L’ultimo appuntamento a ‘Un caffè con…’ di questo Meeting è insieme a don Vincenzo Passarelli, insegnante di religione in due licei a Bologna, arrivato a Rimini insieme a tre suoi studenti: David, Davide e Giulia, e a due profughi dal Mali, Youlsa e Asahi. “Entrando nella quinta al liceo scientifico avevo chiesto: ‘Quali sono le notizie che vi colpiscono di più in questi giorni?’. ‘L’arrivo dei barconi con i profughi’. Mi accorsi, però, che per loro la questione era astratta, non li riguardava. Invece li incontravano tutti i giorni fuori da scuola, sotto i portici”. Una studentessa espresse il suo grande punto interrogativo: “Prof, io abito a dieci metri da un centro di accoglienza, li vedo tutti i giorni…”. Don Vincenzo le propone: “Pensaci, se ci stai li andiamo a conoscere. È cominciata così”.
Giovanni Lucertini, volontario, modera questo dialogo nello spazio a fianco la mostra ‘Migranti, la sfida dell’incontro’ in A1. Chiede agli studenti di raccontare la propria esperienza. David rompe il ghiaccio: “Al primo incontro con gli stranieri di Villa Pallavicini, la struttura che li ospita, sono caduti subito tutti i muri che avevo costruito. I mass media ne parlano in termini di cifre: il numero di chi si salva, quanti non ce la fanno. Invece quando si incontra una persona è un mondo”. Anche Davide voleva vedere di persona che non fossero numeri, ma persone: “L’incontro mi ha riempito. Continuo a fare per loro lezioni di italiano, a Villa Pallavicini. Esco che sono l’uomo più felice della terra”.
Youlsa ha 28 anni e proviene dal Mali: “Per me l’incontro con loro è iniziato all’improvviso”. È scosso, ha appena visitato la mostra. “Quando sono stato raccolto dal mare è stata una rinascita – dice commuovendo chi ascolta – con loro un’altra rinascita. Nessuno prima di quel momento mi aveva chiesto se avessi dei desideri, cosa volevo fare in futuro”. Il viaggio è stato un’odissea, arrivato in Italia il desiderio era quello di avere i documenti in regola: “Dopo i documenti c’è stato un altro desiderio – prosegue – quando me lo hanno chiesto ho risposto: ‘Voglio studiare’. Il loro liceo è diventato un’altra famiglia”.
Anche Demba è nato 28 anni fa in Mali: “Nel Sud”, precisa. Racconta il suo viaggio dalla Libia: “Sono salito su un gommone ma era forato, con la nostra maglietta raccoglievamo l’acqua che imbarcavamo e la buttavamo fuori”. Arriva in Sicilia, viene trasferito a Bologna. “Nel Mali quando ci si incontra per strada ci si saluta sempre. Qui no, solo se ci si conosce. Ho fatto fatica a capire questa cosa, adesso l’ho imparata. Sono molto felice perché quando incontro Davide e lo saluto lui mi presenta ai suoi amici, dice: ‘È il mio amico Demba’”. Quando Davide poi racconta agli amici di come si sono conosciuti “mi dicono ‘allora l’anno prossimo vengo anch’io con te’, e io prego per questo”.
L’incontro con i ragazzi del liceo ha fatto scoprire agli ospiti di Villa Pallavicini che erano portatori non solo di doveri ma anche di diritti, per il semplice fatto di esserci: “Abbiamo creato l’associazione Asahi – spiega Youlsa – con codice fiscale, il suo presidente è qui, si chiama Dante Kissima. Condividiamo la nostra esperienza, ci aiutiamo scambiandoci informazioni per esempio sul disbrigo delle pratiche burocratiche”. Hanno creato un gruppo su WhatsApp: una chat di quattrocento iscritti. “Appena è successo il terremoto abbiamo invitato chi tra noi si trova nei pressi delle zone colpite ad andare e aiutare”. L’incontro con gli studenti li ha spalancati al mondo.
“È nata un’amicizia – conferma David – Una volta alla settimana vado ad aiutare Youlsa a studiare per entrare nella facoltà di Ingegneria. Adesso conosco le loro storie, i dettagli legali, tutto è più interessante per me. Incontrarli è stata una ricchezza per me e anch’io lo sono per loro”.
Davide aggiunge: “Per me è una grande sfida. Nient’altro può darmi il piacere che provo quando ridono a una mia battuta. Credo che anche loro siano molto felici”. Per Giulia è stata una novità: “Credevo fossero diversi da me. Siamo uguali. Hanno tanto da dare a me e io a loro”. Commenta don Vincenzo Passarelli: “È un’accoglienza reciproca. Accogliere è complicato per tutti: sul lavoro, in famiglia, tra amici”. Il sacerdote cerca di preparare i profughi al mondo del lavoro: “Ho chiesto a Demba: ‘Cosa vorresti fare?’, mi ha risposto: ‘Il meccanico’. Allora ho cercato dove potesse andare a imparare e qui ho trovato un amico che può insegnargli. Incontrandoci inizia un movimento che cambia le nostre vite”.
(D.T.)