La crisi – è evidente – impone scelte difficili. Queste scelte però non debbono penalizzare il welfare, ma rilanciarlo, riconquistando quanto abbiamo ereditato, passando dal modello risarcitorio a quello promozionale. Le persone, cioè, debbono essere coinvolte nel costruire la risposta ai loro bisogni. È quanto emerso oggi pomeriggio in sala Tiglio A6 nell’incontro su “Il nuovo welfare: dall’assistenzialismo alla sussidiarietà”, al quale hanno partecipato Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà-Confcooperative, Nello Musumeci, sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali (l’incontro si svolgeva in collaborazione con il ministero); Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli; Monica Poletto, presidente della Compagnia delle Opere – Opere sociali; Vincenzo Saturni, presidente Avis nazionale. La tavola rotonda è stata coordinata da Lorenzo Malagola, capo della segreteria tecnica del ministro del Lavoro, che in apertura ha subito rassicurato i presenti smentendo le voci giornalistiche secondo le quali il governo starebbe per tassare le cooperative.
Secondo Guerini, “è giunto il tempo di ridurre gli sprechi, di scegliere come orientare la spesa salvaguardando i diritti, il tempo di investire sullo sviluppo sociale”. Per il presidente di Federsolidarietà-Confcooperative, la crisi che ha investito il Paese può avere nella cooperazione sociale un modello di risposta, perchè il sistema del welfare può essere un moltiplicatore di risorse. “Associazionismo e sussidiarietà – ha spiegato Guerini – generano un tessuto sociale che può far ripartire lo sviluppo economico”. Quanto ai tagli, Guerini ha detto che potrebbero innescare un processo virtuoso. Ad esempio, con lo 0,2% della spesa sanitaria si potrebbero raddoppiare gli asili nido nel Paese e questo, oltre ad un miglior servizio, significherebbe un aumento dei posti di lavoro.
Ma si può risparmiare sulla sanità? “Sì – è la risposta decisa di Guerini – basta che non si pretenda una risonanza magnetica dell’ultima generazione per diagnosticare una distorsione al ginocchio”. Quanto alla sussidiarietà fiscale, secondo il presidente di Federsolidarietà il 5 per mille non è certo risolutivo ma “potrebbe fare innamorare gli italiani delle tasse”, nel senso che le pagherebbero più di buon grado se sapessero come i loro soldi vengono impiegati. Per Guerini, la situazione richiede un patto fra generazioni, “i sessantenni debbono convincersi che debbono qualcosa a quelli che non hanno ancora trent’anni”.
Un welfare da difendere ma anche da adattare al ventunesimo secolo. Questa la linea dell’intervento di Olivero che ha invitato a considerare che la coesione sociale del nostro Paese, base di partenza indispensabile per rispondere alla crisi, deriva da un ben preciso modello di welfare. “Ma bisogna essere più flessibili verso le circostanze che cambiano – ha aggiunto il presidente delle Acli – abbandonare ogni residuo di statalismo e diventare più comunitari”. “Il Terzo settore italiano – ha riconosciuto Olivero – non sempre è stato in grado di innovarsi, di mettersi in rete, di valutare criticamente le risposte che elabora, magari geniali, ma che non possono essere generalizzate”. La diminuzione di welfare pubblico, secondo il presidente delle Acli, non sempre generato maggiore sussidiarietà, “però la crisi di quel modello ha aguzzato l’ingegno”, stimolando il mondo della cooperazione sociale, il volontariato, l’associazionismo di promozione sociale. Se i cittadini diventano corresponsabili dei processi che si mettono in atto, è stata la sua conclusione, le comunità diventeranno più protagoniste e l’economia si rimetterà in moto.
Il ruolo del volontariato e l’esperienza di gratuità che il volontariato stesso genera è invece il filo conduttore dell’intervento di Saturni. “La sussidiarietà – ha subito precisato – è un concetto insito e trasversale nelle organizzazioni di volontariato, le quali hanno in tantissimi casi risposto in anticipo rispetto all’evoluzione e all’intercettazione delle esigenze”. “Laddove i servizi funzionano meglio si riscontra un protagonismo del volontariato – ha proseguito Saturni – tanto che per un euro investito in volontariato se ne ricavano dodici in termini di risultati ottenuti”. In definitiva se da un lato, per la ricostruzione del welfare, il volontariato è pronto a fare la sua parte, dall’altro “occorre mettere mano alla normativa, per mettere il cittadino in grado di autodeterminarsi”.
Per Monica Poletto la priorità per concretizzare il nuovo welfare “in un momento difficile come quello che stiamo vivendo è non sbagliare metodo, il che presuppone la conoscenza dei termini del problema”. “La recente riforma fiscale non è giusta – ha dichiarato – perché compie 49 tagli ‘uguali’, mettendo sullo stesso piano la cura del gatto e gli asili nido, non operando in definitiva nessuna scelta”. La presidente CdO Opere sociali, nel descrivere la realtà variegata del volontariato, ha invitato tutti a tenere presente la dinamica dell’erogazione dei servizi, che sono più efficienti quando partono dal bisogno e dalla possibilità di rispondervi dal basso. Per arrivare a questo obiettivo occorre innanzitutto “che le persone abbiano la possibilità di scegliere”, di mettere mano alla normativa “ormai diventata simile ai quartieri spagnoli di Napoli, all’interno dei quali, a forza di addizioni successive, non si vede più il cielo”. “Vogliamo dimostrare – ha concluso – che siamo i migliori, ma anche che vogliamo andare aventi”.
Il sottosegretario Musumeci con l’intento di voler “iscrivere tutti al partito dell’ottimismo”, ha posto sul tavolo una serie di riflessioni utili a legare l’attuale sistema di welfare alla crisi economica, finanziaria e valoriale. Occorre, parafrasando un detto popolare siciliano, che “tutti mettano la spalla sotto al Santo visto che la processione è lunga e nessuno si fa avanti”. Per porre fine ad un modello assistenziale c’è bisogno che “Stato, mercato e terzo settore facciano i conti con una coperta cortissima” e si è detto d’accordo con gli altri relatori sulla necessità di rivedere la normativa avendo ben chiaro il concetto di reciprocità e quello di semplificazione. “Dobbiamo sostenere i bisogni relazionali – ha proseguito – rimettendo al primo posto l’uomo rispetto all’impresa”. Il sottosegretario ha poi descritto i rischi che il mondo del volontariato corre, dall’essere snaturato perché fatto somigliare ad erogatore di servizi, passando per un naturale invecchiamento, fino ad arrivare all’esclusione, da parte degli enti periferici, dalle fasi decisionali, utilizzandolo per eludere le gare d’appalto e ottenere servizi a buon mercato. “Non è possibile – ha ribadito il sottosegretario – guardare in questo modo un settore che produce lo 0,7% del Pil”. In definitiva Musumeci ha indicato una possibile strada da percorrere per la realizzazione di un nuovo welfare: “Liberare il volontariato dalla morsa del clientelismo, razionalizzare il 5 per mille, potenziare il dialogo tra i soggetti interessati e promuovere il volontariato tra giovani e anziani”.
“Allora, prendiamo il santo sulle spalle perché la strada è lunga e il tempo è breve” ha simpaticamente concluso l’incontro il moderatore Malagola.