La libertà dell’uomo è nel rapporto con Dio in Cristo e Cristo, oggi, è vivente ed operante nella Chiesa, il luogo dove la nostra libertà viene esaltata. L’arcivescovo di Bologna ha affrontato il tema del Meeting con contenuti e accenti che sono risultati più che familiari alle migliaia di persone che lo ascoltavano in Auditorium. Tanto che, alla fine, Alberto Savorana, direttore di Tracce, mensile di CL, ha riconosciuto esplicitamente la profonda sintonia fra le parole dell’arcivescovo e il carisma di don Giussani. E per la verità, citazioni a parte (oggi ha prevalso la filosofia, con Kierkegaard a farla da padrone), ascoltando Caffarra non si poteva fare a meno di riandare con il pensiero a quanto, lunedì scorso, aveva detto Carron.
Caffarra ha articolato il proprio intervento in 4 punti o, come lui li ha definiti, ‘insidie’ da cui liberarsi: la radicale negazione della libertà, l’indifferenza verso la realtà, la schiavitù della legge, la schiavitù della storia.
La prima evidenza è che l’uomo esiste perché qualcuno lo ha voluto. E non i genitori, “che possono desiderare un figlio ma non scegliere questo o quel bambino”, bensì Dio, creatore di ogni singola persona umana. Questo rende l’uomo irriducibile ai suoi precedenti biologici e ne salva, così, la libertà. Dunque la libertà umana, fin dal principio, è posta dentro alla relazione con Dio, con una Potenza infinita, la sola capace di far sorgere soggetti liberi.
Ma la nostra libertà è insidiata da un pericolo: la negazione che esista una verità circa il bene della persona, mai riducibile alle circostanze. Quest’ultima posizione fa sì che la ‘cifra’ della libertà sia l’indifferenza, nella quale tutte le scelte e il loro contrario, alla fine, hanno lo stesso valore. E questo, secondo Caffarra, è stato chiaro nella recente vicenda del referendum, quando si è cercato di introdurre nella mentalità della gente l’idea che la definizione di ambiti essenziali della persona (paternità/maternità, matrimonio, famiglia) sia opera della libertà e che non esista nulla che preceda la scelta della libertà umana. “Ma questo modo di vivere, dove la libertà è ridotta a pura forma – ha concluso l’arcivescovo – genera indifferenza per il destino proprio e altrui, porta al suicidio, anche fisico”. Il superamento di questo illusorio trionfo della libertà di scelta, Caffarra lo ha trovato in Cornelio Fabro: “Verità e libertà sono per lo spirito finito due esigenze convergenti, essenzialmente complementari: le due ali che ci permettono di elevarci dal grigiore informe della possibilità verso la concretezza della realtà a cui si rivolge la verità”.
Nel passaggio successivo, Caffarra ha affrontato il ‘drammatico’ rapporto fra libertà e male morale: la libertà umana può compiere il male, negare con le sue scelte ciò che la conoscenza afferma e così danneggiare se stessa. “Tradendo il suo amico Gesù – ha esemplificato – Pietro ha tradito Pietro; di questo tradimento egli è autore, vittima e testimone”. La libertà, ha chiarito Caffarra, non inventa la verità ma vi aderisce, perché la verità è lo splendore dell’essere della persona, essere che non viene posto dalla persona stessa. Per questo la verità sul bene della persona è ‘democratica’, perché non è riservata ad una categoria ristretta ma offerta all’uomo comune.
“Ma come liberare la libertà dalla sua intima capacità di negare il bene?”, si è chiesto Caffarra. Non certo con la decisione di seguire quanto la Legge di Dio chiede, soltanto perché è Dio a chiederlo, “perché libertà è fare ciò che vogliamo facendo ciò che dobbiamo o fare ciò che dobbiamo facendo ciò che vogliamo”. Essere se stessi, quindi, ma liberati da se stessi: questa è la liberazione della libertà. L’unica strada perché questo potesse accadere, ha indicato Caffarra, è che Dio stesso si facesse tanto intimo a ciascuno di noi così che la persona scegliesse mossa da se stessa. E questo è avvenuto con Gesù Cristo, la cui presenza si perpetua attraverso la Chiesa, dove il cristianesimo è vita prima che dottrina, è compagnia all’uomo. Caffarra ha raccontato che a Colonia, una ragazza gli si è avvicinata e gli ha detto di aver scoperto che c’era la Chiesa e per questo di non sentirsi più sola.
Questa libertà, la cui realizzazione avverrà solo nell’eternità, si gioca nel tempo, nella storia. Una condizione che ha fatto parlare alcuni di condanna, come se ci fosse un carcere da cui evadere; altri hanno inteso l’esistenza come un effimero in cui navigare a vista, tagliando, come suggeriva Orazio, le speranze troppo lunghe. “Ma il cristianesimo – ha risposto Caffarra – non sacrifica il finito a spese dell’Infinito e non accorcia la misura del desiderio umano. L’io costruisce se stesso mediante le sue scelte nel tempo in ordine all’eternità e dunque non ha bisogno di essere liberato dalla schiavitù del tempo”.
“Dio – ha concluso l’arcivescovo – ad un certo punto della storia si è buttato nel vortice del tempo, facendosi uomo per andare incontro all’uomo. A noi non resta che aggrapparci a Cristo, che abbracciare la sua persona. L’Incarnazione del Verbo è la suprema liberazione della libertà e la Chiesa è lo spazio dove questo accade”.
DB
Rimini, 24 agosto 2005