FUSIONE NUCLEARE: L’ENERGIA DELLE STELLE PER IL FUTURO DEL PIANETA

A cura di Associazione Euresis.

Ambrogio Fasoli, Direttore Swiss Plasma Center (Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne) Losanna, Presidente Consorzio EUROfusion; Marcella Marconi, Direttore Osservatorio Astronomico di Capodimonte, Istituto Nazionale di Astrofisica, Napoli. Modera Carlo Sozzi, Istituto per la Scienza e Tecnologia dei Plasmi, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Milano.

L’ardere del Sole nelle nostre giornate ed il brillare delle stelle di notte sono spettacoli cui quotidianamente possiamo assistere, generalmente senza chiederci cosa veramente stiamo guardando. Eppure, la domanda di cosa stia accadendo sotto i nostri occhi ha condotto a uno dei più fecondi e sorprendenti percorsi scientifici degli ultimi due secoli, con enormi potenzialità applicative: la fusione nucleare. Questa è la fonte di energia delle stelle, e, in ultima analisi, di ogni fonte di energia che abbiamo a disposizione sulla nostra Terra. Lo studio dei processi fisici che causano la nascita delle stelle e la loro evoluzione, che governano la loro luminosità è ricco di frutti di conoscenza sul nostro Universo. D’altra parte, il successo del tentativo di riprodurre e controllare la fusione nucleare in laboratorio per impiegare l’enorme quantità di energia che questa metterebbe a disposizione è un prezioso contributo alla soluzione di uno dei problemi più urgenti del nostro tempo. Due protagonisti di queste affascinanti imprese scientifiche ci mostreranno “dove siamo”.

FUSIONE NUCLEARE: L’ENERGIA DELLE STELLE PER IL FUTURO DEL PIANETA

FUSIONE NUCLEARE: L’ENERGIA DELLE STELLE PER IL FUTURO DEL PIANETA

 

Domenica, 20 agosto 2023 ore: 19:00

Sala Neri Generali-Cattolica

 

Partecipano:

Ambrogio Fasoli, Direttore Swiss Plasma Center (Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne) Losanna, Presidente Consorzio EUROFusion; Marcella Marconi, Direttore Osservatorio Astronomico di Capodimonte, Istituto Nazionale di Astrofisica, Napoli.

 

Modera:

Carlo Sozzi, Istituto per la Scienza e Tecnologia dei Plasmi, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Milano.

 

Sozzi. Buonasera. Benvenuti all’incontro di questa sera dal titolo “Fusione nucleare: l’energia delle stelle per il futuro del pianeta” organizzato dall’Associazione Euresis per il Meeting di Rimini.

Non c’è un processo fisico più evidente — sotto gli occhi di tutti, forse — di quello della fusione nucleare che fa brillare il Sole di giorno e le stelle di notte. Eppure, l’intuizione scientifica di questo fenomeno è relativamente recente — ha meno di 100 anni — con le scoperte dell’astrofisico britannico Arthur Eddington che con un celebre articolo, nel 1926, ha dato il via a questo cammino di comprensione. Ora, da quell’intuizione è scaturito un percorso arduo e fecondo, che abbraccia due aspetti che sono solo apparentemente lontani tra loro della ricerca scientifica: da un lato, lo studio dell’evoluzione stellare, che permette di comprendere come anche le stelle, che noi vediamo sempre quasi tutte uguali, abbiano in realtà un inizio e una fine e una vita che a sua volta è piena di mutamenti; e d’altra parte, la fonte di energia delle stelle, in ultima analisi, è anche la fonte di ogni forma di energia che abbiamo a disposizione sul nostro pianeta. E forse c’è un modo per riprodurre o, meglio, per reinventare la fusione stellare sul nostro pianeta rendendolo, probabilmente, se siamo saggi a sufficienza, un luogo ancora più ospitale.

I nostri due ospiti di questa sera ci accompagneranno lungo i tratti essenziali di questo percorso: la fusione nelle stelle e la fusione sul nostro pianeta. Abbiamo con noi Marcella Marconi, che si è laureata in Fisica all’Università di Pisa e ha in seguito ha ottenuto il dottorato di ricerca in Astronomia all’Università di Firenze e, dopo una breve attività all’estero, è entrata come ricercatore all’Osservatorio di Capodimonte – che è parte dell’INAF, l’Istituto Nazionale di Astrofisica -, dove svolge una brillante carriera scientifica con importanti collaborazioni in Italia e coordinamento di progetti di ricerca in Europa e in osservatori internazionali. L’attività scientifica di Marcella riguarda principalmente lo studio della variabilità della luminosità stellare e le sue applicazioni alla misura delle distanze cosmiche. Dal 2018 Marcella è anche direttore dell’Osservatorio di Capodimonte e unisce all’attività di ricerca quella di direzione e anche l’insegnamento presso l’Università Federico II di Napoli. Quindi diamo il benvenuto a Marcella.

L’altro ospite di questa sera è Ambrogio Fasoli, che si è laureato anch’egli in Fisica all’Università di Milano e ha poi conseguito il dottorato di ricerca all’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna. Poi si è trasferito presso il Joint European Torus (JET) — di cui lo scorso anno abbiamo avuto una descrizione degli ultimi risultati e che è tuttora il più grande dispositivo al mondo per lo studio della fusione termonucleare — e ha partecipato là alla prima campagna sperimentale col combustibile nucleare deuterio e trizio che ha prodotto il tuttora record di potenza di fusione prodotta in laboratorio. Dopo alcuni anni negli Stati Uniti, al MIT di Boston, è tornato all’EPF di Losanna per l’insegnamento e la ricerca. Tra l’attività scientifica ricordo la costruzione del dispositivo TORPEX per lo studio della turbolenta nel Plasma, e il coordinamento delle attività del Tokamak TCV per la ricerca sulla fusione nucleare. Dal 2013 Ambrogio è anche il direttore dello Swiss Plasma Center, della stessa università, che è uno dei centri di eccellenza internazionale per la ricerca sulla fusione; dal 2019 è presidente del Consorzio Europeo EUROFusion che coordina le attività di ricerca sulla fusione in Europa e, recentemente, è stato eletto program manager dello stesso consorzio che quindi andrà a dirigere, diciamo, fattivamente dal prossimo gennaio, credo. Ambrogio svolge anche un’estensiva attività didattica su fusione e fisica del plasma, anche utilizzando strumenti online che permettono la partecipazione di migliaia di uditori ogni anno. Quindi diamo il benvenuto anche ad Ambrogio questa sera.

Come vedete, abbiamo due ospiti di grande peso per noi, e non tolgo altro tempo. Do la parola a Marcella che ci mostrerà come l’energia nucleare sia il motore delle stelle. Prego.

 

Marconi. Grazie. Grazie agli organizzatori per questo invito al Festival di Rimini. Per me è un piacere essere qui. E parleremo di energia nucleare dal punto di vista dell’astrofisica, delle stelle. Le stelle sono appunto oggetti che funzionano, come vedremo, grazie all’energia nucleare. Quindi la nostra vita dipende da una stella che è il nostro Sole; la nostra vita, quindi, dipende dall’energia nucleare che il Sole produce. Prima di entrare nel merito dell’argomento, però, mi presento rapidamente. Come rapidamente detto nella presentazione, io dirigo l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte. Quindi voglio cogliere l’occasione per dire che l’Osservatorio di Napoli, l’Osservatorio di Capodimonte, in realtà fa parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica che è un istituto — come vedete dalle stelline distribuite sulla pianta dell’Italia — che ha varie sedi, varie sedi distribuite nelle varie regioni italiane. In realtà Napoli è l’unica dell’Italia meridionale peninsulare, quindi è un punto di riferimento per diverse regioni. E l’Istituto Nazionale di Astrofisica, appunto, è il principale Istituto che si occupa di Astrofisica in Italia. Capodimonte è un osservatorio medio quindi, più o meno, le dimensioni in termini di personale, sono quelle che vedete riportate nella slide. È un osservatorio antico, come molti osservatori astronomici italiani. Questo non significa che siano diventati dei musei; sono strutture che fanno ricerca attiva e di punta, semplicemente le osservazioni non le si fanno più negli osservatori italiani. Nessun luogo italiano ormai è adatto, purtroppo, a fare osservazioni di punta. Un po’ per l’inquinamento luminoso che ci impedisce, ovviamente, nelle nostre città, nei paraggi delle nostre città, di osservare il cielo in maniera precisa, accurata; un po’ perché siamo arrivati a un livello di scoperte, di studi, che richiedono cieli estremamente nitidi quali quelli che possiamo trovare solo in luoghi desertici ad alta quota come le Ande cilene, dove sorgono appunto i grandi telescopi a cui noi tutti lavoriamo. Un osservatorio antico, voluto da Gioacchino Murat e terminato sotto Ferdinando I. Quindi 200 anni di attività scientifica, circa. Un’attività scientifica che a Napoli, come negli altri istituti italiani, si è evoluta; non è la stessa astronomia che facevamo nell’Ottocento. Prima c’era l’astronomia cosiddetta di posizione, ovvero lo studio della posizione degli astri come supporto alla navigazione, alla misurazione del tempo, alla misurazione delle coordinate. E poi, con gli sviluppi che abbiamo avuto nell’ambito della fisica e della chimica, anche l’astronomia si è evoluta; quindi, si parla di astrofisica adesso, cioè di Fisica degli Astri. Non ci basta sapere qual è la posizione degli astri, a che ora passa al meridiano il determinato astro; vogliamo sapere anche come funzionano. E da qui il tema della conferenza di stasera: l’energia nucleare. È importantissimo capire come funzionano gli astri anche per capire come sono realmente fatti. Noi vediamo apparentemente gli astri, noi vediamo la volta celeste, non abbiamo modo di capire se una stella è più luminosa di un’altra veramente o è semplicemente più vicina. Saremmo portati a dire che il Sole è la stella più luminosa che c’è e invece no, non è la più luminosa né la più grande: è la più vicina. Quindi sapere poi come sono realmente, quanto sono realmente luminosi gli astri, comporta conoscere la distanza, comporta conoscere il loro funzionamento. E quindi l’attività scientifica oggi a Capodimonte, così come in tutto l’Istituto Nazionale di Astrofisica, abbraccia molti filoni e tra questi qui vediamo il Sole, i pianeti, l’esplorazione del Sistema solare ma anche la scoperta degli esopianeti — un altro tema molto affascinante: i pianeti che orbitano attorno a stelle diverse dal Sole — ma anche lo studio delle galassie, degli ammassi di galassie e, come vedete, telescopi — ci sono anche ingegneri nell’Istituto Nazionale di Astrofisica, tecnologi che partecipano attivamente alla costruzione degli strumenti con cui tutte queste scoperte vengono effettuate—. L’Astrofisica, come tante branche della Scienza, diventa sempre più multidisciplinare oggi, per cui non abbiamo più soltanto astronomi, astrofisici e ingegneri, ma cominciamo ad avere biologi, geologi, perché è importante lavorare insieme.

Parliamo di stelle. L’evoluzione stellare è uno dei filoni di punta. Le stelle, fondamentalmente, cosa possiamo osservare delle stelle? Delle stelle osserviamo due quantità, due grandezze diciamo. Possiamo dire quanto sono luminose o quanto ci appaiono luminose — e quindi possiamo misurare la luminosità delle stelle, la quantità di radiazione che riusciamo a raccogliere con i nostri telescopi, o la loro magnitudine, se preferite — e l’altra quantità che si osserva è come l’energia emessa dalle stelle è distribuita alle varie lunghezze d’onda; quindi quello che è chiamato il colore delle stelle, quindi: stelle blu più calde, stelle rosse più fredde; e questo ha a che vedere con l’energia emessa dalle stelle, appunto, alle varie lunghezze d’onda. Quindi quanta radiazione e come questa radiazione è distribuita alle varie lunghezze d’onda. Ora, come è collegato questo all’energia nucleare, al funzionamento delle stelle, a quello che noi possiamo imparare sulle stelle? Due signori ebbero, all’inizio del Novecento, l’intuizione di provare a mettere le stelle in un diagramma, le stelle osservate; per quelle per cui era possibile capire quanto fosse la luminosità vera mettere la luminosità e il colore in un diagramma; quindi, in ascissa — sull’asse orizzontale — per esempio il colore o la temperatura; sull’asse verticale la luminosità. E si accorsero che le stelle in un diagramma del genere non si distribuiscono a caso; quello che si osservava e quello che si osserva oggi – questo in realtà è un diagramma moderno che è stato ottenuto con il satellite Gaia, una missione spaziale che misura la distanza delle stelle della Via Lattea — quindi per queste stelle noi abbiamo la distanza; quindi, la luminosità che vedete riportata lì è la luminosità vera non la luminosità apparente. Sappiamo quanto sono distanti, quindi sappiamo anche quanto sono realmente luminose. Vedete che la maggior parte delle stelle si distribuiscono lungo questa diagonale che viene chiamata sequenza principale. Beh, se ci pensate questo non è ovvio. Perché le stelle devono stare tutte là? Ci sono stelle più luminose, stelle più fredde, stelle più calde, però c’è questa relazione tra la luminosità e la temperatura. Beh, l’evoluzione stellare, chi si occupa di evoluzione stellare, altro non fa che cercare di interpretare sequenze come queste, cercare di capire perché le stelle si dispongono lì e quali sono quindi il motore, la fisica, che regola il loro funzionamento. Se prendete un ammasso come quello delle Pleiadi — le Pleiadi sono un ammasso aperto relativamente vicino, si parla delle Sette Sorelle, quelle visibili ad occhio nudo anche —; se mettete le stelline di questo ammasso, in questo caso sono tutte alla stessa distanza quindi anche se non si sa la luminosità vera fondamentalmente è come se si sapesse — ma la si conosce anche la distanza — e si vede che la luminosità e il colore sono nuovamente correlati da una sequenza diagonale. Questo è un oggetto giovane, è un ammasso abbastanza più giovane rispetto alla nostra galassia. Esistono ammassi di stelle molto vecchi invece, che sono vicini all’età della nostra galassia, i cosiddetti ammassi globulari che sono fatti da milioni di stelle; hanno una simmetria sferica e si pensa, appunto, che siano quindi vicini all’età dell’Universo e anche in questo caso si vede che la maggior parte delle stelle si dispone in basso, in questo caso. Ci sono delle altre sequenze che non vedevamo nel caso dell’ammasso giovane — e ci arriviamo a capire cosa sono — ma è presente anche qui la sequenza principale. Allora, cosa hanno di particolare le stelle della sequenza principale? Perché si vanno a disporre lì? Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo cercare di capire come è fatta una stella e come funziona. Allora, una stella noi la possiamo definire come una sfera di gas caldissimo. Le stelle sono fatte prevalentemente da idrogeno ed elio. Idrogeno ed elio sono anche gli elementi fondamentalmente usciti dal Big Bang, quindi l’Universo è nato con una materia composta prevalentemente da idrogeno ed elio; tutto il resto, come vedremo, viene prodotto proprio grazie alle stelle. Sono un’enorme sfera di gas che è tenuta insieme dalla forza di gravità quindi questo, cosa vuol dire? Che se non ci fosse altro, sotto l’effetto della gravità questa massa di gas a un certo punto andrebbe a finire in un punto, la divergenza, la densità infinita e noi la stella non la vedremmo, non vedremmo il Sole stabile sui nostri tempi scala. Noi il Sole lo vediamo più o meno sempre grande uguale, non vediamo il Sole che si restringe nei nostri tempi scala. Quindi, c’è una forza che compensa l’effetto della gravità. Questa è la forza di pressione ed è dovuta al motore della stella che è appunto, come vedremo. l’energia nucleare. E le stelle si formano in enormi sistemi che sono le galassie che hanno una struttura varia. Ad esempio, la nostra galassia — la Via Lattea — ha una struttura con bracci di spirale, una spirale con un disco, una struttura più globulare; ma c’è un piano con veri e propri bracci di spirale in cui si formano stelle. Quella che vedete nell’immagine non è la galassia, è Andromeda, perché noi siamo immersi nella Via Lattea quindi non potremmo mai vederla in questo modo, mentre possiamo vedere in questo modo la nostra vicina — vicina si fa per dire: la galassia a spirale più vicina con cui noi ci possiamo confrontare —. E la nostra galassia, così come Andromeda, contiene un numero enorme di stelle. Nella Via Lattea ci sono cento miliardi di stelle come il Sole. Allora se voi pensate che il Sole è una dei cento miliardi di stelle della Via Lattea, che il Sole ha un sistema di pianeti e che se ne stanno scoprendo attorno a tantissime stelle … cento miliardi di stelle, ciascuna magari — non dico tutte, ma la maggior parte — con pianeti attorno, chiaramente fa girare un po’ la testa pensare di essere soli nell’Universo; è arduo, almeno sui tempi scala astronomici. E oltre alle galassie che contengono centinaia di miliardi di stelle abbiamo campi come questo. Questo è un campo osservato dal telescopio spaziale James Webb Space Telescope che è stato lanciato recentemente e che ci sta regalando delle immagini bellissime. Vedete, ogni macchiolina chiamiamola così — in questa immagine è una galassia. Quindi queste galassie che contengono centinaia di miliardi di stelle sono a loro volta tantissime. E, fra l’altro, se andiamo a vedere dove siamo noi, noi siamo sul nostro pianeta che orbita attorno al Sole e il Sole non si trova neanche nel centro della galassia, è un pochino periferico. Diciamo che stiamo parlando di 8.000 parsec circa dal centro della Via Lattea. E dove nascono nella galassia le stelle? Le stelle nascono nelle galassie. Ma dove nascono? Sicuramente nascono dove c’è materiale per formare la stella. Abbiamo detto che le stelle sono delle enormi sfere di gas. Beh, per formarsi queste sfere di gas richiedono gas; e la presenza di gas e polveri noi la troviamo in delle gigantesche nubi che hanno fino a un milione di volte la massa del nostro sole. Quindi, inizialmente, abbiamo queste nubi estremamente massicce e molto fredde da -250 a -100 gradi circa. Vedete anche qui delle immagini ottenute dallo spazio; sono immagini molto belle: queste nubi enormi sono appunto regioni in cui si stanno formando stelle. E cosa succede? A un certo punto queste nubi di gas enormi danno luogo alle cosiddette protostelle, cioè si creano degli addensamenti che, sotto l’effetto della gravità, collassano su se stessi — un po’ come dei grumi che si formano quando si prepara la besciamella o la crema: se non si mette bene la farina si formano i grumi, ecco, più o meno è la stessa cosa —. Si vengono a creare dei grumi, degli addensamenti, che possiamo chiamare protostelle che per effetto della gravità collassano su sé stessi. Ora questa cosa va avanti fino a quando? Va avanti fino a quando il centro della stella non diventa abbastanza caldo, abbastanza caldo per attivare il primo processo di fusione importante nella vita di una stella che è la fusione dell’idrogeno. E quand’è che l’idrogeno fonde? L’idrogeno fonde a circa 10 milioni di gradi, quindi man mano che la stella collassando diventa nel centro sempre più calda, quando diventa calda abbastanza, ovvero, si raggiungono 10 milioni di gradi nelle regioni centrali, la protostella diventa stella. Perché una stella diventa tale solo quando la fusione nucleare inizia, prima è una protostella, non è una stella vera e propria. La stella si accende e abbiamo la fusione di quattro nuclei di idrogeno che riescono a superare la repulsione coulombiana — di cui poi avremo una più ampia, diciamo, descrizione nella presentazione successiva — e riescono a formare un nucleo più pesante che è un nucleo, appunto, di elio. Quindi da quattro nuclei di idrogeno a questa temperatura si riesce a fondere e ad ottenere, per effetto della fusione, un nucleo di elio. E questo è quello che sta facendo il nostro Sole. La combustione, la fusione dell’idrogeno, nelle regioni centrali per produrre elio. Il Sole, se lo guardiamo in superficie, ha una temperatura possiamo dire nelle lunghezze d’onda nostre, visibili, di 6.000 gradi circa, in superficie; però nelle regioni centrali abbiamo 10 milioni di gradi. Lì sta effettivamente avvenendo questo processo di fusione. Quindi il Sole noi lo vediamo così. In realtà abbiamo una fusione nucleare nel nucleo, per l’appunto; una zona radioattiva, cioè, dove l’energia viene trasportata per effetto della radiazione; una zona in cui avviene, invece, un fenomeno della convezione, la fotosfera; poi la parte, diciamo, di corona con tutta l’attività solare che caratterizza le regioni più esterne del Sole. Quindi il sole è in questa fase evolutiva. E allora la sequenza principale si è capito che in realtà non è una sequenza che compare a caso, diciamo, o per una qualche coincidenza nei diagrammi luminosità-colore che si vanno ad analizzare, ma è proprio il luogo delle stelle che sono in questa fase evolutiva. Cioè, tutte le stelle che stanno convertendo nelle loro regioni centrali l’idrogeno in elio, si dispongono lungo questa diagonale.

In realtà non tutte le protostelle diventano stelle. Cosa può succedere? Può succedere che in questa fase di collasso la struttura non sia abbastanza massiccia da raggiungere la temperatura di 10 milioni di gradi. E cosa succede? Ci sono delle stelle cosiddette “mancate”. Sono troppo piccole rispetto al Sole per innescare la fusione dell’idrogeno e quindi non diventano mai veramente stelle. Queste sono le cosiddette Nane Brune. Allora, se vedete in questa diapositiva, vedete da destra verso sinistra: Giove che è un pianeta — non è una stella, quindi un pianeta, gigante ma è un pianeta — la cosiddetta stella mancata o Nana Bruna che, vedete, non è tanto più grande di Giove; la stella più piccola che si può formare che è circa un decimo della massa del Sole, e poi il Sole, enorme. Quindi capire quali stelle diventano stelle e quali stelle non diventano stelle, anche questo è un argomento molto importante. Quali sono le stelle più piccole che possiamo avere nell’universo? Si ritiene dagli studi di evoluzione stellare che le stelle più piccole abbiano circa un decimo o 8 centesimi di massa del Sole. Questo poi dipende anche dalla composizione chimica esatta però, ecco, questo più o meno è il limite, la massa minima per avere una stella. Masse più piccole diventano protostelle ma non diventano mai stelle, quindi diventano stelle cosiddette “mancate”. Quindi la fusione nucleare dell’idrogeno è ciò che caratterizza le stelle sulla sequenza principale ed è anche la fase più lunga nell’evoluzione di una stella. Le stelle rimangono in questa fase evolutiva per il 90% della loro vita; quindi il nostro Sole — che adesso ha 4,6 diciamo, approssimativamente, 5 miliardi di anni — è circa a metà strada nella sua fase di combustione dell’idrogeno. Cioè, per altri 5 miliardi di anni brucerà idrogeno in elio e poi avrà — come vedremo — un’evoluzione successiva molto più rapida. Quindi il motivo per cui noi vediamo quasi tutte le stelle sulla sequenza principale è un motivo anche statistico; cioè: è la fase più lunga nella vita di una stella quindi, statisticamente, quando osserviamo le stelle ne osserviamo molte di più lì, perché ci stanno di più. Tutta la parte, diciamo, di evoluzione successiva — per le stelle che riescono a farla — è molto più rapida. Quindi la fusione dell’idrogeno è una reazione nucleare che caratterizza la vita delle stelle quasi per intero, al 90%.

Cosa succede quando l’idrogeno finisce? Quando l’idrogeno finisce il nucleo in realtà diventa un nucleo inerte di elio e la combustione dell’idrogeno si sposta in un guscio — che è quel guscio giallo che vedete nella diapositiva — che trasforma idrogeno in elio, attorno al nucleo di elio. In questa fase le stelle diventano Giganti Rosse, quello che succederà al nostro Sole tra 5 miliardi di anni: diventerà una Gigante Rossa. Gigante Rossa significa un oggetto estremamente più luminoso del Sole attuale. Vedete, questo è il ramo delle Giganti Rosse rispetto alla sequenza principale che sta giù quanto è più luminoso, ma lo vediamo meglio qui. Vedete: sulla sinistra il Sole oggi e sulla destra il pallone rosso è il sole fra 5 miliardi di anni. Quindi arriverà, diciamo, ben oltre l’orbita della Terra. Diciamo, la cosa ci preoccupa il giusto perché, insomma, tra 5 miliardi di anni … Però l’evoluzione di una stella che ha esaurito l’idrogeno al centro e ha la combustione dell’idrogeno nella shell attorno è questa. E poi cosa succede? Poi, a un certo punto, la stella — avete visto, c’è questo nucleo di elio al centro — a un certo punto, anche l’elio comincia a fondersi; si raggiungono temperature di 100 milioni di gradi e si attiva un’altra fusione nucleare che è quella dell’elio che produce carbonio. Così come nel caso dell’idrogeno solo le protostelle che avevano più di un decimo di massa solare riuscivano ad attivare la fusione dell’idrogeno, anche qui c’è un limite in massa: solo quelle che arrivano a metà della massa del Sole riescono anche a bruciare l’elio, le altre si fermano prima. Qui è la fase dell’elio al centro — vado più veloce perché il tempo stringe —. E poi cosa succede? A un certo punto la stella, le stelle di massa più piccola, perdono gli strati esterni per effetto del vento stellare e si avviano a diventare Nane Bianche; ma prima di diventare Nane Bianche danno luogo a oggetti veramente molto belli perché le nebulose planetarie sono, appunto, oggetti in cui c’è una stella compatta molto calda e gli strati esterni che vengono ionizzati dalla stella calda al centro, che è materiale che viene perso e che forma delle immagini molto belle come questa, vedete, che ricorda un occhio; questa che ricorda un cavolo o un fiore — come preferite —, e questa addirittura sembra una conchiglia. Ma se andate a vedere in rete “nebulose planetarie”, anche osservate dallo spazio, vi escono delle immagini veramente fantastiche che è, diciamo, il preambolo alla fase, è una fase — diciamo — un pochino più inerte che è quella della Nana Bianca che è il destino del nostro Sole e di tutte le stelle meno massicce. Soltanto le stelle più massicce riescono invece a produrre, oltre all’elio, al carbonio, all’ossigeno, tutti gli elementi pesanti fino al ferro. Diventano oggetti che hanno una struttura a cipolla un po’ come questa, in cui abbiamo un nucleo di ferro al centro e poi elementi di via più leggeri verso l’esterno. Perché ci si ferma al ferro? Perché, come vedremo tra qualche minuto, la reazione di fusione nucleare è favorita energeticamente solo fino al ferro. Dal ferro in poi risulta favorita la fissione. Quindi lì si arriva ad una fase di instabilità che è il motivo per cui poi le stelle più massicce, anziché evolvere tranquillamente verso una fase inerte come quella di Nana Bianca, esplodono come Supernove. Esplodono come Supernove e quando esplodono rilasciano tutti gli elementi che hanno sintetizzato al loro interno. Quindi se dal Big Bang è uscito l’idrogeno e l’elio, dopo che le prime stelle sono esplose, il materiale dell’Universo non è più quello uscito dal Big Bang ma è un materiale contaminato da tutti i prodotti delle fusioni nucleari che sono avvenute in queste stelle e, via via che nuove stelle esplodono, il materiale si inquina sempre di più. Il nostro Sole — che ha 5 miliardi di anni — ha una quantità di elementi pesanti molto superiori alle stelle antiche, alle stelle più vecchie come quelle degli ammassi globulari che vi ho fatto vedere prima. Questo perché? Perché le stelle più vecchie si sono formate da materiale meno inquinato — erano esplose meno Supernove rispetto a quelle che erano esplose quando invece si è formato il nostro Sole — e le stelle che si stanno formando adesso sono ancora più ricche di metalli. Quindi tutti gli elementi fino al ferro vengono sintetizzati nelle stelle mediante le reazioni nucleari. E dopo il ferro? Beh, dopo il ferro anche gli altri elementi vengono sintetizzati nelle stelle, con un altro meccanismo però: si formano per cattura di neutroni o di protoni su dei nuclei preesistenti, o durante la normale evoluzione stellare o, in maniera più importante, proprio durante le esplosioni di Supernove. Allora concludo — perché penso sia al momento di dare la parola al mio compagno di avventura —con questa slide: siamo effettivamente figli delle stelle perché tutti gli elementi chimici di cui anche noi siamo formati si formano nelle stelle; e siamo anche dipendenti dalle stelle perché il nostro Sole — che è una stella — ci dona la vita, ci consente la vita, e funziona grazie alla fusione nucleare di cui continuiamo a sentir parlare. Grazie.

 

Sozzi. Grazie Marcella, grazie. E vediamo adesso Ambrogio ci spiegherà come è possibile provare a reinventare questo processo sulla nostra Terra. Prego.

 

Fasoli. Grazie mille. Sono molto onorato di essere qui. Mi fa un grande piacere parlare un po’ della fusione dal punto di vista della Terra, quindi questo compito ingrato, dopo questa magnifica presentazione sullo spazio, di riportarvi letteralmente sulla Terra. Perché noi quello che vogliamo fare è risolvere un problema pratico: dobbiamo costruire una stella sulla Terra. Non ho bisogno di ricordarvi i problemi energetici che abbiamo tutti in questo mondo però voglio comunque motivare la cosa con un’immagine che a me piace molto, l’immagine del mondo, – per ricordare che siamo scesi sul nostro pianeta – nella quale immagine le superfici dei vari paesi sono corrette rispetto al consumo di energia pro-capite delle persone che abitano questi paesi; e mi piace perché ci visualizza un po’ la questione del Nord e del Sud del mondo di cui parliamo spesso e senza tanto quantificarla. Ma, soprattutto, ci visualizza una cosa: che c’è tutta una parte del mondo che è privata di energia, nella quale milioni, se non miliardi, di persone non hanno accesso all’elettricità e la quale parte del mondo è quella, fra l’altro, che è in sviluppo demografico molto più forte, forse l’unica che in sviluppo demografico. Quindi chi siamo noi per dire: ok ragazzi, abbiamo messo a rischio la salute del pianeta, fermiamoci adesso. Noi siamo ricchi, stiamo bene, non continuiamo a consumare energia come prima, perché abbiamo raggiunto il nostro livello. Ma chi siamo noi per dire che l’altra metà del mondo deve fare lo stesso? Noi dobbiamo permettere a tutti di accedere all’elettricità, permettere a tutti di farlo per svilupparsi, ma di farlo in maniera sostenibile, cioè senza mettere un’ipoteca sul futuro del nostro pianeta. È chiaro anche che noi non siamo in competizione con le energie rinnovabili. Nessuno può mettere in dubbio che il nostro futuro energetico avrà una grande importanza e un grande contributo da parte dell’energia rinnovabile. Ma nessuno al giorno d’oggi penso possa più sostenere che possiamo avere esclusivamente le energie rinnovabili perché abbiamo visto in diversi paesi, per esempio la Germania, — che ha messo un enorme sforzo per sviluppare le rinnovabili — cosa ha dovuto fare in parallelo? Rendendosi conto che c’è bisogno, oltre alle rinnovabili, di energie di base, di energia che sia accessibile quando e dove ne abbiamo bisogno, cosa ha fatto? Ha prodotto, ha costruito decine di centrali a carbone o a idrocarburi, esattamente quello che non si deve fare per mantenere la salute del nostro pianeta. C’è bisogno di un’energia di base perché le rinnovabili hanno bisogno di immagazzinare l’energia, non sono continue, sono intermittenti. Questa energia di base deve però, anch’essa, essere rispettosa del nostro pianeta e quindi non basarsi sulla combustione che produce gas e effetto serra. Quindi questa energia di base dobbiamo trovarla nei nuclei, secondo me. E la presentazione precedente ha spiegato dove abbiamo imparato questo: abbiamo imparato guardando la natura intorno a noi, guardando le stelle, guardando il nostro Sole. Abbiamo capito che se noi mettiamo insieme delle particelle molto piccole, dei nuclei molto piccoli dell’idrogeno — l’elemento più semplice: un protone nel nucleo, un elettrone intorno — e li mettiamo insieme, formano dei nuclei leggermente più pesanti, senza nessun problema di scorie, perché cosa formano? Formano l’elio, il gas con cui si gonfiano i palloni per i bambini; quindi non è un gas che ha un problema, anzi, è una risorsa alla quale vorremmo avere più accesso. Ma quando mettiamo insieme questi nuclei il peso, la massa complessiva, alla fine, è più piccola della massa che avevamo all’inizio. Cosa è successo? È successo che la massa — che sappiamo essere equivalente all’energia grazie ad Einstein — si è trasformata in energia e questa energia è disponibile per creare dell’elettricità per esempio. E voglio ricordare che il processo di fusione che appunto fa funzionare le stelle fino a mettere insieme tutti gli elementi leggeri, fino al ferro, è esattamente il contrario del processo di fissione nucleare che è quella che alimenta le centrali che abbiamo il giorno d’oggi. Il processo di fissione è quello che spacca i nuclei pesanti e radioattivi creando ancora dei nuclei relativamente pesanti e ancora radioattivi e degli elementi come i neutroni che poi creano reazione a catena e facendo questo però anche questo processo libera una grossa quantità di energia. Quindi fusione vuol dire mettere insieme i nuclei leggeri e creare dell’energia; fissione vuol dire spaccarli e creare dell’energia ma anche creare delle scorie radioattive, cosa che non è nel caso della fusione. Abbiamo capito come funzionano le stelle — come diceva il moderatore — circa un centinaio di anni fa. Abbiamo capito che tutta l’energia, sostanzialmente, viene dalle stelle. Abbiamo accumulato in decine di milioni, centinaia di milioni di anni l’energia fossile, cioè l’energia degli idrocarburi che bruciamo tutti i giorni. L’80% della nostra energia viene da quello, purtroppo, e ce la stiamo giocando. Ci stiamo giocando questi combustibili in decine, centinaia di anni al massimo. Accumulati in decine di milioni di anni, bruciati in centinaia di anni. Quindi perché non prendiamo una stella e la facciamo noi, facciamo una copia sulla Terra? È un po’ il sogno di Prometeo, questo è Prometeo, il titano amico dell’umanità che appunto voleva portare il Sole agli esseri umani. Prometeo è quello che pensa prima, bisogna pensarci prima. Noi siamo al punto che non possiamo più posticipare queste transizioni, dobbiamo pensarci adesso, perché il pianeta ne risentirebbe troppo se andassimo più in là col tempo.

Mi chiedo spesso, se la fusione abbiamo capito come funziona — Marcella ci ha spiegato in maniera chiarissima — perché non ce l’abbiamo ancora? E l’unica risposta onesta è: perché non è facile. Perché è difficile, è difficile mettere insieme questi nuclei. Perché i nuclei, come sapete, — in questo filmino lo si dimostra — sono carichi positivamente, quindi non si piacciono gli uni con gli altri, si respingono. Quindi bisogna metterli vicini, bisogna sbatterli gli uni contro gli altri in maniera molto energetica perché arrivino così vicini da dare luogo alle relazioni di fusione. Sbatterli gli uni contro gli altri vuol dire che devono avere un’energia disordinata molto grande, e chi dice “energia disordinata molto grande” dice “alta temperatura” e alta temperatura vuol dire qui — come diceva Marcella — non mille gradi, non quello che abbiamo oggi, 40 gradi, vuol dire decine di milioni di gradi. Quindi stiamo parlando di processi che hanno luogo a decine di milioni di gradi. Che cosa c’è a decine di milioni di gradi? Non è non c’è niente di cui abbiamo l’abitudine di utilizzare sulla Terra. Se noi prendiamo del ghiaccio nello stato solido, lo scaldiamo, diventa acqua; prendiamo l’acqua, la scaldiamo, diventa gas o vapore. E se poi portiamo il vapore a decine di milioni di gradi cosa succede? Tutto si strappa, gli atomi si dissociano, ci sono i nuclei da una parte — circondati da elettroni che sono liberi di muoversi in tutto in tutto lo spazio — c’è una specie di zuppa fatta di cariche positive e negative che globalmente si equivalgono che noi chiamiamo il plasma. Gli astrofisici lo chiamano gas molto caldo, noi lo chiamiamo il plasma perché, veramente, è un altro stato della materia, è uno stato che sembrerebbe molto esotico — e lo è in parte sulla Terra — ma, naturalmente, è praticamente quello che costituisce la maggior parte dell’Universo o la maggior parte della parte dell’Universo che noi conosciamo, L’Universo che noi non conosciamo non sappiamo di cosa è fatto. Quindi questo plasma noi dobbiamo crearlo sulla Terra perché è solo a decine di milioni di gradi che possiamo avere la fusione e quindi che possiamo avere l’energia che il plasma, appunto, produce. Allora è facile la vita per una stella, perché è grande ed essendo grande ha un enorme forza di gravità e quindi può permettersi di tenere insieme questo plasma con la sua forza di gravità e può permettersi anche — visto che esiste da 5 miliardi di anni — di prendere decine di migliaia di anni per creare energia. Quello che arriva a noi dal Sole adesso è stato prodotto decine di migliaia di anni fa nel centro del Sole; ma noi non possiamo permetterci questo dobbiamo essere molto più furbi e molto più rapidi delle stelle. Ancora una volta, non è così facile, dobbiamo fare, prendere, una reazione che — non entro nei dettagli — che diciamo è una versione rapida ed efficace di quello che succede nel Sole e nelle altre stelle, una relazione fra due isotopi dell’idrogeno, due versioni leggermente diverse dell’idrogeno. É una reazione che produce l’elio, come quella che mette insieme quattro atomi di quattro nuclei di idrogeno, e poi produce anche il neutrone. Il neutrone poi porta l’energia: c’è una piccola particella senza carica che ci porta l’energia per scaldare l’acqua e far girare le turbine ma anche permette di rigenerare il nostro stesso combustibile. Ci battiamo per questa energia di fusione da decine di anni perché i vantaggi potenziali sono giganteschi; è una possibilità cruciale per il futuro del nostro pianeta. Prima di tutto la fusione è caratterizzata da un’enorme densità di energia. Voi direte: perché questa persona ha messo lo stadio di San Siro? — spero che lo riconosciate — Prima di tutto perché sono milanese e secondo perché voglio fare le seguenti esempio. Milano ha circa 2 milioni di abitanti, lo stadio di San Siro ha circa 80.000 posti, compreso il terzo anello costruito diversi anni fa. Per alimentare in energia la città di Milano con combustibili fossili, cosa che purtroppo è fatta, è il caso al giorno d’oggi, prevalentemente, dobbiamo riempire lo stadio di San Siro completamente, fino al terzo anello, tutto in alto, di carbone. Immaginate quante migliaia di treni devono arrivare a Milano — e ci arrivano — ogni anno per alimentarci in energia. Se, anzi, — non devo dire se — quando la fusione funzionerà sulla Terra non ci vorranno dei treni, non ci vorrà neanche, forse, un’automobile, penso che con il rimorchio della mia bicicletta potrei portare il combustibile necessario per alimentare la città di Milano — 2 milioni di abitanti — per un anno; e questa è una cosa incredibile, se ci pensate. La conseguenza è che il combustibile che abbiamo è praticamente inesauribile. Alcuni colleghi calcolano che abbiamo combustibile di fusione per 2 milioni e mezzo di anni — o 2 milioni virgola 6 —. A me non interessa se è comunque sviluppo sostenibile. L’impatto sull’ambiente è molto ridotto perché non c’è combustione che produce gas effetto serra; quindi, non contribuiamo a peggiorare le questioni climatiche, né ci sono scorie radioattive di lunga durata — che è uno dei problemi principali della fissione —. E osservo anche una cosa che per me è molto importante: quello che facciamo — almeno in un approccio di cui parlerò un po’ più in dettaglio — nella fusione non ha interessi militari; quindi, nessuno può venire da noi, tranne qualche spia completamente disinformata, e quindi praticamente inutile, e prendere dei segreti o prendere delle informazioni che possono essere utili per sviluppare degli armamenti nucleari. Questo è importante, è anche un altro vantaggio rispetto alla fissione. È un’energia concentrata e non intermittente: noi la accendiamo e spegniamo quando vogliamo noi; quindi, quando c’è bisogno per far funzionare la città, un ospedale, non dobbiamo aspettare che ci sia vento, aspettare che ci sia il sole; ed è un’energia sicura perché non è basata sul concetto di reazione a catena. Se noi sbagliamo qualcosa nel controllare questa stella che va un po’ da tutte le parti si spegnerà per un momento e poi la riaccenderemo. Non succede niente di grave.

Allora, ho detto: il Sole, le stelle funzionano a confinamento gravitazionale. Quello che intendo dire con questo è che tengono insieme questa zuppa di particelle che vorrebbe andare da tutte le parti semplicemente tramite la loro forza di gravitazione. Non possiamo farlo sulla Terra, è chiaro. Non possiamo avere sulla Terra una centrale a energia che sia più grande della Terra stessa, quindi, questo è escluso per noi. Abbiamo due altre possibilità: una possibilità di utilizzare i campi magnetici — e ne parlerò perché è la possibilità, secondo me, più credibile — e un’altra possibilità è di fare delle mini-esplosioni, si chiama fusione inerziale perché, sostanzialmente, si riesce a mantenere il plasma, questa piccola stella — piccolissima in questo caso — sul posto, solo perché ha dell’inerzia, ha della massa; quindi, non ci vuole zero tempo per scappare, ci vuole un tempo finito. E vi do un esempio di quello che è stato fatto recentemente. Se la regia può far partire questo film mi fa un piacere. Recentemente, avete letto sui giornali, che è stata ottenuta per due volte — l’ultima volta è stata tre settimane fa — più energia di quella che è stata iniettata in questa pillola. Io la chiamo una pillola, si chiama un pellet in inglese, è grande come la pupilla di un occhio umano. È stata fatta in questo posto che si chiama NIF — National Ignicion Facility — in California, dove sono stati iniettati 192 raggi laser, i più potenti al mondo, che vengono controllati da una sala di controllo che vedete; vengono generati e vengono amplificati, vengono trasmessi ed è un impianto grande come — sempre parlando di stadi — come quattro volte un campo di calcio. Alla fine, questi raggi laser vengono iniettati su una pupilla umana, su una piccola pallina, capsulina, che viene sospesa — devono arrivare esattamente tutti lo stesso momento, esattamente tutti nello stesso punto; perché se non arrivano allo stesso momento e nello stesso punto il plasma, la mini-stella che si formerebbe, sguscerebbe da tutte le parti e non servirebbe per produrre energia. Loro l’hanno fatto, hanno ottenuto più energia di quella che è arrivata sulla pillola, tramite le reazioni di fusione. È un’enorme prodezza scientifica e tecnologica, ci rassicura sul fatto che siamo sulla buona strada ma non — secondo me — in questo modo. Perché? Perché i raggi laser per portare questa energia hanno bisogno di molta più energia loro stessi per essere prodotti, 300 volte di più; quindi, in realtà bisogna migliorare ancora di un fattore 300 questa efficienza. E poi, pensate un po’, questa capsula è fatta d’oro, di diamante, di elementi ancora più complicati — vedete che sono miliardesimi di secondo nella simulazione — e ogni volta viene appunto soggetta a un’esplosione; quindi, bisognerà raccogliere i resti dell’esplosione. Lo fanno circa una volta ogni due o tre mesi; bisognerebbe farlo 10 volte al secondo perché possa funzionare come sorgente di energia. Perché lo studiano lo stesso? Perché sono simulazioni di piccole bombe termonucleari, motivo per cui chiudo l’argomento qua, perché a me non interessa. Quello che mi interessa è fare un reattore sulla terra controllabile e funzionante 365 giorni all’anno per decenni perché l’investitore deve, ovviamente, avere il suo ritorno. Quindi passo al confinamento magnetico. E anche qui chiederei alla regia di far partire questa piccola immagine. Anche in questo caso — grazie, grazie mille. È un movie —. Anche in questo caso ci ispiriamo alla natura, perché tenere questa stella insieme è veramente difficile, è a 100 milioni di gradi, è instabile da tutte le parti, ma abbiamo visto una cosa: questo gas caldo — come lo chiamava la mia collega, che noi chiamiamo plasma — c’è un po’ da tutte le parti nell’universo. Voi direte: ma ok, questa cosa a milioni di gradi come mai non ci brucia, come mai noi possiamo esistere? — L’ultima cosa che vogliamo è essere ionizzati. Le nostre cellule non vanno bene quando sono ionizzate —. Perché noi siamo protetti da una cosa straordinaria: dal campo magnetico che la Terra ha intorno a sé. Sapete che c’è il polo Nord, il Polo Sud, c’è un campo magnetico della Terra intorno a sé e questo campo magnetico crea una gabbia che ci protegge dal plasma che verrebbe, per esempio, dal Sole. Idea! Facciamo una gabbia al contrario: facciamo una gabbia in cui mettiamo il plasma e non facciamolo uscire invece che una gabbia che permette al plasma di non entrare. Quindi noi abbiamo pensato come fare una gabbia che tenga questa Stella insieme, che non la faccia uscire, perché noi vogliamo tenerla lì, scaldarla, e tirarne fuori dell’energia. Direte: “Ok, scaldarla sarà difficile a 10, 20, 30, 100 milioni di gradi”. No, è una delle cose più facili; è una delle cose più facili. Facciamo praticamente il vuoto, togliamo quasi tutto dalla nostra macchina, ci mettiamo, come dire, una lacrima di gas, un pochino di gas e lo riscaldiamo con, per esempio, dei fasci di microonde. Nel nostro laboratorio, in collaborazione con tanti laboratori italiani, abbiamo dei fasci di microonde per diversi Megawatt, diversi milioni di watt; come dire, abbiamo 10.000 forni a microonde. Cosa succede se mettete 10.000 forni nel microonde a riscaldare una piccola, minuscola, frazione di una bistecca? Beh, diventa più calda del centro del Sole. E noi lo facciamo 20, 25, 30 volte al giorno quattro giorni alla settimana nel nostro laboratorio; quindi, non è un problema così grande. Il problema più grande è tenerlo insieme col confinamento magnetico. Ce la facciamo, anche questo lo facciamo diverse volte al giorno. L’idea di una gabbia molto efficiente — di cui vi risparmio i dettagli — è venuta in Russia, negli anni ‘50, si chiama Tokamak — che è appunto un acronimo russo — ed è fatta da diversi tipi di campi magnetici, che impediscono alla stella, la piccola stella che abbiamo nel nostro laboratorio di scappare da tutte le parti. È un oggetto piuttosto complicato, come potete immaginare, che però ha visto una storia, progredire nella capacità di controllo che abbiamo, nella capacità di ottimizzazione e, appunto, nella capacità di confinamento di questo grandissimo, caldissimo, plasma. Abbiamo fatto dei progressi giganteschi. La gente dice: ragazzi, dovete arrivare con questa fusione. I progressi che abbiamo fatto, in termini di parametri che determinano a quanta distanza siamo dal reattore alla fine, sono stati più veloci dei progressi dei microchip per i calcolatori; quindi, non ci si può troppo lamentare — diciamo — però non ci siamo ancora. Perché? Perché, in realtà, stiamo ancora mettendo più energia o più potenza nel plasma, in questa piccola stella, di quello che il plasma ci rende. Dobbiamo ancora fare questo passo, e questo passo lo facciamo tutti insieme. E qui mi collego un po’ anche al tema del Meeting: tutti insieme vuol dire senza segreti, vuol dire senza competizioni feroci. Certamente c’è sempre un pochino di competizione scientifica, ma con apertura totale sulle informazioni, e lo facciamo sia a livello europeo che a livello mondiale. A livello europeo, devo dire la verità, immodestamente, mi permetto di dirlo a Carlo siamo forse i pionieri di questo approccio comunitario, perché la fusione è stata uno degli elementi principali all’inizio della Comunità Europea, poi dell’Unione Europea, nei progetti scientifici comuni. In questo momento abbiamo un consorzio che si chiama il consorzio EURO Fusion, di cui io ho il privilegio di essere il presidente che contiene 29 paesi; quindi, non solo i paesi dell’Unione Europea. In realtà ci sono anche la Svizzera, dove sono io, il Regno Unito, la Norvegia e l’Ucraina che è un nostro partner. Tra più di 30 istituti di ricerca,150 università, 4000 ricercatori e mille studenti, che è un aspetto fondamentale. Facciamo tutto insieme. Facciamo tutto insieme vuol dire che ci sono diversi esperimenti, fra cui uno è molto importante che è in costruzione a Frascati vicino a Roma, in Italia. E ogni esperimento fa, diciamo, il meglio che può fare per dare delle informazioni cruciali per, alla fine, arrivare al generatore di elettricità a fusione. Abbiamo avuto diversi successi: uno l’anno scorso è stato il record di energia di fusione nell’esperimento che è un esperimento collettivo europeo che si chiama Joint European Torus, dove ho avuto anche il privilegio di lavorare per diversi anni e ancora ci lavoriamo tutti insieme; abbiamo ottenuto il record di energia di fusione, abbiamo raddoppiato l’energia di fusione. Io sono appassionato di sport e quando si batte un record molto difficile — dimezzare un tempo, raddoppiare per esempio la distanza alla quale si getta un peso. In genere si fa un 3%, 2% —. Noi abbiamo raddoppiato l’energia di fusione prodotta in un esperimento. Quindi è stata una cosa molto importante perché l’abbiamo fatto in condizioni che sono quelle che verranno utilizzate per i reattori; quindi, c’è stato anche molto interesse da parte della stampa e dei media. Mi permetto una piccola parentesi perché una delle cose che faccio e, devo dire, anche una delle mie passioni è l’insegnamento e la formazione di studenti e ingegneri, eccetera. Voi potete immaginare che non sia così facile, tutti i giorni, lavorare su un progetto che darà luogo a risultati finali fra decine di anni. Sono 40 anni, 50 anni, che ci lavoriamo, ci lavorano i miei predecessori; è un progetto transgenerazionale, quindi, ai nostri studenti, ai nostri giovani, ai nostri collaboratori, non dobbiamo solo dire: “Ok, fate questo e poi fra due mesi otterremo il risultato”. Dobbiamo anche dare l’ispirazione, provare a dare l’ispirazione per vedere l’orizzonte più lungo. Mi permetto di citare una frase di Antoine de Saint-Exupéry che dice: “Se vuoi costruire una barca non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti, impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”. Noi dobbiamo fare anche questo. Quando ho fatto il corso online sulla fusione con i miei colleghi, su “fusione e fisica dei plasmi” ho detto: “Madonna, questa è una cosa veramente spiacevole, fare una cosa a freddo, così, ci sono 45 mila studenti che stanno cercando di imparare queste cose”. La dimostrazione scientifica e tecnologica della fusione verrà fatta dal progetto ITER. ITER è un trattato internazionale — parlando di amicizia fra popoli — è un trattato fra sette partner: gli Stati Uniti, la Russia, la Corea del Sud, il Giappone, la Cina, l’India e, naturalmente, l’Unione Europea. Perché dico “naturalmente”? Perché l’Unione Europea è il partner principale e perché ITER è sul territorio dell’Unione Europea, al Sud della Francia. È una collaborazione globale: tutti questi paesi e i loro partner costruiscono componenti che vengono messi insieme, in modo che tutti abbiano la fine del progetto la tecnologia, la capacità tecnologica e scientifica di far funzionare il loro reattore a fusione; nessuno potrà andare da un altro paese e colonizzarlo perché non ha capacità in fusione che è il futuro dell’energia. È un progetto forse il più ambizioso mai fatto dal genere umano per scopi pacifici. Questo è il sito, al giorno d’oggi. Sono stato due settimane fa; è praticamente completato. Ho fatto questa foto: c’è l’assemblaggio in corso. Ci sono dieci milioni di componenti che vengono da tutti i paesi del mondo. Immaginate il puzzle, forse il puzzle più complicato mai fatto dall’uomo. Ma è in fase di completamento, per quanto riguarda l’assemblaggio. Però ITER non è l’ultimo passo, non è l’ultimo step. Perché? Perché una volta dimostrata la fattibilità scientifica e tecnologica dobbiamo dimostrare che possiamo venderla l’elettricità, possiamo fare una centrale elettrica che alimenti città e ospedali per anni, anni e anni, senza interruzioni, e quando e dove vogliamo. Questo verrà dimostrato dal progetto che noi chiamiamo in Europa DEMO che produrrà centinaia di Megawatt di potenza elettrica e, fra un ciclo completo del combustibile, cioè, produrrà il proprio combustibile e quindi dimostrerà la fattibilità commerciale della fusione portando a maturità tutte le tecnologie critiche, riducendo i costi e sfruttando le proprietà di sicurezza intrinseche perché dobbiamo mantenere il fatto che la fusione è sicura. Ci sono ancora alcuni — non entro nei dettagli, ve lo prometto, — ci sono ancora alcuni elementi di ricerca e sviluppo che devono essere completati prima di arrivare a questa dimostrazione. Dobbiamo capire nei dettagli come fare il combustibile, come controllare in tempo reale questa stella che vuole sgusciare da tutte le parti, come gestire la sicurezza in maniera attiva, come ottimizzare tutto tramite i robot; e dobbiamo mantenere anche il plasma in questa bottiglia. Il Sole non ha niente, non ha un contenitore intorno, è facile per il Sole. Noi dobbiamo avere un piccolo Sole in un contenitore, quindi il contenitore non può toccare la superficie del Sole — si brucerebbe immediatamente — e, giusto per darvi un’idea, abbiamo un carico termico, cioè la quantità di Megawatt o di Watt per metro quadrato che è gigantesca: 10 milioni di Watt per metro quadrato. Perché è difficile? Perché nessun materiale registra a questo. Stiamo sviluppando materiali a più non posso, stiamo sviluppando metodi per tenere il plasma più lontano possibile dal materiale. Per la verità quando un razzo parte c’è un carico termico più grande ancora, è l’unico esempio che ho trovato al mondo in cui il carico termico è più grande. Ma quanto ci vuole per il razzo per arrivare fuori dall’atmosfera? Pochissimo. Minuti, decine di secondi, minuti. Noi dobbiamo farlo 24 ore su 24, 365 giorni all’anno per 20 o 30 anni. È un po’ diverso. Un reattore nucleare convenzionale è 10 volte meno, un satellite quando rientra nella atmosfera è circa 10 volte meno, una turbina di un Boing è circa10 volte meno. Quello che stiamo facendo adesso noi, tutti insieme, ancora una volta in Europa, quanto meno stiamo discutendo con tutti i nostri membri come fare per arrivare ancora più velocemente al reattore. Noi dobbiamo accelerare, la Terra è in condizioni precarie, la Geopolitica ci ricorda che non vogliamo essere dipendenti da personaggi particolari a destra e a manca. Noi dobbiamo accelerare. Per accelerare dobbiamo fare tutte queste ricerche in parallelo, insieme. Insieme sia dal punto di vista gli uni con gli altri, sia dal punto di vista di una linea di ricerca con un’altra. Prendere dei rischi aumentare gli investimenti, incorporare i privati e l’industria; e questo è il nuovo approccio che noi abbiamo per arrivare più velocemente al reattore che ci darà energia da fusione e che ci permetterà di dare un contributo molto significativo al problema dell’energia sul nostro pianeta.

Mi fermo qua e vi lascio — se la regia lo fa partire — un riassunto visuale di quello che abbiamo detto sia Marcella che io. Abbiamo capito come funziona il Sole, abbiamo capito come funzionano le stelle: bisogna che siano calde, bisogna che si tengano insieme le une con le altre, e per fare questo dobbiamo, sulla Terra, generare una gabbia molto efficiente. Questa gabbia sappiamo come farla, dobbiamo solo ottimizzarla. Sappiamo come riscaldarlo il plasma, sappiamo come controllarlo, stiamo mettendo tutte insieme queste cose. E queste cose tutte insieme ci daranno un futuro migliore per il nostro pianeta. Grazie

 

Sozzi. Grazie per questo impulso che hai indicato e, diciamo, entrambi i vostri interventi sono chiaramente molto, molto interessanti, molto stimolanti e quindi, diciamo, è naturale che emergono delle domande. A Marcella vorrei chiedere: lo studio della variabilità della luminosità stellare, che hai introdotto prima, non solo permette di comprendere l’evoluzione della vita della stella, in che fase la stella si trova, ma fornisce anche una sorta di strumento di misura, diciamo, per valutare le distanze del nostro Universo. Questo tipo di comprensione a che cosa apre? Qual è, diciamo, cosa ricaviamo da questo approccio, da questa informazione?

 

Marconi. Come dicevamo prima noi quando osserviamo le stelle non abbiamo modo di capire qual è la luminosità vera se non sappiamo quanto sono distanti. Viceversa, se sappiamo quanto sono distanti, capiamo quanto sono realmente luminose, capiamo anche come sono distribuite realmente nella galassia, nell’Universo e non solo la proiezione bidimensionale. Per conoscere la luminosità occorrono degli oggetti che, in qualche modo servano, le chiamiamo candele campione, servano per misurare, servano a classificare degli oggetti per dire sono tutti luminosi allo stesso modo e quindi se le vedo più deboli o più brillanti sono più lontani o più vicini. Ci sono dei metodi anche geometrici per misurare le distanze stellari però con questi metodi in genere non si va molto lontano; si va solo, si arriva nei dintorni del Sole, non si riescono a misurare distanze neanche di tutte le stelle della Via Lattea. Per misurare la distanza di oggetti più lontani servono appunto degli oggetti, come per esempio le stelle variabili. Perché le stelle variabili? Perché ci sono alcune stelle variabili… Stelle variabili significa che la luminosità e la dimensione della stella non rimane costante nel tempo ma varia, e varia in alcuni casi addirittura con una certa periodicità. Cosa vuol dire? Che periodicamente la stella si espande e si contrae, si espande e si contrae e la luminosità aumenta, diminuisce e riaumenta e diminuisce. Se si riesce a misurare la periodicità, ovvero per esempio la distanza tra due massimi nella luminosità dell’oggetto — che se ci pensate è solo una misura di tempo — si può risalire alla luminosità vera dell’oggetto. Questa è una scoperta, fra l’altro, fatta da una donna — Miss Leavitt, all’inizio del Novecento — che riuscì a scoprire una correlazione tra una misura di tempo — che è una misura semplice: basta aspettare quando la stella arriva al massimo e arriva al massimo la volta successiva e misurare la distanza di tempo — riuscì a trovare una relazione tra questo periodo e la luminosità vera dell’oggetto. Questo è un metodo molto potente che fra l’altro viene ancora utilizzato oggi anche nei grandi esperimenti che si fanno per misurare le distanze cosmiche e che consentono quindi di capire quanto sono lontane le galassie più lontane. E quindi servono oggetti di questo tipo. Altri oggetti molto utili per stimare le distanze cosmiche sono le Supernove. Perché le Supernove? Perché le Supernove — abbiamo detto prima — sono il risultato dell’esplosione di stelle massicce e sono oggetti estremamente luminosi, diventano luminose quasi come la galassia che le ospita e quindi consentono di arrivare a distanze molto grandi. Allora se le Supernove hanno tutte al massimo della loro esplosione la stessa luminosità, o una luminosità riconducibile a una caratteristica nota, io le posso usare come candele campione e misurare distanze molto, molto grandi.

 

Sozzi. Grazie. Una domanda per Ambrogio. Hai parlato nell’ultima slide di un cambiamento di passo verso la realizzazione della fusione e hai citato una serie di problemi da risolvere; ma qual è il punto, il fattore limitante oggi, qual è, diciamo, il prossimo ostacolo da superare?

 

Fasoli. Secondo me il fattore limitante è l’integrazione di tutte le varie cose. Dobbiamo soddisfare diverse condizioni perché questo oggetto funzioni come vogliamo noi, questa Stella si accende e rimanga accesa. E queste condizioni vuol dire avere abbastanza temperatura, abbastanza pressione, ed avere certI altri parametri tecnici di cui vi faccio grazia. Praticamente tutti questi li sappiamo fare individualmente, ma non sappiamo metterli tutti insieme. È come quando si fa il Decathlon, insomma, se prendiamo i migliori tempi, le migliori performance di ognuno dei 10 sport abbiamo un tempo e una performance totale molto diversa se lo prendiamo da diverse persone che avere quella di un singolo atleta che fai tutti i 10 sport. Noi dobbiamo mettere tutte queste cose insieme in modo che il salto con l’asta non vada troppo a inficiare la performance del salto in lungo o della corsa, insomma. Dobbiamo fare in modo che il plasma si comporti bene in diversi aspetti; al meglio in ognuno degli aspetti in modo che alla fine tutto funzioni insieme. Prima cosa. Seconda cosa, che è un po’ una conseguenza, è che tutto questo, il nostro scopo, non è avere un premio Nobel o avere tante pubblicazioni — sì fa parte un po’ della nostra carriera le pubblicazioni —. Il nostro scopo è che questa cosa funzioni, questa cosa deve funzionare e non deve funzionare una volta, deve avere la potenzialità di funzionare sempre. Quindi il fatto che queste performance vengano ottenute individualmente è già un problema; devono essere ottenute insieme, ma devono essere ottenute insieme e in modo che possano essere ripetute quotidianamente, settimanalmente, mensilmente, annualmente. Quindi questa integrazione è un po’, secondo me, il punto cruciale della ricerca e dello sviluppo in questo periodo. E integrazione vuol dire anche integrazione tra diverse culture, fra di noi e diversi approcci: l’approccio più accademico e scientifico di noi ricercatori, professori, eccetera, con l’approccio industriale di chi davvero dovrà costruirle queste centrali. E quando devono costruire una centrale non possono mettere milioni di sistema di misura perché noi vogliamo fare delle pubblicazioni. Devono metterle semplici, affidabili e, se possibile, a un costo relativamente ridotto. Quindi questi sono gli elementi, secondo me, sui quali dobbiamo accelerare, e dobbiamo farlo in parallelo, perché sennò i tempi si allungano. E il fatto di farli in parallelo è anche un po’ una delle novità che stiamo spingendo

 

Sozzi. Grazie, grazie. Allora il tempo ci dice che dobbiamo andare verso la conclusione anche se piacerebbe discuterne ancora e vi darò, a questo proposito, una notizia. A conclusione dell’incontro mi permetto di sottolineare la rilevanza, sotto vari aspetti, dei temi che abbiamo toccato. Il primo aspetto è quello della straordinaria unità dell’Universo in cui viviamo. I meccanismi che accendono le stelle così lontane, forse irraggiungibili, sono anche alla base della materia di cui i nostri corpi sono composti e ognuno di noi, con la propria originalità, viene da una catena di eventi che singolarmente presi sono semplici e indistinguibili tra loro. Un secondo aspetto è chiaramente quello dell’enorme portata del cambiamento che il successo dell’impresa tecnologica e scientifica della fusione potrebbe portare nella nostra società mettendo a disposizione dell’umanità una tecnologia che offre la possibilità di ridurre significativamente l’impatto ambientale della produzione energetica. Ma anche, è importante, la possibilità di ridurre le diseguaglianze grazie all’abbondanza del combustibile. Naturalmente perché una nuova risorsa diventi un bene e non un terreno di conflitto, occorre tenere presente, occorre quella considerazione dell’esperienza umana come amicizia che il tema del Meeting di quest’anno ci richiama. Questo credo che sia un punto essenziale che anche Ambrogio ci ha richiamato nell’ultima parte del suo intervento. Approfitteremo ancora della disponibilità dei nostri ospiti per continuare questo dialogo per le molte domande che, sono sicuro, sono emerse, che io stesso ho e che sono sicuro che il pubblico avrà. Domani alle 12:30 nella piazza del Padiglione A1, presso la mostra “Dono e risorsa: le sfide dell’energia” che ovviamente vi invito a vedere; e appunto sarà possibile da parte delle persone presenti porre domande e continuare a interloquire sul tema. Infine, ricordo una cosa che è scritta su tutti questi sfondi: una civiltà non cresce senza cultura; dialogo e bellezza ne sono la linfa vitale; l’esistenza umana è un’amicizia inesauribile, ma l’amicizia è inesauribile perché è inesauribile la sua fonte. E quindi ognuno di noi partecipando al Meeting può dare un contributo decisivo per rendere questa occasione sempre più grande, un’occasione di testimonianza, di amicizia, che vuole dilatarsi il più possibile tra popoli e culture diverse. Quindi, l’invito è a sostenere il Meeting seguendo le varie indicazioni che trovate in giro per il Meeting oppure cliccando sostienici.meetingrimini.org. E con questo ringrazio ancora i nostri ospiti, vi saluto e arrivederci.

 

Data

20 Agosto 2023

Ora

19:00

Edizione

2023

Luogo

Sala Neri Generali-Cattolica
Categoria
Incontri