Intervista a Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile C. Beccaria di Milano.
Non chiamatelo il prete dei trapper. Ma Don Claudio Burgio, ai trapper ci tiene davvero, e non solo
a loro, tanto da fondare una comunità dedicata proprio ai ragazzi in difficoltà. Lo abbiamo
intervistato oggi pomeriggio alla redazione News&Social del Villaggio Ragazzi.
“Perché ti chiamano il don del trap?”
“Mi chiamano così per il rapporto speciale che ho con ragazzi che accolgo in casa mia.
“Don Claudio, che cos’è il trap?
“Il trap è la versione più violenta del rap, “real” dove non c’è alcuna finzione e si racconta ciò che si
è vissuto nell’infanzia, che si ripercuote nella vita attuale. Accogliendo in casa questi ragazzi ho
iniziato ad entrare nelle loro vite accompagnandoli, ad esempio nelle sale di registrazione. Con
loro ho iniziato a sentire “suoni strani” che non sopportavo, perché continuavano giorno e notte
ininterrottamente. Io sono uno che ascolta senza giudicare, perché prima deve conoscere. Pian
piano ho iniziato ad ascoltarli, apprezzando sempre di più il significato dei loro testi, in cui
emergeva la rabbia per la loro condizione subita dall’infanzia, degenerata in discriminazione a
scuola, nell’incontro con coetanei “che avevano le scarpe, mentre loro le ciabatte”.
“I miei genitori non mi farebbero ascoltare questo tipo di musica…”
“Tu sei intelligente o no? Un genitore si deve fidare di te, ecco perché tanti ragazzi crescono senza
sentire la fiducia dei genitori. Si deve partire dalla realtà. Lo scopo della persona è arrivare a un
giudizio critico, una ragazza già formata e ben educata come te ha tutti gli strumenti per poter
ascoltare queste canzoni. Io accompagno e osservo questi ragazzi stupito, da “boomer” ho
aggiornato il mio linguaggio, adesso ho il mio profilo Instagram, non immaginavo che fosse uno
strumento così bello! Qui ho tanti dialoghi con i ragazzi.”
“Si è creato un bel legame con loro?”
“Dire che è un bel legame non è appropriato, lo definisco un rapporto speciale. Non condivido
sempre quello che fanno, ma ognuno è libero, quindi ho dato loro la mia fiducia, nonostante i
crimini che hanno fatto, e loro me la ricambiano. Il mio compito è aiutarli a riflettere sulle loro
azioni e a cercare una pace interiore, ma per questo c’è bisogno di un tempo non calcolabile.”
“Tu sai perché è iniziato lo scontro tra le gang? Perché si fanno la guerra se provengono dalla
stessa esperienza?”
“Tutto è iniziato per una questione di immagine. Il mondo trap è basato sull’individualismo e non
può mostrare le proprie fragilità e debolezze. Nel caso di Simba la Rue tutto è nato da insulti sui
social che sono finiti in rissa, fino al ferimento grave per accoltellamento dello stesso Simba.”
“Lei è contento della fama che hanno raggiunto?”
“A me non interessa la loro popolarità, perché il successo non corrisponde alla felicità del cuore.
Desidero che siano più felici, ma per questo c’è ancora tanta strada. Adesso hanno tanti soldi che
faticano a gestire, ma “quelli di San Siro” hanno devoluto una somma per ristrutturare il campetto
del loro quartiere, punto di ritrovo per ragazzi. E poi, per evitare che i più giovani commettano
rapine per pagarsi la sala di registrazione, hanno finanziato la ristrutturazione della sala prove
della zona. Non esistono ragazzi cattivi, forse incattiviti o prigionieri delle situazioni, in ogni
persona c’è della bontà”.
Se no come potrebbe un ragazzo come Baby Gang scrivere un verso come questo? “Non so dirti ti
amo, non me l’hanno insegnato” da Treni di Baby Gang.
Di Caterina, Chiara, Cristina, Emma, Giuseppe, Leonardo e Rebecca