What’s Human About Technology
Due giovani ricercatori in robotica presso l’Istituto Italiano di Tecnologia sono stati ospiti dello spazio ‘What’s Human About Technology’, per discutere delle conquiste della disciplina e della loro complessa ma fondamentale interazione con l’uomo.
Alessandro Vato ha proposto di partire proprio da uno degli interrogativi lanciati nello stand WHAT: ‘Robot, androidi, cyborg … E io? E tu?’: “Questi termini ci evocano una fantascienza filmica: in realtà sono conquiste tecnologiche sempre più reali. I robot sono macchine aziendali, gli androidi hanno fattezze umane, i cyborg sono esseri umani con supporti artificiali – dunque lo è chiunque, in seguito ad un deficit, si serva di una protesi meccanica. C’è dunque un netto cambiamento nella funzione della tecnologia: prima l’uomo ne era l’utilizzatore, ora la tecnologia entra in maniera invasiva nel corpo umano”. Sorge, allora, la seconda parte del quesito: come la persona, l’ ‘io’, il ‘tu’, entrano in rapporto con la loro ‘parte meccanica’? “La ricerca ci consente, ormai, di impiantare chip finanche nel cervello, e presto in pianta stabile; si potrebbe arrivare alla creazione di intelligenze artificiali; sono avviati programmi per riprodurre le funzioni cerebrali umane al pc. L’eterna domanda sull’identità umana deve oggi interfacciarsi con questo nuovo ambiente”.
Arash Ajoudani ha mostrato, direttamente ed in video, prodotti creati dal suo gruppo di ricerca, tra cui una mano robotica e un esoscheletro: “Rispetto alla rigidità di quelli industriali, siamo riusciti a conferire ai nostri robot elasticità e controllo della forza, proprio grazie all’interazione, tramite sensori e anche a distanza, con l’uomo, da cui la macchina ‘impara’ il movimento e l’intenzionalità”. Una delle più recenti conquiste è Walk-Man, un robot che possiede la funzionalità per prestare soccorsi in caso di disastri. “A chi mi chiede a cosa servono i robot, se ci ruberanno il lavoro”, ha spiegato, “rispondo sempre che essi ci miglioreranno la vita”.
Numerose domande sono state poste dal pubblico, molto interessato ai benefici medici di questo tipo di tecnologia. “Sicuramente”, ha affermato Vato, “tecniche come la ‘deep brain stimulation’- inserzione di elettrodi nel cervello per fermare i tremori del Parkinson – o esoscheletri per paraplegici e tetraplegici guidati dalla registrazione di segnali celebrali possono dare ottimi risultati, ma i dispositivi vanno resi molto meno pesanti e invasivi”. “La soft robotic, nostro campo di indagine”, ha aggiunto Ajoudani, “ha raggiunto ottimi risultati nella delicatezza ed elasticità del movimento dell’automa, ma per raggiungere prestazioni ottimali dovremo studiare a fondo proprio come riprodurre la complessità del pensiero umano nel considerare tutti i fattori di una decisione e nel reagire anche alle incertezze di movimento altrui”. “Ovviamente”, ha concluso Vato, “quando parliamo di tecnologia non possiamo mai sapere che direzione si prenderà, né a breve né, quindi, a lungo termine. La vittoria che per ora possiamo ottenere è nella collaborazione tra la tecnologia e altre discipline mediche, come la farmacologia e la neurochirurgia”.