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SPORT: DONNE E UOMINI CHE FANNO LA STORIA
Interviene Giovanni Malagò, Presidente del CONI. Partecipano: Sara Cardin, Karateka; Francesca Lollobrigida, Pattinatrice; Andrea Lucchetta, Campione mondiale di pallavolo; Francesco Marrai, Campione di vela. In occasione dell’incontro itervento di saluto di Giorgio Scarso, Vice Presidente del Coni, Presidente di Federscherma. Introduce Giovanni Gazzoli, Coordinatore della mostra “Enjoy the Game”; conduce e modera Giovanni Bruno, Direttore Responsabile Altri Sport di Sky.
Sport: uomini che fanno la storia
Lo sport che fa la storia
Trascrizione non rivista dai relatori
Ore: 15.00 Salone Intesa Sanpaolo A3
SPORT: DONNE E UOMINI CHE FANNO LA STORIA
Interviene Giovanni Malagò, Presidente del CONI. Partecipano: Sara Cardin, Karateka; Francesca Lollobrigida, Pattinatrice; Andrea Lucchetta, Campione mondiale di pallavolo; Francesco Marrai, Campione di vela. Introduce Giovanni Gazzoli, Coordinatore della mostra “Enjoy the Game”; conduce e modera Giovanni Bruno, Direttore Responsabile Altri Sport di Sky.
GIOVANNI GAZZOLI:
Buongiorno e benvenuti a tutti, vi ringrazio per essere qui. Gentile Presidente Malagò, cari Sara, Francesca, Andrea, Francesco e Giovanni, la vostra presenza qui oggi per noi è molto significativa e preziosa in quanto può aiutarci a dimostrare perché valga la pena parlare di sport. Nelson Mandela disse: «Lo sport ha il potere di cambiare il mondo, ha il potere di suscitare emozioni, di unire le persone come poche altre cose al mondo, parla ai giovani in un linguaggio che loro capiscono. Lo sport ha il potere di creare speranza dove c’è disperazione, è più potente dei governi nel rompere le barriere razziali, è capace di ridere in faccia a tutte le discriminazioni». Quale occasione migliore di questa del Meeting che attraverso la provocazione del suo titolo ci spinge a chiederci e ci ha spinto a chiederci, attraverso la mostra che vi abbiamo appena fatto vedere, cosa ci rende felici, e cosa c’entra lo sport con la ricerca della felicità? Una domanda ambiziosa che porta chi rischia nel voler rispondere a guardare con occhi positivi e colmi di bellezza tutto ciò che la riguarda. Un goal, un colpo spettacolare, quella sensazione di essere migliorati, una rivalità. Sono tutte occasioni per rispondere a questa domanda. Perché come direbbe Kobe Bryant: «C’è tanto altro dietro». Lo sport rende contagiosi, contagiosi di vita, contagiosi di felicità. Questi campioni sono innanzitutto contagiosi, non tanto perché vincono o perché sono famosi, quanto per come vivono la propria passione. Coltivare un talento, prendersene cura, farlo crescere e maturare significa innanzitutto amare se stessi, e questo vale per ognuno di noi, vale per qualsiasi passione o dono. Nello sport si può cambiare, migliorare, continuare ad essere competitivi solo se si è disposti al sacrificio, a non accontentarsi del proprio talento, al cambiamento, alla condivisione, all’umiltà. In una parola: ad essere uomini. Solo così, amando ciò che si ama fare, diventa possibile muovere la propria storia e quella di chi ci guarda. Lo sport c’entra con la vita di tutti i giorni o si riduce a una parentesi temporanea, che per quanto divertente non ha niente da dire nella quotidianità? I grandi campioni con le loro diversità e particolarità ci testimoniano, per citare San Giovanni Paolo II, «che l’atleta vero è colui che tra le righe del suo impegno, della sua passione, del suo successo, ha valori che fanno grande non solo l’atleta ma l’uomo stesso». Ecco perché fare sport, guardare lo sport e anche solo parlarne, come oggi, è una occasione di crescita, perché come dice David Foster Wallace: «Il genio non è riproducibile, l’ispirazione però è contagiosa e multiforme e anche soltanto vedere da vicino la potenza e l’aggressività resi vulnerabili dalla bellezza significa sentirsi ispirati e in un modo fugace, mortale, riconciliati». Grazie.
GIOVANNI BRUNO:
Grazie Giovanni, d’altra parte siamo tre Giovanni di fila e nessuno dei tre è campione. Lui è campione di un’altra grande specialità ma i veri campioni sono alla nostra sinistra e alla nostra destra. Cominciamo, perché il tema è veramente importante e divertente ed è bello da sentire come discorso, poi abbiamo preparato anche dei filmati che sono delle pubblicità oppure un filmato che ha preparato Andrea Lucchetta che è ancora più esplicativo per cercare di raccontare un po’ lo sport e soprattutto il tema, uomini e donne che fanno la storia dello sport. Non è una cosa semplice, possiamo starci tante ore, ma la realtà è che abbiamo un’ ora a disposizione, quindi cerchiamo di essere succinti. Francesca Lollobrigida, un nome, una garanzia, pattinatrice su ghiaccio, su terra, perché non c’è solo il ghiaccio. Ha cominciato con i pattini in linea, specialista delle mass start, poi ci spiegherà bene che cosa sono le mass start e le botte che si danno quando corrono. Sara Cardin, è la donna che da tanti anni ha sognato l’olimpiade, non l’ha mai fatta e la farà nel 2020 per il semplice fatto che la sua disciplina, il karate, entra per la prima volta nei giochi olimpici di Tokyo 2020. Un grande sogno che si realizza. Per un fatto di anzianità presento, anzi per un fatto di cresta, presento Andrea Lucchetta, è la pallavolo, è la famosa generazione dei grandi pallavolisti, quelli che hanno regalato veramente tantissimi allori alla nostra Italia. Gli manca soltanto una cosa, al di la dell’altra parte dei capelli, ma l’oro olimpico è quello che gli rode forse un po’ di più in assoluto, no?
ANDREA LUCCHETTA:
Ma sì, sicuramente sì. Intanto benvenuti, siete veramente numerosi, insieme alla possibilità di avere la vostra spiritualità, la vostra energia che sicuramente genererà un po’ di emozione, perché non è semplice essere qui a testimoniare quanto sia importante e pregnante avere uno sport pulito, limpido, che va verso delle nuove generazioni a cui personalmente tengo in maniera molto particolare.
GIOVANNI BRUNO:
Come avete notato oltre ad essere un grande pallavolista è anche un grande uomo di comunicazione. Tramite questa sua loquacità importante, vedremo anche dei simpatici filmati. Chiudo con uno degli sport in assoluto poco conosciuto, con poco risalto in televisione, ma quando ci sono grandi risultati ci sono anche grandi uomini dietro. Francesco Marrai, la vela. Una cosa bella è che lui prende il testimone da suo padre, Antonio, che è stato un uomo importante in una grande avventura nel 1987 che si chiamava, e si chiama tuttora, Azzurra. Forse ricorderete questo nome che ci ha fatto conoscere dagli anni ‘83 in poi la vela, la grande vela di grande comunicazione. Adesso, come si conviene, lascio la parola a Giovanni Malagò sul tema della nostra chiacchierata.
GIOVANNI MALAGÒ:
Ciao a tutti, innanzitutto ringrazio gli organizzatori del Meeting che mi hanno invitato, sono sempre molto felice di partecipare ad ogni iniziativa pubblica coinvolgendo gli atleti e le atlete. Su questo ho molto, non polemizzato, però ho avuto modo con molti colleghi che si occupano di sport, ovviamente parlo di dirigenti, di sottolineare quanto sia non fondamentale ma indispensabile la presenza delle atlete e degli atleti in qualsiasi incontro. Forse c’è stata anche un po’ di gelosia in passato. Parto sempre dal presupposto che può sembrare scontato, lo sport non esiste senza di loro, e questo è qualcosa che va sempre ricordato, anche nelle stanze dei poteri. Devo dire che su questo il nostro Paese sta lentamente, faticosamente procedendo verso un percorso innovatore perché, con il sottoscritto, sempre di più stanno acquisendo un peso “politico”, nell’ambito del nostro mondo. Poi al tavolo c’è Giovanni, Giovanni Bruno, ogni giorno parlo e incontro per lavoro, per circostanze, per quotidianità, molti giornalisti. Non sono un ruffiano, Giovanni lo sa bene, perché quando serve dico le cose con molta chiarezza, anche quelle scomode. Mi hanno fatto riflettere oggi queste voci popolari del calcio che, dopo decenni di servizio, devono ammainare bandiera in virtù di quelle che sono le nuove dinamiche sui diritti televisivi. Allora io vi dico che in assoluto Giovanni Bruno è la persona di questo mondo più competente a livello multidisciplinare. Sa tutto, ma soprattutto sa tutto degli sport minori, degli altri sport e questo penso sia un gran complimento. Del calcio sa abbastanza poco e penso che questo sia anche un motivo d’orgoglio che ogni tanto, però io gli sono grato perché per un lungo percorso, è passato dalla televisione pubblica, dirigeva Rai Sport, a Sky, ha sempre promosso il nostro mondo, che è poi il mondo di Sara, di Francesca, di Francesco, di Lucky. Lucchetta è un personaggio a prescindere, la pallavolo infatti fa un’audience importante, peraltro si comincia l’otto settembre, facciamo un po’ di promozione, campionato del mondo di pallavolo maschile, al Foro Italico prima partita Italia Giappone, alla presenza del Presidente della Repubblica, che ci onorerà con la sua presenza, per far capire quanto questo sport è importante nel nostro Paese, è in assoluto quello che ci ha dato le più grandi soddisfazioni tra gli sport di squadra, insieme alla pallanuoto. Lucky non ha vinto l’oro, ha vinto tutto.
Insieme a questi quattro atleti, vi invito, così come avete fatto molto affettuosamente nei nostri confronti, a salutare le persone che ci hanno accompagnato e sono presenti: un’altra grande pallavolista con una lunga storia di campionati italiani, di coppe europee e coppe dei campioni della pallavolo, Annamaria Marasi, che oggi è un pilastro di quello che è la parte del marketing, dell’olympic team all’interno del Comitato; un signore che è molto vicino ai temi di questo Meeting, una persona alla quale io sono affezionato e che stimo moltissimo, che rappresenta nella Giunta, che è il governo dello sport italiano, tutto il mondo degli enti di promozione. Viene dal mondo dei Salesiani, dal gruppo sportivo del mondo dei Salesiani, abbiamo con noi Giovanni Gallo, grazie Giovanni che sei con noi. Last but not least, un presidente, ma non è un presidente come gli altri. Innanzitutto è stato per quattro anni vicepresidente vicario del Coni, ma soprattutto è presidente di una federazione che da sempre è quella che ha vinto di più, ha vinto più ori, più argenti, più bronzi in tutte le competizioni, olimpiadi, mondiali europei e soprattutto quella che ci permette di pensare ancora il meglio, la scherma. Dovrei raccontarvi tante cose, quello che mi viene in mente di più importante, è che sempre di più lo sport è al centro dell’attenzione della gente, delle persone, dell’opinione pubblica. Io di questo ne sono molto felice. Anna che mi segue, mi conosce bene e che lavora con me, sa che io sono abituato da cinque anni ad andare una volta a settimana a parlare in una scuola o in un’università, qualunque esse siano, pubbliche o private. Più compatibilmente con quello che è la mia vita e la mia agenda, cerco sempre di essere presente ai dibattiti, alle conferenze, anche quelle nei posti più strani, più disparati perché lo sport si fa nel territorio, il Coni è territorio. Il Coni è diverso da tutti gli altri comitati olimpici del mondo, ho 206 colleghi, per questa stranissima conformazione che parte dal mondo degli enti di promozione e finisce a chi vince medaglie d’oro e chi rappresenta il mondo professionistico. Lo si è visto bene nella mostra: abbiamo Roger Federer, Valentino Rossi che sono due tra virgolette campioni di questo contesto, abbastanza diverso da quello che magari sono le attività sportive, non so, di Sara, di Francesca o di Francesco, perché fanno parte di un contesto che sono dei gruppi sportivi militari. Gli altri comitati olimpici non hanno questa caratteristica. Tutto questo parte da una incredibile storia, che probabilmente pochi sanno, salvo gli addetti ai lavori. Dopo la seconda guerra mondiale, il Governo costituente, inviò un commissario liquidatore, che praticamente doveva chiudere il Coni, doveva sbaraccare, nel vero senso della parola quello che era stata l’epopea del famoso ventennio fascista, e questa persona si chiamava Giulio Nesti. Giulio Nesti arrivò con questo intento, con questo proposito, con un preciso mandato. Invece si rese conto che era qualcosa di molto diverso. Sì, c’era il culto del superuomo, momenti storici che si vivevano, facilmente riscontrabile anche nelle architetture dell’epoca, piuttosto che nei dipinti e nelle immagini, però Nesti si rese conto che si faceva sport. Si faceva sport e anche in un modo importante, che all’interno della scuola c’era uno spazio. Lucky su questo probabilmente è molto più informato di me: puoi raccontare quelle che sono le nostre idee, quello che vorremmo essere in un sistema sportivo, come coprotagonista ovviamente all’interno dei programmi di formazione dei programmi didattici. Già nel ‘36, nella mostra si parla di Jesse Owens con le sue quattro medaglie d’oro, noi vincemmo la prima medaglia d’oro con Lina Valla, alla quale, la prima donna, abbiamo intitolato la palazzina all’interno dello spazio del Foro Italico che si chiamava Ostello della Gioventù, perché è un po’ il simbolo di quel mondo. Voi mi direte, ma dal 1896 al 1936 è possibile che non ci sia mai stata una donna? Noi siamo quinti nel medagliere di tutti i tempi, non è proprio così perché in realtà anche il Coni all’epoca si è evoluto, si è modernizzato, per cui le donne sono arrivate ventiquattro anni dopo quello che erano le organizzazioni delle olimpiadi moderne. Giulio Nesti fece una grande fatica, però vinse la sua battaglia, costruì e costituì un Coni più forte di tutti, proprio con questa formidabile poliedricità di interessi, dal mondo di base al mondo di vertice, dal territorio alle componenti tecniche. Noi gli siamo grati a vita, io gli sono grato a vita, penso che tutto il sistema sportivo gli deve esser grato. Grazie
GIOVANNI BRUNO:
Intanto il presidente ha già illustrato come è nato. Fondamentalmente la sicurezza dello sport e quindi la sicurezza dello sport vuol dire anche la prosecuzione per i risultati che stanno conseguendo gli atleti. Allora, per entrare un pochino nell’argomento, io ho preparato un filmato dedicato a un grande campione, perché questo introduce che cosa? Introduce una delle cose più complicate ovverosia il raggiungimento del risultato. E come si arriva a questo raggiungimento del risultato? Con un grandissimo, grandissimo lavoro tramite gli allenatori, tramite l’amor proprio, tramite tante cose. Però quello è l’obiettivo. L’obiettivo è il risultato. Allora neppure a farlo apposta, oggi, leggendo le pagine della Gazzetta, è uscito fuori quello che citava pure il presidente Malagò, i tanti record. Beh colui che ha il top in assoluto dei record si chiama Michael Phelps e quello che ho recuperato adesso è un filmato di una pubblicità, perché poi tramite la pubblicità si imparano tante cose, anche il taglio delle televisioni, e la realtà di questo filmato è che vi dimenticate di che cos’è il marchio, perché puntate gli occhi e la visuale su questo personaggio che fatica per arrivare ai risultati. Vediamo il filmato
VIDEO
Sono cinquanta secondi di pelle d’oca, si chiama Michael Phelps, 28 medaglie, di cui 23 d’oro ai giochi olimpici, non sto ad elencarvi che altro ha fatto come record del mondo, quello che ha combinato da tutte le parti; la realtà è che è l’uomo simbolo dei cinque cerchi. Questo filmato è stato fatto prima delle olimpiadi di Rio, quando lui si è rimesso nuovamente in gioco, proprio perché era distante ancora dal dire no. Adesso andiamo avanti con un piccolo dialogo, che comincerei con Francesca, perché Francesca ha partecipato alle olimpiadi di Pyeongchang, pattinaggio di velocità a pista lunga. Ci aspettavamo magari qualcosa di meglio, eccola la domanda, è un classico, però la realtà è quello che tu hai visto adesso in questo filmato, che vuol dire fatica, lavoro, rinunce, sacrificio. Cosa ha comportato dentro di te, quali sono stati i tuoi sacrifici, per arrivare comunque ai giochi olimpici?
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
Intanto buon pomeriggio a tutti. Dopo questo filmato, credo che ogni atleta sappia i sacrifici che ha fatto e ti rivedi proprio in queste emozioni. La cosa bella è che non riesci a dormire perché pensi, rifletti su cosa puoi fare di più per raggiungere il tuo obiettivo, ed è quello che anch’io ed ogni atleta, appena ci svegliamo, facciamo, pensiamo a quello che dobbiamo fare. La nostra è tutta una vita programmata e i sacrifici sono tanti ovviamente, però la voglia di arrivare sempre più in alto, è quella che ti da la motivazione, che ti spinge al sacrificio, che poi non lo vivi proprio come sacrificio, perché io non è che dico: ah ok adesso mi vado a sacrificare, no lo vivo con passione, mi diverto, ed è questo che mi fa andare avanti. L’arrabbiatura della medaglia persa, questa ci sta, ma…
GIOVANNI BRUNO:
Hai sentito forse troppa pressione addosso? Perché tante volte era uscito il tuo nome, soprattutto nella mass start, che vuol dire partire tutti quanti insieme..
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
Sì, guarda, dire di no sarebbe scontato e banale, la pressione c’è e me la sono messa anch’io, devo dire la verità, perché chi più di me voleva quella medaglia, quindi la pressione c’è stata ed è stato un gioco che io purtroppo non avevo calcolato e sono stati più intelligenti di me, quindi io ho imparato, perché si impara sempre dalle sconfitte e so che devo lavorare di più, devo sacrificarmi di più, devo essere più intelligente, in questi quattro anni ho tempo e devo migliorare in tutto.
GIOVANNI BRUNO:
Prima dicevi: che peccato non fare un olimpiade estiva, perché ti manca già la competizione con i cinque cerchi o no?
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
Si, io per me…
GIOVANNI BRUNO:
Considerate che Francesca può fare anche pattinaggio a rotelle, ha cominciato con quello in linea, quindi delle gare, delle competizioni ne fa, anche d’estate, non è che fa solo pattinaggio di velocità su ghiaccio.
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
No, dipendesse da me farei una gara ogni giorno, per me la giornata è proprio come una competizione o una gara, devo fare sempre meglio, anche quando per esempio sto al mare, non mi rilasso..
GIOVANNI BRUNO:
Lucky.
ANDREA LUCCHETTA:
È giusto così, perché nella vita degli atleti qualsiasi piccolo pezzo di attimo, è un piccolo pezzo di puzzle che poi lo si va a ricomporre in maniera simbiotica, energetica, prima e anche durante la gara. Non è un caso che Phelps segua questo cono di luce, è un cono di luce traente, che da energia e soprattutto ripaga da tantissimi sforzi. Nell’arco della giornata ognuno di noi sa quali sono i momenti in cui deve pensare esclusivamente a quei piccoli dettagli ed a quella precisione dell’ingresso in acqua delle dita e come mettere eventualmente quel mignolo per prendere un muro e deve essere talmente deciso e determinato a raggiungere quella perfezione, in funzione non solo del risultato personale. Per quanto mi riguarda, appartenendo ad uno sport di squadra, diventa ancora più importante, perché quello che io riesco a fare con questo attrezzo, attrezzo che è l’unico in grado di poter dare pressione, è proprio di cercare di fare tutto in funzione di regalare, e donare al compagno che verrà quest’oggetto per farlo giocare al meglio, con questo tipo di caratterizzazione.
GIOVANNI BRUNO:
Quanta energia hai messo in tutti i tuoi anni di carriera?
ANDREA LUCCHETTA:
Tantissima! Tantissime energie dentro il campo, anche perché le sprecavo in funzione soprattutto dei compagni, avendo avuto la fortuna di avere una formazione salesiana, che m’ha dato la possibilità di capire quanto sia importante la spiritualità all’interno del gruppo. Ero il capitano del gruppo dello spogliatoio, quindi cercavo di gestire al meglio la situazione di difficoltà all’interno della squadra e dello spogliatoio, e poi dopo, eventualmente, cercavo di prendere energie mentali, psichiche, fisiche e nervose che soprattutto per quanto mi riguarda condividevo soprattutto nella sconfitta. Hai parlato di sconfitta, la cosa che mi premeva tanto era quella veramente di parlare con i bambini, con i nostri ragazzi, con i tifosi, per far capire e comprendere quali erano i veri motivi della sconfitta, perché loro hanno giocato con noi la partita, noi ci abbiamo messo l’anima, loro c’hanno messo il tifo, il tifo quello vero, quello valoriale, hanno giocato con noi, quindi a maggior ragione rimanevo fermo nei palazzetti, con gli allenatori che mi urlavano dietro perché dovevo rientrare per poter parlare ed il capitano sa dire all’allenatore anche quando l’allenatore può parlare.
GIOVANNI BRUNO:
Vero! Giovanni, tu da quando hai cominciato il tuo mandato, ti sei differenziato, mi perdonino gli altri presidenti, dagli altri presidenti perché hai posto subito al centro l’atleta. Subito, subito, subito. È stata la prima tua dichiarazione: per me l’atleta è il centro del Coni.
GIOVANNI MALAGÒ:
Io ho sempre concepito il ruolo dirigente/presidente/atleta con una ritualità assolutamente diversa da quella che era in passato, forse perché è una mia attitudine o perché scherzando mi sono sempre sentito “mancato” atleta di livelli importanti, però io sono felice se loro instaurano un rapporto di complicità, io gli sono grato, io soffro quando vedo le gare.
Sentendo Francesca parlare vi sarete chiesti «ma chi è stato più furbo di lei?», perché la mass start è tutto un gioco di incroci di squadre, di accordi e di complicità, è come il ciclismo in pista, è la stessa identica cosa. Però io mi sentivo male nel vero senso della parola vedendo quella gara. E scherzando, io dico, non lo so se il mio mondo continuerà a darmi fiducia come mi ha dimostrato, e di questo ne sono molto felice. Ma se c’è una categoria che penso in assoluto me la continui a dare per un periodo molto importante, è proprio quella degli atleti. Io di questo son felice. Poi, ma anche lì è un mio pallino, ma ci stiamo arrivando, e ci siamo quasi: io sogno che al mio posto, nel più breve tempo possibile, venga un atleta. Giorgio Scalzo, ad esempio, ha Valentina Vezzali all’interno del suo Consiglio federale. E c’è Giampiero Pastore che lavora in preparazione olimpica, però una cosa, la dico davanti a Francesca, a Sala, a Francesca e a Lucky: non è assolutamente scontato, cioè non è automatico che se c’è stato un grande nel tuo sport, automaticamente sei un grande dirigente sportivo, no! Questo io lo ripeto sempre, bisogna che vadano a studiare perché purtroppo è un dato di fatto. Andare dove? Ci sono delle scuole di specializzazione, così per il Coni noi ne abbiamo una molto buona sul management olimpico, che è frequentata da tutti ex atleti, che oggi sono sicuramente la generazione futura di chi prenderà il mio posto. Ma lo stanno facendo anche le università, anche le più prestigiose, Bocconi, il Politecnico, la Luiss a Roma, i grandi gruppi editoriali, Il Sole 24 Ore, La Gazzetta, Il Corriere dello Sport. Perché ci sono oggi tecnici sugli aspetti formali, amministrativi, finanziari, giuslavoristici che purtroppo riempiono la vita di chi passa dal campo, qualunque esso sia, alla scrivania. E vedrete che entro breve avremo presto grandi novità e io di questo sono felice di essere stato, posso dire, il primo tifoso.
GIOVANNI BRUNO:
Infatti, da quando è presidente, Giovanni Malagò ha inserito tantissimi atleti come parte operativa. E a conferma di quello che tu dicevi di Valentina Vezzali, ti posso assicurare che Valentina Vezzali, in tutte le gare di scherma, dai bambini fino alle gare dei giovani, degli Juniores, fino agli assoluti, è sempre presente. Quindi vuol dire ricominciare a fare gavetta, ricominciare a fare storia.
GIOVANNI MALAGÒ:
Scusa se ti interrompo, Giovanni. Da pochi mesi il segretario generale che nel nostro mondo è un organo, non viene eletto, viene cooptato dalla giunta, è un ex atleta, un bi-campione del mondo di canottaggio, vice campione olimpico, un ragazzo che ha studiato alla Cattolica, ha fatto un Master in Nbi in Australia mentre si preparava per fare le olimpiadi e che parla perfettamente le lingue. Così come c’è la generazione di Lucky, la generazione dei fenomeni, io ho tutta una generazione di quarantenni che sto crescendo come prima linea del Coni. E anche questa secondo me è un’immagine indispensabile che il nostro mondo deve dare.
GIOVANNI BRUNO:
Carlo Mornati.
GIOVANNI MALAGÒ:
Carlo Mornati.
GIOVANNI BRUNO:
Sempre per parlare di sacrificio, Sara, il tuo sacrificio è quello finalmente esaudito, nel senso che finalmente vedi la tua disciplina ai giochi olimpici. Prima avevi un bel sorriso fantastico, finalmente ci siamo.
SARA CARDIN:
Sì, infatti ci tenevo a ringraziare l’organizzazione, perché essere qui in questa tavolata per me, oltre che essere un piacere, è un grandissimo onore. Come diceva Giovanni, io l’olimpiade ancora non ho potuto farla. Ho vinto tutto, mondiali, europei però il karate non è stato mai olimpico prima d’ora e lo sarà per la prima volta appunto a Tokyo, e ovviamente per me è stato l’avverarsi di un sogno, perché fin da piccola, ricordo quando correvo attorno al tavolo di casa con una spada di legno, perché mi sentivo una piccola guerriera, urlando «campioni del mondo! Campioni del mondo!». Mia mamma mi diceva «beh, prima di diventare campioni del mondo…» Però io ce l’avevo quel piccolo sogno che son riuscita ad avverare e vedevo sempre alla Tv queste olimpiadi e non vedevo il mio amato karate. Quindi finalmente adesso ci sarà e sto lavorando appunto per questo.
GIOVANNI BRUNO:
Questo è molto importante, anche perché, sapete, degli sport di combattimento ci sono già, c’è il judo da una vita ed è entrato da un po’ di olimpiadi, da un po’ di giochi olimpici, il taekwondo. Quindi per Sara è il raggiungimento di qualcosa di veramente importante. Quando si dice di uomini e donne che fanno la storia, lei la storia l’ha fatta quando quel giorno è stato detto: «Bene, ci sarà anche il karate, per la prima volta, ai giochi olimpici del 2020».
SARA CARDIN:
Sì, non nascondo che comunque si parla spesso comunque di sport minori o altri sport…
GIOVANNI BRUNO:
Do un cazzotto a chi parla ancora di minori!
SARA CARDIN:
Esatto e quando si parla poi di sport non olimpici è ancora più dura. Perché, appunto, parlando di sacrifici me li ricordo benissimo. Il karate non è il calcio, quindi ci sono stati periodi, come per tantissimi altri atleti, in cui si studia, si lavora anche per pagarsi le gare, perché non nascondo che all’inizio gli sponsor proprio non c’erano e non è stato facile. Poi donna nel mondo del karate, che è comunque uno sport prettamente maschile nell’immaginario comune, non è stato facile e pieno di sacrifici. È brutto nominarli sacrifici, perché nel momento in cui fai quelle fatiche, stai sognando e ti scorre tutto addosso, vedi qualcosa di più grande davanti e lo vivi in una maniera intensa, doppia, che ti porta quasi una sorta di dipendenza da questa fatica, cioè cominci ad amare la fatica, cominci ad amare tutto quello che fai. Io la chiamo un po’ dipendenza, passione, forse quella dipendenza sana che ti porta al contatto profondo con te stesso e ti liberi di tutte quante le brutture ed è proprio lo sport poi che ti trasforma in qualcosa di migliore. Quindi io devo ringraziare lo sport, il karate, la vita, perché, se sono qui oggi e se sto parlando con voi, è per lo sport.
GIOVANNI BRUNO:
Hai detto bene, la passione, la passione è un pochino quello che lega tutti quanti qua. C’è un “malconcetto” poi dello sport. Francesco, passione che ti ha fatto amare prima il basket e poi la vela.
FRANCESCO MARRAI:
Sì, sì è vero. Io da, insomma, il primo sport non è stata la vela ma ho iniziato col basket un po’ per caso…
GIOVANNI BRUNO:
Sì, poi da una città “baskettara” mica da ridere, Livorno…
FRANCESCO MARRAI:
Sì, Livorno anni addietro ha avuto anche due squadre che si sono giocate lo scudetto, quindi devo dire che è un bellissimo sport, ma a me piacciono tanti sport. Io guardo molto sport, anch’io quando ero piccolo mi mettevo alla televisione e guardavo le olimpiadi, seguivo un po’ tutto e dicevo: «Wow, che bello! Chissà, magari, un giorno, forse…».
GIOVANNI BRUNO:
Quel giorno è arrivato a Rio, poi!
FRANCESCO MARRAI:
Quel giorno è arrivato a Rio. Come dire, dare un’ulteriore testimonianza dopo quelle dei miei colleghi è difficile perché condivido appieno i loro pensieri: la fatica, l’impegno che ci vuole comunque per raggiungere il proprio obbiettivo. Io credo che per far ciò tu debba amare appieno il tuo sport, scorgere in esso una sorta di spiritualità per riuscire a replicare, giorno dopo giorno, quello che è il tuo programma di allenamento, di lavoro, per riuscire poi a commettere sempre meno errori e battere gli avversari. Perché poi alla fine si tratta anche di quello, riuscire a lavorare su se stesso per migliorare gli errori, ma riuscire anche ad essere migliori o al livello, ovviamente sportivo, degli altri.
GIOVANNI BRUNO:
Tu da giovanissimo hai fatto i giochi olimpici di Rio. E quando sei sceso per la prima volta in acqua, hai pensato a come ci sei arrivato ai giochi olimpici? A toccare il cielo con un dito?
FRANCESCO MARRAI:
Verissimo. Diciamo che il periodo di avvicinamento a Rio è molto lungo perché inizia dal momento in cui ti qualifichi, dal momento in cui vieni nominato per rappresentare la tua nazione, il tuo Paese a quella competizione, competizione di massimo livello a cui tutti sognano di partecipare almeno una volta nella vita. E in realtà ti prepari, anche mentalmente, ad affrontare la cosa perché sai che la tensione, insomma, ti avvolgerà nel momento in cui inizierà la gara. E quindi cerchi di arrivare lì un minimo preparato ma, come dice Giovanni, alla fine il momento in cui inizia la gara è come un flashback: in un secondo vedi anni di preparazione, di vita e cerchi comunque di stringere i denti e dire: «Adesso sono qua, è il mio momento, devo dare il meglio per cercare di raggiungere quello per cui ho lottato finora».
GIOVANNI BRUNO:
Complimenti. Tu ti senti un po’ orgoglioso quando senti parlare questi ragazzi?
GIOVANNI MALAGÒ:
Moltissimo, ci mancherebbe. Insomma, io penso che il nostro Paese, come d’altronde chi più chi meno, ha diversi problemi, però tra le cose sicuramente belle c’è questo mondo. Vi racconto un’altra cosa che spero vi possa interessare. L’Italia, come sistema sportivo tramite il comitato olimpico, ha 44 federazioni e 19 discipline sportive, che per lo statuto sono equiparate alle federazioni, siamo a 64. C’è il calcio e si finisce con il canottaggio a sedile fisso, così capite le stranezze di questo mondo. Ma in realtà all’interno di questi 64 contenitori, di queste case, ci stanno 387 discipline sportive diverse. In assoluto il nostro Paese è quello che ne pratica di più, è quello che ne supervisiona di più, è quello che ne controlla di più, è la nostra forza, ma è anche la nostra debolezza. Perché la nostra forza? Perché è un Paese di storia, di tradizione, di cultura, di valori. Ci sono delle zone dove si gioca moltissimo a palla pugno, a palla tamburello o agli sport tradizionali. Non può esistere questo in un Paese che magari è nato vent’anni fa, trent’anni fa. Noi siamo leader in molte discipline che gli altri non conoscono, però questo fa parte della caratteristica del sistema sportivo. È chiaro, lo dico con una grande franchezza, probabilmente se ci concentrassimo – come ad esempio fa il sistema inglese, o meglio il sistema della Great Britain – solo ed esclusivamente negli sport dove noi possiamo vincere o dove siamo messi nelle condizioni di poter vincere, è chiaro che ci sarebbe una canalizzazione delle risorse enorme, molto maggiore. Lo dico con grande franchezza: se in Gran Bretagna la pallacanestro, malgrado la colleganza con il sistema americano, con il sistema anglosassone, non tira, non funziona, non la giocano, non la praticano, che cosa succede? Che il reclutamento di chi è alto fai come Lucky, due metri o, come Annamaria, 1.80, automaticamente da un potenziale soggetto che può andare a giocare a pallacanestro va solo nel mondo della pallavolo e se anche il mondo della pallavolo, come d’altronde è nel sistema della Gran Bretagna, non funziona, prendono quel ragazzo di due metri o quella ragazza alta 1.80 e dove li mettono? Li mettono al canottaggio e al canottaggio c’è il rischio che vincano sei, sette, otto medaglie d’oro all’interno di un programma olimpico. È un’altra cosa. Il nostro sistema, invece, è apprezzato, è considerato, però bisogna anche tener conto di tutto questo. Noi riusciamo a essere comunque nella top ten del mondo malgrado questa nostra peculiarità, fermo restando che solamente bisogna riconoscere che qualcosa per strada lasciamo.
GIOVANNI BRUNO:
È verissimo tutto questo. L’investimento che è stato fatto dagli inglesi nel 2012 per arrivare ai risultati che hanno ottenuto nel medagliere del 2012, ha portato a sacrificare tante altre discipline che erano obbligati nei giochi olimpici a presentare nei palazzetti.
GIOVANNI MALAGÒ:
Racconto una cosa che secondo me anche agli atleti presenti può essere da stimolo. In Italia il Governo da circa vent’anni dà più o meno la stessa cifra, 420 milioni di euro per sostenere tutto il sistema sportivo: 387 discipline, territorio ed enti di promozione. La Gran Bretagna che è un Paese con una estensione di due terzi quella dell’Italia, ma con una popolazione praticamente uguale, destina la stessa cifra verso un dipartimento che si chiama UK Sport. A capo di questo dipartimento c’è una signora che si chiama Elizabeth Mary Nicholl. Questa signora di sport sa molto poco, non era un’atleta, non ha mai fatto il dirigente, lei è una persona di numeri e si interfaccia con Giovanni Bruno, Giovanni Malagò e di quei 387 sport, in realtà erano già molti di meno, in partenza ne ha fatti fuori 250. Poi uno alla volta tutti quelli che non erano in condizioni di esprimere potenziali atleti per vincere sono stati tutti eliminati. Non ci sono i campionati, lo sport di Sara probabilmente non esiste, lo sport di Francesco esiste, lo sport di Lucky esiste poco e male, lo sport di Francesca non sanno neanche cosa sia. È così. Conclusione: la Gran Bretagna nel 1996, alle Olimpiadi di Atlanta, volete sapere quante medaglie d’oro ha vinto? Una. L’ha vinto nel canottaggio con il mitico a Sir Steve Redgrave. Voi sapete che in assoluto i due sport che hanno il più alto consumo energetico e subito dopo il ciclismo sono lo sci di fondo e il canottaggio. Fanno una gara di due chilometri dal 1896 e nelle Olimpiadi moderne è l’unico sport che non ha mai cambiato le regole, sempre quelle, due chilometri, uomini e donne, pesi leggeri e pesi pesanti. È una assurdità: la tradizione non la cambiano neanche se ti ammazzi, è come se fosse una religione di vita. Benissimo, il signor Redgrave), quando è stato intervistato la settimana successiva da Laudisio per La Repubblica, ha detto: «Per me il sistema che funziona è quello italiano». L’ha detto. Perché? Perché se mio figlio o mia figlia non hanno le caratteristiche tecniche di Annamaria o di Lucky, rischiano di non fare sport. E soprattutto il sistema sportivo è molto costoso e molto oneroso, perché lì devo passare innanzitutto dalla high school all’università e, in particolare, da tutti i centri di specializzazione, che, a meno che non diventi un atleta veramente importante, sono a carico della famiglia. Da noi sono lo stesso a carico della famiglia, ma vengono sostenuti dal nostro associazionismo sportivo, che è la colonna vertebrale del sistema italiano. Noi abbiamo 130.000 società sportive dove praticamente tutti cominciano.
GIOVANNI MALAGÒ:
Dove hai cominciato tu?
ANDREA LUCCHETTA:
Nell’istituto salesiano Sturi di Mogliano Veneto.
GIOVANNI MALAGÒ:
Francesca?
FRANCESCA LOLLOBROGIDA:
In una parrocchia.
GIOVANNI MALAGÒ:
Grazie.
GIOVANNI BRUNO:
A proposito di come si comincia vediamo un altro filmato molto importante, anche questo preso da una pubblicità. Il marchio esce alla fine, ma sono sicuro che non ve ne siete resi conto. Anche qui c’è un concetto di perfezione del gesto sportivo che nella realtà è un’altra cosa. Questo filmato riguarda un atleta della ginnastica, che ripercorre tutta la sua vita durante un salto ed è qualcosa a mio avviso di particolare. Penso che possa piacervi e di sicuro penso possa essere anche un buon inizio di un nuovo piccolo giro di domande.
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GIOVANNI BRUNO:
Francesco prima avevi detto che hai cominciato con il basket e sei passato alla vela. Ma adesso che cosa ti sta dando la vela? Qual è il tuo percorso adesso?
FRANCESCO MARRAI:
Io devo dire che lo sport in quanto tale insegna veramente tanto e credo che sia anche importante riuscire ad approcciare nel corso della propria vita, soprattutto quando si è giovani, tante discipline sportive, per riuscire a entrare in contatto con tutte, capire le dinamiche dei singoli sport. Io credo che l’insegnamento più importante che lo sport possa dare è proprio quello di crescere in maniera genuina, di riuscire ad affrontare le proprie difficoltà, perché poi la vita è anche questo, riuscire ad affrontare le proprie difficoltà nel lavoro, nella vita quotidiana. Lo sport è il più grande insegnante da questo punto di vista. Per quello che mi riguarda, la vela mi ha insegnato molto, perché io da quando ho iniziato ho sempre gareggiato contro gente più grande di me, quindi spesso anche più forte, con più esperienza e questo ti mette sempre di fronte al tentativo di superare le tue difficoltà e riuscire da solo a trovare le motivazioni per risolvere le esigenze che hai e andare avanti e raggiungere quelli che sono i tuoi obiettivi. Io spero di riuscire a fare un’altra olimpiade, riuscire ad ottenere quegli obiettivi che mi sono prefissato da bambino. Alcuni li ho già raggiunti e altri li devo ancora raggiungere e spero che la mia carriera possa andare ancora avanti e sarebbe già un grande sogno.
GIOVANNI BRUNO:
C’è anche un altro piccolo sogno che è quello lì che si chiama… quella luna che ha un colore diverso che sta nel cielo…
FRANCESCO MARRAI:
Sì anche nella vela oltre al panorama olimpico ci sono tante altre competizioni, una di queste è la Coppa America, che è la competizione più antica al mondo e mi piacerebbe molto riuscire a partecipare a una di queste con Luna Rossa ovviamente, che è il team italiano per eccellenza. Mio padre ha lavorato con questo bellissimo team e io ho avuto delle proposte: insomma, spero di riuscire a coronare anche questo sogno.
GIOVANNI BRUNO:
Lo speriamo tutti quanti, complimenti, bravo Francesco. I sogni di Sara stanno lì, proiettati nel 2020, ma quando ti rivedi bambina, quando incominciavi, che cosa facevi, quali sono state le tue difficoltà, le tue vittorie, le tue sconfitte…
SARA CARDIN:
Beh, sì sicuramente, penso che ognuno di noi quando si trova in una competizione importante, viva quel momento prima di entrare in gara dove rivede un po’ tutta la sua storia, Siamo atleti, ma soprattutto siamo persone, e l’equilibrio tra le due penso sia la cosa più importante. Quando sei in equilibrio come persona riesci anche meglio nello sport. Io personalmente ho sempre combattuto, cioè ho combattuto nel karate che mi ha insegnato a combattere anche nella vita, perché alla fine il combattere, praticare arti marziali è un po’ come trovare un dialogo con se stessi e con chi hai di fronte, cercare comunque di vincere, perché non mi ha mai interessato partecipare – vincere è l’unico obiettivo. Al karate devo tanto, perché ogni volta che si pratica karate si acquisisce sicurezza personale che, per una donna poi vuol dire autostima, che non si trova soltanto sul tatami di gara, si trova poi nella vita. Ripenso a tutte le persone che mi hanno dato una mano nel corso degli anni, a partire da mio nonno che è stato il primo a credere in me, perché mia mamma mi ha detto: «Tu devi fare danza». Mi ha portato un mese a fare danza e dopodiché ha capito che la danza non faceva per me, poi ci ha riprovato, mi ha detto: «Tu devi fare ginnastica artistica». Tutù rosa, costume rosa, ma guardavo i film di Karate Kid con Bruce Lee e allora mio nonno ha detto: «Senti, Tiziana, Sara qua con la danza non è proprio portata» e quindi questo è stato l’inizio e io devo ringraziare mio nonno in questo piccolo frangente. Nell’arco della mia vita, poi, son state tantissime le persone, perché spesso si arriva là sopra ed è facile dire «io, io, io», però si arriva sempre grazie a un team, una squadra che, per quanto sia piccola, comprende sempre due persone che sono mamma e papà. Quindi ripenso sempre a tantissime cose e sono grata a tutti.
GIOVANNI BRUNO:
È quello che poi giustamente aveva sottolineato il Presidente Malagò, il fatto della famiglia:, lo sport in Italia si regge prima che col Coni con la famiglia, questa è la realtà. Francesca, come hai cominciato tu?
GIOVANNI MALAGÒ:
Anche lei ha iniziato con il papà allenatore!
GIOVANNI BRUNO:
Che tipo di sofferenze in questo caso hai vissuto?
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
Appunto, io vengo veramente da un’eredità in famiglia, perché mio padre è stato un atleta e adesso è tuttora mio allenatore e anche suo padre pattinava.
GIOVANNI BRUNO:
Non lo vuoi cambiare?
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
No, è vero che mi hanno dato comunque quando ero piccola l’opportunità di praticare gli altri sport, anch’io ho iniziato danza e quando ricordo le foto, meno male che… però sono sempre tornata al pattinaggio e anche la scelta di cambiare per poter fare le olimpiadi e passare al pattinaggio sul ghiaccio, è sempre stato mio padre a consigliarmi. Lui mi prendeva all’uscita da scuola, mi caricava in macchina con il pranzo della mamma ovviamente e andavamo su, a Baselga, a farci settecento chilometri in macchina per pattinare solo il week-end. Quindi non è banale, scontato.
GIOVANNI BRUNO:
Francesca Lollobrigida è di Frascati, Baselga di Piné sta…
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
Dall’altra parte.
GIOVANNI BRUNO:
In Trentino.
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
Sì, sta in Trentino, quindi non è scontato, banale, ringraziare la famiglia in questo caso, perché è chiaro che senza di loro non avrei iniziato a pattinare, però non avrei neanche continuato e neanche adesso, senza il mio allenatore, che è mio padre, sarei qua a raccontare i miei successi e sconfitte. È vero, tutti dicono come fa tuo padre ad allenarti? Quando sono in pista è il mio allenatore e quando sono a casa è mio padre, quindi se separo queste due cose vivo bella e felice.
GIOVANNI BRUNO:
Quante volte ti sei arrabbiata con tuo padre?
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
Tante, tantissime.
GIOVANNI BRUNO:
Più lui con te, mi sa…
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
Sì, sì, sicuro, quello sempre, perché comunque ok che rispondo ma poi alla fine dico «sì, hai ragione».
GIOVANNI BRUNO:
Come ti è venuta la voglia di passare sul ghiaccio? È pattinaggio di velocità su ghiaccio, pista lunga, nello short track non ci hai mai provato?
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
No, perché dovevo arrivare ancora più in alto, dovevo arrivare a Courmayeur, quindi ancora più…
GIOVANNI BRUNO:
La tua scelta è fatta in funzione di distanza…
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
Sì, direi sì, aggiungi un po’ troppo e perché quell’anno…
GIOVANNI BRUNO:
Per gli inglesi avresti dovuto fare canottaggio, avresti avuto tutto vicino a casa tua
FRANCESCA LOLLOBRIGIDA:
No, beh, io dico sempre che anche per il pattinaggio a rotelle a Roma non ci sono le strutture, però non mi lamento, devo dire la verità, perché trovo bello anche a pattinare per strada dietro la macchina. Ok, mi potrebbe fermare la polizia, però se hai passione provi, non sto a lamentarmi a casa. Oddio non ho le attrezzature, non ho l’impiantistica, e questo può essere un problema che va oltre, però se hai la passione riesci a farlo. Io ho iniziato in un campetto di una parrocchia, quindi non mi lamento.
GIOVANNI BRUNO:
Allora Andrea, hai sentito tutti questi discorsi, tu da persona navigata, di grande comunicazione, come puoi riassumere tutta questa brevissima loro vita di carriera rispetto alla tua, che, chiaramente, in una certa maniera, può essere anche di insegnamento per chi comincia, per chi si proietta verso lo sport, anche con la differenziazione, diceva Giovanni, tra il mondo inglese, che punta realmente su un qualcosa di certo e sicuro per andare al risultato, invece che allargare la forbice come fa regolarmente il Coni.
ANDREA LUCCHETTA:
Beh, ritengo che tutto quello che è stato detto, soprattutto quello che avete avuto la possibilità di vedere in questa mostra meravigliosa, in cui atleti che hanno fatto la storia della sport riescono comunque a comunicare non solo valori, etica, ma voglia di condividere, gioendo e sorridendo, mi dà l’opportunità veramente di capire che arrivare al vertice della piramide, mi consta probabilmente non solo la nazionale ma anche qualcos’altro di più, rappresenta comunque un modo per “scaravoltare” la piramide, quindi cercare di lavorare all’interno di quel tipo di concetto in cui l’iceberg dev’essere comunque “scaravoltato”. Chi è sopra l’interno dell’iceberg, deve cercare di capire che al di sotto della linea di galleggiamento esistono tantissime figure: genitori che fanno sacrifici, volontari che aprono le palestre, allenatori, educatori, che vogliono comunque far fare attività sportive. Quindi mi sono chiesto alla fine della mia carriera, che cosa potevo restituire al mio mondo, al mio movimento. Io ho scelto di poter andare a tradurre tutto il mio percorso, e grazie ai miei compagni di squadra, grazie ai miei allenatori, grazie ai miei genitori, grazie a tutti quelli che mi hanno contaminato, ho avuto l’opportunità di appendere le mani al chiodo e aprire una ludoteca per bambini. Io mi son messo lì, in maniera umile, e l’umiltà è molto importante, a giocare con più di sedicimila bambini l’anno in questa ludoteca, per capire esattamente le nuove generazioni dove stavano andando. Non contento, sono andato nelle piazze, ho giocato con più di 250mila bambini, più di 27mila animazioni, più di un milione di palleggi e di schiacciate, perché in questo modo riuscivo a capire e comprendere come cambiavano le nuove generazioni. In sintesi, mi sono detto: come faccio a costruire qualcosa che possa rimanere per il mondo dei giovani? Non posso celebrare me stesso, ma io devo ringraziare coloro che mi hanno dato la spiritualità di capire e di comprendere quanto sia importante lo spirito di squadra, e quindi ho usato il prodotto dei cartoni animati, ho usato il linguaggio dei cartoni animati comunicare con loro, con i bambini, abbassandomi alla loro altezza, diventando Lucky, l’allenatore che fa praticare più di cinquanta sport ai ragazzi. Attraverso questo cartone animato insegno quanto sia importante la trilogia che Giovanni rappresenta, perché all’interno delle Olimpiadi abbiamo un tedoforo che rappresenta i veri valori sportivi, che rappresenta tutti i valori etici che questi atleti hanno. Ho scelto lo Stadio dei Marmi nella terza serie, alla chiusura di un trittico di 78 episodi, per capire anche che esiste un modo, magari fantastico, per accomunare lo sport olimpico e paraolimpico. Ho fatto proprio una specie di sintesi di queste due serie animate, ho fatto un piccolo montaggino che, non ha vinto l’Oscar, però ha vinto due premi del Moig, del Movimento Italiano Genitori per contenuti etici, valoriali, che solamente lo sport riesce a declinare. Grazie anche a tanti miei amici che sono entrati nel campo del cartone animato, Pellegrini, Bebe Vio, Antonio Rossi, è avvenuto tutto questo. Sono infatti persone che hanno dato tanto al mondo dello sport e che hanno ancora tanto, tanto da dare. E quindi ritengo molto importante questo tipo di figura, continuare a giocare, trasmettere valori, ma soprattutto avere la possibilità di cambiare linguaggio, fare in modo che le nuove generazioni possano apprendere come si accende realmente lo spirito di squadra, lo spirito sportivo, lo spirito d’Olimpia dentro ognuno di noi.
GIOVANNI BRUNO:
Vediamo.
ANDREA LUCCHETTA:
Molto volentieri. Così vi rilassate un attimo.
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Cosa avete visto all’inizio? Avete visto all’inizio la capacità di un genitore che vuole dare supporto a questo ragazzo che ha perso le gambe in un incidente automobilistico, che, attraverso lo sport paraolimpico riesce a rimettersi in pista. Ma il messaggio bello che ho voluto dare proprio all’interno. I veri valori dello sport sanno anche includere e soprattutto dare la possibilità di continuare a far realizzare dei sogni.
GIOVANNI MALAGÒ:
Allora, nel ringraziarvi, visto che in sala vedo persone di generazione diverse, tanti giovani, vi dico: praticate lo sport, fate lo sport. Non necessariamente dovete diventare dei campioni come le persone che sono sedute al tavolo, però penso che vi aiuterà a vivere meglio. Date inoltre una mano a sostenere questo formidabile sistema sportivo dell’associazionismo come volontari, perché credo che usciate gratificati con l’impegno e la testimonianza di quello che voi potrete fare e che soprattutto voi vedrete. Grazie al Meeting dell’invito.
GIOVANNI BRUNO:
Grazie Giovanni. Prima di lasciare la parola per chiudere a Giovanni e al suo brillantissimo museo, darei la parola al presidente del Federscherma, Giorgio Scarso, che chiamo qua.
GIORGIO SCARSO:
Grazie. Grazie per l’invito, grazie al presidente Malagò che ha dato spazio a questa parentesi che riguarda la promozione della cultura dell’inclusione, della cultura del saper stare insieme attraverso lo sport. Voglio parlare non di scherma, inteso come disciplina olimpica in cui sappiamo recentemente ai campionati del mondo in Cina, l’Italia ha vinto il gran premio delle nazioni. Io voglio qui presentare un progetto che ha visto quattro città coinvolte Napoli, Bari, Reggio Calabria e Palermo e non si fa fatica a capire che sono delle realtà dove alcune sacche di difficoltà sono note. Abbiamo coinvolto 2800 ragazzi che hanno iniziato a praticare la scherma, non solo con l’obiettivo di fare attività sportiva, ma per dare un messaggio di cultura, di rispetto delle regole, di inclusione e così via. Tutto nasce da un protocollo di Intesa tra il ministero della Difesa e il Pontificio consiglio della cultura. Da lì è nata un po’ l’idea che ha visto coinvolti il comando militare dell’esercito, le università del territorio, le curie vescovili, l’ufficio scolastico regionale e la federazione: portare centinaia di bambini a praticare questa attività sportiva. È un fatto significativo che si sia voluto scegliere la scherma come sport portatore di valori, come strumento per dar vista a questo progetto. Questo progetto consente sicuramente un lavoro di inclusione tra le varie realtà che operano sul territorio. Sono state individuate delle scuole con delle difficoltà e il nostro progetto ha di fatto rappresentato un momento di cultura della legalità, di rispetto delle regole. La scuola ha dato anche un contributo in questo senso, nel cercare di aprirsi al confronto con gli altri enti, perché credo che il progetto, al di là della possibilità dei bambini di fare attività sportiva, sia stato l’occasione per mettere a confronti diversi enti e farli dialogare tra di loro. Paradossalmente a volte i ragazzi dialogano con molta più facilità, gli enti con qualche difficoltà in più. La scuola è riuscita a dialogare con l’esercito italiano, l’ufficio scolastico regionale con la curia vescovile e le università. Nei bambini che hanno partecipato a questo progetto, è diminuito significativamente il tasso di disattenzione nei confronti della scuola, è aumentato il rendimento scolastico. Il giorno 20 settembre verrà presentato un video su tutto questo come testimonianza che lo sport, come la federazione, non devono puntare solo all’eccellenza, che chiaramente è un fine istitutivo, ma devono essere anche uno strumento di integrazione sociale, uno strumento capace di dialogare con le fasce deboli del Paese, uno strumento che consenta ai bambini di avvicinarsi all’attività sportiva senza che vi sia la preclusione legata ai costi. Insieme abbiamo messo su questo progetto, che ha consentito a migliaia di bambini di avvicinarsi alla scherma: pochi la continueranno o meno, ma questo è un altro discorso, ma, sicuramente, vi è un acculturamento dal punto di vista sportivo.
Questa idea vogliamo rilanciarla in tutta la Sicilia, partendo da Palermo, che è il capoluogo di regione, e nel secondo quadrimestre abbracceremo 350 e passa alunni per poter coinvolgere l’arco dagli otto ai dodici anni. Questo tipo di attività educa al rispetto delle regole, educa e forma i giovani del domani. Abbiamo fatto un video esemplificativo che vogliamo farvi vedere.
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GIOVANNI GAZZOLI:
Voglio aggiungere veramente poco a tutto quello che è uscito in quest’ora, sicuramente preziosa, perché è stato molto bello vedere come, col pretesto di parlare di sport, avete comunicato la vostra vita personale, di uomini prima di tutto. Quando Francesco dice che l’insegnamento dello sport è crescere in maniera sana, e che ti insegna a vivere la vita di tutti i giorni; quando Sara dice che siamo persone prima di tutto, e che il karate le ha insegnato a combattere nella vita e ad avere un dialogo con se stessa e con gli altri; quando Francesca dice che appena ci svegliamo, sempre che riusciamo a dormire, pensiamo a come poter migliorare, a cosa ci manca, a cosa abbiamo fatto di sbagliato e quando addirittura Andrea, che a fine carriera dice «ho ricevuto cosi tanto che mi sono chiesto cosa posso restituire», ci mostrano che la bellezza dello sport è che in esso emergi come uomo, innanzitutto. Per questo ringrazio il presidente Malagò per averci aiutato a parlare con questi sportivi, perché, come dice lui, «la presenza degli atleti è indispensabile, lo sport senza di loro non esiste, perché lo sport, è una storia di uomini». Tutto questo, è evidente, c’entra con il titolo del Meeting, è una ricerca della felicità che compete, in primis, alle persone, all’uomo. Ringrazio i relatori, e voi per essere venuti qui ad ascoltarci.