Più che una voce è un grido quello che S.E. Mons. Fouad Twal, Patriarca Coadiutore di Gerusalemme dei Latini, presentato da Robi Ronza come “una figura eminente” della presenza cristiana nel mondo arabo, ha lanciato in una affollata sala A3.
Nell’introdurre i lavori, Ronza ha detto che il “patriarcato di Gerusalemme è un punto di riferimento di una chiesa multietnica”, e che si trova in una posizione importante perché i cristiani, soprattutto i latini, sono “tramite” per loro natura. Ricordando l’introduzione che mons. Twal ha curato alla versione del “Senso Religioso” di Luigi Giussani in lingua araba, ha detto questo contributo può essere considerato “un discorso di cultura araba” fatto da una “figura di intermediazione culturale”, di grande aiuto per una “riqualificazione del rapporto tra islam e cristianesimo”. Il “Senso Religioso” in lingua araba, ha concluso Ronza, può costituire “la base del dialogo, che è la comune posizione umana”.
Monsignor Twal, in apertura del suo intervento, ha detto che la voce della Terra Santa vuole essere la testimonianza dell’esperienza di fede delle prime comunità cristiane; ricordando il monito del Papa del 20 luglio scorso, ha poi confermato che attraverso la preghiera tutti “sono coinvolti nella vicenda della pace”.. Il muro della separazione, la disoccupazione che sfiora il 60%, la stanchezza della gente, le decisioni politiche unilaterali, l’elezione di un governo che non piace: tutto descrive una situazione in continuo peggioramento: pure è qui, a Gerusalemme, che sono “registrati i nostri dati anagrafici”. Il peccato più grande è quello che una politica manipolata non aiuta nessuno a “cogliere la santità di questa città, dove si ha il presentimento che l’infinito oggi si possa manifestare”. In questa situazione Dio preferisce la debolezza alla forza e i cristiani sono chiamati ad accettare di capire, perché “Dio alla violenza non oppone una violenza più forte”, ma agisce attraverso la scelta di alcune persone. “La pace in questa terra è l’esigenza più immediata” , ha proseguito, e tutti siamo chiamati a lavorare per “costruire ponti e togliere l’odio dai cuori”. In questo scenario la comunità cristiana si interroga sul proprio compito e sul fatto che molti, anche tra i musulmani, lasciano la Terra Santa per assicurare un futuro ai propri figli.
Occorre, ha proseguito, fare “sforzi per far sì che i cristiani restino nella loro terra”. “La pace e la fiducia nel futuro” sono la strada per arginare il fenomeno migratorio. Il compito fondamentale però è quello di “pronunciare una parola di speranza” a partire dalla fede. In una realtà dove il parlare può rivelarsi un rischio, occorre “parlare poco e amare di più”. Il rapporto coi musulmani, ha poi precisato, non è un fatto di oggi, ma qualcosa che accade da tredici secoli, perché i due popoli hanno sofferto insieme. Quello che vogliamo annunciare è che “la città santa è madre di tutti i fedeli figli di Abramo”, e ai governanti dire che non si governa con le armi e con il terrorismo. Nell’intera vicenda la Chiesa non può restare in silenzio, ma deve essere una “voce di pace e di perdono”: per questo avrà sempre un posto rilevante in Terra Santa., nel “luogo in cui l’umanità è stata raggiunta dalla presenza di Dio”.
Del conflitto che in questo periodo si svolge si hanno notizie pilotate, ha raccontato, perché non ci si domanda cosa precede e cosa segue “gesti comunque condannabili”. Il conflitto non è una questione tra Hezbollah ed Israele, ma fa parte di una situazione più globale dell’intera area. La debolezza di Israele consiste nel “confidare nell’apparato militare” e non in altre risorse. Il futuro è nel riconoscimento della libertà così come Dio l’ha voluta, nella preghiera di tutti, nell’amare l’altro “senza limiti e senza barriere”. “Nonostante tutto la situazione non è disperata, le difficoltà sono tante, ma tante sono anche le attese, confortate dall’aiuto degli amici, tra cui anche voi, che non ci lasciano soli”. “Ho il presentimento – in conclusione – che l’infinito a Gerusalemme un giorno si manifesterà”.
Ronza, nel chiudere l’incontro, ha dichiarato che lo sviluppo del nostro Paese dipende dal Medio Oriente: finchè “non si riapre il levante avremo un nord sempre più ricco ed un sud sempre più povero”. L’errore della road map, ha poi proseguito, è quello di considerare Gerusalemme una “questione locale”.
Monsignor Twal ha poi risposto a due domande del moderatore sulle conseguenze della situazione per la vita pastorale e sull’efficacia dei presidi ONU. Sulla prima, ha descritto la difficoltà di svolgere gli esercizi spirituali a causa dei numerosi check point; in merito alla seconda, ha sottolineato che occorre superare l’impostazione italiana, facendo sì che le truppe europee, giocando un ruolo chiaro nei territori, arrivino fino a Gaza e nel sud del Libano.