Motivo ispiratore dell’incontro sulle due parole che ne compongono anche il titolo, ha detto Alberto Savorana, direttore di “Tracce”, è stato l’intervista rilasciata per il suo giornale da Pupi Avati, regista. È difficile, ha continuato Savorana, trovare delle persone per le quali la parola talento corrisponda alla parola vocazione. Oltre ad Avati hanno partecipato all’incontro Claudio Risè, psicoanalista e scittore, Barbara Palombelli, giornalista.
Più che una relazione, quella di Avati è stata una vera e propria performance, nella quale il regista ha raccontato che all’età di diciotto anni, quando faceva fatica a comparire nelle classifiche di gradimento stilate dalle sue coetanee, non ha avuto la fortuna di incontrare un Pupi Avati. La prima possibilità di riscossa gli si materializzò nell’incontro con il jazz: un amore durato dodici anni nell’illusione di poter diventare il più grande musicista di Bologna e provincia. Poi l’incontro con un gruppo di giovani musicisti che con il loro progredire rendevano evidente al contrario il suo continuo regresso. A chi attribuire l’ennesimo fallimento? All’assenza di un Pupi Avati che gli facesse capire che passione e talento sono cose estremamente diverse. A quel punto della vita la decisione di chiudere il clarinetto nella custodia e dedicarsi alla vendita di surgelati in un’azienda di Milano: decisione pagata con la tristezza di non avere più la possibilità di poter esprimere “l’io”. È attraverso ciò che si fa che si dice cosa si è, ha chiosato Avati. Nessuno è una anomalia, per cui questa possibilità è del regista cinematografico come di ogni persona che svolge qualsiasi altro lavoro. La professionalità non garantisce nulla, anzi consente solo una standardizzazione: occorre una docilità, il dono della propria creatività. Il cinema, ha continuato, è stata la possibilità di poter raccontare il mio io, quello che accade: per questo mi riconosco sempre mell’ultimo film piuttosto che nei primi. Mi ha aiutato in tutta la mia vita una frase di mia madre, “si chiude una porta e si apre un portone”, perché è quello che mi è accaduto. Se oggi mi posso permettere di raccontare l’animo umano, è perché ho vissuto la vita come tutti.
Prendendo spunto dal racconto di Avati, e in particolare sulla frase della sua mamma, Risè ha iniziato dicendo che in fondo è proprio il tener presente questa possibilità che aiuta a far capire il senso delle cose. Il suonatore di jazz era un’idea, non avrebbe mai potuto realizzare l’io di Avati, perché lui cercava altro. Quando mi si presentano casi del genere, ha continuato Risè, il mio lavoro divente difficile, perché devo far venir meno un sogno. La possibilità di realizzazione dell’”io” entra in competizione con l’”ego”. Il luogo in cui talento e passione si realizzano lo chiamiamo “sè”, un punto in cui vengono prodotti i nostri veri desideri.
Anche la Palombelli ha ricordato avvenimenti della sua vita, iniziando con l’affermazione che quando si ha la fortuna di incontrare una persona che fa venir fuori il talento che è in ognuno di noi, gli si è grati per tutta la vita. Oggi però, ha continuato, occorre una rivoluzione culturale a partire dalla scuola, in cui il rapporto maestro-alunno esprime solamente una omologazione: è anche per questo motivo che un Pupi Avati non viene più fuori. La scuola e l’università non sono pronte a riconoscere il talento, perché la questione decisiva è l’assenza di maestri come lo è stato don Giussani, capace sia di insegnare che di andare incontro la gente.
Provocato dalla domanda di Savorana su come vivesse la responsabilità di essere un maestro, Avati ha risposto dicendo che il punto fondamentale è rispondere alle attese degli altri pensando che questi rispondano alle proprie. Ci sono delle cose che sono ineffabili: la poesia e la recitazione non si possono insegnare. Si può solo ridare fiducia, perché la gioventù si deprime facilmente.
Per Risè il punto decisivo per poter essere dei maestri è la libertà: la rivoluzione culturale auspicata dalla Palombelli nel suo intervento, ha detto, può partire dal recuperare questo aspetto.
Tutta la descrizione della passione e del talento cui si è assistiti, ha concluso Savorana, è sfidata in un incontro con qualcuno o con qualcosa che punta tutto sulla nostra libertà. La sfida della libertà: nell’educazione l’io da il meglio di sè.
G.F.I.
Rimini, 26 agosto 2005