«Garanti della libertà del Papa e del suo ministero in ogni parte del mondo»

Sofia Bronzetti

Al Meeting di Rimini parla Mons. Jurkovic: Osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite di  Ginevra

 

Rimini, 19 agosto – Sulla diplomazia vaticana si è fatta, e si fa, molta letteratura e ricorrono luoghi comuni, che non aiutano a conoscerne natura e scopi, riconducendo ad una logica politica e di potere i compiti delicati che i nunzi del Papa svolgono in giro per il mondo: oggi la Santa Sede ha relazioni con 180 Paesi e i suoi osservatori sono presenti nelle sedi Onu di New York, Vienna, Ginevra, Parigi.

A rimettere le cose al loro posto, ha contribuito Ivan Jurkovic, 67 anni, arcivescovo di Krbava (Slovenia) ed osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite di  Ginevra, che, stamattina, ha dialogato con il pubblico presente nell’Arena Percorsi A2. Introdotto da Roberto Fontolan, direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, monsignor Jurkovic ha chiarito che il principale compito di questa singolare diplomazia è quello «di garantire la libertà al Papa per il suo ministero di pontefice, ad ogni livello, in tutto il mondo, perché dove il Papa arriva la gente lo vede come una persona affidabile, sempre fedele ai grandi ideali dell’umanità».

Per fare questo la Chiesa ha garantito ai suoi “diplomatici” una tradizione di formazione che unisce ad una indispensabile preparazione accademica un altrettanto necessaria testimonianza di fede. «Non siamo funzionari ma testimoni», ha spiegato il nunzio, «con una preparazione teologico-filosofica che ci rende diversi dagli altri diplomatici». Jurkovic ha spiegato che la popolarità  della Chiesa, dal villaggio africano fino alle più alte sedi istituzionali, «è legata al bene che viene fatto ai più poveri; essi sono l’obiettivo della nostra diplomazia, nel tentativo di completare l’opera del Papa, che oggi porta consolazione ovunque vada. Se si è utili, moralmente e materialmente, si è anche popolari».  Si tratta di un aiuto che mette il dialogo e il rispetto in primo piano, al punto che le classi dirigenti di paesi del terzo mondo, anche islamici, si sono formate in scuole cattoliche, senza avvertire alcunché di offensivo verso la loro cultura e la loro religione. «Nel nostro lavoro», ha continuato il nunzio, «non dividiamo fra governi amici e governi nemici: noi promuoviamo il bene comune, per aiutare tutti i Paesi, poveri e ricchi. In questo incontriamo uomini con i quali abbiamo valori condivisi».

Con la prudenza del diplomatico, monsignor Jurkovic ha parlato delle persecuzioni dei cristiani, affermando che in tante vicende di martirio si «sente il peso della storia; le ferite di vicende secolari sono state guarite ma le cicatrici restano indelebili». Spesso, poi, i motivi delle persecuzioni non sono religiosi. «In Medio Oriente», ha esemplificato, «i cristiani pagano il prezzo di interessi geopolitici che poco c’entrano con la loro fede». La Chiesa fa tutto il possibile per difendere le comunità cristiane più esposte, e anche quei piccoli gruppi, che cristiani non sono, e dei quali nessuno si occupa.

Nei consessi internazionali, dove si elaborano documenti di portata planetaria, spesso la Chiesa si trova in minoranza, in particolare su questioni di carattere etico e morale, come l’eutanasia o il controllo delle nascite. «C’è da faticare molto», ha detto monsignor Jurkovic, «ma nessuno ci nega il diritto di parlare e di essere ascoltati. Noi diciamo quello che si deve dire, e che non direbbe nessuno: le cose che oggi difendiamo ci faranno onore nella storia. Sulle migrazioni, ad esempio, la Chiesa ha una posizione matura e questo lo dovranno riconoscere tutti».

Il nunzio ha anche analizzato il fenomeno del secolarismo, smentendo la convinzione comune che nel mondo la religiosità sia ormai tramontata. «Il fenomeno riguarda l’Europa e il Nord America», ha chiarito, «ma l’85% degli abitanti della Terra è religioso. Nel mondo c’è una nuova coscienza dell’importanza della religione ed il Consiglio mondiale delle Chiese è spesso invitato a parlare all’Onu. Non si deve poi trascurare il fenomeno di Paesi molto secolarizzati, come gli Stati Uniti, dove gruppi religiosi, in particolare protestanti, sono in grado di condizionare elezioni e scelte politiche».

«Quanto “contiamo” nelle vicende internazionali?», si è chiesto il nunzio. «Molto più di quanto non siamo consapevoli noi stessi. La gente e gli uomini di stato ci vedono come una cosa più grande delle questioni locali e contingenti. Di recente, ad esempio, un capo di governo latino americano mi elencava i “successi” recenti della nostra diplomazia che a me, in quel momento, erano del tutto sfuggiti».

Infine, le grandi questioni del momento: i rapporti con la Cina e con l’Islam. «Con queste realtà, il Papa ha cercato agganci per una comprensione reciproca maggiore», ha concluso monsignor Junker. «Il dialogo resta lo strumento principale adottato da Francesco ed il suo operato dovrà essere valutato in termini storici, una categoria, oggi, molto trascurata».

 

(D.B.)

 

Responsabile Comunicazione Eugenio Andreatta tel. 329 9540695 eugenio.andreatta@meetingrimini.org

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