François Michelin è un “padrone inaspettato: vi spiega che per lavorare bene l’importante non è l’apparato, ma quello che c’è dentro di sé”. Così Roberto Fontolan, direttore di ventiquattrore.tv, ha introdotto il dialogo con colui che per tanti anni è stato gerente del Gruppo Michelin e oggi, a 70 anni, ne è presidente onorario.
La familiarità che Michelin ottenne con gli operai quando, da bambino, suo nonno gli permetteva di maneggiare legno e ferro in fabbrica, gli insegnò qualcosa che non dimenticherà mai: ogni nozione di classe sociale, infatti, scomparve ai suoi occhi. E da allora Michelin ha sempre cercato di evitare di etichettare le persone con quello che fanno, per capire invece quello che veramente sono. “Ognuno di noi è unico e irripetibile: ecco perché dobbiamo avere un atteggiamento di ascolto verso le persone che lavorano con noi, per scoprire il diamante che c’è in ciascuno”, ha detto, documentando queste sue parole con diversi esempi.
La passione per il lavoro di Michelin si esprime anche nella sua disponibilità ad imparare dalla realtà. “Che cosa determina la forma di un vomere? Non certo la volontà del contadino, ma la conformazione del terreno. Così il cliente e la materia prima determinano tutta la vita della fabbrica”. Il vero padrone è il cliente, che in effetti riempie le buste paga dei lavoratori. In questo senso il punto chiave dell’attività di un’industria è di raggiungere la qualità abbattendo i costi: un vero capo deve essere capace di recepire gli ordini che gli vengono dagli scioperi, dalle esigenze delle case automobilistiche, dalla natura della materia prima.
Se l’esigenza di capire è valida per quanto riguarda i prodotti tecnologici, è tanto più vera rispetto alle persone. La fabbrica è, nella visione di Michelin, un luogo di produzione e convivenza comune, dove ciascuno è responsabile per sé e per gli altri. La nostra abitudine a pensare alla fabbrica come realtà disarticolata e luogo di conflitti deriva invece dal pensiero marxista, che non accetta che l’uomo abbia una dimensione anche spirituale e che dalla comunione possa venire la liberazione. In questo Michelin non ha paura di andare controcorrente, né si preoccupa della mentalità comune, quando ringrazia gli azionisti per i rischi che decidono di correre con i loro investimenti: sono loro, e non i sindacati, a creare le aziende.
Quando gli chiedono se si può essere felici nel lavoro, Michelin riflette su che cosa sia il lavoro. Una volta un suo dipendente gli aveva detto: “Il lavoro è la vita”. L’imprenditore francese colse allora l’occasione per parlare della fatica, del sudore imposto da Dio a causa del peccato originale: “È l’orgoglio che fa fatica a piegarsi davanti alla realtà delle persone e della materia, spesso così diverse dalle nostre idee”. Dunque, se il Cristianesimo spiega perché le cose sono così come sono, la comunione tra gli uomini è possibile solo attraverso la comunione con Dio, che ci ha creati tutti e ci ama come siamo per condurci accanto a Lui.
P.S.
Rimini, 26 agosto 2003