Hasanović: “Gli atti atroci commessi in nome dell’Islam colpiscono noi per primi insieme alle persone innocenti”
Aziz Hasanović, con il copricapo cilindrico bianco e porpora è immediatamente individuabile. Il Gran Muftì di Croazia è un’autorità riconosciuta dallo Stato e dai Governi del mondo, portatore di un modello, quello croato, di convivenza tra musulmani e cristiani. Roberto Fontolan, direttore del Centro internazionale di CL e moderatore dell’incontro, ne racconta la vicenda personale: “Il dottor Hasanović si è trasferito in Croazia da Srebrenica dove ha avuto 38 membri della famiglia sterminati”. Nel suo intervento Wael Farouq, Docente di Lingua e Letteratura Araba, dirà: “Gli ho chiesto: ‘Dopo quello che le è accaduto come può andare avanti con la certezza che al cuore di ogni uomo c’è una bellezza?’. ‘Perché non dimentico’, mi ha risposto”.
Hasanović si alza quando viene presentato, saluta e ringrazia così: “Gentilissimi fratelli, organizzatori, ospiti e amici. Buongiorno”. Viene subito in mente papa Francesco, lo stesso tono semplice. A confermare questa comunanza appare nel maxischermo una foto: è stata scattata sul sagrato a San Pietro, il Papa e il Gran Muftì di Croazia si incontrano. “Il dramma è la forza che si dà alla religione come fonte di legittimità della violenza – esordisce Hasanović – e le persone che usano la religione per giustificare le guerre. Le stragi colpiscono noi per primi insieme alle persone innocenti che muoiono”. Le atrocità le commettono persone che ingiustamente si definiscono musulmani. “Come si permette a una minoranza – chiede – di creare terrore e attribuirlo all’Islam, che è una religione di pace?”. Chiarisce la differenze tra Islam e musulmani, fra teoria e pratica. Poi accusa i media che alimentano il pregiudizio per cui “qualunque cosa facciano i musulmani si crede che lo facciano per la loro religione. C’è uno spargimento di sangue, è ad opera di un musulmano, automaticamente diventa terrorista. Se appartenesse a un’altra religione si cercherebbero altre ragioni”. Ricorda i fatti di Nizza, l’omicidio del sacerdote Jacques Hamel a Rouen: “Una persona normale può fare una cosa del genere?”.
Ciò è dovuto a un’ignoranza da cui va preservata tutta l’umanità: “La persona è condizionata dal contesto in cui cresce, alcuni musulmani rifiutano costumi credendoli contrari al proprio credo, riducono la religione invece di viverla pienamente e questo porta a un’introversione. L’Islam vieta solo i costumi che contraddicono la religione e molti sono incapaci di vivere l’anima e il tempo in cui si trovano”. Quale Islam allora in Europa? “Il problema è chi per ignoranza contraddice l’Islam. Occorre un’istruzione basata su programmi religiosi accettati dal Governo”.
Sugli schermi va veloce un video, sono testimonianze di integrazione. Come quella di Abdoul: vuole ritornare in Senegal dove ha i suoi bambini, la mamma, la moglie: quando ha bisogno chiama Marco, l’amico incontrato in Italia. C’è l’Imam della comunità musulmana di Pesaro e Urbino, Hicham Rachdi, che prende spunto dalla mostra su Abramo presentata al Meeting 2015: “La fede non è per imporsi ma per dire che siamo tutti figli di Dio”. Quella di Ennaij, detenuto al carcere di Padova che parla veloce e sembra non gli bastino le parole per ringraziare: “Qui ho incontrato gente che ti sostiene moralmente, ti aiutano, ti confortano, si prendono cura di te, ti aiutano, ti aiutano”.
Wael Farouq interviene “grato per il Meeting dove vedo una proposta. Il mondo è diviso tra chi condanna e chi dice ‘ma che te ne importa’. Qui si cerca, con la certezza di trovare un bene e un bene per me”. Si commuove parlando di Abdoul, le cui immagini sono appena passate nel video: “Ha potuto chiamare qualcuno, ha chiamato Marco. A cosa ci si integra? L’integrazione è una possibilità quando c’è Marco. Questa è la proposta che manca. E sono anche commosso per il dottor Hasanović che è andato in 18 paesi musulmani chiedendo di dare ai cristiani gli stessi diritti dei musulmani e che l’anno scorso, davanti a 57 rappresentanti di paesi islamici ha detto che dobbiamo seguire il modello di papa Francesco”. L’Islam fatto da un miliardo e 500mila persone diventa per Farouq “un miliardo e 500mila possibilità di incontri, una sfida a far tornare la persona al centro della nostra attenzione. L’Islam è il dottor Hasanović che è andato a dire di papa Francesco a 57 rappresentanti di paesi musulmani”.
Occorre che la persona resti più importante della tradizione altrimenti è subito ideologia: “Come quando la forma dell’amore diventa più importante della persona”. Farouq spiega l’assenza dei musulmani dalla scena politica e sociale italiana: “Vengono da paesi dove regnano dittature. Questa assenza non ha a che fare con la modernità”. Quale Europa, si chiede, quale cultura? “Viviamo nella cultura del nulla. Provate a chiedere a qualcuno cosa significhi libertà. La risposta sarà quella di Caino dopo aver ucciso il fratello: a me che importa? I grandi valori occidentali sono stati svuotati del loro significato. Sono occidentali quelli che acquistano petrolio dall’Isis, che gli vendono le armi: sono i Caino, dicono a me che importa?”. “Invece – conclude Farouq – il cuore pulsante è alla ricerca dell’amore e l’amore è la condizione della fede”.
A conclusione dell’incontro Fontolan ritorna sul modello croato di integrazione, formato da due soggetti stabili: lo Stato e il soggetto religioso, “entrambi con un desiderio certo di convivenza. In Europa abbiamo visto il fallimento del modello francese, di quello inglese. Guardiamo, studiamo il modello croato, totalmente europeo. La possibilità di vivere insieme esiste”.