Alle ore 19, in una sala A4 gremita, si è svolto il primo di una serie di incontri intitolati “Storie dal mondo” nei quali vengono presentati reportage e documentari internazionali. In questo primo appuntamento il giornalista Gian Micalessin (che con Roberto Fontolan è responsabile di questa serie) ha introdotto con Marco Bardazzi, giornalista e portavoce del Meeting, la visione di un esclusivo documentario girato nel 2008 all’interno del carcere statunitense di Guantanamo. Questo documentario, prodotto dal National Geographic (e presentato in collaborazione con Sky), è il primo ad essere stato girato dentro uno dei luoghi più controversi di questi anni post 11 settembre. Il documentario (lungo circa 45 minuti) riporta immagini, storie e testimonianze raccolte in tre settimane nelle quali alla regista Bonni Cohen è stato concesso di girare: in esso sono riportate le esperienze dei detenuti rilasciati, delle guardie carcerarie, alcuni dialoghi tra i detenuti e le guardie e i punti di vista di alcuni autorevoli personaggi della società americana (giuristi, consulenti e altri) in merito a questi otto anni nei quali i terroristi (o i presunti tali) sono stati incarcerati in questa prigione militare situata a Cuba. Micalessin e Bardazzi hanno sottolineato che l’importanza di un documentario come questo consiste nel rappresentare questo luogo in modo realistico e non solamente come spesso è stato parzialmente descritto dai mezzi di comunicazione. Dal video emerge infatti una certa cura dei militari americani nei confronti dei detenuti. Al termine della visione i due giornalisti hanno sottolineato le principali criticità che hanno caratterizzato in questi anni l’attività di questa prigione americana, che a gennaio 2009 il presidente Obama ha deciso di chiudere entro un anno. In particolare secondo Marco Bardazzi (che con due colleghi giornalisti ha avuto la possibilità di visitare la prigione per quattro giorni), il vero problema di Guantanamo è stato aver utilizzato dei metodi e un approccio alla detenzione non conforme alla tradizione di tutela dei diritti propria della società americana: questo non ha fatto altro che diffondere un’immagine negativa dell’America nel mondo. “Adesso chiudere il carcere è un problema – ha detto – perché in un qualunque tribunale americano sarebbe facile per un qualunque avvocato far scarcerare i detenuti, dal momento che a Guantanamo essi non hanno goduto di alcuni diritti processuali che sono garantiti negli Stati Uniti”. Il documentario ha suscitato un vivace dibattito nel quale il pubblico in sala è potuto intervenire con osservazioni e domande: “la vera questione da capire è quali risultati ha prodotto Guantanamo in questi anni – hanno concluso Micalessin e Bradazzi – così da comprendere se è possibile in futuro rispondere ad esigenze seppur giuste con altre modalità d’intervento”.