Nel libro L’Atlantide rossa. Alla fine del comunismo in Europa (ed. Lindau), Luigi Geninazzi (giornalista e scrittore) ha concentrato l’esperienza della sua lunga frequentazione dei paesi del blocco sovietico, iniziata negli anni Ottanta e culminata con la caduta del muro di Berlino. “Un giornalista intero, che sa suscitare domande”: così lo ha introdotto Roberto Fontolan (direttore del Centro internazionale di Comunione e Liberazione), amico e collega. Tra i tanti legami intessuti da Geninazzi in quel periodo difficile e rischioso, del tutto speciale è quello con la Polonia. L’enorme gratitudine di questo paese nei suoi confronti ha trovato voce anche al Meeting, nel saluto dell’ambasciatore polacco presso la Santa Sede, presente in sala.
Il libro narra la grande epopea dei ‘dieci anni che sconvolsero il mondo’: mentre l’occidente percepì la caduta del comunismo come un collasso improvviso dalle radici indecifrabili, Geninazzi ha affinato nel tempo gli strumenti per comprendere gli eventi. Ma perché evocare Atlantide? Si scava in un continente perduto, oppure quella stagione è ancora attuale? “È un libro sul passato – chiarisce Geninazzi – che però ci fa interrogare sul presente”. Non c’è nostalgia per quell’Est, ma per come erano gli uomini di allora: in quegli anni popoli interi si sono messi in movimento per gridare la loro voglia di libertà, in un modo che – confessa l’autore- “mi sconvolse e quindi mi coinvolse, perché solo lo stupore conosce”. Si ribellavano senza odiare, hanno conquistato la libertà perché avevano il cuore libero. Si trattò, come disse Havel, di un miracolo dovuto alla fede di grandi uomini. Neppure la fanta-politica avrebbe potuto immaginare il crollo del muro! Quella gente, senza rompere neanche un vetro, era lì a dire ‘noi siamo il popolo, vogliamo essere liberi’: anche nei momenti più duri, scorrendo come un fiume carsico (durante ad es. la messa al bando di Solidarnosc).
Nel fiume, figure di uomini di una pasta eccezionale: Havel, che doveva nascondere i suoi scritti dietro le cortecce degli alberi, eppure non cessava di chiedere dello strano prete (don Francesco Ricci) che aveva pubblicato in Italia ‘Il potere dei senza potere’; il grande teologo Zverina, che in prigione scriveva i suoi saggi sui rotoli di carta igienica. E naturalmente papa Wojtyla, che vedeva nel comunismo un gigante dai piedi d’argilla prossimo a cadere, perché fondato sulla menzogna. Quando le persone hanno capito cosa volevano davvero, unite dal desiderio di verità e di un’umanità più grande, si sono mosse!
Forse è questa – riflette Geninazzi – la differenza tra quegli avvenimenti e i movimenti popolari di oggi: i ragazzi egiziani sono legati da internet, ma non per questo è nata una coscienza civile. Che desiderio li spinge? Dove sono i loro Walesa, i loro Havel? E conclude raccontando un fatto del 1988: in Lituania, dovendo intervistare una suora clandestina, trovò come unico interprete un vecchio che parlava un perfetto italiano. “Dove lo hai imparato? – gli chiese. “Ho letto tutto Dante in venti anni di Gulag”. Ecco la forza del desiderio, senza la quale i migliori strumenti non servono a nulla.
(A.D.P.)