Giustizia e separazione dei poteri

Press Meeting

“Don Luigi Giussani ci ricordava che la giustizia è un’esigenza iscritta nel cuore dell’uomo. Parlare di giustizia è perciò parlare della persona. Il lavoro degli operatori di giustizia, apparentemente duro e insensibile, significa invece confrontarsi ogni giorno con quel ‘tu’ che è al centro del titolo del Meeting di quest’anno”. Con questa riflessione l’avvocato Paolo Tosoni ha aperto un incontro in cui la questione della responsabilità di chi fa le leggi è stata posta al rappresentante della magistratura giudicante, il Primo Presidente della Corte suprema di Cassazione Giovanni Canzio, e a Giovanni Legnini, Vice Presidente del Consiglio superiore della Magistratura, organo di autogoverno della stessa.

Canzio ha sottolineato la particolare difficoltà che in questo momento storico la magistratura riscontra nel guadagnare la fiducia dei cittadini e ha proposto di cercare la soluzione nella Costituzione. “Oggi sembra un ossimoro quanto sancito dall’articolo 101, che “la giustizia è amministrata in nome del popolo” e “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”. In realtà esso ricorda che la legge non deve essere condizionata da alcunché proprio perché è diretta espressione della volontà popolare, attraverso i rappresentanti parlamentari. Infatti l’esercizio della giustizia altro non è che la risposta che un giudice è chiamato a dare al bisogno di un cittadino. Ma nel far ciò oggi il giudice deve muoversi in un labirinto di fonti, locali, nazionali, internazionali: il suo compito diviene inevitabilmente creativo, nel senso di una semplificazione e chiarificazione della volontà del legislatore”.

Tosoni ha rilevato come questo aumento dello spazio della giurisdizione abbia aumentato anche i doveri della magistratura, traducendosi, nell’ultimo ventennio, in un frequente conflitto con il potere politico che ha bloccato il paese. L’esigenza di un’indipendenza delle due sfere è stata ribadita da Legnini, che ne ha individuato la garanzia nella stessa composizione del Csm. “I costituenti italiani hanno voluto che in quest’organo vi fossero togati – della magistratura giudicante e requirente – e componenti eletti dal Parlamento. Potremmo dire che l’abbiano creato in base a un principio oggi quanto mai importante: quell’incontro col “tu” la cui centralità è stata ultimamente indicata da don Carrón”. Perciò, ha ammesso il vice presidente, “è fondamentale che il Csm non si chiuda in se stesso, prescindendo dalla volontà popolare: in tale direzione abbiamo avviato un processo di autoriforma integrale”. Altrettanto importante è che esso resti faro nella separazione dei poteri. “Io penso”, ha affermato Legnini, “che dobbiamo sempre più parlare di giustizia “e” separazione dei poteri mettendo non la congiunzione ma il verbo “essere”. Come ha ricordato Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, “in termini giuridici sono disciplinati i rapporti fra semplici cittadini e funzionari. Ciò costituisce un elemento di garanzia a favore dei cittadini nell’esercizio dei loro diritti e nell’adempimento dei loro doveri”.

Se i poteri non devono indebolirsi ma rafforzarsi l’un l’altro, è necessario – ha sottolineato Tosoni – capire dove debba fermarsi la funzione interpretativa del magistrato. Canzio ha testimoniato, infatti, che la libertà insita nel compito giudicante può diventare pericolosa, o delegittimante, se non si comprende che l’indipendenza della magistratura non consiste in un privilegio, ma nell’assicurare giustizia ai cittadini. “Questa indipendenza”, ha precisato, “deve tradursi in una nuova professionalità, adeguata alla complessità del mondo attuale. Il magistrato deve fare i conti con il mondo dell’economia, delle scienze, delle religioni, cioè andare a scuola continuamente. Soprattutto, deve ricordare che, nel rispondere al ‘tu’ che gli chiede di soddisfare il suo bisogno, deve usare solidarietà, e quindi sottostare a un’etica del limite, del dubbio nell’esercitare il suo potere. È molto importante, infine, che impari ad essere il più chiaro e semplice possibile”.

Tosoni ha chiesto, infine, ai due relatori un giudizio sulla scottante questione del rapporto tra giustizia e mezzi di informazione, spesso negli ultimi anni distorto fino a generare processi mediatici e giudizi sommari, espressione di inciviltà evidentemente dannosa per la collettività.

Legnini ha individuato la possibile soluzione al problema proprio nella semplicità di comunicazione invocata da Canzio. Se è vero che gli organi di giustizia europei hanno recentemente ribadito la necessità della trasparenza informativa della giurisdizione, il criterio di semplicità può evitare la diffusione di notizie tendenziose: “Ciò che è necessario deve entrare nel fascicolo di indagine e le intercettazioni sono necessarie, ma ciò che non è rilevante, la vita privata, va tenuto da parte: non si può fare giustizia violando un altro diritto”. Secondo il vice presidente del Csm, “se gli organi giuridici faranno bene il loro lavoro, la politica non avrà modo di chiedere una limitazione dei loro strumenti”.

“Il problema è la comunicazione”, ha confermato Canzio, “la giustizia mediatica è un arretramento di civiltà enorme, che lede la democrazia del nostro paese. In questo modo si delocalizza e detemporalizza il processo, e vengono rovesciati due principi fondamentali: quello della valutazione delle prove e quello della presunzione di innocenza. Ad esserne inficiata è la stessa credibilità della giustizia italiana, e ad essere in pericolo è la sua indipendenza”. Per il presidente della Corte suprema di Cassazione origine di tale distorsione è nella forbice troppo ampia tra tempi dell’indagine e tempi del processo, che andrebbero razionalizzati e accorciati. “Per salvaguardare l’indipendenza dei giudici”, ha concluso, “va comunque tutelata quella delle procure. Sono contro la separazione delle carriere, almeno a patto che il Pm abbia la capacità di proiettarsi fuori da sé e partecipare col giudice alla logica della giurisdizione verso un risultato di giustizia. La separazione delle carriere farebbe, invece, arretrare la magistratura inquirente in logiche sempre più autoreferenziali e opportunistiche. Occorre, perciò una forte professionalità improntata all’etica del limite”.

“Bisogna chiudere il conflitto che da 25 anni separa politica e magistratura”, ha concluso Legnini, “e per far ciò ognuno deve impugnare i suoi strumenti. Una parte della magistratura deve superare l’idea che le spetti una funzione etica e moralizzatrice. Come ha affermato il presidente della Repubblica Mattarella, “I provvedimenti adottati dalla magistratura incidono, oltre che sulle persone, sulla realtà sociale. Per questo l’intervento della magistratura non è mai privo di conseguenze, la cui valutazione non può essere intesa in alcun modo come un freno o un limite all’azione giudiziaria. È, comunque, compito del magistrato scegliere, in base alla propria capacità professionale, fra le varie opzioni consentite, quella che, con ragionevolezza, nella corretta applicazione della norma, comporta minori sacrifici per i valori, i diritti e gli interessi coinvolti”.

Scarica