltissimo le aziende, che se non hanno le competenze continueranno a vedere l’avanzamento tecnologico con paura, con timore, con riserva, perché probabilmente non hanno gli strumenti per com-prenderne appieno il valore. Dall’altra parte, se non abbiamo le persone formate come facciamo ad attira-re le persone giuste in azienda? E qui c’è la prospettiva dei giovani. Questo è il primo periodo della storia in cui stanno entrando nel mondo del lavoro la famosa generazione Z, ovvero la generazione che è quella che noi adulti (o boomer, come ci chiamano i figli) chiamiamo nativi digitali. Cioè, i ragazzi che entrano oggi nel mondo del lavoro sono quelli che non hanno mai visto un telefono con la corda, mentre io ricordo da piccola che a casa di mia nonna c’era il duplex e quindi se la vicina telefonava a casa nostra non si poteva usare il telefono. Queste sono cose che sembrano preistoria per i ragazzi che entrano nel mondo del lavo-ro adesso. Ma da parte delle aziende questi giovani devono essere considerati una risorsa incredibile, in-nanzitutto perché hanno una enorme capacità nel fruire la tecnologia. Sì, lo fanno anche per giocare, per divertirsi, ma lo fanno perché hanno una capacità, una facilità, e soprattutto hanno fiducia nella tecnolo-gia, cosa che noi adulti abbiamo di meno. Le aziende devono non solo attrarre i giovani, ma considerare i giovani come una forza incredibile, complementare alle persone che sono in azienda e hanno il know-how, la cultura che in qualche modo soprattutto gli imprenditori si identificano con l’azienda. Una volta i giovani che entravano in azienda, mi piace usare un termine informatico, venivano formattati secondo l’azienda, gli veniva un po’ fatto il lavaggio di quello che era l’azienda, la cultura, le modalità, il perimetro. Ora le aziende devono accogliere i giovani con grande disponibilità, perché è necessario fare un nuovo patto intergenerazionale, dove gli adulti che stanno in azienda possono offrire l’esperienza e la cultura, e anche la visione che ha reso grande quella specifica azienda, ma i giovani hanno l’enorme capacità di avere una relazione immediata con la tecnologia, che dev’essere messa a servizio dell’azienda. Le persone all’interno dell’azienda devono essere in grado di aiutare i giovani a lavorare affinché di qualunque tecno-logia si parli, e l’intelligenza artificiale è una di queste, quindi benissimo la capacità computazionale estre-ma, ma che sia messa a servizio dell’azienda. L’errore più grave è quello di voler digitalizzare dei processi inefficienti. Si avranno degli ottimi inefficienti processi digitali. Quindi il lavoro dev’essere complementare, il lavoro dev’essere affrontare con un pochino più di fiducia quello che la tecnologia ci offre e valorizzare i giovani che per loro fortuna hanno una capacità incredibile di poter accogliere le novità.

 

 

Bardelli. Grazie. Anche qua due o tre parole che penso ci aiuteranno in questa riflessione. Presidente Gozzi, che cosa sta succedendo e come si può lavorare come piccola e media impresa in un contesto in-ternazionale così modificato? Io lo dico sempre, noi eravamo sordi, il Papa tra l’altro ce lo stava dicendo che c’erano le guerre, ma fino a quando non ci ha coinvolto così da vicino eravamo, no-stro grande limite, un po’ sordi. Come si lavora in questo nuovo contesto, e che sfida e che oppor-tunità ci pone anche questa drammaticità in cui stiamo lavorando?

 

Gozzi. Buonasera, grazie dell’invito. Ma, in effetti questo grande cambiamento è vero. Ne parlavo con i miei figli l’altro giorno, sono due trentenni, e notavamo che tre avvenimenti, come una pandemia che il mondo non aveva mai conosciuto, una guerra in Europa che non si era mai vista già nella nostra generazione, a maggior ragione in quella dei miei figli, e un’inflazione che io ho conosciuto, perché sui banchi dell’università, quando io ahimè ero studente universitario avevamo un’inflazione a due cifre. Ma i trentenni questa inflazione non l’hanno mai vista, anzi, vengono da una era deflazionistica, da un’era totalmente di prezzi fermi. Allora, il tema dell’inflazione che poi ci porta al ragionamento sulle materie prime, è un tema che va inquadrato senza ansie eccessive e senza paure. L’inflazione è partita nel mondo per strozzatura dell’offerta dopo il grande rimbalzo post-Covid, delle isteresi temporali che hanno coinvolto le catene produttive e logistiche ma che sono state recuperate, e dalla crisi energetica, dovuta all’invasione russa, alla guerra, alle sanzioni che ne sono venute. Entrambi questi due fattori inflazionistici stanno rallentando, infatti l’inflazione mondiale sta rallentando, quindi io voglio dare dal mio punto di vista un messaggio di fiducia, perché le catene dell’offerta si sono rimesse a posto e perché quella che andrà a essere la più grande economia del mondo, la più grande soprattutto domanda di materie prime, rappresen-tata dalla Cina, che vive un momento di rallentamento, un momento non facile, da questo punto di vista raffredda la domanda di materie prime. Il tema energetico è un tema che ha visto l’Italia impegnata ad una sostituzione della dipendenza russa, il livello degli stock di gas è altissimo, ci stiamo avvicinando ad un inverno che non dovrebbe essere drammatico, il sistema Italia ha fun-zionato bene da questo punto di vista, nel senso che ha avuto una capacità di reazione veloce e ef-ficace. Dal mio punto di vista, lasciatemi spendere due parole sulla siderurgia, ma la siderurgia italiana, da un certo punto di vista emblematica di una vicenda storica importante che valorizza il Paese, le sue qualità, le sue abilità. Allora, noi abbiamo una siderurgia che per l’80 per cento è decarbonizzata. Se ne parla poco, spesso quando si parla di siderurgia in Italia si ha in mente il problema dell’Ilva, però su 24 milioni di tonnellate, 20 milioni sono prodotte da aziende elettrifica-te, quindi decarbonizzate. Non esiste nessun paese europeo che ha l’80 per cento della sua produ-zione di acciaio già decarbonizzata. Da dove viene questa storia? Viene dall’intuizione dei nostri padri, in un’Italia post bellica, completamente distrutta, non avendo i soldi per costruire le grandi siderurgie da altoforno e dovendo inventarsi un modo per produrre acciaio, in particolare tondo da cemento armato per la ricostruzione, colsero, fecero diventare una scarsità un’opportunità. La scarsità era quella di soldi, di soldi disponibili per investire in asset così pesanti come quelli side-rurgici. Quindi si inventarono la siderurgia e forno elettrico, che ha un rapporto uno a dieci dal punto di vista dell’investimento rispetto alle siderurgie grandi da ciclo integrale. Quindi la povertà generò un’invenzione. I mini mills non li hanno inventati gli americani, i mini mills li abbiamo in-ventati noi in Italia. Avevano bisogno di energia elettrica, erano vicini alle valli prealpine e aveva-no i salti d’acqua e le centrali idroelettriche prealpine. Prima che Greta Tumberg venisse al mon-do questi si erano già inventati una siderurgia che sfruttava energie rinnovabili. Ma non solo. Sic-come c’era un sacco di distruzione, di case cadute, di rottame da recuperare, questi nostri grandi vecchi hanno inventato la più grande macchina di economia circolare ante litteram, senza sapere che si occupavano di economia circolare, ma hanno inventato la più grande macchina di economia circolare che esiste in Europa, perché nessun paese europeo ricicla più di 22, 23 milioni di tonnel-late di rottame, che se non ci fosse questa macchina che lo riutilizza all’infinito sarebbe da qual-che parte, probabilmente a rovinare il territorio. Perché vi ho raccontato, soprattutto ai giovani, questa parabola? Perché in questa parabola secondo me ci sta tanto della capacità degli italiani di fare di necessità virtù, di rimboccarsi le maniche, di essere creativi e inventivi. Questo è un mes-saggio che voglio dare soprattutto ai giovani, perché noi non possiamo, sia pure nelle difficoltà, sia pure in queste incognite di cambiamento, che però l’umanità ha vissuto tante volte, noi viviamo questa, non possiamo non ancorarci da una parte alle grandi capacità italiche, che fanno sì che la nostra manifattura sia una straordinaria manifattura, che ha retto il Paese anche nei momenti più difficili, ad affrontare i temi secondo una logica di definizione e di razionalità, perché l’unico modo di sconfiggere la paura è quello di essere razionali, di analizzare i problemi, di affrontare soluzioni praticabili. Io mi batto tutti i giorni, e chiudo perché se no vado troppo alle lunghe, ma sai che questi temi mi stanno a cuore, mi batto contro una visione della transizione energetica, della de-carbonizzazione che è diventata una nuove religione estremista, e che non tiene conto invece del fatto che anche la decarbonizzazione deve servire l’uomo, non è una religione metafisica, e quindi se l’Europa continua a sbagliare l’approccio, perché ha un approccio estremista di fronte a questo problema, e non si cura ad esempio del suo sistema industriale europeo, che rischia di essere messo in un angolo da politiche e pratiche estremiste della decarbonizzazione, lo fa uno che, ripe-to, è presidente di un’industria che è decarbonizzata, che sta investendo in energie rinnovabili ogni volta che può, perché vuole essere la prima all’orizzonte del 2030 a produrre acciaio totalmente green, e che però si rende conto del fatto che un patrimonio industriale, sociale, occupazionale come quello dell’industria, della manifattura europea, tedesca, italiana, francese eccetera, va sal-vaguardato, perché nel momento in cui non esiste più impresa, non esiste più tecnologia, non esiste più la capacità razionale di affrontare le sfide del futuro. Perché sono le imprese che fanno succedere le cose, il futuro si costruisce sulle gambe delle imprese, sulle gambe della razionalità e della tecnologia che le im-prese mettono a disposizione del mondo.

 

Bardelli. Bene. Grazie, grazie per le sollecitazioni, presidente Gozzi, che speriamo di riuscire a riprendere in un rapidissimo secondo giro. Dottor Mattarella, la collaborazione pubblico-privato in questa sfida, l’esperienza anche delle start up che voi avete aiutato a nascere: ecco, che cosa sta succedendo su questo fronte e come vedete anche il ruolo di Invitalia come sostegno a questo cambiamento d’epoca, secondo la famosa frase di papa Francesco? Grazie ancora di essere tra noi.

 

Mattarella. Buonasera e grazie ancora. Noi abbiamo visto, lo diceva prima il presidente Gozzi, siamo passati attraverso tre anni particolarmente disruptive: abbiamo visto una pandemia, abbiamo visto una guerra provocata da un’invasione. Noi abbiamo vissuto insieme con le imprese con il sistema im-prenditoriale, questi passaggi. Abbiamo visto che il sistema imprenditoriale è un sistema che si adatta, è un sistema che ha fino adesso trovato le contromisure, ovviamente con l’aiuto dell’intervento pubblico, per venire alla sua sollecitazione, per passare più o meno indenne attra-verso la pandemia e per resistere a ciò che la guerra, ma prima ancora il cambiamento, le modi-fiche drammatiche nelle catene internazionali del valore, quindi il fenomeno del decoupling che già si cominciava a vedere prima dei primi mesi del 2022, le imprese si stanno muovendo per re-sistere e per innovarsi attraverso gli investimenti che noi collaboriamo a sostenere. Abbiamo visto un sistema imprenditoriale più vivace di quello che si può pensare. Solo nel 2022 il sistema Invita-lia ha sostenuto oltre centomila imprese, ha contribuito a farne nascere quasi cinquemila, ha creato o salvaguardato quasi 35.000 posti di lavoro e ha attivato 18 miliardi, ha consentito di atti-vare 18 miliardi di investimenti. Ha anche collaborato, attraverso un altro mestiere che fa Invita-lia, quello di supportare la pubblica amministrazione negli investimenti pubblici, ha anche attivato 15 miliardi circa, poco più di 15 miliardi di investimenti pubblici attraverso la gestione delle gare come centrale di committenza. Questo ci ha consentito, ripeto, di vedere un sistema vivace che in questo momento va sostenuto nella sfida più importante che è quella, di cui parlava anche il pre-sidente, della fiammata inflattiva, e quindi della crescita dei tassi che noi come soggetti pubblici possiamo aiutare a mitigare appunto col nostro intervento finanziario. Di cosa hanno bisogno se-condo noi le imprese e cosa si propone di fare Invitalia? Le imprese hanno bisogno di un sistema che esca un po’ dall’emergenza, dall’approccio emergenziale, che ha sicuramente aiutato ma ha creato interventi una tantum, qualche volta anche sovrapponibili uno con l’altro quindi anche con alcune duplicazioni, per andare verso un sistema di incentivi alle imprese che consentano alle im-prese di pianificare e programmare i propri investimenti, attraverso la certezza dei tempi e attra-verso un rapporto amichevole, a proposito del tema del Meeting, che noi vogliamo mantenere con le imprese sedendoci dalla stessa parte, diciamo, del tavolo rispetto a loro. Per questo contiamo, nel nuovo piano strategico di Invitalia, di essere non soltanto gestori di incentivi, ma anche attua-tori di programmi complessi. A questo proposito noi abbiamo da poco firmato, siglato un protocol-lo con il ministero delle imprese per supportarli nella definizione delle nuove politiche industriali del Paese, attraverso anche la realizzazione di strutture che consentano una crescita sostenibile, la coesione e l’inclusione, perché gli investimenti non devono essere cattedrali nel deserto. A questo proposito abbiamo visto, per venire all’ultima parte della sua sollecitazione, abbiamo visto soprat-tutto da parte dei giovani, di quelli che vogliono creare nuove imprese, un grande desiderio di im-prenditorialità, sia innovativa che tradizionale, che noi supportiamo con tutta una serie di stru-menti ma anche e soprattutto con un supporto formativo imprenditoriale, di formazione imprendi-toriale. La cosa fondamentale comunque, e in questo senso il disegno di legge che si sta discuten-do a proposito della riforma degli incentivi può essere molto utile, può andare in questa direzione, come dicevo prima, la cosa importante per le imprese è fornire, è dar loro un quadro di insieme stabile e programmabile.

Bardelli. Grazie. Allora, conclude questo primo giro Marco Hannappel, a cui chiediamo l’esperienza del cambiamento in corso in una grande società, tra l’altro internazionale, con un grande punto di vi-sta internazionale. E questa esperienza può essere un aiuto a chi sta raccogliendo e accettando la sfida del cambiamento. Prego. Grazie ancora di essere venuto.

Hannappel. Grazie a voi dell’invito, ancora, buonasera a tutti. Sì, una trasformazione internazionale, ma in realtà molto locale, quindi … Come sapete Philip Morris da tanti anni è un’azienda che più o me-no, negli ultimi sessant’anni, quest’anno in Italia festeggiamo il sessantesimo anniversario della nostra presenza nel nostro Paese, ha fatto un prodotto immutato e immutabile dall’epoca di Hum-phrey Bogart e di John Wayne (oggi parlavamo dei giovani, molti giovani forse non sanno neanche chi sono) ad oggi è lo stesso identico prodotto, un prodotto immutabile, un prodotto che non muta, non genera niente, non genera investimenti, non genera posti di lavoro, non genera digitalizzazio-ne. Per riuscire a cambiare un prodotto di questo tipo serve, è servito tantissimo sforzo con un fo-cus molto importante sul nostro Paese, 11 miliardi di dollari investiti in ricerca e sviluppo, centri di ricerca aperti in svizzera e a Singapore, viene trovata la formula per un prodotto che sostituisce le sigarette tradizionali, che fondamentalmente è il tabacco riscaldato che molti di voi conoscono e che viene prodotto a Bologna, e per farlo si costruisce nel nostro Paese non una fabbrica ma una filiera integrata che oggi dà lavoro, parliamo di una fabbrica che è il pilastro di questa filiera inte-grata, che è il più grande investimento nel nostro Paese in un impianto produttivo di questo seco-lo, quindi in questo secolo non c’è una fabbrica più grande fatta nel nostro Paese, 1 miliardo e 200 milioni di investimento, con un importantissimo profilo, cioè la creazione di un prodotto che non esiste con macchinari che non esistono per essere esportato in tutto il mondo, da un campo di sterpaglie alla più grande fabbrica fatta nel nostro Paese a tempo di record.

Oggi per darvi un’idea questo impianto produttivo esporta da solo più di tutto l’olio d’oliva italia-no, esporta da solo più di tutti i motorini italiani, più di tutti i formaggi stagionati italiani, però fi-liere che non sono piccolissime nel nostro Paese. Ripeto, per un impianto produttivo che sei anni fa era un prato di sterpaglie a lato dell’autostrada A1.

Accanto a questo l’agricoltura. Nel nostro Paese 22.500 persone hanno un contratto con Philip Morris, che investe 500 milioni di euro ogni cinque anni con un’attività che facciamo con Coldiret-ti, che è il nostro partner: acquistiamo tutto il prodotto che Coldiretti produce, lo compriamo a cinque anni, lo compriamo più caro di quello che il prodotto vale, a fronte di una grande ottimiz-zazione della risorsa idrica, energetica, dell’attenzione al personale che lavora in questo settore, e non solo, questo pezzetto di innovazione che abbiamo portato nel nostro Paese ha portato ad una catena di altri investimenti che siamo riusciti a portare in Italia: centri digitali al sud, uno a Taran-to con 370 posti di lavoro aperto nel 2020, nel 2023, a marzo abbiamo inaugurato il centro di Marcianise, provincia di Caserta, 250 posti di lavoro, abbiamo annunciato a Terni, altra città che viene dal mondo dell’acciaio, altri centinaia di posti di lavoro che inaugureremo già all’interno probabilmente del 2023 e abbiamo creato un impianto industriale che sviluppa non solamente prodotto fisico, ma sviluppa nuove fabbriche. L’anno scorso abbiamo inaugurato il più grande cen-tro di ricerca e sviluppo di Philip Morris al mondo: è una fabbrica che fa fabbriche. Quindi in Italia operiamo con 7500 imprese italiane, normalmente sono aziende che fanno macchinari, che fanno strutture industriali, di industria 4.0 e oltre, e grazie a questa partnership disegniamo insieme le fabbriche del futuro, le creiamo qui e poi le esportiamo in Corea del sud, in Romania, in Portogal-lo, in tutti i Paesi del mondo e anche negli Stati Uniti dove, anche lì, arriveremo con i macchinari fatti in Italia.

Un investimento da 600 milioni di euro in tre anni, con 800mila posti di lavoro creati e che non so-lo è il cervello di un’azienda come la nostra, perché una fabbrica sono i muscoli, ma la ricerca e sviluppo è il cervello, ma che è destinata a crescere, perché l’ingegneria italiana ha tantissime possibilità di svilupparsi ed essere integrata con le piccole e medie imprese, necessita, la piccola e media impresa italiana, del capofila, della azienda grande che porta tutti insieme, unisce questo filo che in poco tempo può portare tantissimo. Nel nostro caso, dicevo, in 6 anni e mezzo ha porta-to 38mila posti di lavoro e pesa oltre mezzo punto del PIL del nostro Paese. Ripeto, sei anni e mez-zo fa un prato di sterpaglie. Questa trasformazione non è solo di macchine e di prodotto, ma è una trasformazione di persone. Diceva prima la d.ssa Cocco quanto sia difficile pensare ad un’azienda che si sviluppa senza competenze: ecco, in passato le grandi multinazionali, ma in generale le aziende, facevano i centri di formazione interni focalizzandosi su due momenti aziendali, fonda-mentalmente quando entri in azienda, e anche se sei uscito dalla migliore università politecnica del mondo, non sei pratico di quello che devi fare in un impianto produttivo, quindi all’ingresso in azienda, oppure all’età mia. Cinquant’anni, due giri di cacciavite e ti riposizioniamo verso un mo-mento di aggiornamento delle tue competenze. Ecco, questo è un modo molto vecchio di vedere un centro di formazione, e per farlo diverso abbiamo fatto un centro di formazione – l’abbiamo inaugurato anche questo l’anno scorso – che si chiama Institute for manufacturing competences, che non solo dà alla persona, al mio collega che lavora e che entra in azienda, una formazione continua per tutto il periodo in cui è all’interno di un posto di lavoro, cosa che non ritengo impor-tante solo per una multinazionale, io lo ritengo un diritto di un lavoratore, la possibilità di essere sempre costantemente formato ed accedere a possibilità formative che gli danno possibilità di crescita, di sviluppo, ma soprattutto di tenersi il posto di lavoro perché è necessario all’azienda, essendo una persona che ha questa formazione. Ma di cominciarlo prima. Lo abbiamo fatto con gli ITS dell’Emilia Romagna e della Puglia, formando i formatori, quindi i professori degli istituti tecnici che in Italia ci siamo un po’ dimenticati negli anni e con una partnership con le più grandi università italiane, l’Università Federico II, l’Università di Bologna, il Politecnico di Torino, di Bari, tantissime strutture anche di centri di competenze del Ministero del Made in Italy, come il Cim 4.0 a Torino o il Bi-Rex. Una creazione di quella che è una attività formativa non solo per noi, ma per tutte le aziende che appunto fanno parte di queste 38.000 persone che lavorano al 100 per cento per Philip Morris Italia.

 

Bardelli. Grazie. Ministro, grazie ancora della sua presenza, a lei la parola. Direi che le sfide le abbiamo raccontate, tra le tante sfide. Il vostro ministero è un ministero chiave, penso che anche appunto il ministero, la politica, di fronte a una epoca così cambiata, sia chiamata ad affrontare in modo in-novativo i problemi che ci sono. Quindi lascio a lei la parola per capire come il ministero da lei di-retto si sta preparando su queste sfide, sta sostenendo le nostre imprese su queste sfide.

 

Urso. Innanzitutto vi ringrazio dell’invito. Sono voluto essere qui presente anche perché credo che sia estremamente importante ascoltare, guardare, percepire e confrontarsi sulla cose che dobbiamo fare insieme. L’anno scorso molti di coloro che vennero in questo Meeting, non soltanto qui, mi ri-ferisco soprattutto a quello successivo, a cui parteciperò a Cernobbio, si era già in campagna elet-torale, e prefiguravano, sulla base dei sondaggi, il crollo del Paese, dell’Italia. Chi è che non ricor-da le previsioni? Dicevano che con il governo di Giorgia Meloni lo spread sarebbe stato talmente ampio da rendere insostenibile il debito pubblico italiano.

Sommessamente dico che invece è accaduto il contrario, lo spread si è notevolmente ridotto, e i titoli di Stato italiani sono andati a ruba. Poi sostenevano che con il governo di Giorgia Meloni gli investitori stranieri sarebbero fuggiti dal nostro Paese. Ricordate? Sommessamente dico che inve-ce, come dicono tutte le statistiche, gli investimenti stranieri sono cresciuti, per la prima volta, più in Italia che negli altri paesi europei, più in Italia che in Germania o in Francia. Poi si prefigurava il dramma del crollo della Borsa italiana, perché sarebbero fuggiti tutti dalla Borsa italiana col go-verno di Giorgia Meloni. Invece è avvenuto esattamente il contrario: la Borsa italiana ha segnato il record storico ed è cresciuta in questi mesi più di quanto siano cresciute le altre Borse europee, credo anche oggi. Prefiguravano la bocciatura dei mercati internazionali e delle agenzie di rating, e invece l’altro giorno una delle agenzie principali internazionali ha certificato e promosso l’Italia, bocciando gli altri paesi europei. Prefiguravano che saremmo entrati in recessione e invece l’Italia, sino ad oggi, è cresciuta più di quanto siano cresciuti gli altri paesi europei, purtroppo in recessione sono entrati la Germania, che ci preoccupa molto perché è il principale partner italiano, l’Olanda, l’Ungheria, e temo anche altri paesi europei. Ma non l’Italia.

Prefiguravano che Giorgia Meloni avrebbe portato l’Italia all’isolamento internazionale, nessuno ci avrebbe più ricevuti. Ricordate? Nessuno ci avrebbe più ricevuti. E invece l’Italia è tornata al centro della politica europea e internazionale e Giorgia Meloni è contesa dai grandi del mondo.

È accaduto esattamente il contrario di quello che prevedevano, anche perché l’Italia è molto migliore di quanto gli altri pensano. E quella che appariva una anomalia, un sistema economico italiano costruito su piccole e micro imprese, su filiere industriali, su distretti nelle valli, che si ostina a produrre prodotti agricoli quando è meglio farli altrove, che si ostina a fare prodotti alimentari quando è meglio importarli da altrove, che si ostina a fare prodotti industriali quando c’è la gran-de industria della Cina a più buon mercato e basso costo, questo sistema anomalo nell’economia globale è oggi considerato il modello da imitare nell’economia attuale, proprio perché non ha ri-nunciato a produrre. Nell’agricoltura siamo i secondi in Europa dopo la Francia e non potremo mai essere i primi, perché la Francia ha un’estensione agricola di gran lunga superiore alla nostra, ma possiamo rafforzarci e ci stiamo rafforzando, anche con l’industria alimentare. Nell’industria siamo i secondi in Europa dopo la Germania. Non potremo mai aspirare ad essere i primi, perché la Germania ha una demografia e una potenza economica di gran lunga superiore a quella dell’Italia, ma possiamo e ci stiamo rafforzando anche rispetto alla Germania. Sul turismo siamo invece al terzo, quarto posto, mentre lì sì che a detta di tutto dovremmo essere al primo posto in Europa, per la natura, la storia, la cultura del nostro Paese. Ed è lì che abbiamo maggiori margini di crescita, dobbiamo lavorare per crescere e occupare di più. Scusate, avevano anche proposto e previsto che con l’abolizione del reddito di cittadinanza sarebbero scoppiati tumulti a Napoli. O no? Ancora qualche settimana fa. Non è successo perché nel frattempo molti di quei giovani che potevano lavorare hanno trovato lavoro nel nostro Paese, perché persino l’occupazione ha raggiunto livelli storici nel nostro Paese, l’occupazione giovanile e l’occupazione delle donne. Siamo sulla strada giusta, il Paese è nel momento giusto, al posto che gli spetta. Dobbiamo fare quello che manca, e sappiamo quello che manca. Manca che cosa? Mancano i giovani e le competenze. Posso dire? Mancano le competenze perché mancano i giovani, perché da che mondo è mondo, soprattutto durante le fasi di accelerazione tecnologica e industriale, le competenze nelle aziende e nella società e nelle famiglie dovrebbero portarle i giovani. Basta guardare quello che sanno fa-re i nostri figli con i telefoni e con internet, e di cui noi non siamo altrettanto capaci. Quindi mancano le competenze, o mancano alcune competenze, perché mancano i giovani. E infatti questo governo, in ogni atto, in ogni atto, dà sempre qualcosa in più – come se avesse un faro che gli il-lumina la strada – alle famiglie e soprattutto alle famiglie numerose, per incentivare la natalità e il lavoro. Questo è valso con ogni misura. Fateci caso: dalla revisione del bonus edilizio sono salva-guardate le famiglie con più basso reddito, così come con il taglio del cuneo fiscale sono privilegiati, ovviamente non può essere altrimenti, coloro che hanno salari più bassi e coloro che hanno delle famiglie a carico. In ogni atto c’è sempre una direttrice ben chiara di una strategia: incentivare la natalità nel nostro Paese affinché ci siano sempre più giovani che entrino nel mercato del lavoro con maggiori competenze e professionalità. E per questo abbiamo fatto una serie di misure, anche del mio dicastero, mi riferisco per esempio al provvedimento a 360° sul Made in Italy, in cui accanto a risorse finanziarie creando il fondo sovrano strategico per il Made in Italy, vi sono anche misure atte a formare i nostri giovani, a cominciare dalla istituzione del liceo del Made in Italy che mi auguro dall’autunno del prossimo anno, cioè dal 2024, possa essere istituito almeno nei principali distretti industriali italiani. Formare competenze e invogliare i nostri giovani al lavo-ro. Quindi aumentare i salari, perché i salari in Italia sono effettivamente troppo bassi e la forma migliore per aumentare i salari in maniera strutturale è il taglio del cuneo fiscale. Lo abbiamo già fatto con la scorsa manovra economica, lo abbiamo continuato a fare incrementandolo col decreto del 1° maggio, lo faremo nella prossima legge finanziaria in cui concentreremo le risorse proprio nel rendere strutturale, semmai incrementare, se possibile, il taglio del cuneo fiscale. Per fa-re cosa? Per incrementare i salari e invogliare i nostri giovani ad andare a cercare il lavoro. Per-ché il problema principale che abbiamo davanti sono quei quasi tre milioni di giovani che in Italia, anche come frutto nefasto, nocivo, del reddito di cittadinanza, non studia, non lavora e non cerca lavoro. E quei tre milioni di giovani noi dobbiamo portarli a formarsi, cioè a studiare, a cercare un lavoro e a trovarlo, perché il lavoro in realtà c’è, in Italia, nelle filiere strategiche del Made in Italy. Noi siamo convinti che si possa e che si debba fare, anche attraverso una politica industriale, una politica industriale che serva al nostro Paese, e che hanno messo in campo anche altri Paesi occidentali. Mi dicono che io sia diventato improvvisamente da reaganiano convinto, quasi un fautore del socialismo di stato. Chi lo dice non ha capito i cambiamenti nella storia dell’economia. Gli Stati Uniti, che sono la patria del liberalismo, gli Stati Uniti, sin con la presidenza Trump e ancor più con la presidenza Biden, hanno fatto scendere in campo lo stato, parlo degli Stati Uniti, con una chiara politica finanziaria, energetica e industriale, per rilanciare la produzione industriale negli Stati Uniti. Perché gli Stati Uniti, e parlo degli Stati Uniti, si sono resi conto che la mano invisibile del mercato, da sola non può garantire condizioni di sviluppo a fronte di fenomeni quali quelli che si sono realizzati in Asia e non soltanto, in cui una pessima capacità di mettere insieme capitalismo di stato e partito comunista hanno creato un sistema di torto, che ora tra l’altro mani-festa le sue crisi. Ci siamo accorti di questo durante la pandemia, quando si sono bloccate le fabbriche di automobili perché mancava un chip, quando le fabbriche farmaceutiche non potevano produrre un vaccino o un farmaco perché mancano gli elementi primari. Ci siamo accorti di come fosse vulnerabile la filiera produttiva. E mi sono accorto anche di un’altra cosa: della disinforma-zione che c’è in questo Paese. Allora ero presidente del Copasir, Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica, e contravvenendo un po’ alla tradizione mi sono esposto molto per spie-gare quello che stava accadendo, a fronte di quello che appariva nei social. Ricordate nei social cosa appariva? Appariva che le democrazie occidentali fossero troppo deboli per fronteggiare la pandemia a fronte di sistemi autoritari, come la Cina o come la Russia, che invece proprio perché autoritari potevano meglio fronteggiare la pandemia. Apparse pure anche che avevano realizzato prima del nostro sistema occidentale, che era troppo attento alle libertà, troppo attento alle garanzie, avevano realizzato loro per primi i vaccini, lo sputnik e i vaccini cinesi, e ci dicevano che il futuro era loro e delle democrazie autoritarie, perché noi eravamo troppo deboli e incapaci di fronteggiare la pandemia e di realizzare i vaccini in tempo utile. Cosa è accaduto in realtà? È accaduto che purtroppo in Cina la pandemia, anche negli ultimi mesi, ha fatto migliaia di morti, per-ché sì, hanno realizzato prima di noi i vaccini, purtroppo quei vaccini non sono efficaci come i no-stri. Non sono efficaci come i nostri, perché quando è il partito a dirti cosa devi fare, e lo devi fare in fretta come accadeva in Unione Sovietica (era il partito che diceva, il commissario politico, allo scienziato cosa dovesse ricercare e cosa dovesse ottenere) poi alla fine però la macchina si inceppa, i vaccini non funzionano e la pandemia prosegue. Oggi di cosa siamo preoccupati? Dell’efficienza della grande Cina? Lo dico con spirito di neutralità, di amicizia nei confronti della Cina. No, siamo preoccupato della bancarotta di Evergrande e del sistema immobiliare cinese. Le democrazie occidentali non sono deboli, sono più forti, perché si basano sempre sul principio della libertà, che muove davvero la scienza, la tecnologia e l’impresa. La Cina si sta arrestando perché Xi Jinping ha preso il controllo del sistema economico e quindi l’impresa si arresta. In questo scenario noi dobbiamo puntare a cosa? A renderci sempre più autonomi sul piano dell’autonomia strategica dell’Unione Europea. Questo vale per le materie prime critiche – io parlo con molta franchezza, perché ho il dovere di parlare con franchezza al mio Paese – per cui qualcuno ha titolato “Vuole riaprire le miniere in Italia”. Sì, certo, perché è meglio una miniera di cobalto in Italia, e noi siamo tra i più grandi produttori, o meglio, tra i più grandi possessori di giacimenti di cobalto in Europa, rispettando le regole del mercato del lavoro, la tecnologia, l’ambiente, meglio estrarre il cobalto in Italia per raggiungere la nostra economia strategica, che importare il cobalto realizzato in Congo (63% del cobalto mondiale), lavorato in Cina e poi esportato in Italia. Perché io credo che l’Italia sia più capace di rispettare le regole del lavoro, le regole dei diritti sociali e ambientali di quanto lo possa fare il Congo nelle condizioni in cui è. E l’impatto per l’ambiente lo stesso. Se vogliamo evitare di passare dalla subordinazione al carbone fossile russo, che ci è costato carissimo, alla subordinazione alla tecnologia green cinese, dobbiamo produrre le materie prime critiche che ci servono in Italia, il litio, il cobalto, il manganese, il titanio. Siamo pieni di materie prime critiche: dobbiamo lavorarle in Italia e in Europa, per poi realizzare la tecnologia green e digitale che ci serve. In questa economia globale l’Italia può diventare una potenza leader d’Europa. E leader a livello globale. Abbiamo già la più grande azienda multinazionale europea sul digitale, è Stmicroelectronics, titolo francese. Abbiamo già, con Enel Green, il più grande impianto fotovoltaico di impianti solari d’Europa, a Catania. Abbiamo già imprese avviate sulla strada della (1.15.24) tensione tecnologica e digitale. Pochi sanno che l’incidenza tra materie prime critiche e prodotto interno lordo, cioè quanto ne consumi rispetto al prodotto interno lordo, è in Italia superiore alla Germania e alla Francia, il che vuol dire che le nostre imprese già sono avviate sulla strada dell’utilizzo delle materie prime critiche che servono alla tecnologia green e digitale più di quanto lo siano nel loro complesso le economie francese e tedesca. Dobbiamo rafforzare questo. E allora che abbiamo fatto? E concludo in questa fase: quando c’è stata la possibilità di rivedere il PNRR e con il ministro Fitto abbiamo concordato in sede europea, mi auguro che la Commissione poi  dia il suo ultimo parere favorevole al progetto che abbiamo presentato al Consiglio dei mini-stri e poi ha avuto il voto del parlamento, per spostare alcune risorse da alcuni capitoli inutilizzabili o poco efficaci ad altri capitoli, il mio dicastero ha ottenuto alcune risorse in più – spero che siano confermate – e ve le enucleo per capire dove ci stiamo muovendo, perché noi abbiamo una chiara visione strategica di quella che deve essere la politica industriale del nostro Paese. Quattro miliardi di euro di questa revisione del PNRR Repower you alla transizione 5.0, cioè alle imprese, attraverso crediti fiscali significativi, che nel 2024 e 2025 investiranno in tecnologia green e digi-tale. Quattro miliardi di euro in più rispetto a quello che già utilizziamo con transizione 4.0! Un miliardo e mezzo di euro per le imprese che realizzeranno impianti energetici rinnovabili per l’autoconsumo industriale: pannelli solari sui capannoni ai fini della produzione industriale, per rendere l’impresa autonoma anche rispetto ai mercati dell’energia. Due miliardi di euro per le imprese che investiranno per produrre esse batterie elettriche, pannelli solari, impianti fotovoltaici, cioè quello che serve poi a realizzare la tecnologia green. Trecentoventi milioni di euro per la Sabatini green, cioè la legge che già consente di abbattere il tasso di interesse cresciuto alle stelle anche per processi di tecnologia green. Quasi otto miliardi di euro in più, spostando da questi capitoli di bilancio alle imprese, nella duplice transizione digitale e ecologica che noi dobbiamo incentivare da subito per trovarci davvero al centro dei processi produttivi dell’Occidente. Ce la possiamo fare e vi do soltanto un esempio per comprendere bene questo: l’Europa negli ultimi trent’anni era cresciuta, e inevitabilmente a Oriente, sia integrando, sia commerciando con l’Oriente. Il simbolo di tutto questo è la Germania, la più grande potenza economica europea, che io ammiro e con cui sto sviluppando un’idea comune, perché io mi sono visto più volte con il vice cancelliere tedesco Habeck e col grande collega francese Le Maire in un format nuovo che abbiamo insediato a Berlino due mesi fa e che si riprodurrà ora a Roma a fine ottobre e poi in Francia, un format a tre che stabilisce insieme quale sarà la politica industriale dei nostri Paesi e quindi dell’Unione Europea. Il primo format è stato fatto sulle materie prime critiche, poi a Roma sarà sulla tecnologia digitale e quindi in Francia sulla tecnologia green. I tre grandi Paesi europei insieme per stabilire senza più alcuna sudditanza (prima lo facevano tedeschi e francesi e ci isolava-no, oggi insieme senza più sudditanza) come l’Europa debba andare sulla politica industriale europea e quindi nazionale su questa grande transizione. Ebbene, l’Europa è cresciuta a oriente, la Germania è cresciuta importando materie prime e energia a basso costo dalla Russia ed esportando e producendo in Cina. Non c’è più la Russia e non c’è più la Cina. L’Europa dei prossimi trent’anni può crescere solo a Sud, perché si è rialzata una barriera, una sorta di cortina di ferro, fortunatamente qualche centinaio di chilometri più a oriente di Trieste, ma con una guerra che ha già portato alcune centinaia di migliaia di morti, forse già mezzo milione tra morti, tra vittime di vario tipo. È una guerra che ancora purtroppo non finisce, anzi, c’è qualche rischio in più. Oggi l’ambasciata americana ha detto ai cittadini statunitensi di abbandonare la Bielorussia. Non può crescere a oriente, perché qualcheduno ha rialzato la barriera. Può crescere solo a sud. E qui il governo presenta il piano Mattei e lo presenta all’Europa, per fare dell’Italia il ponte naturale con l’Africa, in una logica win-win, come ci ha insegnato Enrico Mattei quando ha spezzato l’assedio delle Sette Sorelle nei confronti dei Paesi e dei popoli africani e mediorientali. Con l’Africa che va integrata in questa crescita europea, sia perché ci sono le materie prime che mancano. Io lo dissi da presidente del Copas (1.20.35) che l’Europa stava per essere accerchiata. Feci una relazione al Parlamento dicendo che sarebbe avvenuta l’invasione in Ucraina e che bisognava liberarsi al più presto dalla dipendenza energetica dalla Russia. Dissi anche quello che stava accadendo in Bielorussia, leggete il rapporto dissi quello che stava accadendo in Kosovo, quello che stava per accade-re o poteva accadere in Serbia, tanto più nella Serbia bosniaca. Dissi anche che in Africa Cina e Russia stavano accerchiando l’Europa là dove c’era la Cina con le proprie imprese, con la sotto-missione del debito, là dove c’era la Russia con la Wagner e delineai proprio la politica dei golpe, come si è appena verificato in un altro paese africano, delineai questa politica del golpe, in cui prima c’è il golpe, poi cacciano i francesi e arriva la Wagner, perché lì c’è la cintura delle materie prime che servirebbero all’Europa e perché lì ci sono anche i traffici, da dove partono i traffici dei migranti. C’era una strategia. C’è una strategia e l’Europa che è la madre della civiltà deve rendersi autonoma e sovrana e mantenere fermi i principi di libertà che sono la nostra forza e l’hanno dimostrato anche in questi anni. Perché la pandemia l’abbiamo sconfitta noi e purtroppo non l’hanno sconfitta là dove era stata generata.

 

Bardelli. Grazie Ministro, purtroppo il tempo è tiranno, ma direi che l’incontro è stato ricco, io ho anche personalmente apprezzato il fatto che il Ministro ha ascoltato le voci della società civile e ci ha anche delineato con molta passione il percorso che questo governo vuole iniziare. Io penso, e visto che l’ora è tarda, che la complessità e anche il fascino di ipotesi che è venuto fuori ci ricorda quel-lo che ci ha detto papa Francesco su un versante esistenziale: non ci si salva da soli. E questo vale per le sfide che stiamo affrontando. Non si può affrontarle da soli e non per difenderci dal futuro, e questo è quello che vuol fare la Compagnia delle Opere, i corpi intermedi e questo è il positivo anche il fatto che i corpi intermedi, dialogando tra di loro, dialogando con i propri associati, valorizzando il dialogo con i propri associati, può poi parlare come è successo oggi, può essere ascolta-to con grande intelligenza, ma anche dimostrando competenza, può parlare alla politica, può par-lare al governo. Quindi questo penso che sia il percorso che abbiamo davanti, anche in un nuovo rapporto pubblico-privato e quindi penso che questo il Meeting ce lo sta testimoniando e noi possiamo vedere in questo un percorso di lavoro anche come Compagnia delle Opere.

Ringrazio tutti voi che siete rimasti con noi fino a tarda ora e gli ospiti di oggi.