A confronto sul tema “cosa c’è di umano nella tecnologia”
Il ciclo di incontri “What’s Human About Technology” è giunto con quello di oggi al suo quinto incontro ufficiale. Il dibattito si è svolto all’interno dello spazio “What?”, dedicato all’approfondimento del rapporto tra tecnologie e l’uomo che le governa. Luca Sangiorgi, laureato in medicina e chirurgia e Responsabile di Genetica medica – Malattie rare ortopediche all’Istituto ortopedico Rizzoli (Ior) e Andrea Simoncini Professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Firenze hanno parlato della prorompente diffusione delle tecnologie nell’epoca contemporanea e degli effetti che queste comportano sull’uomo. Un accento particolare è stato posto sulla questione del trattamento dei dati digitali.
Sangiorgi ha esordito mettendo subito in chiaro che nel mondo della medicina la quantità dei dati digitali per quanto in crescita è piuttosto limitata rispetto al mondo scientifico. “Noi viaggiamo nel regime dei terabyte di informazioni archiviate”. Il genetista di fronte alla complessa varietà con cui le varie fonti producono i loro dati afferma: “Ognuno chiami bianco quel che è bianco, altrimenti i dati clinici non possono essere veritieri. Se non si mettono assieme criteri nel modo più omogeneo possibile non si tira fuori un ragno dal buco”. È il problema del ‘interoperabilità’ del dato, ovvero la possibilità di analizzare dati da varie fonti in modo conforme ad altri centri medici. In conclusione per il ricercatore non è tanto importante avere una grande quantità ma avere buone domande sui dati, ovvero buone ipotesi da verificare e da cui è possibile estrarre informazioni.
Simoncini, ispirandosi all’enciclica Laudato Si’ di papa Francesco, ha messo a fuoco l’ambivalenza della tecnologia che da un lato ha risolto molti mali che hanno danneggiato il genere umano, dall’altro ha posto un rischio legato al potere di chi la detiene. Tra gli esempi il giurista individua la quantità di dati personali che si possono dedurre dalla tracciabilità degli utenti del web. È qui che i “potenti” possono utilizzare i dati acquisiti a discapito dei proprietari. Il professore ha citato uno studio in cui persone comuni hanno cercato di individuare le caratteristiche di una persona dai likes ricevuti da altri utenti Facebook. Tra i dati sorprendenti di questa statistica emerge quello della voce “democratico o repubblicano” in cui ben 85% del campione ha indovinato. Il docente conclude: “La tecnologia ha queste due facce. D’altronde non possiamo impedire lo sviluppo dei ‘big data’. Che fare allora? L’unico modo per rendere migliore internet è rendere migliori gli ‘internet users’.
Alla domanda di uno studente di informatica sulla possibilità di prevenzione da parte della legge di uno sconveniente trattamento dei dati personali Simoncini risponde che la legge per sua natura è successiva agli eventi: ad oggi la legge impone solo di chiedere il consenso per utilizzare i dati personali degli utenti. Poi chiede rivolto all’audience “Chi di voi ha letto le condizioni generali del contratto di Google?” Solo un ragazzo alza la mano. “Se voi date il consenso date il permesso di trattare i vostri dati, ma se non lo date non avrete più gmail, youtube, insomma, siete fatti fuori!” Dunque, conclude: “Dobbiamo cominciare a sviluppare delle forme di garanzia e tutela dei dati personali”. Questo, secondo il professore, può avvenire solo attraverso chi le leggi le fa: i politici.
“Nel campo sanitario – aggiunge Sangiorgi – consiglio di leggere la formula del consenso perché è rivedibile. Voi potete dire di sì ed ad un certo punto dire anche di no! Questo può essere molto utile”. Negli Stati Uniti, spiega il relatore, alcune company, dati clinici alla mano, decidono di non assumere le persone che hanno una significativa probabilità di contrarre un tumore.