L’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi e la Chiesa italiana dopo il convegno di Firenze
Si apre con una preghiera per le persone e le famiglie colpite dal sisma l’incontro di questa mattina alle ore 11.15 con Monsignor Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna. La Sala Illumia B1 si riempie di silenzio. Don Matteo, così ama farsi chiamare. Basta guardarlo per capire che è un uomo di Dio. Si muove con quella semplicità e baldanza dei poveri in spirito, di coloro che hanno come unica forza il seguire. Davide Perillo, direttore della rivista Tracce, chiarisce le ragioni dell’invito: “Siamo grati della sua presenza e l’abbiamo invitato perché vogliamo imparare da lui. Al convegno di Firenze, il Papa fu potentissimo invitando tutta la Chiesa a guardare il volto di Cristo, indicando come virtù l’umiltà, il disinteresse e la beatitudine, mettendo in guardia da due pericoli: il pelagianesimo e lo gnosticismo”. Perillo, terminando la propria introduzione, domanda quindi al vescovo: “Cosa chiede il Papa alla Chiesa?”.
Monsignor Zuppi inizia il suo discorso concentrando l’attenzione sul titolo del Meeting che, evidentemente, gli è piaciuto molto: “Senza il tu restiamo prigionieri dell’io, diventiamo preda del relativismo pratico che diventa idolatria. Crediamo di essere padroni di noi stessi riducendoci a un’isola e cancellando il trascendente”. Così facendo, rammenta Zuppi, “dimentichiamo che solo nella relazione l’io trova se stesso”. L’arcivescovo concentra, poi, la propria attenzione sulla parola “bene”: “Sembra quasi una parola ingenua, e lo sarebbe, se non comprendessimo che la troviamo solo guardando il mondo e gli uomini con gli occhi della misericordia”.
Il presule offre, citando Papa Francesco, un’immagine della misericordia come un collirio che permette di vedere bene la realtà, ci libera dalla diffidenza, dalla tentazione di fermarci alla pagliuzza e permette il rapporto con un tu reale per scoprire che porta con sé un bene.
Subito dopo il vescovo affronta la questione della ricostruzione in un’epoca in cui i responsabili della distruzione non sono ben chiari: “Ci hanno rubato la speranza di credere nel bene”. “La Chiesa deve esercitare il proprio ruolo per esercitare la ricostruzione: è necessario che i cristiani non si accontentino di una misericordia al ribasso, devono ritrovare il volto di Cristo in tutta la sua intensità. La Chiesa è una madre che aspetta davanti alla porta i suoi figli”.
La strada è ben tracciata: “La vera questione non è una disciplina interna o un metodo da acquisire, ma la commozione di Gesù di fronte alle folle. Quando avvertiamo questo sentimento di fronte alle tante domande, alle difficoltà, alla confusione in cui vivono i nostri fratelli, troviamo la motivazione che ci serve per scegliere la via della misericordia. Non è qualcosa che sperimentiamo in laboratorio, si tratta di guardare con gli occhi della misericordia”.
La platea è attenta e conquistata. Il vescovo alterna affermazioni serie a battute acute ma mai sarcastiche, suscitando applausi e talvolta ilarità: “Siamo tentati di affidare l’efficacia della testimonianza a discorsi teologici perfetti invece di metterci con simpatia in cammino con l’altro – prosegue il monsignore romano – ma chi di noi ha fatto l’incontro con un discorso teologico? Noi in quel momento abbiamo solo capito che avevamo di fronte qualcuno che ci voleva bene”.
Zuppi ricorda che Papa Francesco il 15 febbraio dell’anno scorso invitò i cardinali a non avere la preoccupazione di proteggere i sani, bensì di curare i malati, essendo questo l’unico vero modo di proteggere anche tutti gli altri. Ciò toglie ai sani la paura e restituisce loro un fratello, un tu.
Sul finire del suo intervento l’arcivescovo di Bologna offre una rilettura delle tre virtù indicate da Papa Francesco nell’intervento a Firenze: “L’umiltà è saper non ridurre il Vangelo a una lezione; esso è il primo sole dell’amore; il disinteresse permette di far capire senza dire nulla mentre la beatitudine è quella gioia generata dalla coscienza di aver trovato un tu”.
Usa termini cari al popolo del Meeting il monsignore e commosso rievoca lo storico intervento del 1998 di don Giussani di fronte a san Giovanni Paolo II: “Il Mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia. Per cui l’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”. “Io vedo nel Meeting un attuazione delle indicazioni del convegno di Firenze – conclude l’Arcivescovo – Per questo sono grato di essere stato con voi”.