IN OCULIS FACTA. IL RUOLO DELLE IMMAGINI NELLA CONOSCENZA SCIENTIFICA

In collaborazione con Associazione Euresis.
Vittorio Cannatà, Responsabile dell’Unità di Fisica Medica, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; Stefano Facchini, Ricercatore, Università degli Studi di Milano. Introduce Nicola Sabatini, Associazione Euresis.

Che importanza ha l’immagine nel particolare cammino di conoscenza della realtà che offre la scienza? Qual è il ruolo del soggetto umano nel produrre e nell’utilizzare un’immagine scientifica? A partire da queste domande proveremo a immedesimarci nel particolare sguardo al reale di chi fa ricerca scientifica. L’incontro con due esperienze in campi molto diversi, quali la ricerca nella formazione dei pianeti in astrofisica e nell’imaging diagnostico e terapeutico in ambito biomedicale, potrà farci cogliere l’impressionante capacità sviluppata dall’uomo di svelare particolari nascosti della realtà attraverso immagini sempre più sofisticate e sorprendenti. Indagare la realtà in questo modo così attento e profondo si rivela una “grande avventura” (Richard Feynman), che suscita domande sempre nuove sull’origine e il destino di ogni cosa.

IN OCULIS FACTA. IL RUOLO DELLE IMMAGINI NELLA CONOSCENZA SCIENTIFICA

Nicola Sabatini: Buonasera, buonasera a tutti e benvenuti a questo incontro dal titolo “In oculis facta, il ruolo dell’immagine nella conoscenza scientifica”. L’incontro di stasera nasce come una ideale introduzione allo spazio scientifico, ospitato al meeting 2022, curato dall’associazione Euresis e in collaborazione con Camplus. Dicevo un’introduzione ideale in quanto non verranno presentati nel dettaglio tutti gli elementi presenti nell’allestimento dello spazio scientifico, ma più che altro proveremo a dare un assaggio del tema che abbiamo voluto proporre quest’anno attraverso delle esemplificazioni che ci verranno offerte dai nostri due ospiti di stasera. Prima di presentarli, provo brevemente a dare l’idea del senso della proposta dello spazio scientifico ospitato dal meeting questa sera. Innanzitutto un piccolo approfondimento sul titolo. Il titolo dell’incontro è il titolo dello spazio “In oculis facta”. È un titolo che riprende un adagio di Agostino di Ippona il quale diceva: “In manibus nostris codices, in oculis nostris facta”. Per analogia con l’intuizione che guida il Santo di Ippona, a sottolineare come l’esperienza della fede, cioè della conoscenza del Mistero di Dio, abbia a che fare con fatti che accadono e si possono osservare. Agostino cioè lega la possibilità di un percorso di conoscenza particolare, come quello della fede, all’esperienza di fatti che vengono accolti attraverso l’osservazione, appunto in oculis. Questa nota è importante perché l’osservare è proprio dell’uomo non della macchina. Anche la ricerca in ambito scientifico, come direbbe don Giussani, anche la ricerca ha come partenza una strana passività, ci viene prima il dato e uno deve guardarlo, ascoltarlo, questa strana passività ci porta un’osservazione cioè si concretizza in una attività che in realtà sembra una passività, quindi un’osservazione, e l’osservazione porta alla realizzazione di immagini che poi è il tema cardine della mostra. Proprio questo tema, questa idea del lasciarsi sorprendere da quello che accade nel reale, mostra appunto come la conoscenza progredisce. Se vorrete approfondire il percorso della mostra noterete che nelle pareti esterne dello spazio scientifico è riportato una sorta di percorso storico che fa vedere come lo sviluppo della scienza moderna è indissolubilmente legato alla creazione di immagini, dalle più elementari, abbiamo per esempio una immagine di quello che è il cielo degli antichi Aztechi, scolpita nella pietra oppure dipinte su pergamene, fino alle più moderne e sofisticate simulazioni. C’è un filo rosso questa osservazione questa passività che porta alla creazione di immagini che sono il segno di una conoscenza del reale. Un grande gesuita filosofo teologo e scienziato, Teilhard de Chardin, diceva che la storia della scienza naturale può essere riassunta come l’elaborazione di occhi sempre più perfetti dentro un cosmo nel quale c’è sempre qualcosa di più da vedere. La creazione di immagini, sempre più significative dal punto di vista scientifico, è possibile proprio grazie a due movimenti, potremmo dire così, che sono legati uno all’altro, da un lato il progresso scientifico e tecnologico che consente di affinare le tecniche di osservazione e cogliere dettagli sorprendenti e spesso inaspettati, abbiamo avuto un recente esempio di questo grazie alle immagini che James Webb Telescope ci ha offerto a metà luglio che hanno calamitato l’attenzione dei media, dei social media, eccetera, quindi il progresso scientifico che mi consente di immagini sempre più perfette, come diceva Teilhard de Chardin, e dall’altro lato la realtà stessa che offre continuamente nuovi spunti. Ogni scoperta in questo cammino, in questa dinamica è lo stimolo per andare oltre, per allargare e approfondire l’orizzonte della nostra conoscenza. Il termine di questo è la realizzazione di una immagine complessiva del cosmo sempre più dettagliata e profonda. L’immagine quindi in ambito scientifico è in qualche modo il segno che è avvenuto un incontro tra l’io che cerca e la realtà che si lascia conoscere, e si lascia conoscere quando è indagata in un modo adeguato. La modalità che abbiamo scelto per far immedesimare gli ospiti del Meeting con questa dinamica non è tanto quella di approfondire questi elementi, che sono elementi di un discorso magari teorico o epistemologico su come si svolge la conoscenza, ma è la proposta di porsi di fronte ad alcune grandi immagini scientifiche provenienti da ambiti diversi, quindi abbiamo l’astrofisica, la fisica delle particelle, il biomedicale, la fisica medica, eccetera. Questo perché da tanti ambiti si può cogliere la sorpresa che esse stesse generano in chi le ha realizzate o la loro importanza dal punto di vista del progresso delle conoscenze o anche si può cogliere quanto siano diverse le modalità tecnologiche per arrivare a realizzare le immagini significative. Questo metodo di offrire degli esempi è lo stesso che seguiamo stasera. I nostri due relatori ci offriranno la possibilità di sperimentare cosa significhi realizzare e stare di fronte a delle immagini scientifiche nel difficile lavoro della ricerca. Ringrazio quindi Vittorio Cannatà, radiologo, responsabile dell’Unità di Fisica Medica presso l’ospedale pediatrico del Bambino Gesù di Roma e Stefano Facchini che è ricercatore in astrofisica presso l’università degli Studi di Milano e la sua carriera è focalizzata sulla ricerca degli esopianeti, cioè l’osservazione dei sistemi planetari non solari. Abbiamo due esperienze da mondi completamente differenti e gli scopi, gli oggetti, i metodi sono veramente molto differenti. Proprio questo confronto potrà farci intuire la ricchezza che l’immagine porta al percorso di conoscenza e potremo vedere se ci sono elementi comuni all’esperienza dell’uno e dell’altro impegnati su fronti così diversi. Per cui la prima domanda che rivolgo a Stefano, e poi anche a Vittorio, è questa: che importanza hanno le immagini nel vostro campo di conoscenza, quali sono i progressi più importanti a livello di comprensione del reale, di risultati raggiunti, e anche in che cosa poi si differenziano, questo lo vedremo nel confronto fra le due risposte anche rispetto alle tecnologie che si utilizzano. Grazie. 

 

Stefano Facchini: Grazie, Nicola. Innanzitutto ringrazio dell’invito per essere qua, e parto subito per provare a rispondere alla domanda, accennando a quello di cui mi occupo come già accennavi. Io mi occupo soprattutto di cercare di capire come si formano i pianeti. Ma perché questa domanda è interessante? Perché una delle grandi rivoluzioni degli ultimi 25 anni nell’ambito dell’astrofisica è che un’enormità di pianeti extrasolari è stata scoperta, non per immagini ma soprattutto per altri metodi, e ha completamente cambiato quello che è il panorama della nostra percezione di come la Terra nel nostro sistema solare si collochi nell’Universo. Se guardiamo questo primo grafico, quello che vi faccio vedere, al di là di quello che indicano le ascisse, gli assi x e y, è ogni punto in questo grafico indica un nuovo pianeta che è stato scoperto. E vedete il tempo che scorre in alto, e la cosa che è scientificamente molto interessante, oltre all’esistenza stessa di questi pianeti, che è stata una sorpresa, è quanto questi siano diversi. Diversi in termini di massa, quanto pesano, che è l’asse verticale, e di quanto siano distanti dalla stella attorno a cui orbitano, che è l’asse orizzontale. Questa diversità deve essere determinata principalmente dalla modalità, dalle leggi fisiche che determinano la nascita di questi pianeti stessi. Quindi la domanda di cui mi occupo è: come nascono i pianeti e come la loro straordinaria complessità, varietà e ricchezza è insita nelle condizioni iniziali in cui questi nascono e dalle leggi fisiche che ne determinano i primi vagiti nei primi milioni di anni di vita, quindi nei primi istanti per un astrofisico. E l’astrofisica, a differenza di altre branche della scienza, ha una specificità, credo, ed è che avviene principalmente come scoperta, come raccolta di dati, prevalentemente tramite immagini, o meglio tramite pura osservazione del cielo. Invece di fare un esperimento in un laboratorio presso il Dipartimento di Fisica, quello che uno fa è osservare direttamente il cielo. E un esempio eclatante, che prima veniva già accennato è questo: un’immagine che è uscita il 12 luglio, ed è una delle prime immagini che sono state ottenute dal telescopio James Webb Space Telescope che fa vedere una enorme complessità. Ma prima di provare ad entrarci in 30 secondi in quello che mostra, ripeto, una prima specificità dell’astrofisica è che questo è il nostro dato di laboratorio, noi osserviamo quello che l’Universo è e da questo proviamo a capire quello che l’Universo ci sta dicendo, e ne vedremo un po’di esempi. In ognuna di queste immagini, ottenuta tramite telescopi, tramite occhi sempre più precisi c’è una ricchezza che è sconfinata. Soltanto per fare qualche esempio, questa immagine, quasi tutti i punti che mostra, a parte queste stelle a sei braccia che si vedono, che sono stelle della nostra galassia, mostra un mare di galassie al di fuori della nostra galassia fino a 300 milioni di anni dopo l’esplosione del big bang, quindi veramente galassie antiche, e riusciamo a vederlo facendo una fotografia. Quindi gran parte del nostro lavoro è analizzare, interpretare, capire quello che è contenuto in immagini. In realtà, faccio una piccola parentesi, non solo in immagini ma anche in un altro tipo di dati, che stasera non vedremo ma per completezza volevo accennarlo, e che è una branca che si chiama spettroscopia, dove invece di avere un’immagine, guardiamo ai colori delle stelle, dei pianeti o di quello che ci interessa. Questo è un esempio importante perché sulla sinistra vedete il grafico che ha portato alla scoperta del primo pianeta extrasolare, 51 Pegasi b, e che ha portato alla vittoria del premio Nobel di Mayor e Queloz, che sono dati spettroscopici, vuol dire che hanno visto come la stella cambiasse colore leggermente, e hanno potuto individuare la presenza di un pianeta nascosto. Invece sulla destra, che è quello di cui ci occuperemo stasera, vedete l’immagine di quattro pianeti, ci sono quattro puntini che girano attorno alla stella principale che è oscurata, che sta mostrando come dei pianeti fuori dal nostro sistema solare ruotano attorno a una stella. E questa è l’immagine vera e propria di cui parleremo stasera. E un secondo accenno di premessa è che cosa si intende per immagine? Per rispondere a questa domanda dobbiamo anche pensare a che, direbbe un fisico, a che lunghezza d’onda ricordiamo, cioè prendiamo questa immagine. La luce visibile, quella che vediamo qua è una fetta piccolissima di quello che è tutto lo spettro elettromagnetico cosiddetto, l’estensione di tutti i colori che la luce, quindi i fotoni, la luce può presentare, andiamo da, e lo vedremo tra poco anche in altri campi, da quelli molto energetici i raggi gamma e i raggi x, all’ottico che è una piccolissima parte, che è quello che noi vediamo, fino alle frequenze molto più basse. La frequenza con cui io lavoro di più è quella che si chiama millimetrico, che è molto lontana dall’ottico e la chiamiamo una luce molto molto fredda, che l’occhio non può percepire ma che pure i corpi emanano. Faccio vedere questa immagine che non vi dirà granchè, questa immagine mostra, al centro c’è una stella dove c’è quella croce che non si vede, e vedete questa Blob, la chiameremo in inglese, questo ellissoide di luce nel millimetrico, millimetrica, e questa luce che cos’è? Questa luce è l’emissione termica, cioè è il calore, la luce dovuta al calore della piccolissima sabbia che gira attorno a una stella appena nata. Questa sabbia è a – 250 gradi centigradi circa, 20 kelvin, eppure per il fatto che abbia una temperatura emette della luce, questa luce ci permette di vedere la temperatura di un corpo, ed è quello che vediamo, la temperatura di qualcosa che è a – 250°, questi piccoli granelli di sabbia sono quelli che formeranno i pianeti. Uno dei più grandi avanzamenti nel campo dell’astrofisica è di sviluppare occhi sempre più proni a vedere dettagli, è quello che è stato fatto sviluppando un nuovo strumento che ci ha portato a vedere questa stessa immagine in questo modo nel 2015. La stessa immagine vista con un telescopio molto più potente, ha iniziato a svelare tutte queste sottostrutture in un disco protoplanetario ovvero in un disco che forma pianeti. E quello che pensiamo è che in ognuno di questi anelli ci sia un pianeta che sta nascendo, questo è un esempio ma ce ne sono molti altri come ad esempio questi. E questo avviene soprattutto tramite questo telescopio in Cile a 5000 metri nel deserto di Atacama. Quanto riusciamo a vedere nel dettaglio l’Universo, per capirlo vi faccio vedere questo video in cui zoomiamo in una stella della galassia, questi sono tutti dati veri, vedete la galassia, vedete le nubi di Magellano sotto perché è stato nell’emisfero sud, e andiamo a vedere quanto dobbiamo zoomare per riuscire a vedere questi cosiddetti dischi protoplanetari, cioè le regioni dove si stanno formando nuovi pianeti. Queste sono tutte immagini di telescopi, questo vi dà l’idea di quanto sia ricco il cielo sopra di noi. Continuiamo ad andare e riusciamo a vedere un dettaglio che è circa un milione di volte, o meglio 100 mila volte più piccolo della dimensione angolare della luna nel cielo, e se continuiamo a zoomare quello che vediamo è questo. Che cos’è questa immagine? Quello che ci sta facendo vedere è la prima immagine, nel millimetrico, di un mondo che sta nascendo ora. Quel puntino, al centro c’è una stella che non si vede, al centro dell’anello, l’anello è fatto di polvere e quel piccolo puntino è un pianeta che sta nascendo, o meglio di un disco attorno a questo pianeta che sta formando nuove lune. L’ultimo elemento importante che volevo sottolineare è che cosa vuol dire che un’immagine è in grado di catturare passivamente ciò che la realtà è? C’è secondo me un accenno da fare che è l’importanza di come decidiamo di osservare, e vi faccio vedere queste tre immagini che sembrano difficili, sono la stessa immagine che vi ho fatto vedere adesso, è lo stesso disco con lo stesso pianeta. Se noi andiamo ad osservare lo stesso sistema con un’altra luce, l’infrarosso, quello che vedete è che c’è una Blob, un’altra in basso, che è un altro pianeta che improvvisamente viene fuori, che non si vedeva a sinistra ma si vede al centro, e a destra si vede ancora in un altro modo. Cos’è secondo me la parte veramente interessante? È che la capacità che l’uomo ha, che lo scienziato ha, che noi abbiamo di poter usare tecniche di interrogazione diverse nel vedere uno stesso fenomeno, uno stesso dato di realtà fa emergere pezzi di questo dato di realtà, fenomeni fisici contenuti in questo dato di realtà che sono diversi e complementari. Ed è quindi questo continuo dialogo tra un dato di realtà in cui c’è tutto, c’è la polvere fredda, c’è l’infrarosso di un altro pianeta che non vedevamo, c’è l’emissione dovuta del gas che cade su un pianeta e si scalda fino a 10mila gradi, che è quella a destra. Ma lo svelare questo diverso tipo di fenomeni fisici, questo dipende dalla modalità con cui noi decidiamo di osservarlo, e in questo c’è tutto il ruolo dello scienziato che decide come osservare uno stesso fenomeno fisico. (con questo mi fermerei e poi andiamo avanti dopo). 

 

Vittorio Cannatà: Bene, grazie Nicola per l’invito. Io parlerò di una immagine che è molto distante dal punto di vista tecnologico, dalle immagini che abbiamo visto adesso. La mostra qui al Meeting “In oculis facta” descrive, a mio avviso, molto bene attraverso alcune immagini esemplificative in campi molto diversi, quindi dall’astrofisica alle bioimmagini, come la conoscenza scientifica possa compiere grandi e improvvisi passi in avanti a partire dalle informazioni che direttamente o indirettamente in essa sono contenute. Io vi parlerò di una immagine, tra quelle che troverete nella mostra, non tanto dal punto di vista fisico, non c’è il tempo e non è questo il contesto, ma piuttosto per mettere in luce grazie a un caso esemplificativo perché, almeno a mio avviso, questa immagine è importante e quale salto della conoscenza scientifica abbia permesso di fare. Questa è l’immagine di cui vorrei parlarvi, è la prima radiografia della storia ottenuta dal fisico tedesco Wilhelm Conrad Rontgen il 27 dicembre del 1895, rappresenta la mano sinistra di una donna, Berta Ludwig, ovvero di sua moglie. Apparentemente vista con gli occhi di oggi, anche dopo quello che abbiamo visto ora, non rappresenta nulla di eccezionale, non si tratta di qualcosa di infinitamente lontano, né di infinitamente piccolo, né di qualcosa di difficile interpretazione, anzi, rappresenta quella parte del corpo che ciascuno di noi utilizza più frequentemente e che probabilmente meglio conosce. Un primo elemento che la rende unica è il fatto che fu Rontgen per la prima volta a utilizzare un tipo particolare di radiazione per riuscire a vedere quello che l’occhio umano fino a quel momento non era mai riuscito a vedere, senza necessità di aprire, tagliare e ricucire, senza dolore, senza sofferenza, ovvero senza ricorrere a interventi chirurgici cruenti. Rontgen ha fornito alla comunità scientifica uno strumento potentissimo per la diagnosi e la cura di un numero enorme di patologie. Oggi, a poco più di 120 anni dalla sua scoperta, benché affiancata da numerose altre tecniche, abbiamo la risonanza magnetica, la medicina nucleare, l’ecografia, solo per citarne alcune, la radiazione da lui scoperta viene utilizzata in tutto il mondo, a qualsiasi latitudine, miliardi di volte all’anno per produrre immagini mediche con una ricaduta enorme sulla salute di tutti noi. Che cosa ha reso possibile questa scoperta, come è stata ottenuta questa immagine, chi è Wilhelm Conrad Rontgen? Rontgen nasce a Lennep in Germania il 27 marzo del 1845. All’età di 18 anni durante la frequenza al corso di studio dell’Istituto Tecnico, accade un fatto inatteso che influenzerà tutta la sua vita. Uno studente della sua classe durante la pausa delle lezioni disegna alla lavagna la caricatura di un professore. Dell’accaduto viene incolpato Rontgen che al rifiuto di rivelare il nome del responsabile viene espulso dalla scuola. Per accedere ai corsi dell’università deve comunque sostenere l’esame di ammissione, ma sia al primo che al secondo tentativo l’anno successivo, trova in commissione proprio il docente oggetto della caricatura e ovviamente non riesce a superare l’esame. Decide allora di seguire come privatista le lezioni all’università e casualmente lì viene a sapere che al Politecnico di Zurigo accettano studenti senza titolo ma previo esame di ammissione. Si reca a Zurigo, sostiene e supera l’esame di ammissione e quindi finalmente, all’età di 20 anni, si può iscrivere al Politecnico. Tra l’altro è molto curioso il fatto che esattamente 30 anni dopo, Albert Einstein si iscrive al Politecnico di Zurigo superando anche lui l’esame di ammissione ma al secondo tentativo. Durante il periodo universitario a Zurigo conosce due persone che segneranno profondamente la sua vita e sono legate direttamente o indirettamente all’immagine di cui stiamo parlando questa sera. Sono Anna Bertha Ludwig, quella che qualche anno dopo diventerà sua moglie, e August Kundt, professore di fisica sperimentale del Politecnico di Zurigo. Kundt riconosce fin da subito le capacità di Rontgen e tra i due si crea un legame di stretta amicizia che durerà poi per molti anni. Kundt negli anni successivi si sposta da Zurigo per ricoprire vari incarichi e chiede ogni volta a Rontgen di seguirlo, cosa che lui fa ogni volta. A 43 anni viene chiamato a dirigere l’Istituto di Fisica di Wurzburg, in Germania, dove prende la sua residenza con la famiglia al piano superiore del laboratorio. Questo è un particolare importante per quello che seguirà. Quando arriva a Wurzburg è nel pieno delle attività sperimentali su un tema cruciale per la fisica di fine 800. Qual è la struttura intima della materia, di cosa sono fatti gli atomi. Da oltre 25 anni i fisici cercavano di dare risposta a questo interrogativo soprattutto studiando l’effetto del passaggio della corrente elettrica attraverso i gas racchiusi in tubi di vetro dotati di elettrodi posti ai due estremi chiamati per l’appunto tubi a raggi catodici, che vedete qui in figura. La corrente in questi tubi fruisce da un catodo all’altro e la radiazione o meglio i raggi, come venivano chiamati all’epoca, erano identificati appunto come raggi catodici. Tra l’altro sono gli stessi raggi che abbiamo utilizzato noi nei nostri televisori fino a qualche anno fa prima dell’avvento dei televisori LCD, come esattamente loro. Quindi tutti i laboratori di fisica dell’epoca erano dotati di tubi e di apparecchiature per fare questo tipo di esperimenti. Anche Rontgen nel suo laboratorio utilizzava tubi a raggi catodici. Ed è proprio durante il pomeriggio dell’8 novembre del 1895 che si accorge casualmente con la coda dell’occhio di una debole luce emanata da uno schermo poggiato a un paio di metri di distanza dal tubo catodico in funzione in quel momento. Lo schermo era ricoperto da un materiale fluorescente dal nome molto complicato, il platino cianuro di bario, oggi sappiamo che è un materiale in grado di emettere luce quando è investito dai raggi X. E Rontgen si chiede che tipo di radiazione fosse quella che faceva illuminare lo schermo fluorescente anche quando lo allontanava ancora e ancora di più dal tubo. Non potevano essere i raggi catodici, a lui ben noti, perché non in grado di attraversare una così grande distanza. Oggi noi sappiamo che la radiazione osservata quel pomeriggio da Rontgen viene prodotta dall’urto dei raggi catodici sull’elettrodo positivo del tubo, ma molti fisici prima di Rontgen hanno certamente prodotto lo stesso tipo di radiazione ma nessuno prima di lui era riuscito a rivelarli. È proprio grazie alla presenza casuale di quello schermo fluorescente nel laboratorio che Rontgen riesce a scoprire il nuovo tipo di radiazione. La prima caratteristica che osserva con enorme stupore è la grande capacità di penetrazione di questa radiazione, effettua test con vari oggetti interposti tra il tubo e lo schermo sorreggendoli con le dita. Durante uno di questi esperimenti vede per la prima volta apparire ben visibili le ossa delle sue dita. Nelle settimane successive prosegue gli esperimenti in assoluta solitudine, fermandosi brevemente solo per i pasti e fa addirittura trasferire il suo letto in laboratorio, dato che si trovava al piano di sotto della sua abitazione. Ma perché questo comportamento. Perché vuole effettuare tutte le verifiche sperimentali necessarie per essere certo che l’eccezionalità di quello che sta osservando non sia il frutto di qualche errore di laboratorio ma la scoperta di un nuovo tipo di radiazione. D’altronde è il Direttore dell’Istituto di Fisica, ricopre una posizione di prestigio e vuole comprensibilmente, io credo, essere assolutamente certo della natura di quanto sta osservando prima di pubblicare i risultati. Essendo inoltre un esperto fotografo riesce a documentare rigorosamente tutte le sue osservazioni. Dopo oltre un mese e mezzo Rontgen deve cedere alle insistenze della moglie che da settimane gli chiedeva ragione dell’insolito comportamento. La fa allora scendere nel laboratorio e le chiede di poggiare la mano sinistra su una lastra fotografica. Dopo 15 minuti di esposizione ai raggi ancora misteriosi, che infatti poi avrebbe chiamato raggi x, era pronta la prima radiografia. La moglie Bertha, turbata dall’immagine della sua mano commenta: “Ho visto la mia morte.” Perché Rontgen utilizza proprio la lettera X, perché adotta questo simbolo come nome per i suoi raggi appena scoperti? Forse non tutti sanno che il primo che ha utilizzato la lettera x come simbolo della incognita della grandezza ignota è stato Cartesio nel suo trattato di geometria. Cartesio ha utilizzato le prime lettere dell’alfabeto francese a b c per i coefficienti delle equazioni, le ultime, le meno utilizzate x y z per le incognite. La lettera x da quel momento è diventata la lettera principale per le incognite. Perché questa scoperta ha avuto una diffusione pressoché istantanea e addirittura universale. Rontgen sottopone immediatamente alla Società di Fisica Medica di Wurzburg lo storico articolo in lingua tedesca, che troverete alla mostra, dal titolo “Su un nuovo tipo di raggi”. L’articolo viene pubblicato immediatamente ma ovviamente per motivi di tempo legati alla stampa è privo di immagini. Allora decide di inviare il suo articolo integrato dalle immagini ottenute ai raggi X a vari amici e colleghi fisici. Uno di questi è il figlio del direttore del più importante quotidiano viennese, il Die Presse, e il direttore intuisce immediatamente la portata storica della scoperta, e il giorno seguente viene pubblicato l’articolo dal titolo: “Una scoperta sensazionale”, anche questo giornale lo troverete in mostra. Il giorno successivo l’articolo viene ripreso dalle maggiori testate europee. A Londra The Guardian titola: “Una scoperta veramente straordinaria”. Dopo appena un giorno la notizia arriva negli Stati Uniti con due articoli pubblicati sui giornali del Kansas. La fama di Rontgen cresce vertiginosamente. Qualche giorno dopo alla presenza del Kaiser Guglielmo II°, che lo aveva invitato a dare dimostrazione della sua scoperta, esegue una radiografia su una mano analogamente a quanto aveva fatto con la moglie solo pochi giorni prima. E in Italia? In Italia la notizia viene pubblicata per la prima volta dal Corriere della Sera del 12-13 gennaio del 1896 con un articolo dal titolo: “Una meravigliosa scoperta nella fotografia”, anche questo giornale lo potete vedere nella nostra mostra. Vi leggo solo l’attacco e la conclusione, per capire un po’il clima che si respirava. “In questi giorni è stata annunciata una scoperta delle più sorprendenti fatta dal professor Rontgen dell’Università di Wurzburg sul Meno. Questa scoperta sembra quindi destinata ad apportare una rivoluzione nei dati della scienza e delle esperienze che si riferiscono alla propagazione della luce.” Perché i raggi X erano associati alla luce, ma in un certo senso da quello che abbiamo visto non era poi così sbagliato, comunque qui parlavano del visibile. “Ma avrà anche una pratica applicazione come grande aiuto alla chirurgia, con simile processo sarà agevole riconoscere la natura, l’importanza delle fratture, le ferite delle armi, specie quelle da fuoco. Nell’estrazione delle palle soprattutto il nuovo metodo di investigazione risparmierà al ferito il metodo attuale così tormentoso del sondaggio operato spesso a caso. Rontgen in seguito tiene solo tre conferenze pubbliche sull’argomento. Nella prima, nell’aula magna della sua Università, esegue la radiografia della mano di un collega alla presenza di tutto il corpo accademico solennemente riunito. In quell’occasione viene proposto dai presenti di intitolare proprio a Rontgen la radiazione appena scoperta, infatti la dizione raggi Rontgen è tuttora corrente, andare su Google per provare. Nello stesso giorno la più importante rivista scientifica dell’epoca, e non solo dell’epoca ma anche oggi probabilmente, Nature, pubblica in lingua inglese l’articolo originale di Rontgen. In Europa a Birmingham il primo uso di raggi X per scopi clinici risale a un paio di settimane dalla pubblicazione della scoperta, purtroppo di questa radiografia non abbiamo nessuna documentazione. Al contrario abbiamo la documentazione fotografica della prima radiografia effettuata negli Stati Uniti. Due fratelli, l’uno fisico e l’altro medico, appresa la notizia dai giornali, decidono di utilizzare i raggi X per scopi medici. A inizio febbraio si presenta l’occasione giusta. Un ragazzo di 14 anni arriva in ospedale con il polso dolorante a seguito di una caduta dopo aver pattinato sul ghiaccio. Dopo un’esposizione di 20 minuti la prima immagine clinica ottenuta con i raggi X era stata acquisita. Il giorno successivo il dottor Frost, cioè il medico, sottomette l’articolo alla rivista Scienze terminandolo con queste parole: “Ieri è stato possibile verificare il metodo nel caso di un braccio rotto, l’immagine ha evidenziato la frattura dell’ulna in modo incontrovertibile, qualsiasi commento sulle numerose applicazioni del nuovo metodo sarebbe superfluo. Qui vedete in fotografia i due fratelli Frost, il fisico e il medico, il ragazzo Eddy McCarthy di 14 anni, un ragazzone, con il polso sinistro sulla lastra, il tubo si intravede illuminato, il tubo a raggi X, e soprattutto la madre dietro con un atteggiamento tra il preoccupato e lo stupito. Alla diffusione delle immagini prodotte coi raggi X hanno contribuito diversi fattori, ma due, a mio avviso, sono particolarmente degni di nota. Il primo è che tutti laboratori di fisica erano dotati all’epoca di strumentazione analoga a quella utilizzata da Rontgen, ed è quindi stato relativamente semplice riprodurre pressoché ovunque in tutto il mondo i risultati ottenuti da Rontgen stesso. In secondo luogo Rontgen, consapevole delle enormi potenzialità della sua scoperta soprattutto in campo medico, ha deciso di non brevettare la sua scoperta, elemento per nulla scontato date le evidenti implicazioni di carattere economico. Entrambi questi elementi sono alla base di un altro risvolto per certi versi unico. La scoperta dei raggi X rappresenta un modello di trasferimento tecnologico, cioè dal brevetto, dall’invenzione alla implementazione industriale del prodotto efficacissimo e ancora oggi difficilmente eguagliabile per rapidità e diffusione. Basti considerare che nel mese di marzo in Germania in un ospedale di Amburgo si inaugura la prima apparecchiatura per radiografia all’interno di un ospedale. Erano passati tre mesi dalla scoperta. Sempre a marzo viene brevettato un nuovo tipo di raggi X e in breve aziende europee e americane cominciano la produzione industriale di apparecchiature specifiche. Nasce una nuova scienza medica la radiologia diagnostica, ancora oggi tra le più importanti. Ma ci fu, sempre in quell’anno, un ulteriore effetto della diffusione dei raggi X, all’epoca poco eclatante, ma poi sempre più di estrema rilevanza nella medicina, l’impiego a scopi terapeutici, cioè per curare, in quel caso su un paziente affetto da un tumore della pelle, un neo maligno. È l’atto di nascita di un’ulteriore branca della medicina nello stesso anno, la radioterapia. Nel 1901 a Rontgen viene assegnato il premio Nobel per la fisica, riceve il premio, ringrazia, ma non fa alcun discorso. Purtroppo anche i suoi appunti, il materiale scritto per sua esplicita volontà sono stati distrutti dopo la sua morte. Infine solo per avere un’idea dell’impatto della sua scoperta si consideri che entro il primo anno, siamo nel 1896, risultano pubblicati 1044 articoli e vengono fondate l’anno successivo le prime società scientifiche radiologiche, la Rontgen Society e la x-Ray Society. Grazie. 

 

Sabatini: Allora, facciamo un secondo giro di domande e da un livello generale, come abbiamo potuto ascoltare adesso dai nostri ospiti, cerchiamo di andare su un piano più personale, e quindi chiedo a te, Vittorio, che ruolo hanno avuto e hanno le immagini nel tuo personale cammino di ricerca e quali domande vengono suscitate nel tuo lavoro grazie alle immagini. 

 

Cannatà: Per rispondere a questa domanda vorrei partire da un dato forse poco noto. In Italia ogni anno si fanno circa 100 milioni di procedure coi raggi X, un numero enorme, ma qual è l’impatto sulla salute? Una prima applicazione, forse la più ovvia, è quella della rappresentazione dell’anatomia e delle modificazioni patologiche delle strutture anatomiche. Ad esempio, nello screening del tumore al seno con i raggi X è possibile evidenziare la presenza di microcalcificazioni e diagnosticare quindi con largo anticipo la malattia, rispetto alla sua manifestazione clinica, quindi a uno stadio molto iniziale. Oppure, nel caso di un trauma, la presenza e il grado di una frattura, che è esattamente quello che abbiamo visto nella prima radiografia eseguita negli Stati Uniti. C’è poi una seconda categoria di procedure che invece è legata alla funzione ovvero allo studio della funzionalità di un determinato organo e tessuto e, nel caso di particolari patologie, al ristabilimento della piena funzionalità. Queste procedure sono comunemente chiamate procedure interventistiche in quanto allo studio della funzione affetta dalla patologia può, non deve, può seguire un intervento che ne ristabilisce il normale funzionamento. Per meglio esemplificare il gigantesco impatto di queste procedure interventistiche, in genere non invasive, possibili grazie solo all’uso dei raggi X, vorrei dare qualche numero inerente alle sole procedure effettuate in ambito cardiaco in Italia nel 2021. Se prendiamo come riferimento la capienza dell’aula Paolo VI in Vaticano, sono state effettuate 9900 sostituzioni di valvole aortiche, un numero pari a una volta e mezzo la capienza dell’aula Paolo VI. Per quanto riguarda gli impianti e le sostituzioni di pacemaker sono stati eseguiti un numero di interventi pari a tre volte e mezza la capienza dell’aula Paolo VI. Se consideriamo le procedure di angioplastica semplificando l’impianto di stent, dobbiamo cambiare scala e prendere come riferimento la capienza dello stadio olimpico di Roma, settantamila spettatori, il numero di interventi equivalenti in questo caso alla capienza di due volte lo stadio olimpico. E infine se consideriamo la coronografia, cioè l’esame per lo studio della pervietà e la funzionalità delle coronarie, il numero degli esami effettuati in Italia in un solo anno è equivalente a circa quattro volte la capienza dello stadio olimpico. Sono numeri impressionanti. Ma c’è una terza e ultima classe di utilizzo delle immagini coi raggi X, immagini utilizzate come strumento per curare. Tra le numerose proprietà che hanno i raggi x scoperti da Rontgen, ce n’è una non direttamente collegata alle immagini. I raggi X, oltrepassata una ben determinata soglia di radiazione, sono in grado di provocare la morte cellulare, cioè l’incapacità della cellula di riprodursi. Potrebbe sembrare una pessima notizia, in effetti questo è un effetto non desiderato quando parliamo di immagini diagnostiche, ma se si tratta di cellule tumorali questa diventa una ottima notizia. Nel campo della cosiddetta radioterapia i raggi X sono utilizzati allo stesso tempo per due scopi diversi, sono il puntatore, il mirino, cioè servono a visualizzare e identificare il tumore, e al tempo stesso il proiettile, i raggi X vengono concentrati ad alte dosi sul solo tessuto tumorale risparmiando il tessuto sano. Tra l’altro questa è una delle principali attività che svolge proprio lo specialista in fisica medica. Tutto ciò ha un rovescio della medaglia che bisogna considerare. Soprattutto all’inizio, nei primi decenni dalla loro scoperta e man mano che l’impiego dei raggi X per produrre immagini si diffondeva, è stato piuttosto evidente che alcuni medici, infermieri, tecnici si ammalavano a causa dell’utilizzo senza protezione dei raggi X. C’è un libro di Paul Glynn dal titolo Pace su Nagasaki, sulla storia di conversione al cattolicesimo di un medico radiologo, Takashi Nagai, in cui questo punto viene esplicitato con molta chiarezza. Siamo in Giappone nel 1932: “Nagai, le dico la verità, i raggi X stanno rivoluzionando la medicina, e lo faranno sempre più in futuro, ma noi non possiamo ancora controllare bene questi raggi, guardi questa foto è il dottror Holzknecht di Vienna, è stato un mio professore in Europa, è stato un grande pioniere e ha letteralmente dato la sua vita per la radiologia. A causa dell’esposizione ai raggi X gli hanno dovuto amputare prima il dito sinistro, poi l’altro dito, e alla fine hanno dovuto amputare tutto il braccio. Ecco una copia dei suoi appunti su come proteggersi dalle radiazioni. Da oramai molti decenni le cose sono cambiate in modo radicale, l’utilizzo dei raggi X per scopi medici è molto, molto sicuro, ma nonostante ciò permane diffuso un senso di paura, di ansia e di preoccupazione. Mi occupo di questo tema come fisico medico da più di venti anni. Accade piuttosto spesso che i genitori che accompagnano i loro figli a fare degli esami chiedano informazioni e vogliano essere rassicurati sul fatto che non ci saranno danni derivanti dall’esame o dalla procedura che i propri figli dovranno effettuare. Diciamo che è comprensibile. Molti anni fa casualmente sono stato contattato da una mamma che ha assistito il proprio figlio disabile mentre effettuava un esame con i raggi X ma non sapeva ancora di essere in stato di gravidanza. Consultata la sua ginecologa, questa le aveva suggerito di praticare l’aborto terapeutico evidentemente come misura estrema di medicina difensiva. Ma volendo meglio capire, ha chiesto un consulto ed è stato piuttosto semplice per me all’epoca rispondere dimostrando che la dose all’embrione, derivante dalla procedura, era sostanzialmente pari a zero. Dopo qualche tempo mi sono ritrovato questa lettera. “È successo infatti che non sapendo di essere incinta ho accompagnato la mia prima bimba fin nella sala raggi per delle radiografie dell’addome. Le informazioni e le assicurazioni da lei fornite mi sono state fondamentali nel ridimensionare l’ansia e lo sconforto che prendono una mamma quando si accorge di aver messo in pericolo la vita che porta in grembo. La sensazione di disorientamento di fronte ai dubbi e alle notizie fuorvianti che mi erano state date da altri che avevano parlato addirittura di aborto terapeutico, han lasciato il posto a una più consapevole e cosciente valutazione della situazione che mi ha permesso di vivere con serenità la mia gravidanza. Anche le ultime più deboli apprensioni sono state fugate dalla nascita, nove mesi fa, di una bella bimba, sana e vispa. Mi auguro che la mia esperienza possa essere d’incitamento alla diffusione di una più capillare informazione relativamente agli effetti dei raggi X sul feto e che possa essere di incoraggiamento a tutte quelle mamme che vivono esperienze simili.” Dal quel momento ho capito che sarebbe stato importante avere un luogo, uno sportello dove coloro che avevano dubbi sui rischi da esposizione nel corso della gravidanza e sui bambini potevano rivolgersi. Purtroppo sul web si trova di tutto, ma proprio di tutto. È nata così una sezione, curata dall’Associazione Italiana di Fisica Medica, dal titolo: “Il Fisico Medico Risponde” dove io coordino la sezione “bambine e donne in gravidanza”. Sul sito riceviamo diverse richieste ogni settimana. Ne leggo un’altra solo per far capire a cosa può portare la disinformazione. “Salve, vorrei ricevere un parere riguardo al caso di mio figlio di cinque anni e mezzo. Tre mesi fa ha riportato una frattura della tibia trattata con gesso, da allora ad ogni controllo esegue una lastra in due proiezioni, ma siamo già arrivati a tredici, sono tantissime, capisco il rischio e il beneficio ma proprio non riesco a tranquillizzarmi. Se le radiazioni sono dirette alle ossa come mai a me fanno indossare un grembiule e a mio figlio no? Cosa rischia? Ho letto che anche dosi bassissime possono provocare danni. C’è un test per accertarmi che il DNA non sia stato danneggiato? Anche ad alti prezzi sarei disposta a farglielo. A breve dovrà effettuare dei vaccini, ho paura che vadano a compromettere ancor di più il suo sistema immunitario, sono preoccupata. Vi ringrazio per le risposte.” Tredici radiografie potrebbero sembrare un numero molto alto ma la dose nel caso specifico è comunque molto bassa. Perché questa percezione distorta del rischio? Qual è la sua natura, la sua origine? Due sono, a mio avviso, i motivi. Gli effetti delle radiazioni evocano scenari quali Hiroshima, Nagasaki, Chernobyl, Fukushima che nulla hanno a che fare con le dosi dei raggi X utilizzate per produrre immagini. La percezione del rischio è distorta da immagini e fatti reali ma non minimamente applicabili alle esposizioni mediche. Un secondo elemento a mio avviso rilevante è la difficoltà a riconoscere come adeguato il principio di giustificazione. Principio fondamentale per l’utilizzo sicuro delle relazioni in ambito medico e non solo, e presente nella nostra legislazione sul tema delle esposizioni mediche. In estrema sintesi il principio di giustificazione è il seguente: un’attività umana, in questo caso l’esposizione alle radiazioni, è giustificata se i benefici attesi sono nettamente, dimostrabilmente superiori a tutti i possibili rischi. Il principio di giustificazione non si applica solo nel caso di produrre immagini coi raggi X ma per qualsiasi attività umana. Tutti noi, se siamo qui, ora, in questo momento è perché coscientemente o meno abbiamo applicato questo principio. Ogni anno in Italia muoiono mediamente nove persone al giorno per incidente stradale, questo è quello che ci dice l’ISTAT. Questo significa che statisticamente di tutti quelli che oggi hanno preso l’auto, torneranno a casa tutti meno nove. Tutti noi qui abbiamo preso l’auto per venire in fiera, abbiamo fatto bene? Sì. Il beneficio atteso dall’utilizzo è enormemente più grande degli ineliminabili rischi residui. L’utilizzo dell’automobile è una pratica ampiamente giustificata. Ma alcuni potrebbero obbiettare che l’utilizzo dell’auto è una scelta individuale, non è una necessità assoluta, se ne può fare comunque a meno. È vero. Consideriamo allora un secondo esempio partendo da queste immagini. Le due persone sono mio padre e mia madre. Mia madre, saggezza popolare, parlava per proverbi. Uno di questi era: “Chi mangia, combatte con la morte”. Non poteva saperlo, ma aveva ragione. Questa è una notizia pubblicata recentemente dall’Ansa Salute: “In Italia un morto a settimana per soffocamento da cibo”. Bene in Inghilterra dove raccolgono i dati con più accuratezza, sono duecento all’anno. Non si può non mangiare, mangiare è per sua natura una pratica giustificata dove i benefici, e potremmo dire noi il piacere, sono infinitamente maggiori dei possibili ineliminabili rischi. Quindi ora rispondiamo alla domanda: l’utilizzo dei raggi X per scopi di diagnosi e cura è giustificato, i benefici sono nettamente e dimostrabilmente superiori ai rischi? Per rispondere potremmo noi, qui, ora, fare quello che Einstein chiamava l’esperimento concettuale. Un esperimento concettuale consiste in un esperimento che non si intende realizzare praticamente ma che può solo essere immaginato. I risultati non vengono misurati in laboratorio sulla base di un esperimento ma solo previsti teoricamente sulla base delle leggi fisiche. Ad esempio, facciamo un esperimento concettuale qui. Cosa succederebbe qui, in Sala Neri, se azzerassimo per un minuto la forza di gravità. Se provassimo a fare il seguente esperimento concettuale: spegnere i raggi X per un anno in Italia, cosa accadrebbe? Sarebbe piuttosto semplice dimostrare anche solo sulla base dei dati che ho fatto vedere prima che circa mezzo milione di pazienti con patologie cardiache in Italia, si troverebbe di colpo senza mezzi adeguati di risposta in termini di diagnosi e cura. E qui non stiamo considerando tutto il resto delle procedure con impiego di raggi X, decine di milioni all’anno. I benefici attesi in termini di salute della collettività sono enormi rispetto ai minimi, ma possibili, rischi, analogamente a qualsiasi altra attività umana. L’utilizzo dei raggi X però non è sempre giustificato, soprattutto all’inizio si è assistito a una vera e propria infatuazione collettiva. Vorrei fare due esempi. 

Qui siamo in Nebraska, tre anni dopo la scoperta, e questo in figura è uno dei padiglioni dell’Esposizione Internazionale. Pagando 10 centesimi era possibile vedere l’interno di qualsiasi oggetto in possesso del visitatore e le parti interne del proprio corpo, i raggi X vengono utilizzati a scopo di intrattenimento. Nella seconda immagine è raffigurato un podoscopio, dispositivo molto diffuso a partire dagli anni 50 negli Stati Uniti, in dotazione ai negozi di scarpe. I raggi X dei piedi permettevano di controllare soprattutto nei bambini il corretto accoppiamento piede-scarpa al momento dell’acquisto con grandissima, e comprensibile, soddisfazione dei genitori. Pensate che il podoscopio è stato utilizzato in America fino al 1976. Infine vorrei concludere con un cenno a un altro enorme passo in avanti che è stato possibile grazie all’immagine della mano di Bertha, settant’anni dopo, a questo signore e indirettamente anche ai Beatles. Godfrey Hounsfield, ingegnere britannico classe 1919, terminata la guerra viene assunto dalla Emi, che è una casa discografica molto famosa, per lo sviluppo della strumentazione elettronica nel campo della registrazione. Uno dei progetti a cui lavorava Hounsfield era l’utilizzo del computer per la scannerizzazione delle immagini. Hounsfield realizza un prototipo di apparecchiatura in grado di rappresentare le strutture interne lungo una qualsiasi fetta o sezione di un volume anatomico utilizzando i raggi X e un computer, un passo in avanti enorme dalla rappresentazione di una struttura anatomica proiettiva alla possibilità di vedere l’interno lungo qualsiasi fetta, si chiama rappresentazione tomografica. In pratica qualsiasi volume può essere rappresentato attraverso queste fette. Qui siamo alla fine degli anni sessanta e alla Emi sono interessati a sviluppare il progetto quindi lo finanziano. La Emi aveva grande disponibilità di fondi, essendo la casa discografica di Beatles. In due anni Hounsfield realizza la prima tac, la tomografia assiale compiuterizzata, in grado di visualizzare le fette del cervello. La prima scansione sul paziente viene acquisita nell’ottobre 1971 a Londra, ci vogliono venti minuti per singola scansione e oltre due ore di postanalisi dei dati del computer. Nel 1979 ad Hounsfield viene attribuito insieme a Cormack il premio Nobel per la medicina. È l’inizio di una nuova era: la diagnostica per immagini digitali, strumento ormai insostituibile nella scienza medica. Grazie. 

 

Sabatini: Grazie. 

Facchini: Provo anch’io a rispondere alla seconda domanda che hai fatto. Direi tre punti che vorrei sviluppare, anche brevemente, il primo è il seguente. Cercando di rispondere alla domanda è, sul lato personale, cioè personalmente come ho interagito con certe immagini che hanno a che fare con il mio lavoro. Per rispondere partiamo da questo breve video, che molti di voi avranno visto, se sono venuti al Meeting l’anno scorso o due anni fa, quando era venuto Reinhard Genzel, che aveva vinto il premio Nobel nel 2020 assieme ad Andrea Ghez per la scoperta di un buco nero supermassivo al centro della nostra galassia. Questo buco nero si trova dove c’è quella piccola croce, e l’evidenza in diretta della presenza di questo buco nero era data dal movimento di queste stelline, che vedete si muovono attorno a questa x, e adesso vedremo un piccolo zoom, in cui evidentemente il dato scientifico ci sta dando una evidenza, appunto, in diretta della presenza di una sorgente di campo gravitazionale attorno a cui queste stelle ruotano. E quello che è successo poi successivamente è l’uscita di questa immagine, uscita in realtà da non molti mesi, che è la prima immagine dell’ombra del buco nero che si trova al centro della nostra galassia. Al di là della difficoltà estrema a livello tecnologico e scientifico per ottenere e riprodurre questa immagine, che vedete sulla destra, penso che per molti scienziati che pure hanno scoperto il buco nero, o come molti di noi erano a conoscenza della presenza di questo buco nero nel centro della nostra galassia, l’averne una immagine ha avuto un impatto, una capacità evocativa, una capacità di riuscire a dare una immagine tautologicamente, a questo dato di realtà che è la presenza del buco nero al centro della nostra galassia, che la pure inconfutabile evidenza scientifica fino allora ottenuta non era stata in grado di apportare. E questo penso sia un aspetto che sarebbe anche molto bello sviluppare anche in questi giorni dialogando, perché non ho una visione neanch’io chiara, ma c’è questo aspetto secondo me intrinseco dell’immagine che ha una capacità di trascinare quasi affettivamente lo scienziato, così come chi non lo fa di lavoro, che è unica rispetto ad altri dati che pure portano alla stessa evidenza scientifica. Può essere dovuto alla modalità con cui l’uomo conosce che è prevalentemente sensoriale all’inizio, tramite l’occhio, la vista, ma sicuramente è qualcosa che ha una capacità di trascinamento che è unica, e in questo senso penso spettacolare.  

Il secondo aspetto, l’ho già accennato prima ma lo riprendo, ed è che, io penso questo, che la immagine in un certo senso è una delle modalità con cui, riprendendo quello che Nicola diceva all’inizio nell’introduzione, più si tocca con mano che la realtà naturale è qualcosa che è di oggettivo, che è fuori da noi e penso in questo senso sia estremamente pacificante, quanto meno per me, anche per tanti di noi per il momento storico in cui viviamo, continuamente presi da mille pensieri, il poter appoggiare la propria conoscenza su quello che è un dato reale oggettivo, in questo caso fotografato, è cognitivamente liberante, o affettivamente liberante. Ma questa passività, questa pace che l’oggettività del dato di realtà ha, non esime lo scienziato, o noi, da un coinvolgimento totale con quello che è il dato scientifico, e questo per me è, e penso che valga in ambito astrofisico, medico, per cui è esaltante il lavoro dello scienziato, è che non ci esime da un’implicazione che è totale, in che senso? Innanzitutto nella scelta di come osservare un fenomeno fisico. Questa è l’immagine dello stesso oggetto in tre modi diversi: millimetrico, infrarosso, tecnicamente si chiama riga di emissione in h alfa, cioè idrogeno caldissimo a 10000°. Si vedono tre cose diverse, ma abbiamo potuto vedere queste tre immagini diverse perché abbiamo costruito gli strumenti per poterlo fare, aspettandoci di poter osservare un aspetto unico di questo fenomeno fisico, la nascita di un pianeta, a queste lunghezze d’onde precise. Ci sono decenni e decenni di lavoro dietro ognuna di queste immagini nello sviluppo di occhi che possono rispondere a una domanda che noi ci poniamo. Certo tante volte poi c’è qualcosa che non ci aspettiamo che sorprendiamo, ma la maggior parte del lavoro, come è stato quello dei raggi x, ma da lì c’è un lavoro entusiasmante di continuare a scavare a partire da una base di conoscenza che abbiamo, anche nell’ottenere immagini, per fare emergere sempre di più un fenomeno fisico che ci interessa.  

E c’è un ultimo aspetto che penso sia fondamentale perché per tanti è un’immagine scientifica come quella astrofisica, che vuol dire fare una fotografia e il gioco è fatto, facciamo una foto e abbiamo il nostro risultato. In realtà non è così, perché, perché tante volte la scoperta è nascosta in una marea di segnali che noi vorremmo poter eliminare, stiamo veramente cercando l’ago nel pagliaio. Ad esempio, questa slide l’ho intitolata moralità, poi ci torno, è l’immagine dello stesso sistema, qua ce l’avete a sinistra, o meglio una ricostruzione dell’immagine di quello che i dati sono dello stesso sistema in diversi modi. E vedete che a seconda di come giochiamo con l’immagine vediamo cose leggermente diverse. Vediamo che quel pianetino che vediamo qua a sinistra in alcune c’è, in alcune no, in alcune compare qualcosa sotto, in alcune qualcosa no. Qual è la verità scientifica di questo sistema tra queste immagini, come scegli, qual è la migliore rappresentazione di un dato oggettivo? In questo c’è un lavoro che è enorme da parte degli scienziati di capire secondo ipotesi del fatto che la realtà sia ordinata, tra l’altro, di tentare di capire qual è la migliore rappresentazione del reale. Ma qui c’è un gioco che è pericoloso, e secondo me in questo caso perché noi stavamo cercando quel puntino che vedete in alto a sinistra si vede meglio, lo cercavamo e a un certo punto qualcuno del team ha iniziato a dire: ma noi lo vediamo perché volendo trovarlo in realtà se uno gioca coi dati in modo leggermente diverso sembra emergere, ogni tanto scompare, è reale o meno?, cioè stiamo noi forzando i dati, nel come li calibriamo, nel come li interpretiamo, perché vogliamo trovare quello che ci aspettiamo o perché sono così? E quindi di fatto abbiamo passato dodici mesi, mentre eravamo tutti rinchiusi per il covid ognuno a casa sua collegato a dei superserver in giro per il mondo, a fare un test dopo l’altro per convincerci, così come raccontavi prima della scoperta dei raggi x, per convincerci che inconfutabilmente, a meno di prove contrarie che vedremo, ma quel puntino fosse reale, cioè fosse veramente contenuto nei dati e non stessimo introducendo noi quel piccolo puntino di fatto per quello che potremmo chiamarlo per un bias che noi avevamo su come la realtà dovesse essere. E questo io penso che sia un altro aspetto entusiasmante del rapporto tra il dato di realtà e lo scienziato. Cioè quando uno va veramente a cercare il sassolino, la piccola pepita d’oro in montagna in un mare di sassi e si mette veramente a cercarlo, c’è un aspetto di moralità, io lo chiamerei, cioè di riuscire a fare un passo indietro e far sì che sia la realtà a parlare per ciò che è. E questa interazione tra ciò che è della realtà e io che la indago, io che scelgo la lunghezza d’onda, io che calibro i dati, io che la interpreto, io che capisco che cosa dice, penso sia l’aspetto più entusiasmante di quella che è la ricerca scientifica. Questa complementarietà o se vogliamo sinergia tra l’oggettività pacificante del dato reale e l’avventura di doverlo pulire, interpretare, capire e ultimamente accettare per quello che è. E in questo senso l’immagine tra i diversi tipi di dato scientifico che la ricerca scientifica può produrre, penso sia un esempio stupendo e esemplificativo. E con questo finisco. 

 

Sabatini: Grazie. Io traggo due spunti da quello che i nostri amici ci hanno comunicato. Il primo spunto è questo: è impossibile uscire da questa sala senza avere la percezione della ricerca come di un’avventura, come di un cammino verso qualcosa che sembra ignoto, anzi che in gran parte non è ancora conosciuto, ma c’è dentro un aspetto esaltante, chi per curare le persone, chi per conoscere ancora di più i misteri del cosmo, e questa citazione non è casuale, questo termine “avventura” lo usava un grande fisico del secolo scorso, Richard Feynman, il quale diceva appunto che la conoscenza scientifica è una grande avventura, quindi c’è una fiducia nel cammino che si compie, che si svolge. E lui aggiungeva: “A una maggiore conoscenza ci accompagna un più insondabile e meraviglioso mistero, che spinge a penetrare ancora più in profondità.” Gli esempi che abbiamo visto ci parlano di questo. L’altro aspetto è il titolo del Meeting “Una passione per l’uomo”. Quello che accade in questo cammino è che il precisarsi sempre migliore, sempre maggiore dell’immagine del mondo e della realtà, rende più urgente una domanda, una domanda sul rapporto fra me che conosco e questa realtà. Quindi una domanda ultimamente sul destino mio e di questa realtà, quindi ancora di più consapevolmente una passione per l’uomo che cerca, che indaga, e cerca di capire la realtà che lo circonda. Io ringrazio tutti voi e prima di concludere vi ricordo, come abbiamo visto all’inizio, la raccolta in favore del Meeting, come si diceva nel video iniziale, che abbiamo visto entrando in sala, il Meeting è da sempre un luogo di cultura, ciascuno può contribuire a far continuare questa grande storia, e lungo tutta la fiera troverete le postazioni “DonaOra” che sono caratterizzate dal cuore rosso. Le donazioni dovranno avvenire unicamente ai desk indicati, dove vi aspetteranno i volontari che indossano la maglietta rossa “DonaOra”. Una importantissima novità, da quest’anno la Fondazione Meeting è un ente del terzo settore e quindi chi sosterrà il Meeting potrà usufruire dei benefici fiscali al momento della dichiarazione dei redditi. Io ringrazio tutti voi della presenza, ringrazio i nostri relatori di questa sera, e buona notte a tutti. Grazie. 

 

 

 

Data

20 Agosto 2022

Ora

21:00

Edizione

2022

Luogo

Sala Neri Generali
Categoria
Incontri