“Che alla presentazione di una mostra di arte sacra ci siano dei giornalisti sembra paradossale”: con questa affermazione Luigi Amicone, direttore di “Tempi”, ha introdotto i lavori, cui hanno partecipato Franco Bechis, direttore de “Il Tempo”, Pierluigi Magnaschi, direttore ANSA e l’autore della mostra, Bruno Grassi, pittore. L’opera di Grassi, ha proseguito Amicone, interessa perché porta dentro una passione ed è un tema che forse più di tutti testimonia il destino dell’uomo. La proposta di bellezza che l’arte porta dentro è andata avanti per tanti secoli davanti all’imponente avvenimento del cristianesimo. Non esisteva la distinzione tra arte sacra e arte profana, che si è avuta solo con l’avvento dell’Illuminismo. Questa posizione è presente ancora oggi: nell’arte infatti non c’è più nulla di sacro, essa è diventata l’espressione del nulla, perché è lo stereotipo è la dissacrazione di tutto.
Per Magnaschi il discorso sull’arte sacra è la possibilità di comunicare agli altri certe cose, e per questo la scelta della Chiesa di non essere iconoclasta, risulta molto opportuna. Oggi, ha proseguito Magnaschi, è sempre più difficile trovare chiese adorne di opere d’arte. Il fatto è che i fedeli non sono preparati alla modernità: la prima opera di Grassi (la Crocifissione) fu esposta in una chiesa per sole tre settimane e poi fu ritirata. L’opera di Grassi potrebbe essere ritenuta anticipatrice di quello che nel cinema ha prodotto l’ultima fatica di Mel Gibson, per fare un esempio. Questa mostra ha richiesto a Grassi due anni di lavoro e non ha trovato ancora committenza. Grassi, ha concluso Magnaschi, è andato contro vento e maree: basti pensare che in alcune scene delle sue opere raffiguranti episodi evangelici sono presenti figure di donne anziché di uomini.
Il mio incontro con Grassi, ha esordito Bechis, è avvenuto in occasione della riproduzione sul giornale che dirigo delle sue opere in occasioni particolari. La vera rottura tra gli artisti e la Chiesa si verificò nei primi anni del ‘900 con la pubblicazione del manifesto futurista e con il fatto che la Chiesa stessa non aveva saputo superare la difficoltà a capire l’arte moderna e si era rifugiata nell’imitazione di modelli ormai superati. Segnali di ripresa però sono stati la lettera agli artisti di papa Paolo VI, in cui il pontefice invitava gli artisti a riscoprire la bellezza per non cadere nella disperazione, e negli ultimi anni con il documento “Spirito Creatore” di Giovanni Paolo II, in cui l’arte è presentata come la possibilità di guardare il senso primo e ultimo della vita. Non sono un esperto di arte, ma ho gli occhi per guardare, ha concluso Bechis: occorre questo senso della vita per fare l’arte sacra e credo che Grassi questo senso lo abbia.
La profondità della bellezza è questo senso di rispetto verso l’uomo, verso le cose, ha dichiarato Grassi: tutto deve portare all’abbraccio finale verso Dio; se si tradisce questo allora si tradisce l’arte. Vi invito a ricercare la gioia, a portare Cristo, ad avere fiducia, a riversare l’amore e questo è il gesto supremo che l’arte possa fare. Questo, ha concluso Grassi, è anche il motivo della scelta della presenza delle donne nelle mie opere, perché penso che essendo esse più ricettive degli uomini, siano anche un lago inesauribile d’amore.
G.F.I.
Rimini, 23 Agosto 2004