Trentacinque anni, sposato, due figli piccoli, nato a New York, scuole elementari in Brasile, maturità scientifica a Parigi, laurea in ingegneria al Politecnico di Torino e, oggi, presidente della Fiat. John Elkann questa mattina, dopo il pomeriggio trascorso ieri in Fiera, ha raccontato se stesso al Meeting. Lo ha fatto con la semplicità e la sincerità di chi, pur appartenendo ad una delle famiglie più conosciute e importanti del mondo, ha imparato che nella vita non c’è nulla di scontato e che, nonostante l’albero genealogico, senza curiosità e voglia di imparare “non si riesce a far fruttare i propri talenti”. Sentirlo parlare è come vederlo girare per il globo, attento e aperto a tutte le novità: tra le quali, “l’incredibile entusiasmo” dei giovani volontari in Fiera, i cinquanta universitari che ieri lo hanno avuto con loro, gli aspetti ludici del Meeting ai padiglioni dello Sport “che pure ci vogliono” e, scoperta per lui assoluta, “i novanta santi torinesi, i Barolo, i Bosco, i Cottolengo che ho trovato alla mostra sui ‘150 anni di sussidiarietà’, che non conoscevo e dai quali ho da imparare”.
Elkann si è presentato rispondendo alle domande di Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle opere, e di William Barcella, uno degli universitari che lo avevano “assediato” l’altro pomeriggio.
Essere un Agnelli per il presidente della Fiat non è mai stato un peso e approdare al vertice della casa automobilistica ha coronato un itinerario naturale, legato alle circostanze. “Fin da bambino mi interessava il lavoro della mia famiglia – ha raccontato – e così a 18 anni, dopo aver girato il mondo, mi sono fermato a Torino per conoscere meglio l’Italia. Vicino a mio nonno, l’interesse è cresciuto e le vicende eccezionali in cui mi sono trovato coinvolto sono state un’enorme opportunità. Alla mia poca esperienza ho fatto fronte grazie all’aiuto di persone più adulte e competenti, grazie alla forte convinzione di aver avuto una grande fortuna e la possibilità di fare grandi cose”.
Elkann ha individuato alcune esperienze chiave nella sua vita: la famiglia con le turbolente vicende matrimoniali di alcuni suoi membri e il culto del lavoro; gli studi nella scuola pubblica francese, dove ha “imparato a gestire liberamente e responsabilmente il proprio tempo”, lo stage in Inghilterra, il primo impiego alla General Electric e soprattutto il rapporto con Marchionne. “Sergio è entrato alla Fiat in un momento in cui nessuno credeva che l’azienda ce l’avrebbe fatta, non tanto all’esterno ma neppure all’interno del gruppo. Da lui ho imparato che il futuro può essere costruito ben diversamente da quello che appare e che tutti pronosticano”.
Certezze, nella vita, il presidente della Fiat ne ha, e dice di averle acquisite dall’esperienza. Paradossalmente, la sua prima certezza è che la realtà è il regno dell’incertezza: nelle vicende personali; nel lavoro come nella finanza o nella politica estera. Ma in tutto questo, seconda certezza, ci sono dei talenti personali da investire, nel cogliere i mutamenti e sapervi rispondere con equilibrio. Poi, la sicurezza, data sempre dall’esperienza, che le tempeste si possono attraversare. Inoltre il sostegno di gente esperta e competente, dalla quale si può avere aiuto, purché lo si cerchi. “Ma per tutto questo – ha aggiunto – occorre avere un’idea di bene e di male per orientarci nella vita”.
Infine, decisiva la famiglia. Famiglia e azienda sono mondi diversi che devono dialogare fra loro ma “l’azienda va bene solo se la famiglia va bene, non si può danneggiare l’una illudendosi di far funzionare l’altra”. Al figlioletto di cinque anni, che gli chiede perché lui lavori anche durante le vacanze, Elkann risponde che il lavoro gli piace, che non lo fa solo per guadagnare. “Voglio che i miei figli capiscano, da come vivo, che cosa sia il lavoro e il mio modo di vivere”.
La Fiat è un’impresa in mano ad una famiglia e in questi dieci anni le imprese familiari italiane sono cresciute del 58%, mentre le altre del 48%. “Questo genere di imprese viene più apprezzato dalla Borsa – ha detto Elkann – perché sono più prudenti nel controllo del debito e nella gestione finanziaria. Il controllo familiare e la stabilità della proprietà permettono di prendere decisioni e realizzarle in tempi lunghi. I limiti? Quando il nepotismo prevale sul merito”.
Da ultimo l’Italia, le sue prospettive, le speranze di chi si affaccia per la prima volta sul mondo del lavoro. I giovani debbono guardare la realtà senza nascondersi nulla e chiarire a se stessi cosa vogliano fare. “Certo, sono importanti lo studio dell’inglese e gli stage all’estero ma la cosa più importante è dire a se stessi la verità e lasciarsi guidare dalle opportunità della vita”. Quanto al nostro Paese, secondo Elkann, l’Italia è un paese molto amato all’estero, ma deve aver chiaro quello che vuole e dove vuole andare. “La Fiat – ha esemplificato – ha un dialogo aperto con l’Italia. Vogliamo fare ancora auto in questo Paese. Ma l’Italia ha ancora voglia di produrre automobili e di permettere di investire a chi vuol farlo? Bisogna scegliere una strada e percorrerla, come in Brasile, dove la creazione di posti di lavoro ha tirato via gente dalla criminalità”. A proposito del Brasile, Elkann ha parlato della collaborazione, a Belo Horizonte, fra Avsi e Fiat: “Nella favela alla periferia della città, con gli scarti delle auto ci fanno delle borse, che sono in vendita anche qui al Meeting”.
Una testimonianza, quella dell’erede di casa Agnelli, che ha fatto dire a Scholz: “Avere alla Fiat una persona così sincera, sicura e lucida, lascia sperare bene per il nostro Paese”