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Campagne vaccinali – Riflessioni sulla pandemia
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Guido Bertolaso, Coordinatore della campagna vaccinale della Regione Lombardia; Giancarlo Cesana, Professore di Igiene Generale e applicata, Università di Milano Bicocca; Francesco Paolo Figliuolo, già Commissario Straordinario per l’emergenza Covid-19; Giovanni Rezza, Direttore Generale della prevenzione sanitaria al Ministero della Salute. Introduce Carlo Lucchina, Presidente Associazione Varese per l’Oncologia, Dipartimento Salute Fondazione per la Sussidiarietà.
La campagna vaccinale massiva ha mobilitato tutto il sistema sanitario nazionale (più di 134 milioni di inoculazioni, l’84,2% della popolazione vaccinata). Dietro i dati esiste un impegno enorme per la fornitura di vaccini, centri vaccinali, prenotazioni da parte dello Stato e delle Regioni. Alla luce delle varie posizioni a favore o meno della campagna vaccinale è il momento di riflettere su quanto sia accettabile e/o conveniente una vaccinazione di massa non obbligatoria.
Con il sostegno di Doc Generici.
CAMPAGNE VACCINALI – RIFLESSIONI SULLA PANDEMIA
Carlo Lucchina: Grazie, oggi parleremo… anzi, faremo delle riflessioni sulla pandemia e su cosa è stata la vaccinazione massiva. Abbiamo l’onore di avere come ospiti il Generale Figliuolo, già responsabile della campagna vaccinale dal marzo 2021 al marzo 2022, il dottor Gianni Rezza, Direttore Generale della prevenzione sanitaria al Ministero della Salute. il dottor Guido Bertolaso, coordinatore della campagna vaccinale della Regione Lombardia, tuttora Coordinatore, e per finire il professor Giancarlo Cesana, che voi credo conosciate bene, peraltro Ordinario di Igiene all’Università Milano Bicocca, uno dei migliori Igienisti italiani e non solo.
Cos’è il Covid? Prima di dare la parola forse vale la pena riassumere un paio di dati che rendono l’idea e rendono anche che cosa ha voluto dire al momento il Covid. L’Istituto Superiore di Sanità qualche giorno fa ha emanato l’ultimo Bollettino. Quindi la situazione Covid al 24 di luglio di quest’anno: infezioni 20 milioni 880 mila infezioni monitorate, 168.075 decessi, sono state fatte dall’inizio della campagna vaccinale ben 139 milioni 411 mila inoculazioni, i cittadini che hanno ricevuto la prima e seconda
dose sono più di 96 milioni, anzi scusate, 96 milioni di inoculazioni a cittadini, di prima e seconda dose. Questi sono i dati, questi dimostrano quanto sia stato e sia tuttora una tragedia questo virus, per chi non c’è più e per tutti coloro che hanno avuto e continuano a avere problemi.
Una domanda iniziale al Generale Figliuolo. Come abbiamo detto la vaccinazione massiva ha coinvolto milioni di italiani con centinaia di milioni di inoculazioni, eccetera. Come è stato possibile governare uno sforzo organizzativo simile? Abbiamo avuto problemi con l’approvvigionamento dei farmaci, ci sono state alcune polemiche sulla stampa su presunte priorità date ad altri stati, probabilmente anche sedi delle industrie farmaceutiche; abbiamo avuto problemi logistici, quale è stato lo sforzo logistico, lo stoccaggio, la catena del freddo, eccetera, come ha funzionato?
Francesco Figliuolo: Buon pomeriggio a tutti. Chiaramente questa è la domanda delle domande. Partiamo dall’inizio. Appena nominato, per me è stato un po’ quasi un lampo nel cielo. E abbastanza inaspettata. Fui contattato qualche giorno prima. Ringrazio ancora oggi il Presidente Draghi per la fiducia che ha voluto darmi ovviamente su indicazione del Ministro Guerini.
Appena arrivato, abbiamo cercato con una squadra che si formava in quei giorni, inizialmente di persone del mio comando, il comando logistico dell’esercito, quindi tutti esperti di logistica, poi abbiamo cercato altre professionalità nel campo della programmazione anche finanziaria perché aldilà della campagna vaccinale, c’era poi tutto un mondo, quello di far fronte alle acquisizioni, a pagare ciò che era già stato acquisito, a cercare di dare anche fiato al sistema produttivo, c’erano… c’è stato da fare molte attività di tipo amministrativo. Sicuramente avere una struttura chiara, con una verticalità delle decisioni e con il controllo, quindi un’esecuzione decentrata e un controllo accentrato. È stato subito elaborato un piano che ho presentato nelle sue linee essenziali al Presidente Draghi e poi emanato a tutte le Regioni e alle istituzioni centrali che avevano causa nella campagna vaccinale, che fissava sostanzialmente le linee operative e l’obiettivo. L’obiettivo fissato inizialmente era quello di vaccinare l’80% della popolazione che poteva essere allora vaccinata, allora inizialmente erano gli over16. Noi avevamo un vaccino, Moderna, che poteva essere somministrato agli over16 e tutti gli altri inizialmente erano per gli over18, quindi a questa platea, e ho fissato l’obiettivo di arrivare a fine settembre con l’80% delle vaccinazioni. Poi la platea nel corso del tempo è cambiata, sostanzialmente l’obiettivo è stato raggiunto 10 giorni dopo, però credo che parlando di quei numeri così elevati possiamo quasi autoassolverci di quel piccolo ritardo, poi nel frattempo due dei quattro vaccini allora disponibili a maggio furono bloccati, i due adenovirali, di fatto quindi con delle prescrizioni molto stringenti potevano essere erogati, somministrati solo agli over60, quindi sostanzialmente obiettivo raggiunto. Le linee operative quali erano? Un po’ le ha già citate. I centri di somministrazione, quindi fare una somministrazione che avesse una capacità di filiera – noi siamo arrivati nel periodo massimo ad avere circa 3000 hub quindi 3000 centri vaccinali di medio-grande capacità – ma anche poi la capillarizzazione, per fare quella che un po’ io ho chiamato la vaccinazione etica, cioè andare anche a trovare coloro i quali non potevano andare presso gli hub o comunque non avevano una capacità informatica tale da fare le prenotazioni in automatico. Poi l’approvvigionamento e la distribuzione. Ovviamente queste linee andavano in parallelo e la terza linea, il controllo dei fabbisogni. Quindi sapere esattamente in ogni momento di che cosa c’era bisogno e dove. La vaccinazione ha coinvolto numeri elevatissimi. Quando ho terminato eravamo a quasi 146 milioni di dosi distribuite. C’è stato da rimettere a posto l’hub vaccinale che già era stato costituito, potenziandolo. Noi oggi abbiamo un hub strategico a disposizione della nazione che è gestito dalla Difesa, che può contenere oltre 20 milioni di vaccini a meno 20° e circa 2 milioni e mezzo di vaccini a meno 80°. Questa è una capacità che è derivata dalle lezioni apprese, quindi poi ne parlerà meglio il professor Rezza, cioè ce la terremo come lezione appresa e abbiamo una capacità a disposizione del paese. Ma per approvvigionare chiaramente all’inizio quando sono arrivato avevamo 4 milioni e mezzo di vaccinazioni fatte. C’era una lentezza nella catena approvvigionativa, abbiamo cercato in tutti i modi di recuperarlo, perché chiaramente questa capacità di produzione è stata un po’ come un motore diesel. Ancorché oggi sia desueto e fuori dai dettami ambientalisti, però mi piace fare questo esempio, perché man mano che si scaldava è andata sempre meglio. Noi avevamo l’approvvigionamento tramite il Joint Procurement Agreement a livello europeo. Secondo me all’inizio ha avuto qualche problema, ma una volta rodato il sistema è stato un valore aggiunto e lo spiego in maniera semplicissima e velocemente. Sostanzialmente noi siamo riusciti, quando abbiamo avuto la crisi dei due vaccini adenovirali, grazie all’intervento mio sul piano tecnico, ma soprattutto del Presidente a livello politico sulla von der Leyen, ad avere un anticipo del secondo trimestre al primo trimestre. Quindi abbiamo avuto un anticipo di vaccini e questo ci ha consentito a giugno – luglio di avere inoculazioni giornaliere a una media di 500 mila vaccinazioni al giorno. E poi che cos’altro ha fatto questo joint procurement? Ha fatto si che l’Europa potesse parlare con una voce sola con le cosiddette Big Pharma. È chiaro che loro hanno agito molto in quasi monopolio, in oligopolio, però tutto sommato avere tutta l’Europa e non un singolo stato ha dimostrato, forse per la prima volta anche una coesione, un’eticità da parte dell’Europa, cioè di dare a tutti il proprio pro-quota che era legato ovviamente al numero di abitanti di ciascuna nazione. Altro valore aggiunto quale è stato? Che dopo l’estate del 2021, sostanzialmente in alcuni paesi dell’Europa, specie Europa Centrale e dell’Est, si è avuto un calo delle vocazioni nelle vaccinazioni, soprattutto nei paesi ortodossi e noi ne abbiamo giovato, perché abbiamo chiesto subito un anticipo alla Commissione Europea che ci è stato accordato. Era un prestito e poi dopo noi ovviamente li abbiamo restituiti, ma noi in quel momento avevamo la macchina che andava a pieno regime, e quindi questo ci ha consentito di continuare a fare. Volevo poi dire qualche parola sulla capacità di somministrazione. È l’esempio che quando l’Italia fa squadra vince. Sostanzialmente noi abbiamo utilizzato tutti gli spazi che erano disponibili e vi devo dire che moltissimi di questi, come poteva essere una sala come questa in cui siamo adesso, sono state messe a disposizione, oltre che dalle pubbliche istituzioni, oltre che dalle istituzioni regionali, anche dai privati. Cioè noi abbiamo coinvolto Associazioni di categoria, Banche, grande e piccola distribuzione. Imprese, aziende, tutto il mondo produttivo, ma anche ricordo il Cardinale Bassetti che fu un dei primi che mi chiamò quando fui nominato Commissario e mi disse: Generale, sappia che la Conferenza Episcopale Italiana mette a disposizione tutti gli spazi possibili e ricordo che proprio in Sicilia fu organizzato un sabato di vaccinazione nelle parrocchie, che ebbe grande successo, ecco per fare un esempio, e questo è stato possibile, secondo me, a mettere tutti insieme, cioè a giovarsi dell’esperienza e della capacità delle Forze Armate nell’ambito logistico, ma poi mettere a sistema la Protezione Civile, il mondo del volontariato e dell’associazionismo, che ha fatto un grandissimo lavoro, e con le Regioni. Le Regioni si è andato avanti, io lo dico sempre, i poteri da Commissario li ho usati pochissimo, soprattutto per l’Ordinanza, la prima importante è stata quella di utilizzare tutto ciò che era possibile, non sprecare i vaccini, io avevo detto in maniera semplicistica, darli al primo che passa, ma non era quello, era sempre nell’ambito delle categorie, ma poi definire, come lei ha chiesto, chi doveva avere cosa, chi dovesse avere cosa e quale è stata la stella polare? L’ha detta stamattina il Presidente Draghi: i deboli, i fragili e i più anziani, perché erano quelli che potevano avere gli effetti più severi qualora colpiti da questo infido virus e poi la vaccinazione etica, cioè i più deboli. Abbiamo pensato al mondo degli invisibili, abbiamo fatto un progetto, che poi è stato sviluppato da tutte le Regioni, su Roma l’ho seguito personalmente con la comunità di Sant’Egidio, con un’apposita ordinanza, la numero 8 del maggio ‘21 si è dato modo, tramite i sistemi informatizzati e con i sistemi temporanei, di dare un codice anche ai senzatetto, ma anche a coloro i quali magari non avevano la possibilità di avere il codice fiscale o le documentazioni di farli emergere e questo ha portato un altro valore aggiunto. Siamo riusciti a fare uno screening a delle popolazioni che magari da 10, 15 anni non avevano avuto nessun tipo di visita medica. Quindi da una parte l’eticità, ma dall’altra parte anche a livello utilitaristico perché così si poteva limitare la diffusione del virus, quindi a beneficio di tutta la popolazione.
Lucchina: Grazie Generale. Professor Rezza, la vaccinazione è uno dei cardini della prevenzione sanitaria, da questo punto di vista, e ha fatto fronte a un’emergenza qual è quella del Covid. Quale è stato il momento risolutivo? L’arrivo dei vaccini? La determinazione dello stato come ricordava anche prima il Generale Figliuolo? Il coinvolgimento degli specialisti, far squadra con gli specialisti?
Gianni Rezza: Beh, ricordiamo l’inizio di questa pandemia, fine del 2019 – 2020. Io all’epoca stavo… dirigevo il Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità.
Perché io ho fatto sempre il superburocrate, ho fatto gran parte della mia vita il ricercatore e quando qualcuno mi chiese, nel gennaio del 2020, quando arriveranno i vaccini? Mi disse, vaccini contro i coronavirus umani non ne avevamo, differentemente dall’influenza, perché quando c’è la pandemia influenzale, è vero che abbiamo a che fare con un virus che ha fatto un salto di specie recentemente un virus nuovo per l’uomo, però abbiamo l’esperienza dei vaccini influenzali, che comunque sia è un’esperienza che data da tempo, coronavirus umani noi non sapevamo se effettivamente saremmo stati in grado di mettere a punto un vaccino, efficace e sicuro nei confronti di un coronavirus. Dissi: bene che vada aspetteremo un anno, uno la butta lì, no, dopo se va bene va bene, se non va bene chi se lo ricorda, quindi molti di noi fanno così in genere, però invece il 27 dicembre del 2020, lo ricordate tutti, incominciarono ad arrivare i primi vaccini. Nella prima fase chiaramente noi sappiamo che i vaccini sono pochi, la domanda è tanta e l’offerta è poca. Dopo sappiamo che aumenta l’offerta e la domanda chi sa dove va a finire. È stato un trionfo della vaccinologia questo, non finiremo mai di dirlo, lo ha scritto il New England Journal of Medicine: “the triumph of vaxinology”, il trionfo della vaccinologia Nel giro di pochi mesi avere dei vaccini, non voglio far retorica, ma è la verità, avere dei vaccini, per lo più fatti con una piattaforma innovativa, perché chi aveva mai usato vaccini RNA che hanno funzionato e hanno funzionato eccome. Prima lezione, secondo: è vero che all’inizio c’è una luna di miele tra il vaccino e la popolazione, la percezione del rischio di malattia è molto elevata, ricordate tutti insomma quello che la nostra popolazione, specialmente nel Nord Italia ha sofferto, nel febbraio-marzo del 2020, e la paura che attanagliava gran parte della popolazione, di quando arriva un vaccino dopo c’è la fase di luna di miele, spontanea, fra la popolazione, gli individui, le comunità e il vaccino. Tutti quanti corrono a volersi… c’è la corsa alla vaccinazione, quindi bisogna prioritizzare. Dopo di che i vaccini diventano un po’ vittima del loro stesso successo. O fanno scomparire le malattie, per cui: ah che bello non abbiamo più paura delle malattie, pensiamo di non aver più necessità dei vaccini o i problemi magari diminuiscono, diminuisce l’impatto clinico, come sta succedendo adesso, e quasi quasi cominciamo a pensare di non averne più bisogno e invece sappiamo di fatto continuiamo ad averne bisogno, perché se riusciamo a tenere bassa la congestione delle strutture ospedaliere- visto che ondata c’è stata e faceva caldo e come a luglio – se non avessimo avuto gran parte della popolazione immunizzata, anche per la immunità naturale, per carità, dovuta alle infezioni acquisite, ma anche e soprattutto grazie ai vaccini, probabilmente l’impatto a livello di strutture sanitarie, l’impatto clinico sarebbe stato molto maggiore. Quindi il primo successo, lo dobbiamo dire, io lavoro nel pubblico, ho sempre lavorato nel pubblico, ma quando il profitto si sposa al bene dell’umanità, viva il profitto. Abbiamo avuto evidentemente una capacità di ricerca, innovazione, sviluppo di vaccini da parte di diverse aziende farmaceutiche che bisogna riconoscere è stato eccezionale. Certamente lo Stato credo abbia fatto molto, faccio un po’ di piaggeria nei confronti del mio amico Francesco, del Generale Figliuolo, la determinazione con cui evidentemente la campagna è stata condotta da parte anche del governo, del Ministero, della struttura commissariale innanzi tutto, è stata grande. Ma io devo dire – non voglio fare il centralista pentito -, ma ne parlavamo prima col vecchio amico Guido Bertolaso, le Regioni hanno dato un grosso contributo in tutto questo. Abbiamo visto come effettivamente, per quanto decentralizzato questo Stato dopo, alla fine, ha marciato quasi all’unisono. È vero che ci sono state Regioni che tradizionalmente sono più forti, per carità, che probabilmente hanno fatto di più e meglio di altri in tempi più brevi, però alla fin fine il sistema tutto sommato ha funzionato a 360 gradi, insomma, non mi sembra che ci siano state zone d’Italia particolarmente carenti. Laddove sono state carenti probabilmente c’è stato uno sforzo in più anche da parte della struttura commissariale per incentivare diciamo e favorire l’andamento della campagna vaccinale. Meglio di che io direi ha funzionato, ha funzionato bene al livello del territorio nazionale. Anche qua un’ultima cosa, insomma, questo gran parlare di No-vax, anti-vax, esitanti, per carità, esistono, possono causare dei problemi, però al di là di tutto il rumore, io non ho mai attaccato anche nelle mie apparizioni pubbliche che da quando sto al Ministero sono state molto più sobrie e ridotte, non ho mai attaccato frontalmente, chi alla fin fine voleva evadere l’obbligo vaccinale o desiderava non vaccinarsi. Si tratta di minoranze veramente sparute. Alla fine quando il gioco si è fatto pesante, si è visto che la gente i vaccini li vuole, e sa riconoscerne l’importanza. È chiaro che ci sono momenti in cui bisogna stimolare, io non sono a favore di un obbligo ideologico. Pragmaticamente può essere utile, come può essere stato utile il Green pass finché c’è stata la variante Delta, con Omicron di meno, è chiaro, per rendere Covid free i nostri ospedali, i luoghi pubblici. È uno strumento che si può utilizzare, ma i vaccini dovrebbero essere considerati innanzi tutto un diritto più che un dovere. Soprattutto quando si vede lontano l’obiettivo dell’immunità di gregge, perché quando quindi vediamo l’obiettivo se vacciniamo, perché, dicevamo, se vacciniamo il 70% della popolazione raggiungeremo l’immunità di gregge? Perché facevamo un calcolo banale: al di sopra di una certa soglia di copertura vaccinale il virus tende a non circolare più, ma questo dipende dal RTcon zero del virus, cioè dalla contagiosità del virus. L’ Ro di questo virus all’inizio era 3, cioè una persona infetta in media ne infettava altre 3, quindi 1 meno 1 fratto Ro ci veniva fuori 70%. Sostanzialmente quindi pensavamo – gli errori li fanno tutti perché noi non siamo nati “imparati”, impariamo lavorando evidentemente su una materia nuova – che vaccinando il 70% della popolazione allora avremmo arrestato la circolazione del virus. Così non è stato. Nuove varianti, l’immunità che si perde nel tempo, ci sono tanti fattori che influenzano, per cui la vaccinazione, più che un dovere morale per difendere gli altri diventa un diritto per difendere e proteggere noi stessi e sappiamo quanto sia il valore in questo momento della vaccinazione per difendere noi stessi dalle conseguenze più gravi della malattia. Ultimo, gli specialisti, perché faceva parte della domanda. Beh, devo dire che non c’è una cultura vaccinale diffusa anche nella classe medica, questo è un problema un po’ che si sconta, ci sono gli specialisti delle vaccinazioni, quelli che lavorano nei centri e nei centri vaccinali, i medici di base o i pediatri di libera scelta danno il loro contributo, sembra quasi che gli specialisti siano tenuti un po’ a parte, come se non facessero parte del mondo…, invece abbiamo visto quanto è utile, per esempio per vaccinare le persone trapiantate ricorrere allo specialista è estremamente utile, così l’ematologo, così evidentemente chi appartiene ad altre specialità, è particolarmente utile soprattutto nel momento in cui dobbiamo andare a raggiungere delle persone che afferiscono all’ospedale perché hanno particolari problemi, per esempio perché sono immunodepressi tanto per dirne una. Un coinvolgimento maggiore di più figure professionali sarebbe sicuramente importante e spero che la cultura vaccinologica possa essere maggiormente diffusa, dovrebbe essere anche un impegno evidentemente delle scuole di specialità, non solo della scuola di Igiene che su questo fa molto, ma anche evidentemente nelle altre scuole di specializzazione e nel corso stesso di medicina. Grazie.
Lucchina: Grazie professor Rezza. Lei tra l’altro ha posto il problema della classe medica e sanitaria in generale, perché poi questa esperienza Covid tocca un po’ tutto il mondo sanitario, da questo punto di vista. Dottor Bertolaso, la vaccinazione massiva è una decisione centralistica, decisione centralistica che ha a che fare con un rapporto stato-regione, dove le regioni storicamente rivendicano una loro autonomia decisionale, eccetera, ma nella esecuzione pratica, la vaccinazione massiva così come impostata ha creato dei problemi nella gestione dell’attività vaccinale i giornalieri, o meglio ancora, se i problemi ci sono stati, sono stati all’interno di ogni Regione, se mai?
Guido Bertolaso: Bene, buon pomeriggio a tutti. Facciamo un passo indietro, non parliamo solamente di vaccinazione massiva. Qua il problema centrale che è stato sollevato dal primo giorno in cui abbiamo dovuto tutti noi fronteggiare questa drammatica emergenza, era quello del ruolo dello Stato centrale rispetto alle Regioni. E su questo si è sempre giocato su di un equivoco che sarebbe anche ora di cancellare perché il 31 di gennaio del 2020, il governo di allora dichiarò lo stato di emergenza nazionale per appunto a quel tempo si parlava di coronavirus, il Covid19 non era stato ancora coniato come termine, e quando il governo nazionale dichiara lo stato di emergenza della nazione, tutti quelli che sono gli aspetti relativi alle competenze delle regioni rispetto alle strutture centrali, eccetera, svaniscono. Ricorderete tutti che nel febbraio del 2020 dopo la dichiarazione dello stato di emergenza venne nominato un commissario per gestire l’emergenza Covid, che era l’allora capo della Protezione Civile nazionale, il quale aveva il potere assoluto di coordinare e decidere quelli che dovevano essere gli interventi da mettere in piedi, così recitava l’ordinanza del 31 di gennaio, per fronteggiare, controllare e possibilmente eliminare quella che era l’emergenza causata dal coronavirus. Sappiamo bene come è andata. Si è discusso per mesi sul problema di chi dovesse fare che cosa. Le Regioni evidentemente, non avendo ricevuto con chiarezza gli ordini che dovevano ricevere, hanno cercato di organizzarsi anche in modo autonomo durante la prima fase dell’epidemia, nei primi mesi drammatici, al di là di quella che è stato il lock-down, attuato anche con ritardo rispetto a quello che erano le indicazioni degli epidemiologi, ogni Regione è stata abbandonata a se stessa a fare quelle che dovevano essere le iniziative per cercare di controllare il dilagare di questa epidemia. Tanto è vero che ad un certo punto ricordiamo tutti che il governo, nel corso del marzo del 2020, decise di nominare un altro commissario che non eliminava il commissario già nominato, ma si aggiungeva al commissario della protezione civile nella persona del predecessore del generale Figliuolo. E così si è andati avanti per mesi nella assoluta indeterminatezza di quelle che dovevano essere le misure da adottare a livello nazionale e da condividere con le diverse regioni. Io ho avuto il privilegio in quei mesi disgraziati e tristi e difficili di lavorare in quattro regioni diverse nel nostro paese. Perché nel marzo del 2020 – mi trovavo in Africa ancora a gestire gli esiti dell’epidemia di ebola che aveva colpito diversi paesi africani – fui chiamato di corsa dal Presidente della Regione Lombardia per creare quel famoso Ospedale in Fiera, che poi con tanta ironia è stato chiamato il Bertolaso Hospital, che ci permise nell’arco di poche settimane di creare un ospedale, un centro di rianimazione e terapia intensiva con 208 posti letto. Quindi lavorai le prime settimane di quell’emergenza con la Regione Lombardia. Poi mi sono preso il Covid, – dopo forse vi racconterò perché mi son fatto due settimane in rianimazione, quindi sono diventato anche utente oltre che operatore o anche utente della sanità della Lombardia in quel caso – l’ospedale poi è stato aperto e poi dopo parleremo anche di quello che è successo successivamente. Dopo che ho fatto l’ospedale in Lombardia sono andato in Regione Marche, dove mi hanno chiesto di costruire un ospedale analogo, più piccolo, nella Regione Marche, perché questo accadeva nel maggio del 2020. Anche lì abbiamo utilizzato una struttura tipo questa per fare un centro di rianimazione e terapia intensiva di 89 letti. Nell’estate del 2020, all’inizio dell’estate, quando sembrava che il Covid fosse finito, tanto è vero che qualcuno scrisse pure dei libri “come ho sconfitto il virus” sono stato chiamato in Sicilia perché la famosa App Immuni, di cui tutti ci ricordiamo, non funzionava, non è servita praticamente a nulla e la Regione Siciliana giustamente voleva cercare di far funzionare nel periodo estivo, l’unico momento in cui magari potevano avere un ritorno economico dalla tragedia del Covid e quindi mettemmo in piedi con la Presidenza della Regione questa App Sicilia Sicura, che faceva in modo che chi arrivasse in Sicilia, si registrasse, potesse fare le sue vacanze, ma se si ammalava veniva individuato, contattato e trattato e magari anche isolato. Dopodiché nella seconda ondata, quella che non doveva accadere e che invece è accaduta e ha fatto un numero di vittime, come ricorderemo, superiore alla prima ondata, quella del marzo del 2020, mi chiamarono in Regione Umbria per cercare di mettere in piedi le iniziative, appunto, per fronteggiare questa seconda ondata, aprire tutti i centri possibili e immaginabili dove creare posti letto di rianimazione in terapia intensiva, perché ancora i vaccini non c’erano,e quindi l’unico modo era quello di mettere di nuovo chiusi in casa tutti, laddove era necessario, e di far funzionare le strutture sanitarie. Peccato che nell’ottobre, novembre, dicembre del 2020 i tanti posti letto di rianimazione che dovevano essere creati in aggiunta a quelli che esistevano nel marzo del 2020 ancora non c’erano e quindi l’ospedale in Fiera di Milano e l’ospedale di Civitanova Marche nell’arco di quei mesi oltre 1500 persone hanno ricoverato e assistito in terapia intensiva e rianimazione. Fine del ragionamento, mi chiamano il 31 di gennaio per collaborare, mi chiama Attilio Fontana e Letizia Moratti, per andare a dare una mano alla vaccinazione in Lombardia. 31 gennaio. Il Generale Figliuolo ha detto: quando sono stato nominato poi ho fatto le mie attività. Ha dimenticato di dirvi la data. Correggimi se sbaglio, Francesco, tu sei stato nominato il primo di marzo del 2021. Prima Gianni ci ha detto che la campagna di vaccinazione è iniziata il 27 dicembre del 2020, giusto? Cosa è accaduto nel gennaio e febbraio del 2021, prima che arrivasse il Commissario Figliuolo? È accaduto che sono state date le indicazioni, bisogna vaccinare i più fragili, soprattutto gli over 80, medici e infermieri. Queste erano le indicazioni. Però poi c’erano alcune categorie più o meno a rischio che venivano definite la 1 bis, della quale non si capiva assolutamente chi dovesse essere vaccinato e chi dovesse rientrare e non c’erano delle indicazioni sulle procedure, l’organizzazione, i criteri, la vaccinazione massiva cui ha fatto cenno Carlo Lucchina è una iniziativa che viene adottata nel corso del mese di febbraio in Lombardia: Carlo, io ed altri lavoriamo per immaginare una strategia di vaccinazione, che non era stata indicata da parte di quella che era la struttura commissariale che in quel momento aveva la responsabilità di questa imponente campagna di sanità pubblica che si stava mettendo in piedi, ma la stavano mettendo in piedi dei funzionari, dei personaggi che non avevano alcuna competenza, né nell’ambito della logistica, né nell’ambito della organizzazione, né nell’ambito della programmazione. Eravamo in mano a delle persone recuperate, non si sa perché e percome, a gestire la più grave emergenza del nostro Paese dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Il mese di febbraio io me lo ricordo bene, quello che è stato l’incubo, quelle che sono state le notti insonni che abbiamo passato nella disperata ricerca di capire quando arrivavano i vaccini, perché ci dicevano dopodomani arrivano 500 mila dosi di Pfizer, noi ci organizzavamo e poi 5 ore prima dello scoccare delle 48 ore ci veniva detto: DHL ha cancellato il volo e quindi i vaccini non arrivano. Era tutto basato sulla assoluta improvvisazione, in aggiunta ai problemi della Lombardia di cui magari parleremo dopo. Poi è arrivato il nuovo governo, è arrivato Francesco Figliuolo, un militare, comandante di tutta la logistica delle Forze Armate, una persona normale, ma un uomo con un metodo, con un criterio, non aveva mai sentito parlare di vaccini, ma non ce n’è bisogno, perché la campagna di emergenza viene fatta sulla base di un piccolo criterio che si chiama organizzazione e programmazione ed è quello che ha fatto il Generale Figliuolo e questo quindi lui ha detto “io seguivo con cautela, con prudenza, le regioni lavoravano”. È vero, ma lui il lunedì mattina di ogni settimana dal 15 di marzo in poi, mandava a tutti noi i compiti. Come dicevo io: dicevo: sono arrivati i compiti di Figliuolo? Si sono arrivati. Ogni regione riceveva, tramite ovviamente le poste certificate delle forze armate, ogni regione riceveva il suo compito della settimana, per cui lui sapeva quanti vaccini sarebbero arrivati in Italia nelle settimane e faceva una semplice programmazione, ma non lasciava mano libera alle regioni nel decidere cosa dovevano fare. Lui era il capo vero, c’era una linea di comando e controllo riconosciuta, lui era il vertice e diceva: la Regione Lombardia il lunedì 15 marzo deve fare 75 mila vaccinazioni, Regione Lazio 54 mila. Ogni tanto mi veniva da ridere perché ogni tanto diceva: Basilicata 3555 e allora io dicevo: scusa, ma perché questi 55? No, una precisione chirurgica, una precisione militare. Ma voi vi dovete mettere in testa un piccolo concetto che i nostri politici ancora non hanno capito, e per la quale per 10 anni mi hanno tutti massacrato quando ero il capo della Protezione Civile: quando c’è un’emergenza – e mi pare che questa emergenza sia stata gigantesca – la democrazia deve vivere, ma deve vivere in funzione grazie a qualche figura di vertice che ci mette la faccia, che si assume la responsabilità, che dice come sono le cose, che decide. Stamattina Draghi che cosa ha detto: il nostro governo aveva agito con tempestività e rapidità. E questo è il primo comandamento, il secondo lo citerò dopo, di ogni situazione di emergenza vera. Noi dal marzo del 2021 abbiamo cambiato pagina, non solo grazie ai vaccini, ma abbiamo cambiato pagina perché ci siamo trovati in una situazione chiara. Ognuno sapeva quello che doveva fare, avevamo gli input, lui ci controllava, ci bacchettava se non rispettavamo i numeri delle vaccinazioni che ricevevamo da fare nell’arco della giornata, della settimana, del mese; noi gli abbiamo forse dato una mano come Regione Lombardia, perché abbiamo sempre esagerato in eccesso e mai in difetto e questo gli ha permesso poi sempre di far vedere che i target dei 500 mila, 600 mila, quelli che lui indicava giornalieri venivano sempre ottenuti in tutta Italia. Questa è stata la gestione della campagna di vaccinazione massiva e quando lui è venuto il 31 marzo, primo funzionario rappresentante delle istituzioni a venire da Roma in Lombardia da qualche mese in avanti, ha potuto vedere che le campagne di vaccinazione massiva, i grandi centri erano tutti stati organizzati secondo quelle che erano le sue direttive. Quindi una centralità di indicazioni e di direttive, una trasversalità a livello regionale nell’attuare in modo tempestivo e preciso quelle che erano le indicazioni che ci dava il Commissario. E la campagna di vaccinazione in Italia è stata sicuramente una delle migliori al mondo. Punto.
Lucchina: Grazie al dottor Bertolaso. Professor Cesana, il professor Rezza ha sfiorato un attimo l’argomento quando parlava di No-vax, si-vax, ex-vax, eccetera. Cerchiamo di capire se può esserci, quale è il rapporto tra la libertà personale e la necessità di proteggere la salute di tutti.
Giancarlo Cesana: Si, la storia della medicina come la conosciamo noi è piuttosto lunga, 2500 anni. Il problema della limitazione della libertà personale per ragioni sanitarie è un problema molto vecchio, legato al fatto di dover prevenire delle malattie che non si sanno curare. E il Covid è iniziato così: una forma influenzale che aveva una letalità di 20 volte superiore alla letalità della comune influenza, con cure praticamente assolutamente insufficienti. Quindi bisognava evitarla. All’inizio il sistema era molto semplice: gli ammalati venivano allontanati; avete presente quello che dice il Vangelo dei lebbrosi, venivano mandati fuori dalla città. Qualcosa del genere sta succedendo anche adesso, ma questo è un altro discorso. Come si dice, questo è stato il modo più primitivo, poi le amministrazioni pubbliche nel corso dei secoli – perché gli ammalati non venivano curati, perché curare gli ammalati, soprattutto gli ammalati infettivi era pericoloso, così per secoli non c’erano gli ospedali. Gli ospedali sono nati col Cristianesimo, nel quarto-quinto secolo dopo Cristo, perché? Per la speranza della Resurrezione. Cioè la morte non è più l’ultima parola sulla vita e quindi si potevano curare gli ammalati, anche col rischio di morire – Però era la cura di ammalati terminali, cioè era una assistenza ai moribondi praticamente. Le amministrazioni pubbliche si sono progressivamente attrezzate fino al Medio Evo, al 1300, quando in Italia, non nel resto dell’Europa, perché l’Italia per secoli è stato il sole di mezzanotte, sono stati creati i Magisteri, cioè gli uffici di sanità che con provvedimenti di carattere politico-amministrativo cercavano di rimediare all’ignoranza dei medici. E appunto i sistemi sono quelli che abbiamo visto all’inizio del Covid, cioè l’isolamento, la quarantena (la prima quarantena è stata codificata a Reggio Emilia nel 1374), la proibizione delle manifestazioni pubbliche, anche di quelle religiose, la chiusura dei locali pubblici e così via. La cosa poi è evoluta ulteriormente ancora, fino all’inizio dell’800, che Joseph Peter Franck, un medico di Gottinga, che era il direttore sanitario del lombardo veneto sotto l’impero austriaco, inventò la Polizia medica. La Polizia medica aveva come compito di perseguire quelli che violavano le norme sanitarie e qui le cose sono cambiate significativamente. Cioè il sistema legislativo ha cominciato a proteggere la società attraverso anche degli interventi di carattere punitivo e da questo punto di vista la sanità ha cominciato a rappresentare una preoccupazione pubblica. Poi il sistema di welfare come lo conosciamo si è realizzato solo dopo la seconda guerra mondiale, però insomma lì si è cominciato e anche in Italia ci sono stati dei movimenti significativi. Per esempio a Milano si era creato questo movimento di medici dei poveri che cercavano di curare gli ammalati (che hanno poi fondato gli istituti Clinici di perfezionamento, protezione della maternità, dell’infanzia, del lavoro, il Gaetano Pini per quanto riguarda il rachitismo, il Paolo Pini per quanto riguarda le malattie psichiatriche). Qui si è cominciato a pensare che la sanità poteva essere uno strumento per realizzare il benessere delle persone. Tant’è che Guido Baccelli, che è stato il fondatore del Policlinico Umberto Primo a Roma, disse che la forza dei popoli è la sanità. E addirittura, molto colpito dall’evoluzione della Sanità, un pastore protestante americano, un certo Rosenbach, nel 1907 disse (perché poi veniva l’idea che la scienza era ciò che avrebbe salvato la società) disse: “la velocità dell’evoluzione documenta l’immensa capacità latente di perfezione nella natura umana. Forse questi 19 secoli di influsso cristiano (lui era un pastore protestante) sono stati un lungo preliminare periodo di crescita e ora il fine e il frutto sono quasi a portata di mano”. Poi come sapete sono successe due guerre mondiali, il nazismo, la shoah, il comunismo, e così via. E adesso c’è una guerra ancora. Quindi la scienza non salva la società. Però c’è un aspetto per cui è importante, che aiuta e che io vorrei sottolineare. Cioè, se la libertà è fare quello che si vuole, come viene normalmente definita, il problema è quello che si vuole, perché se si vuole qualcosa di sbagliato, e lo si persegue, si sta più male. Stiamo più male noi e stanno più male gli altri. E questo bisogna impararlo ed è molto importante.
Lucchina: Grazie professor Cesana, come sempre interessante da seguire i tuoi interventi e i tuoi argomenti. Signori noi abbiamo il tempo tiranno. Quindi cercherò di riassumere un attimo le domande da porre. Tornando al generale Figliuolo. È la struttura commissariale, Lei stesso, generale, ha avuto a che fare poi. O comunque ha dovuto più o meno tener conto delle varie posizioni degli epidemiologi, dei vari specialisti, spesso e volentieri in contrasto fra di loro, e poi una valutazione sul Green pass. Il Green pass si è dimostrato una decisione vincente, che però potrebbe anche essere interpretata con una funzione di moral suasion nei confronti dei cittadini nel senso, se ti vaccini puoi andare di qui, sei autorizzato ad andar di là, se non ti vaccini stai attento.
Come è la sua posizione al riguardo?
Figliuolo: Cercherò di essere breve. Partiamo dal discorso di come seguire, chi seguire. Sostanzialmente quando sono stato nominato Commissario avevo già una mia esperienza perché da me dipendeva la sanità dell’Esercito che diciamo è due terzi di tutta la sanità delle Forze Armate, anche di più, tre quarti. Quindi avevo delle esperienze in tal senso, avevo riorganizzato il Celio, un po’ sulla falsariga di quello che aveva fatto l’amico Guido. 150 posti letto, di cui 100 in terapia intensiva, riorganizzandolo quasi del tutto in ospedale Covid. Noi i nostri medici hanno sempre avuto…
Lucchina: Generale, per la platea, Il Celio per chi non lo sa è l’Ospedale…
Figliuolo: … è il Policlinico Militare di Roma. I nostri medici hanno sempre avuto un approccio verso le malattie infettive, anche quelle che in Occidente si pensava o sono eradicate, perché andando per missioni nelle più svariate parti del mondo, nell’Africa sub-sahariana, nel Nord Africa, nel Corno d’Africa o in Estremo Oriente, c’era questa abitudine a fare un triage prima di fare arrivare la popolazione presso la struttura ospedaliera. Quindi nella prima fase i nostri medici e infermieri sono stati impegnati specie nella Bergamasca. Quindi, diciamo, avevo già come mio consulente il Comandante della Sanità, il dottor Battistini, che poi è venuto con me in struttura, poi avevo il professor Guido Rasi che mi dava delle indicazioni su ciò che accadeva presso l’Ema, che è l’Autorità regolatrice dei farmaci europea. Poi quando ho approcciato da Commissario a tutte quelle sigle per capire che esisteva un Cts, quindi il Comitato Tecnico Scientifico, ma poi c’era il Cts di Aifa, dell’Agenzia Italiana del Farmaco, e poi c’era l’Agenas e poi l’Iss, l’Istituto Superiore di Sanità e poi c’era il Consiglio Superiore di Sanità e poi c’era la Prevenzione, allora mi veniva mal di testa. Cioè l’indirizzo era questo: noi dovevamo vaccinare nel più breve tempo possibile la più grande quantità di popolazione, andando a vaccinare subito per primi i fragili, gli immuno compromessi, poi le persone deboli, poi le persone anziane e poi gli altri, senza se e senza ma. Quando scrivevano, siamo dell’Associazione pincopallo, gli scrivevo: mi fa piacere, siete i più essenziali di tutti, attenetevi all’ordinanza numero 6 del 9 aprile che declinava quello che ha detto prima Guido. Poi chiaramente facevo la mediana, perché quando mi dicevano: “Bisogna comprare questi farmaci salvavita” va bene, io ero un esecutivo, però c’avevo un po’ di testa e insieme ai miei dicevo, telefonavo in giro ai vari luminari che mi hanno sempre risposto, e cercavo di fare una media. Dopodiché – e Gianni Rezza lo sa – io ho sempre detto che l’ottimo è nemico del buono. Cioè a un certo punto bisogna prendere una decisione e io l’ho presa, ci ho messo la faccia, ovviamente ho sempre sentito l’evidenza scientifica, e guai se non fosse così, però secondo me non si può stare dietro a tutti. A un certo punto bisogna avere il coraggio di scegliere, uno sceglie, fa delle scelte, se ne assume la responsabilità, lo fa con coscienza, e poi devo dire, c’è sempre stata una interlocuzione, noi settimanalmente facevamo delle riunioni riservate, perché la prima praticamente c’era un po’ troppa gente e tutto quello che dicevamo andava in streaming. E anche questo non va bene, ma non perché non bisogna essere trasparenti, perché bisogna cercare di dare ai concittadini delle spiegazioni semplici ed efficaci, perché non tutti hanno fatto studi medici o scientifici e poi uno si perde, dice: ma io che devo fare? E quindi bisogna essere, secondo me a un certo punto, dei punti di riferimento e facendolo con grande coscienza, io l’ho sempre sentita questa responsabilità, così come ho sempre sentito la fiducia del Presidente, e questo mi dava ancor più la carica per approfondire un po’ tutto. Io devo dire che ho sentito spesso e lo voglio citare, oltre a tutti quelli più noti che già si conoscono, per esempio il professore Muzzi che mi portava sempre evidenze, sempre i giornali scientifici specie quelli internazionali e quindi da Lancet, Wall Street Journal, insomma con quei giornali noi – New England – riuscivamo a capire che cosa faceva il virus e poi bisogna fare anche attività di mediazione, cioè andare a capire cosa fanno i paesi vicini e diciamo questo l’abbiamo fatto spesso insieme al Ministero della Salute. Per ciò che riguarda il Green pass è una decisione che ha preso il governo autonomamente. Io posso dire come cittadino, ecco secondo me a un certo punto se il governo pone una regola che è di salute generale, poi bisogna che venga seguita. Son d’accordo sul fatto che poi il governo ha perseguito nella scelta, che era dovuta sicuramente a esigenze di dare sicurezza, per esempio nei luoghi pubblici, negli ospedali, nei luoghi più frequentati, quindi era anche una attività premiale, poi è stato anche di moral suasion sicuramente anche se non credo… io credo che i cittadini italiani abbiano ben capito che si lottava per la sopravvivenza e quindi il fatto di aver ottenuto con il mio mandato oltre 48 milioni e mezzo di cicli completi, praticamente 48 milioni e mezzo voleva dire quasi il 90 % degli over 12 perché sono 54 milioni gli over 12, cioè alla fine, se noi pensiamo poi che c’è un certo numero di persone che non può essere vaccinato per ragioni sanitarie che sono tra i 300 e i 500 mila, poi se sbaglio mi correggerà Gianni, cioè: di cosa stiamo parlando? cioè questo è secondo me i cittadini italiani hanno capito più di tutti quello che bisognava fare. E forse sono stati fatti molti dibattiti che potevano esser anche non fatti, si impiegava il tempo per lavorare meglio.
Lucchina: Come avete potuto ascoltare il generale Figliuolo si dimostra per quello che è, quindi non è niente di nuovo da noi, per chi lo conosce. Professor Rezza, lo accennava già prima il generale Figliuolo, i confronti con l’Aifa, con l’Ema che è l’Ente certificatore europeo dei farmaci, con la classe medica e soprattutto i medici di medicina generale, più o meno come dire, stimolati, coinvolti nel problema della vaccinazione, le Regioni quali problemi ha comportato? E oltre a questo, potremo fare qualcosa in più sulla comunicazione istituzionale, cercando magari di tenere le briglie sui vari talk show e via di questo passo, che si sono succeduti in questi mesi dove sembrava che ognuno avesse la soluzione in tasca.
Rezza: E io purtroppo, per sobrietà dovuta al mio ruolo, non ho potuto candidarmi in quanto sono apparso poco in televisione negli ultimi mesi, però – scherzi a parte diciamo – capisco bene il generale Figliuolo, anzi Francesco, quando si perdeva e ancora si perde, perché io stesso mi son perso nella marea di sigle, perché dopo il Cts maschile e la Cts di Aifa abbiamo scoperto che era femminile invece, quindi bisogna stare attenti anche al genere del Cts perché sulla base del genere uno distingue se è Aifa o se invece è il Comitato Tecnico Scientifico. Effettivamente c’è una serie di sigle, sia a livello italiano che a livello europeo, col quale bisogna in qualche modo mettersi d’accordo. A livello europeo io devo dire una cosa, all’inizio della pandemia io sono stato piuttosto turbato negativamente dalla risposta europea, cioè se vi ricordate bene qua arrivarono i medici cubani, i medici albanesi, i medici – adesso non si può dire – russi, con buone o cattive intenzioni non lo so, però non ci fu una risposta europea univoca. Cioè quando l’Italia soffrì per prima l’impatto della pandemia, molti di noi dissero: ma l’Europa dove sta? E fu piuttosto grave, io credo, questa assenza di una risposta omogenea da parte dell’Unione Europea. Io credo invece che proprio sui vaccini, la situazione si sia completamente ribaltata, perché lì si prese una decisione quella di mettere in piedi uno steering board di cui dopo io ho fatto parte, che comprendeva tutti gli stati membri, tutti i rappresentanti degli stati membri, e che insieme decideva, come prima ha ricordato Francesco Figliuolo, sul tipo di vaccini da acquisire, sulle quantità e soprattutto c’era un accordo completo sul fatto che questi vaccini sarebbero stati distribuiti sulla base del pro rata, ovverossia sulla base della popolazione dei singoli stati membri. Quindi nessuno stato in questa maniera sarebbe stato penalizzato. Ed è particolarmente importante – un po’ questo ha favorito insomma l’arrivo dei vaccini in quantità copiose – dopo qualcuno dirà ne avete acquistati troppi, beh, naturalmente se ne avessimo acquistati pochi saremmo stati accusati invece di aver causato uno shortage e una carenza di vaccini, perché dopo è sempre così in questo paese: se uno compra troppo dopo evidentemente ha sforato per qualche motivo, c’è sempre la dietrologia dietro, se uno invece non acquista e dopo si ritrova in carenza, diciamo, il rischio è maggiore e quindi è sempre meglio comprare un po’ troppo. In termini di prepareness, cioè preparazione pandemica è sempre meglio eccedere in via prudenziale, piuttosto che trovarsi dopo scoperti, su questo io credo non dovrebbero esserci assolutamente dubbi. Quindi da questo punto di vista la risposta a livello europeo è stata buona. Il rapporto con le singole sigle italiane è qualcosa che – parliamoci chiaro insomma – c’è il Ministero della Salute? C’è il Consiglio Superiore di Sanità, che comunque sia è di nomina governativa, ci sono gli enti vigilati Aifa e Iss, adesso pretendere che gli Enti vigilati siano completamente indipendenti penso sarebbe un poco, come dire, faremmo la figura degli ingenui, saremmo poco sinceri nel dirlo e nel pensarlo. È chiaro che però, se un Ente come l’Istituto Superiore di Sanità, piuttosto che l’Aifa, ha una credibilità scientifica, comunque sia tenderà a mantenere un certo livello di autonomia e prima di arrivare a soluzioni compromissorie col Ministero della Salute. Direi che il rapporto è stato sempre ottimo, tanto è vero che in quelle riunioni segrete dopo ci si riuniva in 4 o in 5 e si decideva insieme. Decidere insieme è importante perché ci si copre le spalle a vicenda. Questo può sembrare strumentale, può sembrare… però è importante perché quando si prendono decisioni importanti per il paese, insomma, è necessario che non lo si faccia da soli. L’ultima parola la vorrei spendere per gli Enti regolatori, perché noi abbiamo visto che l’Ente regolatorio inglese, l’Fda, si sono mossi sempre con molta celerità. C’è qualcuno che ha fatto una domanda prima, una delle interviste che mi è capitato di dare poco fa, beh abbiamo usato dei vaccini sperimentali? No, non abbiamo usato dei vaccini sperimentali. Abbiamo saltato delle fasi della sperimentazione? Non abbiamo saltato delle fasi della sperimentazione. Solo che Enti regolatori come Fda, quindi l’Ente americano, l’Ente inglese MHREC, hanno preso, anche prima di Ema, delle decisioni abbastanza coraggiose assumendosene la responsabilità, sulla base di evidenze che però erano evidenze che scaturivano da tutti gli studi clinici che si sarebbero dovuti comunque sia compiere autorizzando i vaccini, l’uso di vaccini non sperimentali, ma l’uso emergenziale di vaccini e sapevamo benissimo che il processo dopo di validazione di questi vaccini sarebbe continuato nel tempo, tant’è vero che dopo dall’uso come dire emergenziale si è passati all’uso standardizzato e routinario. Quindi in che cosa è stata importante l’azione degli Enti regolatori, primo fra tutti quindi l’Fda, l’Ente inglese, l’Ema e quindi di rimbalzo l’Aifa? Beh, nel fatto di darci una mano ad approvare con procedure accelerate, non saltando i test sperimentali, ma con procedure accelerate, la approvazione, l’autorizzazione di vaccini. Insomma, siamo passati dai 5-15 anni che ci vuole per avere l’approvazione, sostanzialmente a pochi mesi. E di questo credo che nessuno ne abbia avuto detrimento da un punto di vista di rischi e di benefici, la bilancia ha pesato dalla parte dei benefici, ma in maniera veramente molto pesante. Grazie.
Io spendo una parola sulla comunicazione. Beh la comunicazione istituzionale è un po’ un ossimoro. Cioè se dobbiamo dire: può essere la comunicazione istituzionale molto incisiva? Direi è quasi ossimorico questo, perché per definizione la comunicazione istituzionale non fa molto spettacolo, mentre di spettacolo evidentemente ce n’è stato molto. Io son passato, ho vissuto lo spettacolo da una parte e dall’altra, perché i primi tre-quattro mesi, che stavo beatamente in Istituto Superiore di Sanità, e stavo in televisione tutti i giorni. Quindi posso dire di avere anche ecceduto, nei primi tre mesi della pandemia. Dopodiché passando al Ministero della Salute, come sapete noi siamo molto tutelati in questo, tutelati svantaggiati e avvantaggiati allo stesso tempo. Svantaggiati perché compariamo molto di meno e qua se non compari sembra che non esisti, se non compari nei talk show, dico, perché nei telegiornali magari compariamo. Se invece compari troppo ti esponi. Il vantaggio di non esporsi troppo è che puoi rivendicare più di altri, forse, un’autonomia di posizioni, sotto certi aspetti, però siamo anche civil servant e quindi è chiaro che la posizione delle istituzioni dopo automaticamente diventa la nostra posizione. È un po’ complesso però di fatto è così. Io non credo che ci sia, per quanto io ritenga comunque carente, e questo in termini diciamo “autocritici” tra virgolette, io sono un civil servant, la comunicazione (poi Guido dopo può parlare meglio di me più liberamente, vi annuncio che Guido Bertolaso farà tutte quelle rivelazioni che io non farò adesso), per quanto quindi possa essere migliorata sinceramente la comunicazione istituzionale, è vero che non potrà mai arrivare, mai arrivare evidentemente a superare la comunicazione non istituzionale. Vediamo che quando ci sono talk show ogni sera e c’è evidentemente una domanda di informazione particolarmente elevata, dopo anche le persone che sono più disponibili sono quelle che evidentemente vengono anche più spesso interpellate, non necessariamente le più brave, a volte sì, le due cose possono anche coincidere. È per questo che dico, la visibilità dopo crea anche in qualche modo fama, ma quello che forse è un po’ più, sotto certi aspetti, lascia un po’ più perplessi è che non è tanto l’esperto che diventa visibile, ma la visibilità che crea l’esperto. Grazie.
Lucchina: Grazie professor Rezza. Siamo proprio agli sgoccioli, però al dottor Bertolaso faccio una domanda, che ha anche un risvolto di esperienza personale. La Lombardia ha subito delle critiche feroci, nei primi mesi dell’anno scorso, nel 2021, sia per quanto riguarda la vaccinazione massiva, il modello organizzativo, che prima per quanto riguarda la presunta inefficienza ad affrontare il Covid. Avevano ragione i detrattori? E se avevano ragione i detrattori, quale è stato il momento dove la Lombardia è ripartita alla grande come sappiamo?
Bertolaso: Allora sarò telegrafico. Sulla comunicazione Gianni Rezza da bravo ricercatore è stato molto diplomatico. La comunicazione istituzionale nel 2020 di fatto non è esistita e quando è esistita ha fatto solo danni. Non possiamo dimenticare un Commissario che diceva: “vi imploro mettetevi la mascherina” e un altro commissario che diceva “io la mascherina non me la metto, fate come vi pare”, Se la comunicazione istituzionale era dare i numeri dei decessi ogni sera, ne avremmo fatto volentieri a meno. L’assenza di una comunicazione istituzionale ha permesso il proliferare dei tanti scienziati che nel corso soprattutto del 2020 si sono divertiti a dire la qualsiasi. Quando c’è un’emergenza serve un portavoce, che parla in nome e per conto del governo e di tutte le istituzioni. Questo nel 2020 non è accaduto. Quando c’è un’emergenza serve essere rapidi, come abbiamo detto prima, ma poi l’altro mantra, oltre alla rapidità, è quello che non bisogna lasciare solo nessuno. Oggi fra l’altro è il 24 di agosto, 6 anni fa ad Amatrice e nei paesi limitrofi sono state lasciate sole decine di migliaia di persone. Sono passati 6 anni, ancora devono abbattere gli edifici, ancora devono raccogliere le macerie, Amatrice è una spianata desolata. Questa non è emergenza e questo non è uno stato serio come non è stato uno stato serio nel marzo del 2020 quando è stata completamente – vi ricordate le battute: la Lombardia la grande malata di Italia – no la Lombardia era l’abbandonata d’Italia, la Lombardia è stata lasciata sola, non so se in modo deliberato o se in modo involontario, io l’ho visto, io ho girato gli ospedali della Lombardia, prima di prendermi il Covid, perché sono andato in tutte le rianimazioni a ringraziare i medici e gli infermieri che con la mascherina che prima c’aveva Gianni Rezza, stavano nei reparti di rianimazione, perché nel marzo del 2020 i meccanismi di protezione individuale non c’erano. I nostri medici e i nostri infermieri si sono ammalati e sono morti perché giravano nelle rianimazioni con quelle mascherine lì. E questo succedeva soprattutto nella Regione che, inevitabilmente, essendo la più popolata di Italia, il crocevia, gli Aeroporti internazionali, gli hub, tutto il resto, io non sono lombardo, quindi non sto qua a prendere una posizione campanilistica, io sono un italiano e dico che la Lombardia nei primi mesi è stata messa in ginocchio e come diceva prima, ho apprezzato molto quello che ha detto Gianni di questo ruolo dell’Europa, che poi per le vaccinazioni per fortuna ha recuperato, ma nel 2020 l’Europa ci ha lasciato soli, ha detto Gianni giustamente, i medici russi, ci hanno mandato i medici militari russi a Bergamo, hanno mandato i medici cubani, i medici albanesi, i medici cinesi, ma i medici francesi, i medici inglesi, i medici tedeschi, perché non sono venuti? perché non sono venuti a dare una mano al nostro paese, perché non sono venuti in Lombardia? perché non abbiamo precettato i medici italiani? invece di fare dei contrattini a dei medici presi in altre regioni che sono venuti in Lombardia a guadagnare tre volte quello che guadagnavano i medici nelle rianimazioni degli ospedali della Lombardia che sono stati per due – tre mesi chiusi nei loro reparti perché non potevano tornare a casa i medici e infermieri della Lombardia, perché se tornavano a casa infettavano i loro cari, i loro parenti, sono stati da soli, chiusi insieme ai malati negli ospedali. Ma nessuno è andato ad aiutarli. Ecco perché la Lombardia è arrivata alla fine del 2020 stremata. Una sanità straordinaria che per 10, 11, 12 mesi è stata lasciata completamente sola nel momento più drammatico dell’emergenza. Io ho visto nella astanteria dell’Ospedale di Crema, il 17 marzo del 2020, 67 vecchietti, li ho contati, vecchietti della mia età, tutti seduti su delle seggioline, agonizzanti, tutti e 67 agonizzanti, sapete perché? Perché non avevano ossigeno, in Lombardia, nell’anno del Signore marzo 2020, mancava l’ossigeno, il materiale più banale, più semplice, più facile da reperire: gli ospedali della Lombardia erano privi di ossigeno. E la gente è morta, perché non avevano l’ossigeno, non perché non avevano i letti di rianimazione, anche quello, ma vi sono stati degli episodi, delle situazioni che sono durate per mesi che hanno messo in ginocchio la Lombardia. Ecco perché, quando sono arrivati i vaccini, una regione stremata da tanta difficoltà e da tanta solitudine, ha avuto dei problemi a ripartire e a organizzarsi. Non ci dimentichiamo che stiamo parlando anche del gennaio e del febbraio del 2021, prima del primo di marzo del 2021. Io sono stato chiamato il 31 gennaio, il primo febbraio ero a Milano. Ho detto: benissimo, incominciamo a vaccinare, incominciamo a vaccinare gli over ‘80: 800 mila persone, 80 mila domiciliari, nel senso che non potevano muoversi da casa, e quindi dovevi raggiungerli. Allora ho detto: benissimo, come facciamo a dare la possibilità a questi 800 mila di dire, bene io mi voglio vaccinare, cioè come facciamo a farli prenotare, quale è il metodo che mettiamo in piedi per consentire a questi 800 mila di vaccinarsi domani mattina se i vaccini ci sono? Adesso chiamiamo Aria, Agenzia Regionale dell’Innovazione e degli Acquisti di Regione Lombardia. Aria fritta, l’innovazione loro non sanno cosa sia, e il 7 di febbraio, quando mi sono reso conto che buttava male da un punto di vista delle prenotazioni, che ho fatto? Insieme a Letizia Moratti abbiamo chiamato Poste Italiane e come sappiamo bene aveva messo in piedi una piattaforma per le prenotazioni per le vaccinazioni contro il Covid. Quindi l’uovo di Colombo, la risoluzione di tutti i problemi, il 7 di febbraio Ente Poste è venuta a Milano e nella Fiera di Milano abbiamo organizzato una mega riunione con tutti gli oltre 50 Direttori Generali della Sanità lombarda, per organizzare le vaccinazioni tramite Ente Poste, che dopo 2-3 giorni misteriosamente si ritira e scompare e quindi noi per il mese di febbraio, Carlo Lucchina e io e pochi altri, la notte a passare al telefono, buttando giù dal letto i Direttori Generali, perché con il sistema di Aria, 300 over ‘80 di Bergamo venivano mandati a vaccinarsi a Mantova, 250 vecchietti di Varese venivano mandati a vaccinarsi a Cremona, perché l’algoritmo, chissà che era questo algoritmo, dava questo genere di distribuzioni, noi ce ne accorgevamo a mezzanotte, all’una di notte e durante la notte chiamavamo per fare in modo che invece venissero vaccinati vicino a casa. Questa è stata l’inizio della gestione lombarda delle vaccinazioni, ma perché c’era una stanchezza morale, fisica, psicologica, drammatica, in tutte le strutture, messe in ginocchio da un anno nel quale appunto nessuno aveva cercato di dargli una mano. Dopodiché il primo di marzo arriva il generale Figliuolo, io richiamo Ente Poste, disperato, perché era impossibile vaccinare nel modo in cui stavamo facendo. 11 di marzo arriva Ente Poste torna e guarda caso, improvvisamente, magicamente, le Poste incominciano a funzionare, ci mettono a disposizione il loro sistema e di fatto dalla fine di marzo, dai primi di aprile siamo partiti vaccinando prima 70 mila, poi 80 mila, siamo arrivati a 145 mila vaccinazioni al giorno in Lombardia e quando Francesco Figliuolo ci diceva: Guido domani ce la fai a fare 125 mila così superiamo anche Inghilterra, Israele e Portogallo. Certo, lo facevamo, perché era una competizione virtuosa, stavamo cercando di dare a tutti gli italiani la certezza di una assistenza sanitaria, di una tutela della salute che è quella che si deve garantire in un paese moderno come il nostro. Ce l’abbiamo fatta, ma sappiate appunto che il merito è stato degli infermieri, dei medici, dei volontari della Protezione Civile, di tutto il sistema del volontariato, è stato il sistema Italia che ha fatto squadra, e quando facciamo squadra, in Italia, non ce n’è per nessuno da nessuna parte al mondo. Grazie.
Lucchina: Ci avviciniamo alla conclusione. Magari anche sforando un attimino l’orario, ma abbiate pazienza. Un’ultima domanda però al professor Cesana va fatta.
Ma, tutti questi igienisti, infettivologi, specialisti del Covid, che si sono pronunciati, semipronunciati, ultrapronunciati, hanno aiutato un’informazione alla gente, o no?
Cesana: Nello specifico sono già intervenuti loro, sia per quanto riguarda il problema della comunicazione, che dell’organizzazione. Io faccio una nota di costume. Giovanni Berlinguer ricercatore e professore di medicina sociale morto qualche anno fa, fece un’indagine da cui rilevò che se fossero stati veri tutti gli allarmi delle associazioni medico specialistiche nei loro congressi, ogni italiano avrebbe avuto 2 malattie e mezzo, cosa che non è vera. Perché? Perché tutti tendono a vendere il loro mestiere e qui gli epidemiologi, gli igienisti… e soprattutto poi oggi siamo in un mondo dove l’allarmismo dei media e dei social gonfiano all’estremo quelli che sono dei difetti anche personali e da questo punto di vista ricordo che Giussani diceva che tutti abbiamo il nostro difettino e questo l’ho capito bene vedendo il film “il discorso del re” sulla vita di Re Giorgio, il papà dell’attuale Regina Elisabetta d’Inghilterra, il quale era balbuziente. La balbuzie è un difettino – si, balbetta un po’ – ma se devi dichiarare guerra alla Germania la balbuzie diventa un grosso problema, ecco, bisognerebbe rendersi conto di questo, e quindi correggere i difettini che possono diventare disastrosi e contradditori. Comunque, come ha detto Bertolaso adesso, come han detto loro, che poi ne sono stati i protagonisti, se con tutto il rumore che è stato fatto, senza diciamo un obbligo assoluto per tutti, ma con una raccomandazione molto sottolineata, abbiamo l’85% della popolazione italiana vaccinata, secondo l’Istituto Superiore di Sanità sono stati evitati, in circa un anno e mezzo, 8 milioni di casi, 500 mila ospedalizzazioni e 150 mila decessi, che non è male, anche se le stime magari sono un po’ in eccesso, però non è male lo stesso, e lo dobbiamo a loro.
Lucchina: Io vi ringrazio. Grazie ancora per l’attenzione che avete posto a questa chiacchierata.
Approfitto per ricordarvi che il Meeting è diventato un Ente del Terzo Settore e quindi vale la pena di valutare e magari di riuscire a fare una donazione per il Meeting affinché proceda su questa iniziativa veramente meritoria. Grazie e buon pomeriggio a tutti.