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Il perdono è possibile
Gemma Calabresi Milite. Introduce Marco Bardazzi, Giornalista.
Il perdono è un cammino. Gemma Calabresi ha percorso per 50 anni la traiettoria che porta dal rancore, dalla rabbia e dal desiderio di vendetta a una pace basata sull’amore. Un dialogo sull’idea del perdono e su come approdarvi. Anche dopo un delitto e tanti processi che hanno segnato la storia del nostro Paese e quella di una famiglia che ha dovuto trovare una strada per guardare avanti con serenità.
Con il sostegno di Tracce.
IL PERDONO È POSSIBILE
Marco Bardazzi: Buonasera a tutti, buonasera a chi è presente qui in sala e le sale collegate. Sono apparentemente solo sul palco, ma in realtà l’ospite che tutti aspettiamo adesso arriva qui con noi. Gemma Calabresi ha avuto un problemino di salute che ha scoraggiato la visita a Rimini ma è con noi collegata e quindi ci saluta. buonasera Gemma
Gemma Calabresi: Buonasera, buonasera a tutti
Bardazzi: Adesso la vediamo, adesso ve la facciamo anche vedere eccoci qua. Gemma vuoi dirci come mai ti vediamo in virtuale? anche se siamo ormai abituati al virtuale
Calabresi: Veramente chiedo tanto scusa sono dispiaciutissima. Che vi posso dire? Quando il medico mi ha messa a riposo e non mi ha permesso di venire mi sono messa a piangere. È un po’ che ho qualche problema di salute e ho avuto una ricaduta e non ho potuto raggiungervi. L’altro giorno quando mi hanno intervistato per il giornale del Meeting e mi hanno chiesto che cosa si aspetta da questo incontro? si sperava ancora di venire … e ho detto tanto affetto; spero che questo affetto me lo darete anche attraverso lo schermo perché ne ho bisogno.
Bardazzi: Non so Gemma se senti l’applauso ma mi sembra che sia una testimonianza…
Calabresi: L’ho visto, grazie, non si sente però.
Bardazzi: Va bene allora dopo lo faranno ancora più forte urlando così li senti, eccolo qua adesso si è sentito
Calabresi: Si, grazie
Bardazzi: Allora cominciamo questa chiacchierata che anche in questo formato, sono sicuro, sarà estremamente importante per ciascuno di noi.
Cinquanta anni fa, partiamo da qua, cinquanta anni fa l’Italia non era tanto migliore di quella che oggi. Di fronte al caos e alle sfide di oggi molto spesso c’è chi specialmente chi è avanti con l’età dice si stava meglio prima. La tentazione è quella di parlare di bei tempi dimenticando a volte che tempi fossero.
Cinquanta anni fa Gemma Calabresi era una giovane mamma e moglie di 25 anni con due figli piccoli e un terzo in arrivo, era sposata a un commissario di polizia, Luigi Calabresi, che da alcuni anni era vittima di una vergognosa campagna pubblica che lo aveva isolato e reso un bersaglio. A leggere quello che un certo mondo ben pensante e intellettuale diceva di lui, si capisce che non sono stati necessariamente i social media a renderci gente peggiore, hanno solo aumentato la diffusione delle cose spesso tremende che riusciamo talvolta a dirci. Cinquanta anni fa una mattina di maggio Luigi Calabresi è uscito di casa per andare al lavoro ha salutato la moglie non l’ha vista mai più; lo hanno ucciso a colpi di pistola. Cosa è successo in questi cinquanta anni? lo Stato in questi cinquanta anni ha fatto il suo dovere; ha indagato ha trovato i responsabili e quattro persone che appartenevano a Lotta Continua, li ha arrestati, li ha processati li ha condannati li ha custoditi in carcere per il tempo necessario, in alcuni casi ha graziati.
Sottolineo queste parole; arrestati, processati, condannati, custoditi, graziati. In questi cinquanta anni Gemma Calabresi ha fatto qualcosa di enormemente più grande: li ha perdonati. Questa è la cosa di cui parliamo stasera in questo incontro intitolato proprio per questo “Il perdono è possibile”, la strada del perdono lunga cinque decenni è quella che Gemma ha raccontato nel suo libro “La crepa e la luce”, sono certo che tanti di voi l’hanno letto, sono sicuro che chi non l’ha letto stasera lo comprerà nella libreria del Meeting e dopo tutte le presentazioni che libro ha avuto in giro per l’Italia, stasera con Gemma Calabresi vogliamo non solo ripercorrere la sua storia, ma cercare di essere aiutati a capire di che cosa ha fatto il suo perdono, di cosa si nutre e come ciascuno di noi che facciamo fatica a perdonare per ferite assai meno profonde della sua, come ciascuno di noi può essere aiutato in questo cammino; e quindi la prima cosa che vorrei chiedere a Gemma per cominciare questo dialogo è proprio di ripartire dall’inizio. Gemma, il percorso del tuo perdono è stato lungo, appunto, in questi cinquanta anni, dove e quando è cominciato?
Calabresi: Vorrei dire intanto che non ci sono regole o ricette per il perdono, è una strada lunga, è una strada tortuosa, è una strada difficile, è una strada scivolosa. L’unica certezza che noi abbiamo è attraverso il vangelo, quando gli apostoli chiedono a Gesù: quante volte dobbiamo perdonare? Lui risponde settanta volte sette, cioè sempre. In un altro momento dice: se state per portare la nostra offerta all’altare e vi viene in mente che una persona è in collera con voi, lasciate lì la vostra offerta e andate prima a riconciliavi con quella persona. Ecco Gesù nel Vangelo lo dice chiaro, ci insegna a perdonare. Ecco, il perdono non lo dai col raziocinio, con l’intelligenza col ragionamento. Io ho scoperto che il dono è un dono e lo dai solo col cuore lo dice la parola: per-dono, e quindi il dono lo dai con amore non puoi prenderti in giro. Lo devi volere, lo devi cercare e lo devi rincorrere, anche se spesso scivoli indietro. Come avevi detto, Marco, quando è cominciata? è cominciata subito quella malattia, anche se poi ci è voluto tantissimo tempo, ma quella mattina del 17 maggio 1972 hanno ucciso mio marito Luigi Calabresi, io ero in casa e tutti tergiversavano, nessuno aveva il coraggio di dirmi la verità. Poi è arrivato Don Sandro, il mio parroco, e allora io l’ho preso per le spalle e gli ho detto: “Don Sandro, dimmi la verità!”, e lui con il solo movimento delle labbra senza solitamente nessun suono con la voce e ha detto: “è morto”. Io sono stata letteralmente catapultata sul divano come se ci fosse stata un’onda d’urto di un’esplosione, con un dolore lacerante e la sensazione era di totale abbandono come se intorno a me niente avesse senso e in quell’abbandono, io sono lì, con Don Sandro che mi tiene le mani… non so dirvi quanto sia passato, forse mezz’ora forse un’ora, ma a un certo punto mi sento attorno a me come tutto ovattato, come se qualcuno mi prendesse in braccio, una sensazione che … non sento più la porta che suona, il campanello la gente che arriva, che piange, che si arrabbia, no, intorno a me c’è pace, sentito un’incredibile pace interiore, un’assurda pace interiore. Perché dico assurda? Perché come potevo io in quel momento provare pace? e subito dopo sento una grande forza, come se qualcuno mi facesse sentire che ce l’avrei fatta; ecco io dirò a Don Sandro “recitiamo una preghiera per la famiglia dell’assassino” che avrà certamente un dolore molto più grande del mio. Non poteva essere farina del mio sacco in quel momento, non ero, ne sono sicura, ho sentito forte la presenza di Dio. Dio in quel momento mi dava l’esempio mi indicava la strada, mi testimoniava, io quella mattina ho ricevuto da Dio il dono della fede, il dono più grande che potesse farmi. La fede non ti toglie il dolore, la sofferenza, ma la riempie di significati, non ti fa sentire sola. La fede ti dà la speranza questa è la cosa più importante da non perdere mai.
Io avevo già – credente, religiosa – per tradizione della mia famiglia, ma non per mia scelta forse più per abitudine, da quel giorno diventa la mia fede la mia scelta. Ecco la fede è una cosa diversissima dall’essere religiosi, la fede è la vita stessa, la fede è tutti i giorni in ogni momento, ti accompagna e la devi innaffiare, la religione ce l’hai a tratti, quando ti fa comodo. Ecco quella mattina bisognava scegliere il necrologio da mettere sul Corriere della sera, mamma che invece è una donna di grande fede e di grande apertura mi ha proposto le parole di Gesù sulla croce: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Io in quel momento non sarei mai riuscita, ma ho accettato pensando che fosse il momento giusto di spezzare una catena di odio e di violenza con delle parole d’amore, e questo è stato il mio necrologio che poi dimenticherò per parecchio tempo, ma lo incontreremo più avanti.
Bardazzi: Ecco Gemma, infatti, il racconto che tu fai nel libro ci accompagna proprio a capire come questi momenti che tu vivi all’inizio poi diventano consapevolezza e vita, ma immediatamente non è che subito uno riesce a reagire a un dramma come quello che hai vissuto abbracciando in pieno, cerco di interpretare le cose che dici, quella pace che sentivi, e non a caso tu racconti anche nel libro che nei primi tempi uno dei sentimenti che venivano fuori era, molto umanamente, un sentimento di rabbia. Racconti anche un episodio per la prima volta, ce lo vuoi raccontare e condividere?
Calabresi: Che io anche se ho sentito forte, non me lo dimenticherò mai, la presenza di Dio, ho avuto arrivi rabbia di sconforto, di piano di tristezza e soprattutto nei primi mesi, pensate che non l’ho mai raccontato per cinquant’anni perché mi vergognavo, io immaginavo di mettermi una parrucca, di infiltrarmi tra i brigatisti e i covi dei terroristi, di fingere di abbracciare la loro causa, fingere di essere d’accordo con loro, farmeli amici e aspettare. E mi immaginavo che un giorno – e questo mi succedeva quando andavo a dormire prima di addormentarmi – mi crogiolavo questo pensiero di vendetta, immaginavo che un giorno qualcuno dicesse: “l’abbiamo fatta – magari vantandosi – ho ucciso io Calabresi” e io in quel momento mi immaginavo avrei aperto la mia borsetta, avrei estratto la pistola e avrei sparato. Ecco mi vergogno moltissimo anche adesso a raccontarvelo, penso che sia umano per una ragazza di 25 anni, però, perché l’ho raccontato? Perché non è educativo, specie per i giovani, ma per dirvi di non rimanere fermi nel rancore, nella rabbia e non rimanere statici, non rimanere lì impietriti al momento della cattiveria, bisogna camminare, bisogna rialzarsi e io l’ho scritto per dirvi che io sono partita dal punto più basso e più triste della mia vita, eppure si può, si può anche dopo una morte come questa, con dolore lacerante, si può ancora amare la vita, si può anche dopo il tradimento e la calunnia credere ancora negli altri e si può cambiare il giudizio sulle persone che vedevi solo come tutto il male del nord si può essere ancora felici.
Ecco io per questo ho raccontato questo episodio, per dirvi non sono una santa, io ho fatto questi pensieri e mi sembrava che mi facessero stare bene, in realtà io stavo malissimo; quando noi perseguiamo pensieri di vendetta stiamo sempre male, non illudetevi che ci facciano stare bene, ecco io ho voluto condividerli con tutti voi ho voluto testimoniarveli ma soprattutto io ho voluto affidarveli, perché affidare questo mio cammino di perdono vuol dire che oggi è anche vostro e non vi permettete più di scivolare indietro.
Bardazzi: Io immagino che tanti qua, si provi ad immedesimare in te, 25 26 27enne con tre bambini che lotti con anche questi impulsi di rabbia e mi chiedo come sei riuscita a vivere quel periodo e a non trasmetterlo per esempio – tra l’altro vorrei far vedere mentre parliamo un po’ di vostre foto dell’album di famiglia di quel periodo, così ci immedesimiamo ancora di più se le fate partita dalla regia – e se ci racconti come sono stati quei primi anni con i bambini piccoli con te da sola facendo i conti con questo dolore da una parte e con questa tentazione anche di rabbia dall’altro.
Calabresi: Ti devo dire la verità, anche se in quei primi anni ero così arrabbiata, io ho fatto il possibile fatto da subito una scelta, ridare la gioia di vivere i miei figli, la gioia di vivere che avevo avuto io da bambina e quindi ho veramente cercato di farli giocare, di farli contenti, di farli divertire, fingevo perché poi magari la sera a letto piangevo, però ho fatto il possibile per educarli alla gioia di vivere; ho sempre pensato che non si potessero educare i figli all’odio e al rancore. L’odio il rancore ti divorano tutto, l’odio e il rancore non ti fanno vedere più niente di quello che ti riserva la vita, può essere una nuova amicizia, un tramonto, un paesaggio, i figli che crescono, le loro scoperte. Se tu ti svegli al mattino e hai l’odio nel cuore è un giorno perso, di questo sono convinta, ecco io ho insegnato a loro ad avere il senso dell’humor, quello che aveva tanto il loro papà, ho insegnato loro a fidarsi degli altri e ho sempre detto a loro che è più facile incontrare il bene che non il male, di questo sono convinta tutt’oggi, rifarei questa scelta.
Bardazzi: Proseguendo in questo cammino nel tuo confronto con il perdono, dal racconto che fa nel libro si capisce quanto sia stato importante anche il tuo lavoro a scuola con i bambini, quanto i bambini ti abbiano, in qualche modo, risvegliato tutta una serie di riflessioni; c’è un episodio che parla di un necrologio di una persona che era scomparsa… ci dici quanto, con questo episodio, quanto il tuo lavoro poi è stato importante in questo cammino?
Calabresi: Io mi sono messa insegnare religione alla scuola elementare, è stato fondamentale per me, importantissimo perché i bambini sono così spontanei, così trasparenti, cristallini e noi io ho impostato molto sul dialogo e quindi spesso parlavamo delle loro famiglie e pure delle dinamiche di classe, delle loro gelosie, delle loro scaramucce e insegnavo loro proprio a chiarirsi a dialogare non tenere dentro, ma a esternare, perché rimanere con quello che loro dicevano il muso, tenere il muso, tenere il broncio, non serviva a niente, invece chiarirsi, parlare e fare la pace era la strada giusta. Però spesso pensavo, io insegno loro qualcosa che io adulta non so fare e magari anche un po’ non voglio fare, ero si sulla strada però con molta fatica. Un giorno un mio alunno mi dice – era morta una persona importante che tutte le televisioni ne parlavano – lui mi dice, maestra quando uno muore se ne parla sempre bene, ma muoiono solo quelli bravi? allora io gli ho detto no è giusto così, perché noi di quella persona dobbiamo ricordare l’esempio positivo che ci ha lasciato il suo amore degli altri, la sua gioia di vivere, i suoi valori, le sue passioni, tutto il suo bagaglio che ci serve per vivere, positivo, e poi ho aggiunto, non contenta, sicuramente Dio nella sua infinita misericordia, ci giudicherà per il bene compiuto e non per il male. Quando esco dalla classe penso a queste parole del bambino e alla mia risposta. Improvvisamente mi dico, ma anche gli assassini Gigi, quelli che io chiamavo sempre assassini con 10 s, sottolineato, perché per me quello erano, improvvisamente dico: anche gli assassini di Gigi non sono solo tali, non sono solo quella cosa lì. Saranno anche buoni padri e io l’avevo visto durante il processo come non affettuosi con i loro figli ed era una cosa che mi aveva colpito e che aveva tenuto nel cuore, saranno anche buoni amici, avranno anche aiutato gli altri, come ho camminato io avrò avranno camminato anche loro. E allora mi sono detta: che diritto ho io di relegarli per tutta la vita all’atto peggiore che hanno commesso? come si fa a inchiodare una persona a quell’atto che non si è piaciuto? per sempre. Sarà anche tante altre cose, pensate solo nell’arco di una giornata quanti sentimenti noi troviamo e come possiamo relegarli a quella azione malvagia per sempre? Improvvisamente li ho visti in un altro modo, li ho visti anche uguale a me, mi ha ridato la loro umanità, mi ha ridato la loro vita con tutte le sfaccettature, mi ha ridato la loro dignità di persone e non li ho neanche più chiamati assassini, ma i responsabili della morte. Ecco ho fatto esattamente il contrario di quello che facevano i terroristi negli anni settanta / ottanta quando sceglievano l’obiettivo, lo disumanizzano, lo rendevano un simbolo, un bersaglio, una cosa attraverso scritte sui muri, slogan da gridare in manifestazione, attraverso articoli di giornali, per poi poterlo colpire anche col consenso popolare, e questo vorrei aprire una parentesi a tutti i giovani che sono in sala o che mi stanno ascoltando: non prendetemi che buono per il pacchetto che già vi danno confezionato solo perché uno grida più forte o solo perché uno è leader, prima di giudicare una persona. Informativi, chiedete, cercate di capire, di sapere, di conoscere, dopo farete la vostra scelta, ma mantenete sempre un pensiero critico, un pensiero individuale, un pensiero libero. Non siate gregge.
Ecco questa scelta è stata per me, vederli in questo mondo, è stato fondamentale. Io da quel giorno ho veramente camminato solo in avanti e non sono più scivolata indietro, è stato fondamentale vederli diversamente, vederli umani come tutti noi.
Quindi ho ripreso, ho riscoperto il mio necrologio, mi sono detta Gemma, l’hai scritto, l’hai firmato è giunto il momento di farlo tuo. E allora ho pensato “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”, ma perché Gesù figlio di Dio non li ha perdonati lui direttamente? aveva tutte le carte in regola per farlo, poteva dire, vi perdono perché non vi rendete conto. Mi sono data questa spiegazione: Gesù era sì figlio di Dio, ma in quel momento Gesù era anche uomo e come uomo si rendeva conto quanto fosse impossibile per noi uomini perdonare nel momento del dolore fisico, del dolore spirituale, il momento della calunnia, del tradimento, dell’abbandono, nel momento della solitudine, e quindi ci indica questa strada di chiedere al Padre di farlo lui al posto nostro lasciando a noi il tempo del cammino. Ecco questa scoperta mi ha liberata, mi ha fatta sentire leggera come se mi avessero tolto un peso dalle spalle, ho capito che Dio aveva già perdonato per conto mio e io avevo il tempo del mio cammino e non sarei stata sola a farlo ero sicura.
Bardazzi: La descrizione che facevi prima di come tu hai cominciato a vedere gli assassini di Luigi in maniera diversa, non chiamarli più assassini ma a rendersi conto che sono, erano anche tante altre cose; la descrizione è l’esatto opposto di ciò che io ho sperimentato per esempio anni fa quando facevo il corrispondente negli Stati Uniti cercando di raccontare l’atteggiamento che c’è dal punto di vista della giustizia sul tema della pena di morte. Molto spesso ci sconvolge il fatto che mettono in galera qualcuno condannato a morte in America poi sta li 20 anni e al 21esimo anno lo giustiziano lo stesso, e uno dice, vabbè lasciatelo all’ergastolo. Il tema è che c’è una cultura profonda che viene sintetizzata nella parola closer, chiusura, chiusura di una storia. Il parente di una persona uccisa da qualcun altro non può chiudere quella vicenda fino a quando non vede l’altro morire. Questa è un po’ la riflessione che sta al fondo del tema della pena di morte che a noi molto spesso sconvolge da europei. Ecco quello che racconti tu invece è tutto un altro tipo di closer, è una conclusione di un cammino che ha tutto un altro respiro, se tu potessi parlare – anche perché poi questa tentazione di dire, non dico condannarli a morte ma mettiamoli dentro e buttiamo via la chiave, ce l’abbiamo anche noi molto spesso più che provare a vederli in chiave diversa – se tu potessi rivolgerti a una persona che aspetta giustizia dallo Stato per qualcosa di drammatico come quello che è successo a te come gli spiegheresti che non è quella la closer che devono aspettare.
Calabresi: Intanto io dico che pena di morte è uguale a vendetta e quindi non viene mai fuori è un’illusione. In questa attesa secondo me non dai la possibilità ai responsabili di un omicidio di fare un cammino di pentimento, di poter chiedere perdono e non dai la possibilità alle vittime di fare un cammino per perdonare ed incontrarsi. Ecco io vorrei dire a questi paesi che bisognerebbe assolutamente abolire la pena di morte perché è un cammino di democrazia è un cammino di società civile prima ancora che di fede e quanta meno rabbia circolerebbe e quanto più amore potrebbe circolare se qualcuno anche solo qualcuno riuscisse a compiere questo cammino. Invece rimane imprigionato nell’attesa, da una parte nella rabbia di essere giustiziati e dall’altra nell’attesa di vedere giustiziati, nessuno porta a casa niente, se non tanta rabbia.
Bardazzi: Però verità e giustizia sono fondamentali cioè il perdono è reso possibile anche da una parola di verità detta dai giudici come è successo nella vicenda giudiziaria di cui sei stata testimone; quindi, qual è il ruolo dello Stato in questo caso, qui stiamo parlando di ciò che tocca alle vittime, ma quella parola di giustizia deve arrivare.
Calabresi: Sì, io devo dire una cosa, che verità e giustizia sono fondamentali per la storia e per il cammino di un paese, ma sono altrettanto fondamentali per la storia di una famiglia. Io dico che proprio veramente il mio cammino di perdono l’ho cominciato dopo aver avuto verità e giustizia, perché è importante, è importante sentirete che uno Stato attraverso giudici attraverso la magistratura si occupa della tua storia, si occupa di trovare la tua verità e ti aiuta, ecco è fondamentale è senz’altro importante la verità e la giustizia non sono la pena di morte. Tanti mi hanno chiesto, ma come mai si è costituita parte civile ma comincia a parlare di perdono? Ma una cosa non esclude l’altra, anzi la verità e la giustizia ti aiuta in questo cammino di perdono nella tua scelta perché ti senti non solo, ti senti accompagnato. Lo stato ha un suo posto non suo valore fondamentale.
Bardazzi: Nel tuo cammino verso il perdono, restando sempre sul terreno di verità e giustizia un ruolo importante lo hanno avuto anche le visite che hai fatto in carcere a coloro che hanno tanto da farsi perdonare, penso al titolo del Meeting, la passione per l’uomo, credo ci voglia tanta passione per l’uomo per andare poi in carcere a cercare risposte a questo cammino che stavi facendo, che cosa, perché il carcere per te stato importante che cosa hai trovato nel carcere?
Calabresi: Io sono stata invitata al carcere di Padova, perché c’era una festa proprio e c’era un carcerato che riceveva il battesimo uno la comunione e uno la cresima. Sono stata invitata a questa celebrazione, è stato … intanto è un carcere meraviglioso perché è un carcere sperimentale, dove i detenuti lavorano e li ho capito quanto sia importante per un detenuto lavorare perché loro raccontavano con una tale dignità i loro lavori, c’era chi assemblava biciclette, assemblava valigie, chi rispondeva chi rispondeva al call center della ASL di Padova chi faceva la refezione per l’interno chi il catering all’esterno e ce lo raccontavano con gioia. Si sentivano non degli emarginati dei tagliati fuori, ma se si sentiva nel loro racconto che erano vicini alla vita quotidiana di c’era fuori, ecco si sentivano parte di .. e non degli esclusi. Questa è una cosa importantissima e tutti le carceri dovrebbero essere organizzati in questo modo. Dopo le celebrazioni, i discorsi, io ho chiesto di poter parlare con due di loro erano ergastolani e avevano ucciso. Io volevo capire come una persona che ha fatto la scelta di uccidere potesse poi fare la scelta di abbracciare la fede e di desiderare di ricevere i sacramenti. Ecco pensate che io ho parlato con loro, entrambi mi hanno raccontato, in due momenti diversi, che in un momento drammatico di disperazione, uno dei due direttori mi aveva detto che aveva pensato anche di uccidersi, ecco in un momento tragico improvvisamente hanno sentito un incredibile pace dentro di loro, hanno sentito una grande forza e hanno avuto la sensazione della presenza di Dio, esattamente me l’hanno descritta come quello che ho provato io su quel divano. Voi pensate che cosa è stato per me. Ecco perché una cosa in più che mi ha aiutato tantissimo, io devo dire che sono fortunata perché ho avuto quell’alunno che mi ha detto quella cosa, ho avuto, prima quando ero ancora in tribunale, avevo visto come l’affetto diciamo, tra Sofri, Pietrostefani e Bompressi eccetera e i figli e me l’ero messo nel cuore e, poi, adesso questa cosa del carcere di Padova per è stata fondamentale. Io mi sono anche un po’ vergognata perché fino a quel momento io mi ero crogiolata con l’idea che Dio era venuto da me perché io era la vittima, e invece ho dovuto capire Dio va da tutti, non era venuta solo da me e di queste comunque è una grande sicurezza una grande gioia, Dio va proprio da tutti, io ne ho la certezza, va da tutti coloro che soffrono, tutti coloro che hanno bisogno e quindi è stato un motivo in più perché ho pensato che se loro tutti i giorni, mi raccontavano, e pregavano per la famiglia a cui avevano tolto il loro caro e facevo questo cammino per chiedere perdono. Io ho pensato, io lo faccio dalla parte opposta per dare il perdono, non si può che incontrarsi e riconoscersi.
Bardazzi: Dovete applaudire forte, sennò non vi sente, spero che abbia sentito che sia arrivato l’applauso e l’affetto… Dicevi di una certezza su Dio che va anche da loro e questa certezza credo sia legata a una cosa che tu scrivi nel libro, nel libro dici parlo con Dio molto spesso, pregare è diventata una parte importante della mia vita. Racconti, citi il gruppo di preghiera su WhatsApp, il rosario collettivo delle 18 su tv2000, cos’è per te la preghiera un po’ l’hai detto ma vorrei che lo riprendessi e ci aiuti capire, cos’è per te la preghiera e quanto aiuta nel cammino del perdono.
Calabresi: È fondamentale in questo cammino è stata perché mi è stata di grande aiuto, da sola non sarei riuscita, ma devo dire che inizialmente quando io pregavo, facevo anche un po’ fatica, lo facevo ma era anche un po’ qualche volta perfino una noia lo facevo per senso del dovere, poi invece pian piano ho scoperto che la preghiera non rimane lì nella tua camera tra il letto e soffitto ma che cammina, che va, perché la preghiera, noi chiediamo a Dio chiediamo Gesù ci rivolgiamo al cielo, per i nostri cari, per le persone che amiamo, per le persone che incontriamo, per quello che succede alla televisione, che abbiamo ascoltato, ma Dio sa già di cosa abbiano bisogno, e allora perché noi preghiamo? perché la preghiera mette in circolo la fratellanza tra noi e tutti voi e gli altri. Questo mette in circolo questo amore, questa fratellanza e poi sale al cielo, e quindi quando Dio riceve le nostre preghiere, già sa, ma è questo che vuole, un atto di fede e di fratellanza, questa è la cosa fondamentale che quando ho capito è stata bellissima. Pensate che io, nel frattempo, vorrei raccontarvi due episodi fondamentali. Una volta ero sul lungolago di Como e mi viene incontro un signore più o meno della mia età, capello bianco, con le braccia aperte mi viene incontro e mi dice: “che bello incontrare una cara amica, quasi una parente, che però non si è mai vista prima. Ha capito cosa intendo?” dico “non saprei forse che mi ha pensata che mi abbia seguita, e lui mi ha detto “la mattina che lei è rimasta vedova io e mia moglie ci sposammo siamo, rimasti sposi sconvolti dalla sua storia che abbiamo deciso di portarla con noi nel nostro matrimonio e da allora tutti i giorni recitiamo per voi una preghiera”. Ci siamo abbracciati forte e io ho detto ecco perché ce l’ha fatta, ce l’abbiamo fatta, è stata questa preghiera costante fatta con amore. Un’altra volta sono andata a fare una testimonianza in Svizzera e viene una signora a salutarmi e mi dice: “io abitavo nella sua stessa casa a Milano in via Cherubini”, la casa era dividere divisa c’era una parte che era sulla strada, sul marciapiede, e quindi lei ha sentito gli spari, mentre poi c’era un porticato in giardino e io ero nella casa all’interno per cui io non ho sentito gli spari. Lei mi ha detto che erano in casa lei la mamma le stava per andare all’università, hanno sentito sparare sono corse alla finestra, sono rimaste sconvolte da quello che hanno visto. La mamma si è subito ritratta e la figlia è rimasta come impietrita a vedere quella scena, la mamma l’ha strattonata e le ha detto “vieni qui dobbiamo, pregare per loro” e lì nel soggiorno mi ha fatto dire un padre nostro e un ave Maria, e io le ho detto ecco perché Dio è arrivato su quel divano, io non sapevo ancora che lui fosse morto, e già c’era chi pregata per noi! non mi dite poi che la preghiera non è utile eh?! È arrivato sul divano, più di così! quella mattina io proprio ho ricevuto il dono della fede. Quindi la preghiera è molto importante, cammina la preghiera, dovete immaginarla che cammina e che ci mette in comunione tutti quanti tra di noi e con Dio.
Bardazzi: Il tuo richiamo alla preghiera ha scatenato un applauso che forse non è arrivato fino a lì ma ti stavano salutando con l’applauso. Nel cammino del perdono io credo che tu abbia dovuto perdonare anche tanta gente, tra cui tanti anche nella categoria a cui appartengo io, quella dei giornalisti anche, se poi per punizione ti è toccato un filo giornalista, ma quelli che hanno tentato per esempio di dividere Luigi Calabresi da tutta la storia di Pinelli o tu dalla vedova Pinelli. A me colpisce tanto il racconto del momento in cui hai prima volta incontrato la vedova di Pinelli. Ce lo vuoi raccontare? perché credo abbia a che fare con questo cammino del perdono.
Calabresi: Loro diciamo, loro come hai detto tu, una certa stampa, una certa politica, ci volevano contrapporre sempre, strumentalizzare ci volevano nemiche. Per fortuna noi siamo riuscite a fare sempre un passo indietro e sempre in silenzio, e la vedova Pinelli ha detto chiaro che non ha mai pensato che Gigi potesse essere responsabile di quella morte, così viceversa, io non ho mai pensato che lui potesse aver messo quella bomba di piazza Fontana, perché Gigi me ne aveva parlato bene; si erano diversi: uno faceva il commissario di polizia e l’altro era un anarchico, dirigeva il circolo anarchico a Milano, ma c’era una sorta di stima tra di loro, si erano regalati anche dei libri e parlavano e si confrontano per capire tutta quella violenza nei giovani e quindi .. noi comunque in cuor nostro lo sapevamo. Un giorno il 9 di maggio, festa, chiamiamola festa insomma, ricorrenza del terrorismo per il paese, per l’Italia, Giorgio Napolitano vuol dare un chiaro esempio di pacificazione al paese per gli anni del terrorismo facendo incontrare queste due donne: la vedova Pinelli e la vedova Calabresi, e qui vi dirò che appena me l’hanno detto mi ha preso un attimo l’affanno, mi è venuta l’ansia, poi ho pensato: anche in quella casa, in quella famiglia un giorno il papa non è più rincasato … calda con amore. Appena sono entrata in Quirinale al Quirinale lei era già seduta nella sala davanti, in seconda fila, io non ho aspettato che arrivasse il Presidente, dopo faremo tutte le cose secondo il rito, ma io sono andata subito da lei, ci siamo date la mano, ci siamo guardate negli occhi e ci siamo abbracciate. Io le ho detto finalmente! e lei mi ha detto peccato non averlo fatto prima! è un incontro che io ricordo con amore e con tanto affetto.
Bardazzi: Ecco Gemma, abbiamo perso soltanto qualche secondo che è andato un attimo via l’audio ma serve poi a ricordare a tutti che il racconto lo trovate sul libro e quindi lo potete
Calabresi: Così li obblighiamo a comprarlo …
Bardazzi: Esatto io sto facendo qui il tuo marketing, e anche perché non riusciamo a farti firmare le copie stasera qui in presenza.
Calabresi: Questo mi dispiace tanto, avremo occasioni io penso.
Bardazzi: Assolutamente, la reinvitiamo al Meeting l’anno prossimo e ci hanno detto di sì. Mentre ci avviamo alla conclusione, visto che ti ho fatto ricordare quell’episodio con la vedova Pinelli, mi piacerebbe che tu ricordarsi anche l’incontro, l’unico incontro che hai avuto, da quello che credo di sapere, con uno dei quattro condannati per questa vicenda cioè Leonardo Marino. Nel cammino del tuo perdono che importanza ha avuto quell’incontro?
Calabresi: Beh, certamente molto importante. Devo dire che non è stato proprio mio questo incontro è stato l’incontro voluto da mio figlio Luigi, quello che non ha mai conosciuto papà, e chi si è portato dietro Paolo e sono andati loro due a parlargli. Un incontro che è durato due ore, e un incontro molto faticoso ma sono tornati a casa con tanta gioia, pensate che mentre tornavano, lui ha mandato un sms, loro in macchina, scrivendo, “i sensi di colpa che ogni giorno attanagliano la mia vita, dopo avervi conosciuto sento che saranno molto affievoliti, saranno più morbidi, vi ringrazio tantissimo di questo incontro”. Poi l’estate dopo o un anno dopo adesso non so dirvi con precisione, Luigi ha voluto che andassi anch’io, che andasse ance la sua famiglia, portando sua figlia, ed è stato un incontro che mi ha fatto molto piacere. Lui ha cercato di dire “io guidavo solo la macchina, per guidare la macchina c’era la fila, per sparare anche no”, però io gli ho detto, Marino, lei guidava la macchina ma sapeva cosa andare a fare, chi portava, perché portava Bompressi armato che è sceso, ha sparato ed è risalito, gli ho detto non importa non devi cercare di rendere meno grave la sua colpa, siete tutti insieme, eravate tutti insieme, ma io l’ho perdonata, non ha importanza. Lui poi mi ha detto io però nello stesso tempo mi sento che ho tradito i miei compagni perché lui naturalmente quando ha confessato ha dovuta fare anche i nomi dei suoi compagni. Io gli ho detto: Marino, quando uno dice la verità non tradisce mai, io sono convinta di questo.
Bardazzi: Gemma nel suo dialogo continuo con Dio c’è stato un ulteriore momento in cui racconti nel libro, è come se ti fossi rivolta Lui dicendo: ma che cos’è che vuoi da me? c’è chi subisce un trauma enorme come quello che ti è successo quando avevi 25 anni, c’è chi perde una persona cara per una malattia, a te sono toccate entrambe. Ci vuoi parlare di Tonino e di che cosa è successo e perché questa cosa nel tuo cammino del perdono, insomma, ti ha messo un po’ anche in discussione con Dio.
Calabresi: Sì, io mi sono risposata dopo dieci anni con Tonino Milite, un uomo molto generoso, un uomo che ci ha preso in toto, tutto il pacchetto ha preso, come al supermercato paghi 2 prendi tre, e in questo caso un po’ di più di due, e lui ci ha veramente amati, in tutti i sensi perché lui non ha fatto da padre lui è stato un padre. Ci ha veramente voluto molto bene a tutti e ha seguito tutte le nostre difficoltà tutti i nostri problemi, tutte le nostre tristezze, il processo, il processo che lungo dal dopoguerra in Italia, undici anni è durato e lui ci ha aiutato, ci ha accompagnati, ha seguito sempre anche stando un passo indietro perché per tutti alla vita io sono stata chiamata, anche davanti a lui, la vedova Calabresi, e siccome lui era spiritoso, creativo, un giorno, un giorno si è presentato e ha detto: “e io sono il fantasma”, lui era scherzoso e quando Tonino è stato affetto dal morbo di Parkinson, poi ha avuto un tumore e poi è mancato e purtroppo è morto in un momento in cui io non c’ero; ancora una volta l’unico lui moriva da solo, come Gigi, e io apprendevo la notizia da sola. Ecco devo dire la verità, mi sono tanto arrabbiata, sono andata dal mio parroco, che non è quello di allora, e gli ho detto che arrabbiata e lui mi ha detto, hai ragione, arrabbiati, guarda la Bibbia, è costellata da personaggi che Dio amava e stimava e che si sono arrabbiati con Lui, arrabbiati e vedrai che ti aiuterà e così è stato.
Bardazzi: Qui però non posso chiederti di non raccontare l’episodio di come vi siete conosciuti perché era troppo bello ci dici velocemente quando hai incontrato Tonino come è andata?
Calabresi: Io ho conosciuto Tonino a scuola, era un nuovo insegnane, l’ho visto in collegio docenti la prima volta e mi piaceva mi intrigavano i suoi interventi, le cose che diceva. Poi abbiamo cominciato a chiacchierare e in quel periodo lì, siccome tardava ad arrivare la nomina di insegnante di religione, non so se succede ancora, e quindi ero in segreteria a lavorare per fare da supplente in segreteria insieme un’altra mia amica, Evelina, che faceva davvero … che era in realtà la segretaria. Lui veniva spesso in segreteria, portava due fiori, portava i biscottini e Evelina diceva, guada che viene per te, e io dicevo, ma figurati, vedova con tre figli, ma chi mi prende? magari verrà per te. E lui faceva sempre finta di niente. Un giorno siamo sul portone della scuola, stiamo uscendo tutti e due e io gli chiedo se vuole un passaggio, lui abitava abbastanza vicino e mi dice, oh volentieri. Sale in macchina e comincia a dire cosa fai, chi sei, e io gli dico subito: io sono una vedova con tre figli. Mai sfiorati mai detto niente e lui mi dice ma con gli stipendi statali, mai sfiorati, mai detto niente, e lui dice: “Ah, con gli stipendi statali sarà un bel problema in cinque spaccare il panino in cinque”. Ecco questo è stato quello che lui mi ha detto, io sono rimasta .. stavo guidando, poi dopo qualche …dopo un mese mi ha invitata al parco Sempione a che fare una passeggiata e allora si è dichiarato.
Bardazzi: Era l’unica persona a Milano che non sapeva chi fossi tu
Calabresi: prima ancora lui è venuto una sera, lui insegnava alla scuola del castello d’arte estrazione serale, scuola serale anche oltre che nel pomeriggio e è venuto è passato a salutare, salutare i bambini e lui si accorge di una stampa che ho appesa in corridoio dove c’è scritto “alla vedova Calabresi con affetto …” una dedica, lui legge quella dedica, lui non sapeva, era l’unico a Milano a non sapere che io fossi, pensate voi, e si siede sul divano e mi dice: “ti prego dammi qualcosa di forte, ma di molto forte”,
Bardazzi: Aveva capito in che storia era entrato
Calabresi: In che storia si stava mettendo, esatto
Bardazzi: Aspetta che c’è l’applauso … Gemma ci avviamo alla conclusione, ci ha aiutato credo molto nella nel capire il cammino la complessità di questo cammino di cinquanta anni e come questo parla poi a ciascuno di noi.
Calabresi: Potrei aggiungere poi è quello che riguarda i figli, non è che io dicessi dovete perdonare anche voi, fatelo o limitatevi, no quello che ho sempre fatto io è l’esempio. Cioè io non ho mai fatto mistero quando ho voluto cominciare questo cammino, il punto in cui ero, quando scivolano indietro, le mie scoperte, magari aprivo leggevo il Vangelo e dicevo: “ma sentite qui come dice del perdono, come è giusto” oppure raccontavano solo la predica in chiesa, io ho sempre raccontato il mio cammino passo passo. Loro non hanno perdonato come ho perdonato, però io sono già molto contenta, forse quando avranno la mia età riusciranno anche loro.
Bardazzi: Allora volevo chiederti di, così, proviamo a fare una riflessione finale credo che la riflessione non possa non legarsi al fatto che il perdono fa parte della migliore cultura italiana cioè se noi pensiamo alla miglior letteratura Italiana, “I promessi sposi” il perdono, fra Cristoforo, il pane del perdono, don Rodrigo, sono il meglio che abbiamo in questo paese e alla fine sono legati come meglio che abbiamo alla nostra anche storia tradizione identità a tutto quel percorso di preghiera che raccontavi. Siamo in un momento estremamente complesso Gemma, no per il nostro paese, per il mondo, mi piacerebbe poter richiedere nel percorso della riflessione del perdono a chi guardare per ricordarci chi siamo, cosa ci aiuta, chi o che cosa ci aiuta a perdonare, come facciamo a ricordarci che siamo quelli dei promessi sposi che ogni tanto ce lo dimentichiamo, tu cosa proporresti?
Calabresi: mi sembra che sia stato un po’ tutto, la preghiera come abbiamo detto prima ma, anche proprio saper cogliere gli avvenimenti quello che ci capita saperlo leggere; e poi ti vorrei rispondere con un esempio. Spesso io, parlando con i miei figli, magari si parla anche delle cose che ha scritto Mario a volte sui suoi libri, oppure con i fratelli, parliamo del fatto che una persona che ha avuto una tragedia, come può essere la ballerina che balla senza braccia, quell’altro, terribile, ragazzo che ha perso le braccia le gambe, oppure chi è stato leso al midollo eppure continua a nuotare, chi va alle paraolimpiadi, chi si risolleva, e credo che ci dicono… io dico c’è Dio di fianco a loro e loro mi dicono, ma non credi che sia la loro forza dell’umanità? certo che è la forza dell’umanità ma la forza dell’umanità te l’ha data Dio attraverso Gesù. Ecco noi dobbiamo sentire Gesù così vicino che ci ha donato questa umanità straordinaria, questa forza e che possiamo essere capaci di Dio. Ecco io so sono certa che Dio va da tutti che è fianco a tutti, sono sicura perché l’ho sentito e quindi ho la certezza. Grazie.
Bardazzi: L’applauso si prolunga…
Calabresi: Si peccato non sentirlo però lo vedo
Bardazzi: Lo fermo un attimo solo per dire che vorrei che andaste ha eletto non con le mie parole ma con quelle di Gemma; quindi, io non aggiungo altro ma risalutiamo con un ultimo applauso.
Calabresi: Grazie, grazie, grazie a tutti voi.
Bardazzi: Grazie Gemma sei stata qua in presenza era in presenza anche se non sembrava mai totalmente in presenza. Grazie mille grazie a Gemma Calabresi grazie a tutti buona serata.