L’aspettativa di vita per chi nasce oggi in Italia è di 80,6 anni per gli uomini e 85,1 per le donne. Ma il Belpaese è diventato il più vecchio d’Europa: entro il 2030 gli anziani saranno il 26,5% della popolazione. Il nuovo obiettivo del nostro sistema sanitario è fare vivere meglio e ancora più a lungo la fascia over 60 della popolazione. In quest’ottica, le vaccinazioni, da quelle antinfluenzali a quelle contro il pneumococco o l’herpes zoster, sono strumento essenziale di prevenzione. Eppure, il numero di chi vi ricorre è ancora troppo basso. La UE raccomanda di raggiungere almeno il 75% della popolazione e indica come ottimale la percentuale del 95% dei cittadini vaccinati. In Italia invece, prendendo a esempio l’influenza, gli anziani vaccinati sono solo il 49,9% del totale. Non va meglio per altre malattie come morbillo o tetano. Quest’ultimo ha causato 600 decessi negli ultimi 10 anni, con 405 dei casi rappresentati da donne sopra i cinquant’anni.
È quanto emerso ieri sera durante l’incontro “Non lasciamo indietro i malati e gli anziani: prospettive e sviluppi delle vaccinazioni nel sistema sanitario nazionale”, svoltosi nella Hall Sud Sala Neri. Dibattito a cui hanno partecipato Roberto Bernabei, presidente dell’Associazione Italia Longeva; Massimo Galli, vice presidente di SIMIT (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali); Raniero Guerra, direttore generale della Direzione della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute; Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. A moderare il panel, Luigi Cammi, responsabile del Progetto Meeting Salute.
L’apertura del convegno ha visto la relazione di Galli: «Il progresso nello sviluppo dei vaccini li ha resi utilizzabili anche nei confronti di persone soggette a patologie croniche, come cardiopatie, malattie virali, epatiche, neuropatie o cardiopatie». Mentre Ricciardi ha sottolineato i rischi della cattiva informazione e delle mancate vaccinazioni: «Negli ultimi due anni le notizie di anziani morti a causa dei vaccini antinfluenzali hanno ridotto il numero di chi li usa, anche se sono gratuiti. Notizie prive di ogni base scientifica. Passa, invece, sotto silenzio che lo scorso anno abbiamo avuto quasi 15mila decessi per le complicazioni create dalla malattia. E i numeri di chi si vaccina contro pneumococco e herpes zoster sono ancora più bassi. Se gli anziani li utilizzassero, avrebbero una vita migliore e un risparmio di costi in ricoveri e cure per il SSN, rispettivamente di 14 e 19 milioni di euro l’anno». A Guerra e Bernabei il compito di affrontare aspetti culturali e sociali del problema. Secondo i due esperti l’approccio del nostro SSN è e rimane universale. Garantisce a tutti il diritto a cura e salute. Ma mantenere stili di vita sani e sottoporsi alla vaccinazioni sono strumenti essenziali di prevenzione: «Un diritto/dovere per ogni cittadino».
Al termine delle relazioni sono andate in scena nella Hall Sud Sala Neri, inedite e inconsuete prove di dialogo tra mondo della medicina e quello “no vax”. Una cinquantina di aderenti al COMILVA, una delle organizzazioni che raccoglie le persone convinte di inutilità, pericoli e danni creati alla salute dai vaccini, hanno dialogato e posto domande ai quattro relatori del convegno. Al termine della discussione le posizioni sono rimaste, inevitabilmente, lontane. Fatto positivo l’apertura del dialogo. Di un confronto su fatti e evidenze scientifiche e non solo su pregiudizi o convinzioni personali.