DIVINA LITURGIA IN RITO BIZANTINO SLAVO

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Volti lieti, sguardi sereni, sorrisi: questi si vedevano sulle facce di quanti uscivano dalla chiesa di sant’Agostino, nel centro di Rimini, al termine della Divina Liturgia in rito bizantino slavo. “Il procedere della Divina Liturgia è come salire su una montagna in cima della quale si incontra Gesù Cristo. Come per una scalata, la cerimonia procede passo dopo passo con un ritmo costante nel dialogo tra il sacerdote, il diacono e il coro cui il popolo partecipa con tutto il corpo, inchinandosi facendosi il segno della Croce – ci insegna il concelebrante padre Rostislav Kolupaev, prete moscovita. Prosegue poi confidandosi: “è da tre anni che sono a Seriate, nella sede di Russia Cristiana, e nei primi tempi sentivo la nostalgia della liturgia bizantina più ampia e gloriosa di quella latina”.
Ha presieduto la Divina Liturgia un giovanissimo 88enne padre Romano Scalfi, fondatore di Russia Cristiana. Non va dimenticato il Coro di Russia Cristiana che ha reso possibile la liturgia, perché i riti bizantini non possono essere celebrati senza canti. I gesti, i canti, le preghiere e le letture coinvolgono la persona del fedele nella sua totalità, ragione e sensi, come anticipazione della partecipazione alla liturgia celeste. Nella chiesa, a sostituire l’iconostasi delle chiese bizantine, vi erano un’icona della Madre di Dio e una di Gesù Cristo.
Il formulario per questa santa Messa è quello scritto da san Giovanni Crisostomo nel IV secolo, portato nelle terre slave dai santi Cirillo e Metodio nel IX secolo. Abbondante l’uso dell’incenso con cui viene cosparso più volte anche il popolo, perché i fedeli con il Battesimo diventano fratelli di Gesù e quindi familiari di Dio, di conseguenza degni di essere omaggiati con il fumo sacro.
Padre Scalfi tiene l’omelia partendo dalla lettura del brano del Vangelo del “guai a voi”: “Gesù mette in guardia dai peccati, ma sono le Beatitudini quelle destinate al popolo cristiano perché il Salvatore è venuto per togliere il peccato, per salvarci visto che siamo noi stessi a condannarci. Ai cristiani è richiesto l’impegno di favorire l’unità, che viene da Gesù Cristo stesso, è Lui l’unità, noi possiamo solo favorirla, confidando e sperando nel Signore, come suggerisce la lettera di san Paolo. La battaglia per l’unità non è proporre una tecnica di concordia, ma il cambiamento del cuore che avviene con l’Eucaristia”.
Nella Divina Liturgia c’è un’invocazione che si ripete decine e decine di volte: “Gospodi pomilui” (Signore, pietà) che corrisponde al greco “Kyrie eleison” che anche la liturgia latina utilizza, ma con meno dovizia. L’invocazione ripetuta più e più volte mette il fedele nella posizione giusta di fronte alla potenza di Dio.
Tra canti e incenso, si giunge alla comunione che si riceve sotto le due specie: il sacerdote con un cucchiaino mette nelle bocca del fedele un pezzetto di pane imbevuto nel vino consacrato. E la fila dei comunicandi non finisce mai, tanto che pane e vino consacrati non bastano e gli ultimi si sono comunicati con la semplice particola, secondo il rito latino. Uomini, donne, ragazzi (quanti ragazzi!) hanno partecipato al rito con attenzione, partecipazione e devozione, aiutandosi con il libretto realizzato all’occorrenza.
La Divina Liturgia si è conclusa con il bacio del crocifisso e alla fine tutti a salutare padre Scalfi in forma come non mai. Al prossimo anno!

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