di Costanza Penna
Il Meeting è arrivato anche a Bellinzona, in Svizzera, «che esiste e non è la Svezia». Ci tengono a precisarlo con simpatia Helene, Ida e Marcello durante la telefonata per raccontare ciò che hanno organizzato per la settimana. La chiamata inizia con qualche problema di connessione e una battuta: «Ecco, così si capisce che gruppo sgangherato che siamo! Per fortuna però non serve essere giusti per fare il Meeting».
Marcello comincia poi a raccontare: «Partiamo dal perché ci siamo messi a organizzare: partecipiamo al Meeting da quarant’anni, ovvero dalla prima edizione, ci siamo sempre stati. Quest’anno non poteva essere diverso. È la fisiologia umana andare incontro agli altri, è troppo bello».
Gli fa eco Ida, aggiungendo: «Ho trovato geniale l’idea di permettere che il Meeting fosse diffuso nel mondo tramite l’iniziativa di chi ne è affezionato. Una scelta coraggiosa da parte del Meeting, che ha dimostrato grande agilità. Mi ha commossa e ho subito voluto aderire. Scoprendo che anche la mia amica Helene si voleva coinvolgere, le sono andata dietro».
L’organizzazione è stata semplice e diretta, «alla svizzera», ma «fin dall’inizio è stata una grande ricchezza per noi, perché ogni giorno ci accorgevamo di qualcosa di nuovo che prima non sapevamo», spiega Helene. Il desiderio di questi amici è stato portare l’intera esperienza del Meeting nella propria città: incontri, mostre e la campagna del Dona ora, tutto ha trovato una forma. Proprio tutto: «Il Meeting è innanzitutto un momento di incontro e di condivisione, anche conviviale. Per questo abbiamo coinvolto un amico pizzaiolo e abbiamo provato a ricreare l’area Fast food che c’è di solito a Rimini. Ieri sera a cena eravamo in cinquanta ed è stato bellissimo. Ogni anno, sono una decina gli amici svizzeri che riescono a recarsi al Meeting, questa volta invece siamo riusciti a viverlo tutti insieme, da qui» racconta Marcello.
Grazie alla disponibilità inaspettata di Don José, hanno trovato il luogo giusto per l’evento: una chiesa in prefabbricato. «Era stata fatta costruire dal Vescovo Corecco per volere della comunità locale, in attesa di una chiesa vera e propria. Durante la prima omelia aveva detto che, vent’anni dopo, la chiesa sarebbe stata terminata, pronta per i loro figli. Ad oggi la chiesa è ancora in prefabbricato e circondata da palazzoni, ma sembra nuovissima per come è curata e ben tenuta. È proprio una metafora della nostra presenza, indistruttibile, e che si vede anche nel nostro tentativo con il Meeting a Bellinzona».
Citando l’intervento di Weiler di ieri sera, Ida conclude: «È proprio vero: non sono le cascate a essere segno del sublime, ma lo slancio delle persone».