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La forza della libertà e la riconquista della pace
In diretta su Repubblica TV.
Aleksandr Archangel’skij, Scrittore, conduttore tv, giornalista; Giovanni Di Lorenzo, Direttore Die Zeit; Maurizio Molinari, Direttore di Repubblica; Marina Sereni, Vice Ministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS.
La cultura europea basata sulla dignità inviolabile della libertà è sempre stata un patrimonio condiviso che attraversava i confini degli Stati dall’Atlantico agli Urali. Anche se spesso tradita dagli Stati stessi con le loro guerre e i loro sistemi totalitari, la libertà è rimasta ed è tutt’ora un riferimento comune che ha permesso in tante occasioni di ricostruire legami di pace e di comprensione reciproca. Ma cosa vuol dire oggi difendere la libertà di fronte alle nuove minacce che provengono dall’interno delle società europee e in modo drammatico dalla guerra in Ucraina? Nel marzo del 2017, di fronte ai leader europei, Papa Francesco, citando Paolo VI nella Populorum progressio, disse che: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. È possibile ripartire da questa cultura, da questo concetto di libertà e sviluppo per riconquistare la pace oggi?
Con il sostegno di Tracce.
LA FORZA DELLA LIBERTÀ E LA RICONQUISTA DELLA PACE
Bernard Scholz: Buonasera a tutti. Benvenuti a questo incontro dal titolo “La forza della libertà e la riconquista della pace”. Saluto subito i nostri ospiti che partecipano questa sera a questo incontro. Prima di tutto Marina Sereni, Vice Ministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; un ospite speciale: Aleksander Archangel’skij, scrittore, giornalista, che ci raggiunge da Mosca; Giovanni Di Lorenzo, direttore del settimanale Die Zeit di Amburgo, che ci raggiunge da Amburgo ma ha vissuto nove anni della sua infanzia a Rimini, quindici sono tedeschi che vanno dall’Italia in Germania e tedeschi che vanno dalla Germania in Italia; poi Maurizio Molinari, direttore di Repubblica di Roma.
Nessuno di noi può sapere dove ci porterà la guerra che è iniziata il 24 febbraio. Ma sappiamo che è stata una rottura profonda, se non definitiva, di un assetto geopolitico che si era confermato negli ultimi decenni. Sappiamo che è stata ed è la fine della scontentezza della pace. Sappiamo che è stato l’inizio ed è l’inizio di tante domande, di tanti quesiti, di tanti problemi che cominciamo ad affacciare. L’incontro di questa sera vuole essere un contributo a cercare di comprendere cosa sta succedendo, a delineare forse qualche linea di prospettiva, se possibile. Non sappiamo se sarà possibile ristabilire un dialogo internazionale che è più orientato verso lo spirito di Helsinki piuttosto che su quello di Yalta. Lo speriamo. E quindi si propone anche la grande domanda: cosa è chiesto all’Europa, non solo ai governi ma anche ai popoli europei per affrontare le conseguenze che si stanno affacciando.
La prima domanda è rivolta alla Viceministra Sereni perché in tanti conflitti e guerre a livello mondiale la cooperazione internazionale è stato il primo passo per ristabilire un minimo di dialogo e per aiutare soprattutto i popoli, che sono le prime vittime di qualsiasi conflitto, ad affrontare malattie e la fame, a superarle in quanto possibile. Quali sono le nuove sfide per la cooperazione internazionale dopo il 24 febbraio? Grazie, signora Viceministra.
Marina Sereni: Grazie dell’invito, grazie della domanda; poi sono molto grata agli organizzatori per aver messo insieme nel titolo di questo panel due parole molto importanti: libertà e pace. Ma questo lo lasciamo al dibattito tra i giornalisti che seguirà la mia risposta. Non ci può essere pace senza libertà e credo che la cooperazione italiana allo sviluppo sia proprio per questo molto importante in questo momento. Noi siamo definiti dalla legge italiana come uno strumento essenziale, parte integrante della politica estera italiana, che vuol dire: cooperazione italiana come parte integrante della politica estera italiana.
La guerra che è scoppiata dopo l’aggressione russa in Ucraina ci ha portato immediatamente di fronte a una grave emergenza umanitaria, una delle più gravi emergenze umanitarie che l’Europa abbia potuto affrontare in questi decenni. Milioni di persone sono fuggite dall’Ucraina, milioni di persone sono sfollate internamente all’Ucraina e credo che sia molto importante che immediatamente la società italiana, non solo la cooperazione italiana, si sia attivata con grande generosità e grande efficienza per costruire una risposta di emergenza alle sofferenze della popolazione civile toccata, colpita dalla guerra.
Però purtroppo la guerra in Ucraina, il conflitto in Ucraina non si è portato via le altre crisi. Quindi la prima questione che, mi pare, dobbiamo aver presente dopo quel drammatico, sciagurato 24 febbraio è questa : la guerra sta continuando, dobbiamo fare tutto il possibile perché si fermi la guerra e si apra la possibilità di un negoziato nello spirito di Helsinki piuttosto che di Yalta, per riprendere le parole del presidente, ma dobbiamo anche sapere che l’emergenza umanitaria non potrà riguardare, che la risposta alle emergenze umanitarie, non può riguardare solo questa crisi perché ci sono altre crisi che sono ancora lì: c’è l’Afghanistan (solo un anno fa stavamo guardando all’Afghanistan dove sono tornati i talebani a Kabul), c’è la Siria, c’è l’Iraq, c’è il Medioriente, c’è l’Africa e l’Africa subsahariana in particolare, oltre il Nord Africa. Allora la prima sfida che ci pone il post 24 febbraio è questa: dobbiamo trovare la forza e le risorse per impegnare l’Italia e la Comunità Internazionale senza dimenticare queste altre crisi.
Secondo tema. Ci sono delle sfide globali e queste sfide globali pretendono, pur nello shock che la guerra sta provocando nelle relazioni internazionali, le sfide globali pretendono un grado di collaborazione internazionale molto ampio. La sfida del cambiamento climatico, così come la lotta alle pandemie, così come la lotta alle diseguaglianze che sono fonte di conflitto e fonte di guerre, queste sfide globali pretendono una collaborazione sul piano internazionale; per questo lo dico, poi lascerò al dibattito successivo, non mi convince, se guardo a queste sfide globali, l’idea della narrazione, che da qualche parte viene avanti, dell’Occidente contro tutto il resto del mondo. Se vogliamo affrontare queste sfide globali e la cooperazione è uno strumento per affrontare queste sfide globali, dobbiamo rompere questa narrazione e continuare a collaborare anche con dei paesi che in questa vicenda dell’Ucraina, non sentiamo esattamente dalla nostra parte del campo. Ma per sconfiggere il cambiamento climatico, le pandemie, il terrorismo, per gestire flussi migratori, per cercare di dare risposta alle diseguaglianze globali, noi abbiamo bisogno di tutti, abbiamo bisogno di un forte partenariato con i paesi dell’Africa.
Allora tornando alla cooperazione, la sfida della cooperazione italiana dopo il 24 febbraio è da una parte continuare ad essere dalla parte del popolo ucraino, continuare ad assistere quel popolo, continuare ad aiutarlo a rispondere ai suoi bisogni umanitari, che sono in Ucraina e nelle regioni limitrofe che sono anche in Italia, perché abbiamo accolto circa 160 mila profughi che sono soprattutto donne e bambini che hanno bisogno di essere integrati nelle nostre comunità. E dall’altro versante, non perdere di vista le altre crisi, il che significa non perdere di vista che abbiamo bisogno di risorse.
Quando si tratta di risorse, la coperta è sempre stretta ma l’Italia ha preso un impegno molti anni fa di arrivare allo 0.7 dell’aiuto pubblico dello sviluppo. Siamo allo 0.29 del PIL, abbiamo fatto un bel salto perché l’anno prima eravamo allo 0.22, quindi abbiamo aumentato e nel bilancio di quest’anno ci sono risorse che ancora gradualmente tendono a crescere. Quando si affronterà la questione delle risorse, lo so che ci sarà chi dirà “Ma è più importante sostenere le imprese, le famiglie, siamo alle prese con una grande situazione di difficoltà economica del nostro tessuto economico e sociale”. Ma attenzione: le risorse per la cooperazione sono risorse per la nostra sicurezza, per la pace, per la convivenza fra i popoli e quindi non sono risorse che dobbiamo investire solo per generosità, anche se la generosità è meglio della “taccagnaggine”, ma le dobbiamo investire anche un po’ per egoismo perché il nostro mondo è meno sicuro se ci sono tensioni e diseguaglianze così laceranti come quelle a cui assistiamo ogni giorno. Quindi io mi fermo qua perché mi avevano chiesto di essere, diciamo, rapida.
Bernard Scholz: Lei è rapida e sintetica.
Marina Sereni: Quindi non so quanto tempo ho preso. Se ho ancora un po’ di tempo, posso dire questo. Noi qui siamo ospiti del Meeting di Rimini; dopo alcuni anni ancora si consolida questo partenariato tra noi e il Meeting. Abbiamo voluto centrare la nostra presenza sul tema della sicurezza alimentare per tante ragioni, intanto perché l’Italia questo è un filone tradizionale della cooperazione italiana, siamo la sede del polo romano delle Nazioni Unite che vede la FAO, vede WFP, vede IFAD, tutti e tre centrati sull’alimentazione, sul cibo, sull’agricoltura. Ma abbiamo scelto la sicurezza alimentare anche per un altro motivo, perché dopo lo shock del Covid 19 c’è stato un altro evento che è la guerra scoppiata in Ucraina che ha portato una gravissima insicurezza alimentare e ha provocato una gravissima crisi alimentare. Ucraina e Russia sono al 30% del commercio mondiale del grano, motivo per il quale noi dobbiamo reagire a questo shock. E come possiamo reagire? Stiamo reagendo sostenendo le iniziative delle Nazioni Unite; credo che sia molto importante che le iniziative dell’ONU, facilitata dalla Turchia, per creare dei corridoi per il grano che sta uscendo finalmente dai silos dell’Ucraina verso altri paesi, sia molto importante in sé, perché naturalmente sta incidendo positivamente sull’aumento dei prezzi dei beni di prima di necessità, del grano in particolare; è un bene politicamente parlando, perché è comunque un primo segnale, anche se non di un contatto diretto, il primo segnale di, diciamo, ritorno di diplomazia rispetto ad un conflitto in atto; ma è anche molto importante perché allevia le sofferenze di paesi terzi, paesi soprattutto in Africa nella sponda sud del Mediterraneo, che dipendevano e dipendono molto dalle importazioni di grano e di altri cereali dalla regione colpita, quindi la Russi ma anche ovviamente dall’ Ucraina. Noi siamo qui per dire che sosterremo tutte le iniziative internazionali che vanno in quella direzione, e l’Italia in particolare si è impegnata in un dialogo con i paesi del Mediterraneo, per capire insieme a loro che cosa serve fare: serve toccare il tema della tecnologia, il tema dell’acqua, il tema della ricerca e serve dare loro un sostegno per una maggiore sostenibilità dei sistemi agro-alimentari, una maggiore autonomia anche di questi sistemi.
Infine, ultima cosa, visto che siamo a Rimini e siamo al Meeting, la cooperazione italiana non esisterebbe senza la partecipazione della società civile italiana. Voi siete molto legati ad una parola che anche a me è molto cara che è quella di sussidiarietà. La potenza dico così, l’efficacia della cooperazione italiana allo sviluppo non sarebbe la stessa se accanto alle risorse finanziarie, tecniche delle organizzazioni internazionali e dei governi, compreso il governo italiano, non avessimo la forza, l’intelligenza, la competenza e la passione per l’uomo, diciamo così, delle organizzazioni della società civile italiana, che sono radicate nel nostro paese, che mobilitano risorse private nel nostro paese e che sono molto capaci di intessere relazioni significative con i paesi destinatari. Anche ora, mentre lavoriamo con l’Ucraina, non lavoriamo solo con il governo ucraino: le nostre OSC, le nostre organizzazioni della società civile stanno lavorando con le organizzazioni della società civile ucraina, così come facciamo dappertutto in Africa In Asia, in Medioriente, in America Latina perché questa è la forza della nostra cooperazione: saper creare legami people to people con le persone, valorizzare le risorse locali, valorizzare la capacità delle persone, delle comunità con le quali lavoriamo, il che mi sembra una grande una grande testimonianza di passione per l’uomo. Grazie.
Bernard Scholz: Grazie signor Ministro. Vi invito anche a visitare il padiglione della Cooperazione Internazionale che abbiamo allestito anche quest’anno con il Ministero, proprio per sottolineare l’aspetto che solo una cooperazione fra le varie realtà della società civile e governi, può dare risposta ai problemi che Lei ha citato.
Tutti noi siamo, diciamo, abbastanza informati su ciò che sta succedendo in Ucraina, anche se man mano che la guerra procede, tante informazioni arrivano al terzo, quarto, quinto, sesto posto. Ma noi sappiamo poco su che cosa succede in Russia, soprattutto come si sente la popolazione di questo grande paese. Quindi vorrei cominciare con una domanda ad Aleksander Archangel’skij che tra l’altro è intervenuto due anni al Meeting di Rimini con uno splendido intervento sul futuro della democrazia. La mia domanda è: come la popolazione russa sta vivendo questo momento così drammatico?
Aleksander Archangel’skij: Grazie per la possibilità di intervenire. Molto brevemente rispondo alla sua domanda e devo dire che il paese è molto diverso e non abbiamo una sociologia adeguata. E quindi faccio riferimento solo alle mie impressioni personali e sono le impressioni di un letterato, non un politico né di uno studioso, di un ricercatore. Io ero in Europa il 24 febbraio e ben consapevolmente sono rientrato subito in Russia; da allora sono stato in molte città, grandi, piccole, dagli Urali alla regione di Belgorod, confinante con l’Ucraina, da Pskov al nord-ovest ai confini con l’Estonia fino alle città sul Volga. Ho cercato di parlare con tutti, senza nascondere la mia posizione nei confronti di quanto sta avvenendo, ma senza nemmeno imporla, altrimenti sarebbe stato impossibile guadagnarsi la fiducia della gente. Ho avuto come interlocutori dipendenti di grandi aziende agricole, insegnanti nella tenuta di Tolstoj e Jasnaja Poljana e nella dimora di Pushkin e Mikhaylovskiy grossi esponenti del mondo degli affari, autisti di autobus di provincia. E la prima impressione è bonaccia, immobilismo. La maggior parte degli interlocutori recepisce quanto sta avvenendo come un episodio politico-militare locale e non come una grande tragica storia. Persino coloro che sono interiormente contrari, e sono circa un terzo della popolazione, spesso guardano alla situazione in maniera semplicistica, parlano di decisioni sbagliate ma non vogliono capire la portata delle cause e delle conseguenze. Certo ci sono anche esempi di comportamento eroico, il politico Ilya Yashin, il giornalista e politico Vladimir Kara-Murza, la giornalista Marina Ovsyannikova che rischiano anni di galera e altri sono già stati condannati. Ma nell’insieme c’è piuttosto immobilismo. Forse, in questo modo, la gente è stata tanto psicologicamente alla situazione, la sta recependo pezzo per pezzo, sta componendo lentamente il quadro generale del mondo da queste tessere di mosaico, ma non so se questo quadro si ricomporrà mai e con che tempo e cosa condurrà.
Seconda osservazione: la distanza. Manca l’euforia generale che si riscontrava nel 2014 dopo l’annessione della Crimea. Sugli edifici pubblici si espongono enormi striscioni con la lettera Z che sarebbe un segno non ufficiale di sostegno, ma, per esempio, sulle grandi strade che collegano le città, si incontrano al massimo una, due macchine con questo simbolo Z. Sono, ripeto, sono in una situazione che non è di seria opposizione né di euforia. Di che cosa si tratti? Della calma prima della tempesta o del letargo? Questo non lo so.
Terza osservazione. Si è accentuata la divisione, divisione fra quelli pensano in maniera contemporanea e quelli che vivono con la sensazione del trauma imperiale, divisione fra quelli che si trovano in città grandi e piccole, divisione fra quelli che sono andati all’estero e quelli che sono rimasti in Russia, tra quelli che guardano la televisione e quelli che cercano di informarsi da sé. Quanto più piccola è la città, tanto più grande il patriottismo imperiale e stretto il corridoio informativo.
Ma, e questa forse è l’osservazione più importante, la quarta. Nel mondo degli uomini la legge dei grandi numeri non funziona; è quello che un po’ lei ha detto, del people to people. Un autista di autobus di provincia può rivelarsi un convinto pacifista, un agiato abitante di una metropoli un sostenitore della violenza; è una scelta personale e non una legge ferrea, non c’è niente di predeterminato, niente di fisso. E anche per la maggioranza i nuovi migranti sono benevoli nei confronti di chi è rimasto in Russia e chi è rimasto in genere non è aggressivo. Sì, molti vescovi ortodossi hanno peccato di retorica militarista. Il patriarca pronuncia prediche che somigliano più a dei briefing del ministero della difesa e non è un caso che Papa Francesco l’abbia chiamato “chierichetto” di Putin. Ma una lettera che esortava alla pace è stata firmata da centinaia di sacerdoti e in molte chiese a Pasqua si è pregato per la Russia. Non sono state fatte dichiarazioni politiche ma una preghiera profonda e personale e io ne sono stato proprio testimone a Pasqua di queste preghiere, io stesso sono stato in chiesa. Nessun scrittore di un certo rilievo, tranne Zachar Prilepin si è dichiarato pubblicamente favorevole alla violenza; al contrario la commissione speciale della Duma presieduta dallo stesso Prilepin ha appena pubblicato un elenco di 142 esponenti della cultura che non appoggiano l’operazione speciale. Come minimo sono rimasti in silenzio, come massimo si sono espressi contro. A dire il vero la commissione ha lavorato in maniera tanto frettolosa e approssimativa che nell’elenco dei contrari è finito il direttore del principale canale televisivo di stato Konstantin Ernst. Mentre un discorso a parte gli insegnanti sono in una situazione molto complicata. La scuola è un’istituzione statale e le tradizioni delle denunce non sono affatto scomparse, ma come minimo in molte scuole si rispetta la neutralità, non si fomenta nei ragazzi l’aggressività e non si permettono scontri fra scolari di famiglie e tendenze ideologiche diverse. Si continuano a trasmettere valori umanitari, basandosi sulla cultura contemporanea e sui classici, cosa che, tra parentesi, nel contesto attuale talvolta richiede coraggio.
Racconto una storia significativa che ha visto la partecipazione di una mia collega la traduttrice Lyubov Sun che ha fatto un picchetto individuale di protesta con un cartello di una citazione di un poeta democratico del XIX secolo Nikolaj Nekrasov, una poesia che fa parte dei programmi scolastici. “Osservando gli orrori della guerra ad ogni nuova vittima dello scontro mi dispiace non per l’amico o per la moglie, non mi dispiace per l’eroe in persona, ma per le lacrime delle povere madri. Come potranno dimenticare i loro figli uccisi sul campo insanguinato?”.
E adesso voglio citarvi il verbale della polizia che l’ha fermata e vi avviso che non è una parodia ma un testo reale. Cito: “Sono Lyubov Borisovna ha esposto uno strumento di propaganda visiva, un cartello con la scritta. La suddetta propaganda riporta versi della poesia di Nekrasov Osservando gli orrori della guerra scritta dall’autore negli ultimi anni di guerra di Crimea sotto l’influsso dei racconti di Sebastopoli di Tolstoj. Dette opere, di Tolstoj e di Nekrasov, contengono un’ideologia eversiva del potere, critica del regime governativo per la sua giustificazione della violenza” È una cosa veramente assurda. Quindi anche semplicemente trasmettere un’idea umanitaria tradizionale richiede oggi un certo coraggio. Questa, sottolineo, non è resistenza nel senso classico e tanto meno non è fronda politica, ma qualcos’altro. Esiste l’espressione restare saldi nella fede quando una persona non va all’attacco, non cade in preda alla rabbia, non si preoccupa di dimostrare al potere alla società di esser nel giusto, ma non rinuncia neppure ai propri principi per semplificarsi la posizione sociale. Come scriveva Lutero: “Qui sto e non posso fare altrimenti”. Oggi assistiamo non soltanto al restare saldi nella fede ma direi anche a restare saldi nei valori umani. E quindi immobilismo, comprensione frammentaria di ciò che sta avvenendo, presa di distanza, divisioni, scelta per i valori umani, scelta personale. Da un lato siamo in una situazione molto scomoda per analisi e pronostici, dall’altro ci dà motivo di nutrire ottimismo sulle persone. La storia si è abbassata dalle vette mondiali fino al livello della singola persona. La singola persona è più facile da vincere fisicamente, ma è più difficile da superare moralmente.
Bernard Scholz: Grazie per questa sincerità, per questa sua capacità di far emergere quello che realmente succede nel suo paese e di rendercelo anche comprensibile. Lei ha parlato del valore della singola persona che è, come dire, uno dei cardini della cultura europea, quello che ha fatto venir fuori proprio la dignità del singolo, la libertà inviolabile del singolo, e quindi, apriamo lo sguardo sull’Europa e vorrei chiedere, sia a Giovanni Di Lorenzo, sia a Maurizio Molinari cosa significa questa guerra per l’Unione europea, evidentemente con approfondimento sia sulla Germania per Di Lorenzo, approfondimento sull’Italia da parte di Maurizio Molinari. Cominciamo con Di Lorenzo.
Giovanni di Lorenzo: Allora, intanto buonasera. Volevo chiedervi perdono se ogni tanto mi sfugge una parola italiana, ma è da più di 50 anni che manco dall’Italia. Innanzitutto, volevo esprimere il mio più profondo rispetto per quello che ha detto il nostro collega russo, perché è una prestazione difficilissima, sensibilissima vivere e lavorare in Russia ed avere, allo stesso tempo, un atteggiamento così critico come ce l’ha espresso qui, nello stesso tempo malinconico, da buon letterato e anche con molta ironia. Grazie per questo intervento, è stato molto bello. Se parliamo delle conseguenze per la comunità europea, io preferirei intanto parlare delle conseguenze per ognuno di noi, perché questo 24 febbraio è stato uno shock profondo anche per la mia generazione, che è la generazione del direttore Molinari, la sua generazione, senza sapere esattamente la sua età, ma penso siamo lì, e anche tutte le generazioni più giovani, perché noi avevamo pensato che la pace e la libertà fossero dei diritti naturali, invece non lo sono. Ci siamo resi amaramente conto che sono stati 70 anni, più di 70 anni, anche un regalo che ci è stato fatto, ma non lo stato naturale. In Germania c’è ancora il trauma del nazismo, della guerra, perciò è stato uno sconvolgimento profondo, quasi una rievocazione di un trauma in parte rimosso. L’idea che a 800 km da Berlino sia tornata la guerra, uno shock profondo, anche perché ci sono moltissime persone di origine ucraina che facevano l’avanti e indietro, perciò c’erano anche i discorsi diretti, il confronto diretto. C’è stata una grande onda di solidarietà, in Germania, per quello che riguardava i profughi dell’Ucraina. Ancora una volta la Germania in questo, al contrario di quello che si pensa in molti paesi del mondo, si è rivelato un paese molto generoso a ospitare persone a disagio o profughi, gente che voleva scappare dalla guerra, dalla fame, forse un giorno anche dai cambiamenti climatici. Penso che una situazione simile, come nel 2015, in Italia, ci sarebbero state delle sommosse popolari con 1.200.000 profughi nel giro di pochi mesi. È stata una grandissima challenge per tutta la società tedesca. Ora, cos’è successo dopo questo shock? La Germania che si voleva sempre tener fuori dalle grandi risse mondiali, cioè essere una super potenza economica, ma un paese piccolo piccolo, innocuo per quello che riguarda la geopolitica, non mischiarsi nei conflitti degli altri, all’improvviso si è vista confrontata con una richiesta di aiuto e lì, all’improvviso, una società profondamente pacifista e pacifica, tutt’e due le cose, ha capovolto un pochino i punti di riferimento perché, pensate, il partito più deciso sul fatto di aiutare l’Ucraina, anche con le armi cosiddette pesanti, in Germania, sono i verdi e anche gli elettori dei verdi. Ci sono stati in marzo dei sondaggi che il 90% degli elettori dei verdi erano favorevoli a questi rifornimenti di armi, un partito nato come partito pacifico, pacifista. Perciò è stato un cambiamento incredibile, le resistenze sono nei partiti della estrema destra e nella corrente del partito di estrema sinistra. Lì c’è una, qualche volta, sconcertante similitudine nel modo di argomentare. E poi ci sono altre certezze che sono in bilico. Io, quando vengo in Italia, mi meraviglio che le grandi discussioni che ci sono in Germania ci sono anche sui media e nei dibattiti italiani, ma molto ridotti, i grandi temi sono il cambiamento climatico, questo è il tema numero uno, e il secondo tema è la paura della crisi energetica alla quale andiamo incontro. Questa è una conseguenza diretta di questa guerra, la Russia sta tagliando rifornimenti di gasolio, si dice in italiano?
Bernard Scholz: Gas
Giovanni di Lorenzo: Gas. Proprio per cercare di destabilizzare l’economia e, con l’economia, anche la società tedesca. Perché? Perché sono talmente aumentati i prezzi e aumenteranno ancora di più, parallelamente all’inflazione che sta crescendo, che si temono delle sommosse popolari. Io non so se queste avverranno, ho qualche dubbio, non condivido, ma senz’altro la diseguaglianza sociale diventerà ancora più grande di quella che c’è già. Non passa giorno dove qualche politico ci dia qualche consiglio come risparmiare energia quando si fa la doccia. Una cosa che, penso, se si facesse in Italia la gente urlerebbe dalle risate; invece, in Germania è un tema quotidiano. Questa è la seconda cosa. Altra e ultima certezza in bilico, il viceministro, la viceministra o il viceministro? Non so come si dice.
Marina Sereni: La prima
Giovanni di Lorenzo: La prima allora. Il viceministro ha detto che, giustamente ha detto, che non c’è pace senza libertà, ma non ne sono convinto perché se si arriverà a una pace tra Ucraina e Russia, dove da parte della Germania, anche questa è una novità, forse con la signora Merkel sarebbe stato diverso, non c’è nessuna iniziativa di negoziato da parte della Germania, questa è una cosa abbastanza nuova, sarà una pace, ma non so se una pace nel segno delle libertà, ho grandi dubbi. In più, il movimento contro il cambiamento climatico, senz’altro, è un movimento democratico che sostiene anche l’argomento della libertà, ma non è il primo tema la libertà, è secondario la libertà, cioè quello che in Germania auspicano sono cambiamenti netti nei comportamenti delle persone e anche nella politica economica della Germania. Perciò siamo in una situazione di assoluta incertezza e, senz’altro, per quello che riguarda la mia vita è il momento politico più drammatico che io abbia mai vissuto.
Bernard Scholz: Grazie. Grazie Di Lorenzo. Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari: Io credo che ci siano tre cose fondamentali da dire. La prima è che l’aggressione russa all’Ucraina ha riproposto in Europa un’idea di aggressione di uno stato contro l’altro che punta a negare l’identità dell’aggredito. Non a conquistare una parte di terreno, una montagna, un fiume, ma negare l’esistenza dell’altro. Questo è qualcosa di agghiacciante che avevamo studiato sui libri di storia, anche perché il regista dell’aggressione, il presidente Putin, spiegando il motivo della guerra, tre giorni prima del 24 febbraio, nega l’identità dell’ucraina. L’Ucraina, come nazione indipendente non esiste, non esiste la sua lingua, non esiste il suo popolo, è un’appendice della Russia. Questo è agghiacciante per tutti noi perché significa riportare l’Europa a una stagione che avevamo superato, grazie alla nascita dell’Unione europea e grazie anche alla fine della Guerra fredda. Questo è il primo dato. Il secondo dato, e qui riporto le parole della senatrice Segre quando le ho chiesto: “Cosa pensi di questo?” “Maurizio, ancora una volta tutto questo dipende da una persona sola” e anche questo fa paura. Perché il nostro nemico non è la Russia, non è il popolo russo, non lo è mai stato. Non sapevamo neanche di avere un nemico in Russia, nessuno di noi. È stato Putin che ha ritagliato su di sé quest’immagine ed è lui che sta guidando il paese a una guerra brutale, tutti noi abbiamo dei corrispondenti, degli inviati che descrivono come combatte l’esercito russo, tasso zero dei cannoni e fuoco sui civili. Veramente dalla Seconda guerra mondiale queste cose non si vedevano. Il disprezzo per le vittime, le vittime devono morire, devono soffrire. Stuprare le donne affinché si moltiplichi il messaggio dell’orrore. Natan Sharansky, ex detenuto nei gulag per molti anni, ha riassunto l’approccio di Putin dicendo: “Putin vuole che noi abbiamo paura, le sue azioni vogliono mettere paura agli ucraini affinché si arrendano, paura a noi tutti minacciando la guerra nucleare e paura ai russi dicendo che non c’è alternativa a questa operazione speciale se non quella di subire la più dura delle repressioni. Lui si batte affinché tutti noi abbiamo paura”. Bene, io credo che Natan Sharansky che fra le altre cose è di Donetsk, quindi viene dal Donbass, abbia ragione e credo che la risposta sia non avere paura, noi non dobbiamo avere paura. Non dobbiamo avere paura di stare a fianco degli ucraini, che si battono per la loro identità, indipendenza, libertà, democrazia, di essere a fianco dei russi che amano il loro paese e si sentono europei, che condividono con noi storia, cultura, emozioni a cui noi tutti dobbiamo anche la sconfitta del nazismo, per il sacrificio straordinario che hanno dato, e non dobbiamo avere paura di dire, però, che c’è una differenza chiara fra il bene e il male, in questo caso. Ora il punto qual è e perché tutto questo ha a che vedere con l’Italia, perché la tua domanda era sull’Italia. Perché l’Italia è uno dei paesi dove c’è un’opinione che si sta consolidando, minoritaria, ma che si sta consolidando, contraria all’invio di armi all’Ucraina e contraria alle sanzioni alla Russia. Questa è un’opinione che alcuni leader dei partiti politici italiani hanno fatto propria apertamente, che è stata parte dell’offensiva contro il governo Draghi e che viene fatta propria da tutta una moltitudine di protagonisti nel mondo dei social che più o meno fa riferimento a interessi russi. Perché c’è una così forte pressione russa sul nostro paese? Questo è il punto. Io credo che la percezione che abbia il governo Putin sia che l’Italia possa essere il primo paese dell’Unione europea e della Nato apertamente a dire basta alle armi all’Ucraina e basta alle sanzioni alla Russia e credo che questo sia un tema della nostra campagna elettorale. Ognuno di noi naturalmente farà le nostre libere scelte, sovrano è il cittadino della repubblica, però quello è qualcosa che ci riguarda direttamente perché mai prima noi abbiamo assistito a un livello di ingerenza nella vita pubblica del nostro paese come quello che sta avvenendo da parte della federazione russa. Grazie.
Bernard Scholz: È già stato accennato sia da lei Maurizio Molinari sia da Giovanni Di Lorenzo che la Russia fa parte dell’Europa, fa parte della cultura europea. La cultura europea non è pensabile minimamente senza il grande contributo della cultura russa e anche ucraina e quindi vorrei fare la domanda a lei, Aleksandr Archangel’skij, è possibile pensare che i legami culturali che c’erano e che ci sono e spero ci saranno possono essere una base reale dell’incontro fra i popoli e forse anche la base per una riconciliazione?
Aleksandr Archangel’skij: Da una parte la risposta alla sua domanda è evidente, Europa e Russia oggi possono incontrarsi solo sul terreno della cultura. Il dialogo tra le chiese è venuto repentinamente meno, a motivo delle posizioni dell’episcopato russo. La scienza ha cessato di essere una piattaforma per motivi oggettivi, gli scienziati russi vengono riconosciuti come personalità ma non può esistere per adesso nessuna collaborazione internazionale. Anche nella sfera culturale la cooperazione incontra difficoltà, le case editrici cessano di vendere i diritti per le traduzioni, le compagnie cinematografiche i diritti per i film, i teatri interrompono le tournée e non si prevedono scambi di mostre. Se verrà presa la decisione di abolire i visti Schengen per i russi, non ne soffriranno solo gli estimatori delle boutique milanesi ma anche quelli che continuano ad avere un influsso sulle menti all’interno della Russia. Perché diventeranno più indifesi davanti all’arbitrio, non avranno dove rifugiarsi in caso di sventura. Ma innanzitutto questi problemi sono imparagonabili con quelli che stanno soffrendo i profughi; in secondo luogo, la cultura è organizzata diversamente dalla scienza. Almeno in alcune sfere è in grado di fare a meno delle istituzioni, presuppone un rapporto personale con l’artista, lo scrittore il pensatore, oltre al suo interno esiste al di là delle frontiere, è in grado di sopravvivere anche se non c’è libertà e sa abbattere la cortina di ferro. Infine, attraverso la cultura come attraverso un tubo sott’acqua, in Russia sovente respirano sia la chiesa priva di libertà sia la filosofia cacciata dalle università. Ricordiamo il grande romanzo scritto da Pasternak nell’URSS staliniana, Il dottor Zivago, un romanzo cristiano, un romanzo filosofico, un romanzo uscito per la prima volta proprio in Italia in italiano e non in russo. Un romanzo scritto da uno scrittore che non poté recarsi all’estero dal 1936 fino alla sua morte, nel 1960, e questo non gli impedì di scrivere il romanzo. Talvolta sembra che puntare sulla cultura sia una posizione inutile, anche ingenua, debole e che non ci siano chance di ripristinare la fiducia persa e ogni tentativo sia inutile. Ma io voglio ricordare che, sempre nel 1957, quando Il dottor Zivago usciva a Milano, sempre a Milano, padre Romano Scalfi, sostenuto da don Luigi Giussani, fondava l’associazione laicale Russia Cristiana. Russia Cristiana era un progetto sia religioso che sociale e culturale umanitario e voglio sottolineare ancora una volta la data, 1957. Vale a dire quattro anni dopo la morte di Stalin costituire una simile associazione in Occidente era altrettanto inutile, sembrava, che scrivere Il dottor Zivago all’estero, eppure alla fine il romanzo di Pasternak fu letto da milioni di persone, una rinascita cristiana iniziò, seppur lentamente. E ad un tratto ci si accorge che anticipare i tempi, fare ciò che adesso sembra impossibile era, in effetti, l’unica scelta sensata. “Impossibile? Allora vuol dire che val la pena provarci”. Proprio così, secondo la leggenda, rispose papa Giovanni XXIII all’obiezione che convocare il Concilio vaticano II, come aveva pensato, era impossibile. C’è ancora un altro aspetto del problema e ci sono questioni ben più complesse e cioè, in che forme e con che contenuti cooperare? Cooperare ma con quale cultura? Innanzitutto, parliamo delle forme. Queste forme dovranno cambiare completamente, non ci sarà più nessuna abituale diplomazia, cultura nessuna infrastruttura di scambio. Che cosa ci sarà? Una cooperazione individuale con persone concrete, con autori concreti, con quelli che sono venuti in Occidente, diretta e immediata, con quelli che sono rimasti in Russia attraverso le piattaforme che continuano a rimanere. Ad esempio, come la Biblioteca dello spirito di Mosca. Il compito che ci aspetta non è quello di abolire il passato, no, ma di parlare insieme del futuro. Quali idee e figure fondamentali della Russia abbiano superato la prova della catastrofe, quali no. E soprattutto dobbiamo far nostra la nuova esperienza. Ad esempio, recentemente, la poetessa Olga Sedakova ha tradotto alcuni poeti ucraini e, contemporaneamente, ha tradotto, ha scritto un romanzo, Tradurre Dante, ha pubblicato un libro Tradurre Dante, dove si trova una traduzione in prosa di canti del Purgatorio e del Paradiso e all’improvviso ci si accorge che il lavoro su Dante è legato alla nostra sanguinante contemporaneità, con questa cultura russa il dialogo è possibile e necessario. In Russia ci si preoccupa molto che nel mondo ci si cancelli, la televisione lo agita come uno spauracchio terribile, sui social divampano lunghe discussioni, ma innanzitutto, in realtà ad abolire la cultura russa è il verbale di polizia su xxx su Tolstoj che ho citato. In secondo luogo, a Puskin e a Bulgakov è indifferente che i loro monumenti ci siano o no, non è così importante che cosa sarà di un blocco di metallo, importante è un’altra cosa, se soffrono degli innocenti, se sia possibile la pace dopo la catastrofe, se vinceranno i buoni sentimenti e la misericordia celebrati da Puskin nella poesia che si chiama appunto Monumento. Se noi anche sul fondamento della cultura sapremo costruire una società diversa e dare un ordine nuovo al mondo anche Puskin sarà salvo. Verrà letto e di lui si parlerà, in caso contrario non ci sarà nessun Puskin che possa salvarci. Per il momento dobbiamo lavorare sugli errori. Adesso non sto parlando del potere che è troppo lontano da noi, e per il quale non sono disposto a rispondere, ma innanzitutto dei miei stessi errori. Ad esempio, dobbiamo cambiare la nostra ottica, cambiare il diapason, imparare dall’esperienza altrui, diciamo, dall’esperienza della libera poesia ucraina del ventesimo e ventunesimo secolo, viverne la bellezza e l’intensità e forse riscoprire qualcosa in noi stessi.
Molti anni fa sono stato in un museo che si trova a Perm, luogo vicino agli Urali, là dove sorgeva un lager per detenuti politici negli anni ’70-80. A guidarmi in questo museo furono il dissidente Sergej Kovaliëv e uno dei fondatori dell’Associazione Memorial – c’è la mostra adesso qui al Meeting -, Arsenij Roginskij. Sia Kovaliëv che Roginskij erano stati detenuti a suo tempo in questo lager. E fu allora che per la prima volta sentii parlare del poeta e detenuto ucraino Vasyl Stus che morì a Perm nei primi anni del governo di Gorbaciov. In segno di protesta aveva indetto uno sciopero della fame da cui non sarebbe uscito vivo. Quando ho letto i versi di Stus molte cose mi sono state chiarite, e voglio concludere il mio intervento con una sua poesia che per me è come un comandamento di stoico umanesimo e forse come una speranza che l’umano nell’uomo vincerà. Adesso chiederò al traduttore di leggere dapprima la traduzione e poi io voglio che voi sentiate come suona in ucraino.
Sopporta, sopporta,
la pazienza ti modella.
Si tempra il tuo spirito e tu
Sopporta, sopporta.
Nessuno ti salverà dalla sventura
Nessuno ti sottrarrà al tuo sentiero.
Lì rimani e preparati
fino alla morte,
fino alla luce e al sole
e rimani, stai.
Che tu possa percorrere tutto il tuo cammino
verso il paradiso o l’inferno o la prigionia
e che tu possa sopportarlo.
Crea la tua strada
quella che è chiamata tua
quella che ti ha scelto per i secoli eterni.
Ad essa ti sei consacrato dall’infanzia.
Il Signore stesso a questo ti ha chiamato.
Lettura della poesia in ucraino
Bernard Scholz: Io penso che un collega russo che legga in quest’occasione una poesia ucraina sia una grande promessa. Infatti, volevo chiedere a Maurizio Molinari: dopo la Seconda guerra mondiale due paesi così inimicati come Francia e Germania – una guerra con terribili atrocità – sono riusciti a riconciliarsi, e questa insieme all’Italia sono diventati tre paesi che hanno rifondato l’Unione Europea. La nostra coscienza della libertà, la nostra consapevolezza di quello che è la dignità della persona, di ogni singola persona è sufficientemente forte, sviluppata per rendere l’unione capace di affrontare i problemi e di lanciare un ponte anche verso paesi coinvolti in questa guerra?
Maurizio Molinari: Io credo che sia una domanda profonda, profondamente giusta e che suggerisca come la sfida dell’Europa sia di uscire dalla guerra ucraina più grande, più unita e più forte. Può l’Europa riuscirci? Un’Europa dall’Atlantico agli Urali? Io credo profondamente di sì. Qual è la lezione che noi abbiamo avuto da Francia e Germania dopo la fine della Seconda guerra mondiale? Quello che questi due Paesi condivisero assieme agli altri europei furono la Dichiarazione universale dei diritti umani e l’idea che erano stati commessi crimini contro l’umanità e che questi crimini dovevano essere puniti. La punizione dei crimini commessi sancì il momento di ripristino dello stato di diritto in Europa dopo il nazifascismo, e il rispetto dei diritti della Dichiarazione universale sono stati uno dei pilastri della costruzione dell’edificio europeo. Ora non c’è motivo per non estendere questo precedente anche ai popoli dell’est, anche alla Russia. Per questo dicevo che noi siamo di fronte a un uomo solo con i suoi stretti collaboratori che sono singolarmente e personalmente responsabili dei crimini commessi contro l’Ucraina e contro l’Europa. Non è la Russia. Quindi il punto vero è se ci sarà un dopo Putin nel quale la Russia potrà testimoniare di condividere con il resto dell’Europa tanto la necessità di punire i crimini commessi quanto la necessità di costruire un’Europa più grande. Io credo profondamente in questo. Credo che l’Europa e l’occidente commisero dopo la fine della guerra fredda dei gravi errori nei confronti della federazione russa, diedero poco ascolto a chi chiedeva aiuto, attenzione, collaborazione per lo sviluppo di riforme profonde, accettarono soluzioni semplici, liquidarono in fretta quella che era l’opposizione liberale, i leader, le voci liberali che c’erano nella Russia dell’epoca. Quando e se queste occasioni dovessero riproporsi non dovremo fare gli stessi errori. Però, e qui concludo, il punto di svolta per passare dal momento della distruzione al quale stiamo assistendo a quello della costruzione di un’Europa più grande capace di includere la Russia, sarà il momento nel quale verranno uniti sulla base dello stato di diritto delle norme europee, i crimini che sono stati commessi e che ancora vengono commessi in Ucraina.
Bernard Scholz: Grazie per questa risposta. Giovanni Di Lorenzo, lei sta leggendo un libro – così ho visto un’intervista – di Florian Illies, in italiano il titolo è: L’amore al tempo dell’odio, una storia sentimentale degli anni Trenta. Lei lo legge in italiano, così è stato detto.
Giovanni di Lorenzo: No, in tedesco.
Bernard Scholz: Allora, in questo libro si racconta l’impatto della storia degli anni Trenta che conosciamo, una storia drammatica, tragica, e come questa si è riversata nella vita dei singoli, sono storie d’amore che devono fare i conti con quell’inizio di violenza inaudita degli anni Trenta. In analogia, cosa succede con il nostro amore alla libertà. In questo momento cosa succede con la nostra convivenza civile: si frammenterà ancora di più? Di fronte a queste sfide ci dividiamo ancora di più o riscopriamo che c’è qualcosa che ci unisce più di qualsiasi altro problema perché abbiamo qualcosa da costruire che vale più di qualsiasi altra conflittualità?
Giovanni di Lorenzo: Se devo essere onesto le dico e confesso che non lo so, perché questa guerra è la crisi, che la conseguenza di questa guerra colpisce società già divise. Allora sarebbe un piccolo miracolo se riuscissimo a riunirci. So però che, anche il collega Molinari questo l’ha detto, che tutto dipenderà dall’unità che noi riusciamo ad avere nei singoli Paesi ma anche nella comunità europea. Io, per tornare alla domanda che lei ha fatto all’inizio al nostro collega russo, personalmente, non è l’opinione del mio giornale perché lì siamo divisi su questa questione, siamo un giornale pluralistico, io sono contrario a ogni sanzione culturale verso artisti russi perché trovo che è il punto più sbagliato per mostrare determinazione, perché anche il più facile per vedere lì. E la cultura può unire anche se ci sono artisti stupidi, ma se noi vogliamo far vedere che in questo moralmente siamo migliori, non possiamo andare a dare divieti a un tenore o a un direttore d’orchestra. Ho visto con grande compiacimento, lunedì sono stato a Salisburgo, ho visto il concerto che ha dato uno che vive qui vicino, Riccardo Muti, vive a Ravenna, che penso sia stato una dimostrazione che lui ha diretto un concerto di Čajkovskij, ha fatto cantare un basso russo, proprio per far dimostrare che la cultura non deve dividere ma unire. Per quello che riguarda invece quali sono le prospettive: riuscirà il bene, adesso semplifico anch’io, a sopraffare il cattivo, io ovviamente me lo auguro, ma non so dire quando, anche perché non sono un po’ scettico se proprio è una persona sola e non i russi. Ogni generalizzazione è sbagliata, senz’altro, però bisogna anche dire che 70% minimo della popolazione russa è favorevole a questo intervento in Ucraina che non si può dichiarare guerra perché sennò rischi fino a 15 anni di galera. E la comunità russa in Germania, che hanno accesso a tutte le fonti d’informazione, anche quelle più critiche e più libere, anche quelle in maggioranza sono favorevoli alla guerra in Ucraina. Questa è una cosa preoccupante perché si vede che non è solo frutto dell’idea perversa, violenta, aggressiva di una piccola nomenclatura politica, ma che è già radicata benissimo nella popolazione. Io credo che le uniche cose che possono in questo momento portare a una svolta è la nostra determinazione, anche a soffrire, perché il calcolo cinico di Putin è che noi siamo troppo deboli, troppo decadenti per sopportare per esempio un embargo, non ci riusciamo e io sono convinto che sia se si fa, a parte delle armi atomiche, l’esercito russo si è dimostrato paurosamente debole, ci sono dei generali Nato che, non te lo dicono nel microfono, te lo dicono off the record, che un intervento Nato in 3 giorni vincerebbe l’esercito russo, e anch’io non credo alla grande forza economica della Russia. Perciò i nostri valori li dobbiamo difendere anche sul punto di vista economico, rimanere su questo molto fermi e non andare in conflitti simbolici come quello di punire ……. o altri. Non ho un messaggio più ottimistico da darle, è una situazione seria, purtroppo.
Bernard Scholz: È una situazione seria della quale abbiamo parlato con serietà e nessuno si è illuso, abbiamo sentito tanti aspetti diversi, ognuno di noi si confronterà con quello che ha sentito, con quello che leggerà domani, con quello che sentirà domani perché evidentemente è una crisi, una crisi con tanti aspetti drammatici. Io ringrazio tutti qua presenti per la sincerità con la quale hanno risposto, non hanno fatto finta di sapere più di quello che si può sapere, ma hanno espresso anche le loro visioni, le loro valutazioni. Io ringrazio tutti ma penso che a nome di tutti noi dobbiamo un grazie molto particolare e molto sentito ad Archangel’skij.
Mi permetto di invitarvi all’incontro che ci sarà questa sera sulla cultura ucraina, che ci sarà giovedì sera un incontro con russi e ucraini, l’ultima sera, con donne molto coraggiose, perché le donne sono spesso molto più coraggiose di noi uomini, con donne coraggiose dell’Ucraina e della Russia. Vi invito a visitare la mostra sul Memorial e il padiglione sulla cooperazione internazionale. Grazie che siete qua, grazie per quello che portate e che porterete.