Chi siamo
COSTRUTTORI DI PONTI
Partecipano: Muhammad Bin Abdul Karim Al-Issa, Segretario Generale della Lega Musulmana Mondiale; Khaled Azab, Head Central Projects and Services SectorLibrary of Alexandria; Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di Comunione e Liberazione; Nicola Renzi, Segretario di Stato per gli Affari Esteri, gli Affari Politici e la Giustizia della Repubblica di San Marino. Introduce Wael Farouq, Professore di Lingua e Letteratura Araba all’Università Cattolica di Milano.
Costruttori di ponti
Un dialogo nuovo
Ore: 19.00 Salone Intesa Sanpaolo A3
COSTRUTTORI DI PONTI
Partecipano: Muhammad Bin Abdul Karim Al-Issa, Segretario Generale della Lega Musulmana Mondiale; Khaled Azab, Head Central Projects and Services SectorLibrary of Alexandria; Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di Comunione e Liberazione; Nicola Renzi, Segretario di Stato per gli Affari Esteri, gli Affari Politici e la Giustizia della Repubblica di San Marino. Introduce Wael Farouq, Professore di Lingua e Letteratura Araba all’Università Cattolica di Milano.
WAEL FAROUQ:
Buongiorno a tutti. Il mondo è ormai diventato un piccolo villaggio. Non dobbiamo far altro che premere un tasto per sapere quello che succede nei luoghi più lontani da noi sulla faccia della terra. Possiamo vedere con i nostri occhi, ascoltare con le nostre orecchie e annunciare al mondo cosa pensiamo del destino della terra che sta morendo dal punto di vista ambientale, oppure del destino di un neonato che sta morendo in un lettino di ospedale. Perché mai, dunque, dovremmo aver bisogno di costruttori di ponti, in un mondo in cui sono cadute le barriere dello spazio e del tempo? Questa domanda incarna la sfida che vorremmo proporre ai partecipanti di questo incontro, perché la realtà non convenzionale che oggi viviamo ci impone di porre domande – e cercare risposte –
non convenzionali. Nella società dell’informazione e dei mondi virtuali, è più sentita che mai la necessità di costruttori di ponti che l’umanità possa attraversare per abbattere indifferenza, mancanza di certezze e paura dell’altro. Questo, tuttavia, potrà accadere soltanto se si recupererà la capacità di generare significato per la vita e per l’essere umano. Solo allora la realtà diventerà un vero spazio di incontro e di unione, nella differenza. Le istituzioni invitate a partecipare a questo incontro, prima ancora che essere le rappresentanti di una determinata cultura, sono istituzioni che s’impegnano a generare significato e conoscenza. La speranza è che questo incontro non si limiti a proclamare il desiderio e la disponibilità a portare avanti il dialogo, ma si spinga oltre, verso iniziative capaci di creare uno spazio di significato che possa riunire la nostra umanità. I ponti di cui parliamo non sono ponti fra culture o civiltà. Prima di ogni altra cosa, sono ponti fra il presente e il futuro, ponti che esprimono la speranza delle prossime generazioni. I ponti di cui parliamo non sono ponti fra religioni o dottrine diverse, ma ponti che la persona può attraversare passando da una condizione a un’altra; dalla disperazione alla speranza, dall’odio all’amore, dal nichilismo al significato, dalla limitatezza dell’individuo all’assoluto dell’umanità e dall’idea astratta di umanità all’individuo incarnato. Non sono ponti che attraversiamo passando sopra le nostre differenze, perché proprio le nostre differenze sono il ponte. Il Meeting è il posto più adeguato per questo perché il carattere più importante del Meeting è che è uno spazio di testimonianza. Testimonianza di un bene, testimonianza di una bellezza, testimonianza di una verità che ognuno di noi ha incontrato nella sua vita. La sfida di questo incontro è dare questa testimonianza capace di generare significato. Perché il Meeting è una testimonianza che provoca altre testimonianze. Per questo abbiamo invitato un relatore di altissimo livello come incarico, ma non solo questo, anche e soprattutto di altissimo livello come persona e come testimone di una bellezza e di un bene. Siamo qui perché il ponte che vogliamo costruire è un ponte tra questi due ponti: l’incarico altissimo istituzionale e l’altezza della persona. Ci vorrebbe un ponte tra queste due cose. Con noi oggi è Sua Eccellenza Segretario generale della Lega musulmana mondiale che è per la prima volta al Meeting, ma come ha confermato, dopo aver incontrato le testimonianze dei volontari, le testimonianze di chi ha costruito le mostre, le testimonianze della gente che lavora qui, non sarà qui per l’ultima volta. È con noi anche il ministro degli Esteri della Repubblica di San Marino che ha nel cuore del Meeting un posto molto particolare, perché vi è una lunga amicizia, Sua Eccellenza Nicola Renzi. È con noi anche Khaled Azab, direttore della biblioteca di Alessandria. E per tornare alla forma di testimonianza che il Meeting presenta, l’anno scorso è venuto qui il dottor Mustafa El Feti, presidente della Biblioteca e quest’anno viene il dottor Khaled Azab, direttore dei progetti della Biblioteca: tra questi due incontri con il Meetingsono successe tante cose. Dopo che è arrivato qui il dottor El Feti, il Meeting è stato invitato ad una presentazione alla biblioteca di Alessandria. Il 22 ottobre prossimo porteremo lì la nostra testimonianza lì. Il dottor Khaled Azab è una persona molto particolare, è un lettore della bellezza della pietra, il suo impegno accademico di ricerca è leggere la storia e la civiltà nella letteratura islamica e il rapporto tra l’architettura e la giurisprudenza islamica. Quindi, gli ho regalato il libro di Julián Carrón La Bellezza Disarmata: ne è rimasto colpito e ha deciso di tradurlo. Il libro uscirà questo autunno, pubblicato dalla biblioteca di Alessandria. Dico queste cose per sottolineare una cosa veramente importante: non siamo qui per fare convegni, non siamo qui per fare incontri, tornare a casa felici e dimenticare, dopo un giorno o due, quello che abbiamo incontrato. Le persone che vengono qui portano questa testimonianza in tanti posti fuori dalla fiera di Rimini. Il nostro quarto relatore è molto noto e molto conosciuto dal popolo del Meeting di Rimini, è Roberto Fontolan, il direttore del Centro internazionale di Comunione e liberazione. È un grande amico e oggi è presente per presentare una figura molto importante. Ma prima di arrivare al carissimo Roberto Fontolan, chiediamo a Sua Eccellenza il dottor Nicola Renzi di presentare questa esperienza particolare di amicizia, di rapporto lungo e importante tra il Meeting di Rimini e la Repubblica di San Marino.
NICOLA RENZI:
«Il nostro mondo, dilaniato dalla violenza cieca, ha bisogno di pace, di amore e di misericordia; ha bisogno di operatori di pace e di persone libere e liberatrici, di persone coraggiose che sanno imparare dal passato per costruire il futuro senza chiudersi nei pregiudizi; ha bisogno di costruttori di ponti di pace, di dialogo, di fratellanza, di giustizia e di umanità». Queste le parole con le quali papa Francesco ha salutato il popolo egiziano nella sua visita dell’anno passato in questa terra di forte presenza musulmana e cristiana; una terra culla di civiltà e osservatorio privilegiato per i grandi temi che richiamano il cammino di oggi verso la convivenza e la riconciliazione, l’amicizia e l’effettivo riconoscimento del pluralismo religioso e culturale. Mi piace esordire con un messaggio di pace e di speranza lanciato dal Santo Padre in Egitto, essendo oggi alla presenza di autorevolissimi rappresentanti di questo antico Paese, nonché della più alta autorità musulmana mondiale, che ben rappresenta le scelte attuali di evidenziare il volto dialogante dell’Islam e la volontà di costruire ponti di dialogo e di unione. Sono sinceramente grato agli amici del Meeting per aver offerto alla Repubblica di San Marino l’opportunità di intervenire su questo tema, sul quale la kermesse riminese lavora alacremente nel tentativo di trovare convergenze e sintesi culturali importanti che, attraverso il dialogo, favoriscano conoscenza e riconoscimento nelle diversità.
L’impostazione impressa all’incontro odierno ha un fulcro di carattere culturale, nella misura in cui chiama noi relatori ad interrogarci sulle nuove strategie di costruzione di ponti per abbattere l’indifferenza, l’incertezza e le paure, attraverso il recupero del senso profondo dell’esistenza umana. Reputo preliminarmente doveroso citare i passaggi salienti compiuti dalla Repubblica di San Marino nell’affermazione dei principi del dialogo, nella duplice accezione di strumento per la composizione delle controversie e parametro invocato in ogni sede, nazionale ed internazionale, nonché di capacità di essere mediatori di pace attraverso un dialogo aperto fra popoli, culture e religioni. San Marino ha da sempre nel suo Dna una forte e pregnante vocazione alla pace e la più ferma contrarietà al ricorso agli strumento delle armi e della violenza. La sua storia racchiude pagine gloriose di azioni, posizioni e principi ispirati tutti all’assoluto primato del dialogo politico e al ricorso agli strumenti della diplomazia dialogante, per riportare ordine e serenità al proprio interno e per contribuire alle soluzioni politiche in sede multilaterale. Allo stesso modo, in Repubblica, il tema del dialogo fra popoli, religioni e culture è divenuto parte integrante del dibattito politico-istituzionale e della vita dei suoi cittadini; è un tema sul quale ci si interroga, promuovendo forum di discussione e approfondimenti di spessore internazionale che le riconoscono un ruolo di vero e proprio “crocevia internazionale” di dialogo culturale, religioso e sociale e di incontro fra le diversità che segnano i nostri tempi. San Marino è stato ed è tuttora presso sedi multilaterali, in particolare presso il Consiglio d’Europa, capofila nel ruolo di mediatore per la promozione del dialogo fra culture e religioni come strumento di educazione e di pace, capace di far superare diffidenze ideologiche, di infondere coraggio nella lotta contro ogni manifestazione di pregiudizio, d’intolleranza e di esclusione, tali da minare la convivenza stessa fra i popoli.
Sotto l’egida sammarinese, sono partiti da più di dieci anni gli “Incontri del Consiglio d’Europa sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale”, che vedono la Repubblica al centro di dibattiti paneuropei che, oggi più che mai, risultano propedeutici alle riflessioni globali. Allo stesso tempo, al suo interno, patrocina da anni eventi che mettono a confronto esponenti di pensieri, ideologie, confessioni differenti, per ricercare il motore dello sviluppo di società nuove, maggiormente inclusive, culturalmente aperte al cambiamento, nella scrupolosa osservanza dei principi cardine che ispirano il cammino e la storia dei popoli.
Viviamo oggi un vero e proprio “caos mediatico e culturale” in rapporto alla dibattuta capacità di accoglienza e di integrazione, alimentato anche da strumentalità dettate dalla storicità delle convivenze e non da una adeguata cultura dell’incontro. La delicata situazione internazionale, il fenomeno migratorio massiccio e incontrollato, la paura del terrorismo, il linguaggio spesso approssimativo dei nuovi mezzi di comunicazione, purtroppo, non fanno che erigere ulteriori barriere di reciproche incomprensioni. A ciò si aggiunge una sorta di paradosso storico, che fotografa oggi un’Europa frammentata nella sua strutturale capacità di unire e di non dividere, di accogliere e non rifiutare. Dinnanzi a tale scenario, ad ogni attore della società civile viene chiesto di compiere azioni coraggiose ed eticamente sostenibili per superare i pregiudizi ed essere concretamente e umanamente disponibili, convinti anche che la tolleranza, da sola, non sia sufficiente.
Rispettare gli altri non significa solo accettarne passivamente la presenza e tollerarne la convivenza; richiede al contempo pretendere rispetto e richiede altresì un interessamento reale verso le differenti specificità ed una conoscenza approfondita, da realizzarsi attraverso nuovi e adeguati strumenti di comprensione. Ritengo che questa sia la premessa che ci induce a riconoscere, nell’ora odierna, una straordinaria opportunità di arricchimento per ogni Stato, per ogni popolo e per ogni individuo. È soltanto in seguito ad una reale conoscenza che è possibile abbattere gli stereotipi e costruire veri ponti di dialogo. Per fare ciò – lo affermo con l’orgoglio di appartenere ad una tradizione storica e politica profondamente ancorata a principi e valori assolutamente non negoziabili -, dobbiamo partire tutti dalla nostra identità, dal patrimonio storico, culturale e spirituale proprio di popoli, nazioni ed etnie, perché per conoscersi e condividere, senza timori, dobbiamo sentirci forti e sicuri delle nostre radici. Il dialogo, ancor prima che fra religioni, storie e culture, avviene tra persone; persone che devono educarsi al dialogo, mettendo talvolta in discussione le proprie categorie mentali e visioni del mondo. Per queste ragioni, che nella Repubblica di San Marino si intrecciano con gli stessi concetti di libertà e di ininterrotto rispetto dei diritti umani fondamentali, siamo oggi chiamati a costruire ponti di dialogo sicuri per le nostre società e per le generazioni a venire. La rete delle Istituzioni, propria di Paesi più o meno direttamente coinvolti dai fenomeni globali dell’immigrazione, deve continuare ad assicurare il bene comune, richiamando una concreta coscienza di solidarietà, così indispensabile per chi voglia aprirsi a nuovi e attuali orizzonti. La sfida lanciata dal Meeting attraverso questo incontro lascia ai relatori la possibilità di individuare e tracciare percorsi di conoscenza che aiutino l’umanità a ritrovarsi nel superamento delle barriere, dell’incertezza e della paura dell’altro; è una sfida che va accolta nella sua interezza, perché muove dalle corde più profonde dell’individuo, dal desiderio continuo di scoprire e riconoscere i possibili ambiti di convivenza umana, liberi da resistenze mentali e aperti alla bellezza di un’esistenza complessa. Le nuove tecnologie e la possibilità di assistere in tempo reale alle dinamiche in corso su scala globale, pare inducano a superare la necessità di costruire ponti, nella misura in cui sono cadute le barriere dello spazio e del tempo; ma resta effettivamente il pensiero di una coscienza che deve generare conoscenza, necessaria ad unire nelle differenze e a promuovere una vera civiltà dell’incontro. A questo riguardo, permettetemi di rimarcare anche la necessità che i nuovi mezzi di comunicazione non distorcano la verità, inficiando lo stesso concetto di libertà; sottolineo con soddisfazione in questa sede il contributo concreto e motivato che la Repubblica di San Marino sta offrendo, anche su scala internazionale, al tema dell’informazione corretta in luogo delle sempre più pericolose fake news, fenomeno ingannevole e incontrollato anche nella capacità di instillare odio e alimentare pregiudizi.
Il presupposto che deve animare anche l’azione politico-istituzionale sta proprio nel riconoscere la ricchezza delle diversità, che sono reali potenzialità sul piano umano, economico, sociale, culturale ed anche religioso. A questo riguardo, occorre avere a cuore lo sviluppo integrale di tutti, tenendo come capisaldi quei valori di libertà, di uguaglianza e di atteggiamento fraterno che rappresentano anche l’orizzonte per l’esercizio delle più alte responsabilità. Ciascuno è chiamato ad una rinnovata capacità di valutazione, di visione e di guida, che non sempre emerge con nitidezza nella scena internazionale. A titolo personale, rilevo che oggi ci sia necessità di trovare leadership capaci di guidare e di avvicinare posizioni differenti, che sappiano offrire indicazioni di prospettiva e di speranza.
Per far ciò, prendo a prestito le parole già utilizzate in questo Meeting qualche anno fa dal moderatore del panel odierno, il professore Wael Farouq, che incitano a riempire i vuoti con la presenza, nella consapevolezza che l’odio e il pregiudizio siano alimentati dal vuoto e crescano nel vuoto. Essere dunque presenti e testimoni dei cambiamenti della società per saperli guidare e non subire è essenziale, ed incombe non solo ai leader delle Istituzioni ma alla società intera che, oggi più che mai, ha necessità di interagire con le nuove sfide epocali, per frenare gli impulsi all’indifferenza e per promuovere ambiti di conoscenza e di recupero di fiducia. Mi piace chiudere questo mio intervento citando la suggestiva cornice di rapporti che unisce l’antica Repubblica di San Marino alle sue differenti comunità di cittadini sammarinesi sparse nel mondo e che fino all’epoca della globalizzazione erano unite alla madrepatria solo dal profondo legame sentimentale e da scambi e contatti mantenuti attraverso gli strumenti del secolo scorso. Oggi i ponti virtuali tra la terra d’origine e le comunità sparse in diversi continenti hanno ceduto il passo alla velocità dell’informazione e all’immediatezza degli scambi; nondimeno, si sono più che rafforzate le comuni idealità e la stessa profonda identità, che hanno sempre confidato nel dialogo permanente e costruttivo, strumento di unione e di autentica solidarietà. Con lo stesso spirito, auspico che prenda progressivamente corpo una mobilitazione sempre più estesa verso un ordine globale che alla cultura dell’indifferenza sostituisca cantieri di operatori di pace che, con presenza costante e strutturata, sappiano edificare ponti solidi di incontro fraterno e di pace fra popoli e nazioni.
WAEL FAROUQ:
Credo che tutti questi valori – superare pregiudizi, stereotipi, partire dalle identità, la cultura dell’incontro – trovino la loro affermazione nella presenza della Repubblica di San Marino in questo Meeting. Ringrazio tantissimo il ministro e passo la parola al dott. Khaled Azab a cui voglio porre una questione. La polizia segreta nazista aveva pochissimi poliziotti, se paragonati al numero di abitanti delle città che sorvegliavano. Una città di circa un milione di abitanti aveva solo 28 poliziotti. Perché bastavano così pochi poliziotti? Perché tantissimi abitanti denunciavano volontariamente tutto ciò che li insospettiva o
anche tutto ciò che non piaceva loro. La polizia segreta agiva sulla base di queste denunce fatte da persone che magari semplicemente non amavano un certo vicino di casa o il modo di fare di un certo venditore. In una di queste denunce, conservata negli archivi, una signora scrive che la sua vicina di casa è strana: non risponde ai saluti e nessuno viene mai a trovarla, tranne una ragazza che ha l’aspetto di una ebrea – così è scritto nella denuncia. La vicina di questa signora è stata arrestata ed è morta in un campo di concentramento. Come mai una certa cultura può costruire muri non solo fra persone ma soprattutto fra l’uomo e la sua umanità? Quindi, costruire ponti non è solo andare a incontrare l’altro ma soprattutto creare un certo ambiente in cui questi muri non possono separarci dalla nostra umanità. La biblioteca di Alessandria in Egitto oggi sta combattendo tanti muri: a parte il ruolo del dialogo internazionale culturale, c’è anche un ruolo molto importante nella società egiziana che spero il dott. Khaled Azab ci presenti oggi.
KHALED AZAB:
Il titolo del mio intervento sarà: “La scoperta dell’altro, la biblioteca di Alessandria, lo spirito della conoscenza”. Ringrazio vivamente per l’invito. Sembra che la nuova biblioteca di Alessandria rappresenti una corrente di pensiero, filosofia, conoscenza e scienza nel Medio Oriente. La biblioteca riprende lo spirito della sua versione antica, che fu fondata come istituzione accademica al di fuori dai templi religiosi per fare sì che la conoscenza e la verità che ne deriva fossero acquisite dall’esperienza umana e non dalla religione, stabilita da una fede che supera qualsiasi dimostrazione razionale. L’inaugurazione e il rilancio della biblioteca, avvenuti nel 2002, hanno rappresentato un evento storico, un fatto eccezionale nella vita degli egiziani che ha rapidamente suscitato degli interrogativi circa la biblioteca antica, quella di cui il mondo vanta le conquiste. Gli egiziani hanno così scoperto l’esistenza di un’epoca storica dimenticata e trascurata, che persino nei libri di scuola è trattata alla svelta. I Tolomei, successori di Alessandro Magno, non erano una forza occupante in Egitto, erano i sovrani d’Egitto, un Paese in cui risiedeva una numerosa comunità greca fin dai tempi della ventiseiesima dinastia egizia. I greci si integrarono nella vita degli egiziani, fondarono villaggi e città che presero nomi greci. Alcuni erano greci provenienti da città italiane. Di conseguenza, quando Alessandro Magno arrivò in Egitto, trovò un ambiente simile al suo, e i suoi successori trovarono l’atmosfera adatta a costruire un Paese dall’identità che unisse lo spirito dell’antico Egitto a quello dell’antica Grecia. Il risultato fu uno spirito nuovo, diverso, che fece di Alessandria la prima città globale in cui si riunivano varie etnie con un susseguirsi di idee e invenzioni racchiuse nella biblioteca. Tanto che Alessandria divenne la patria della conoscenza. Tuttavia, siccome quest’epoca della storia dell’Egitto è stata dimenticata, anche il ponte di collegamento tra l’Egitto e l’Europa, un ponte di storia e civiltà, è stato dimenticato nella memoria egiziana. L’Egitto guarda all’Europa con l’occhio di chi guarda un estraneo, e contemporaneamente, l’Europa guarda all’Egitto come a un Paese al di fuori del proprio sistema di civiltà. Per questo, la ricostruzione della biblioteca d’Alessandria è stata un’occasione d’oro per riavvicinare le due civiltà. La realtà adesso è che i contributi europei alla moderna biblioteca d’Alessandria sono al di sotto della quantità attesa. Con questo non si intendono contributi materiali, ma contributi teorici e scientifici. L’Europa propone i suoi pensatori e filosofi solo in determinate occasioni, come nel caso dei contributi di Umberto Eco, che ha accettato di diventare membro del Consiglio amministrativo della biblioteca di Alessandria e di dare delle conferenze all’interno della stessa. Costruire un ponte sul vuoto tra l’Egitto e l’Europa significa annullare il divario che separa gli Arabi dall’Europa, e anche l’Africa dall’Europa. Per questo, la biblioteca d’Alessandria usa tre lingue nelle sue attività: l’arabo, l’inglese e il francese, e nella nuova fase di pubblicazione è previsto l’uso dello spagnolo, dell’italiano e del tedesco, per aprire ponti più ampi con l’Europa. Questo programma di pubblicazioni tratterà temi legati alla cultura e al patrimonio storico dell’Egitto. D’altro canto, è in corso un progetto di traduzione dalle lingue europee alla lingua araba. La biblioteca in passato ha tradotto verso l’arabo diverse pubblicazioni. Recentemente, questo programma è stato rilanciato ed è in corso la traduzione di molti libri dall’italiano, dal francese e dal tedesco, nonostante gli ostacoli posti, in un modo o nell’altro, dalle esagerazioni europee in materia di diritti d’autore.
L’interazione tra l’Europa e Alessandria ha visto quest’anno l’avvio di una mostra, “Arabi ed Europa: interazioni”, che ora è parte del programma del Meeting di Rimini. La mostra, allestita nella biblioteca alessandrina a marzo scorso, ha ricevuto il sostegno del Consiglio internazionale dei Musei, Icom Europa, Icom Arab ed Icom Egitto. L’argomento della mostra è stato scioccante e ha attirato l’attenzione della stampa araba. Le crociate e i conflitti arabo-europei sono argomenti interessanti e sono ciò che sopravvive nell’immaginativo arabo. Per la prima volta troviamo in questa mostra la ricerca di ciò che accomuna le due civiltà, delle relazioni da cui scaturiscono elementi artistici che esprimono l’interazione tra le due sponde del Mediterraneo. La ricerca dei fattori comuni e della coesistenza è la base su cui la biblioteca di Alessandria costruisce la propria visione filosofica nell’interazione con l’altro, contrariamente ad altre istituzioni che cercano di marcare i punti di discordanza e i conflitti storici, per avviare un dialogo. In questo contesto la biblioteca di Alessandria sembra l’uccello che cinguetta fuori dallo stormo. Tuttavia, il suo cinguettio costruirà, col passare del tempo, una nuova corrente, specialmente perché i limiti e le restrizioni, nell’ambito della globalizzazione digitale, non impediscono alle nuove generazioni di cercare l’altro e trovarlo nella rete di Internet, demonizzato ideologicamente dagli estremisti. A questo si oppongono gli sforzi rapidi della Biblioteca alessandrina per farci conoscere e scoprire nuovamente l’Europa. Noi vogliamo rispondere a una serie di domande: l’Europa è un nostro tradizionale nemico o un partner storico? La risposta a questa domanda, se posta dagli estremisti, sarà che è un tradizionale nemico, ma per noi della biblioteca alessandrina l’Europa è un partner storico. Perché è un partner storico?
Indubbiamente, il sangue misto tra nord e sud del Mediterraneo può rispondere e convincere gli egiziani della risposta. Il sangue greco scorre nelle vene dell’Egitto, così come quello italiano. Vi sono termini italiani che sono diventati parte del dialetto egiziano fin da epoche remote. Noi, appartenenti alle generazioni egiziane, vediamo Cleopatra come simbolo egiziano. Gli europei, invece, la vedono come incarnazione della civiltà romana e delle relazioni storiche. Questa comunanza era più forte delle ordinanze papali che vietarono il commercio con l’Egitto nell’era mamelucca. La realtà era più complessa dell’ordine di divieto e gli egiziani vedevano Genova e Venezia come qualcosa di più di semplici soci d’affari. Per questo motivo, stiamo costruendo un programma di ricerca sugli scambi commerciali nel Medioevo tra Alessandria, Genova e Venezia. Il centro della civiltà islamica nella biblioteca di Alessandria svolge un’opera di riscoperta della profondità della presenza italiana in Egitto fino al XIX secolo. È stato scoperto un decreto mamelucco nella città di Fua, sul delta del Nilo, che indicava la presenza di commercianti provenienti da varie città italiane. Questo vuole forse dire che gli italiani si sono infiltrati in Egitto fin da un epoca molto precoce della storia egiziana? In verità, l’argomento è ancora oggetto di dibattito, specialmente perché le missioni archeologiche europee si concentrano sulla civiltà faraonica e tralasciano gli scavi nelle colline archeologiche a nord del delta del Nilo, nonostante l’interazione tra l’Europa e l’Egitto fosse molto estesa nelle epoche antiche. Le missioni archeologiche europee andranno forse ad esplorare le profondità delle colline egiziane antiche, dopo che la biblioteca di Alessandria avrà ultimato un atlante dei siti che hanno bisogno di essere esplorati? Perché tutto questo? La conoscenza egiziana dell’Europa è ancora limitata, così come la conoscenza europea dell’Egitto. Entrambe le parti hanno bisogno di riscoprire l’altra, ma questa riscoperta a sua volta ha bisogno di una riforma di conoscenza. Questa riforma avviene in seno alla biblioteca di Alessandria su tre assi. 1. Studi futuristici: un campo di studi importante che bisogna radicare nelle società arabe e nella società egiziana, poiché sono ancora affrontati in maniera individuale. Per la prima volta diventano un progetto istituzionale che mira a costruire la conoscenza del futuro e non solo a realizzare studi futuristici. La mancanza di conoscenza ha portato alla non conoscenza. La traduzione in arabo di argomenti scientifici diventa quindi un fatto vitale, soprattutto con il grande progresso che avviene in Danimarca e Germania. In seguito, bisognerà formare una nuova generazione di giovani ricercatori e stimolarli a continuare il loro lavoro. 2. Studi di sociologia delle religioni: la religione ha rappresentato lo spirito e la filosofia delle società del Medio Oriente. Spesso, però, è trasformata in ideologia politica, influendo in maniera negativa sulle nostre società. Per questo, studiare dell’influenza religiosa sulla società e frenare le conseguenze negative della trasformazione della religione in ideologia politica, è ciò su cui ha operato la biblioteca di Alessandria negli anni passati. 3. Studi umanistici: lo scopo di questo campo di studi è la ricerca degli elementi che accomunano i diversi studi umanistici e la relazione tra gli studi umanistici e le diverse scienze. Esistono infatti nuovi campi di studio che necessitano di essere approfonditi, come la sociologia di Internet, l’influenza della rivoluzione digitale sui valori umani, la filosofia dell’era digitale. Grazie.
WAEL FAROUQ:
Come anticipato, quello che veramente colpisce nell’incontro non è andare dove c’è l’altro per fare il dialogo ma lavorare nella tua casa con i tuoi per fare questa apertura, per porrei fondamenti di questi ponti di incontro e di dialogo. Quello che sta facendo la biblioteca di Alessandria oggi è veramente molto importante, perché il museo delle religioni aiuterà a far capire la storia e la bellezza dei monumenti che mostrano in questo museo la diversità che c’è stata sempre e che ha generato sempre il bene per l’umanità. Andare a fare riforme nei libri delle scuole, costruire nel futuro del Paese, tradurre dalle lingue europee in lingua araba, fare il possibile perché i giovani arabi possano leggere la letteratura, la filosofia, le leggi occidentali e capire loro stessi, porterà tanto bene e tanto bello alle diverse civiltà. Quindi, un ruolo molto importante per chi vuole costruire ponti: non due diversità che cercano di incontrarsi ma un lavoro fatto dentro la propria casa. C’è una grande persona che io personalmente ho incontrato nel 2002, una persona così grande, così umile da girare il mondo per portare la sua testimonianza, non di tolleranza ma di amore per gli altri; una persona che ha lasciato il nostro mondo poco fa ma il cui segno in questo mondo rimarrà per lungo tempo, perché ha generato nei cuori di altri un amore per gli altri. Una delle persone che hanno avuto una lunga amicizia e un lungo rapporto con lui è Roberto Fontolan, al quale chiedo di presentare la sua esperienza dell’incontro con questa grande figura.
ROBERTO FONTOLAN:
Fin dall’inizio della sua storia, il Meeting è stato un luogo di costruzione, pensato e voluto come una casa di vetro e di luce, oppure come porto accogliente, dove arrivano navi: e come vorrei che quella nave venisse lasciata attraccare e quelle persone venissero lasciate sbarcare! Un porto pensato, voluto come un porto accogliente dove le navi arrivano e da cui le navi, anche le nostre navi, noi, ripartono con un amico in più, con un bagaglio più grande. In questo cammino di costruzione, abbiamo avuto tanti compagni, tanti si sono coinvolti in quest’opera. Non solo compagni ma amici e anche maestri di costruzione, guide di navigazione. Parlerò qui, come diceva Wael, di uno di loro, uno dei più grandi, uno dei più affezionati. Una volta mi disse: «Non ho mai conosciuto don Giussani ma, vedendo il Meeting, vedo la sua grandezza». Parlo del cardinale Jean Louis Tauran, salito al cielo poche settimane fa, poco dopo il suo straordinario viaggio in Arabia Saudita. Il cardinale è stato a lungo ministro degli Esteri, per dire così, del Vaticano, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, e poi presidente del Pontificio Coniglio per il Dialogo interreligioso. Un uomo instancabile e dedito, nonostante la malattia sempre più invalidante, sempre più incalzante. L’ho vista l’ultima volta poco prima di Pasqua, gli avevo portato gli auguri nella forma di un grande uovo di cioccolato, non libri e carte come in tante altre occasioni. Era sorridente e sofferente, preso da un lavoro senza sosta. Desiderava tornare al Meeting, avevamo fatto anni prima una specie di patto: una sua visita qui ogni due o tre anni. E stavolta, questo 2018, sarebbe stato l’anno di questo ritorno. Ne avremmo riparlato dopo il suo viaggio a Riad, non è stato possibile se non in forma indiretta, tramite i suoi collaboratori, però non ci ha fatto mai mancare come sempre suggerimenti per il Meeting. Ma come ci ha accompagnato? Come ci ha guidato? Nel 2010, presentando a Roma quella che sarebbe stata l’edizione successiva del Meeting, diceva: «Il desiderio è molto diverso del bisogno, è la tensione di tutto l’essere verso l’oggetto amato, mentre il bisogno è la tensione verso qualcosa necessario e che si esaurisce una volta ottenuta. Dio ci ha creato con molti bisogni, ma in quanto creatura fatta a sua immagine e somiglianza, abbiamo bisogno di qualcosa in più e, forse, senza saperlo, quello che desideriamo è Dio stesso». Era questo un cardine del suo pensiero ma direi anche un cardine della sua attività: questa percezione del desiderio di Dio da parte di noi creature. La prima volta del cardinale, che non era ancora cardinale ma monsignore, qui al Meeting, fu venti anni fa, nel 1998: tenne una straordinaria conferenza sul cinquantesimo della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo. Aveva infatti anche, tra le tante doti, un’eccezionale capacità di insegnamento: chiarezza, semplicità, saggezza erano le sue doti. Diceva: «La Chiesa non attinge la dottrina dei diritti dell’uomo dalle ideologie politiche o dai testi internazionali, ma nella rivelazione cristiana». Proprio questo spiega l’intensità della Chiesa cattolica a favore della difesa dei diritti umani: non è un impegno secondario, non è una conseguenza ulteriore che potrebbe anche non esserci. L’impegno per tutti gli uomini e per l’uomo intero scaturisce da quella sorgente. La difesa dei diritti umani non deriva, ma nasce. Tornò al Meeting dieci anni dopo, il patto non era ancora entrato in funzione, nel 2008, e del suo discorso di quella volta mi piace ricordare questo passaggio, perché considerandolo oggi, a posteriori, era un passaggio profetico, come vedremo: «Nel mese di luglio scorso – eravamo appunto nell’agosto 2008 – il Re dell’Arabia Saudita, profondamente sconvolto dall’udienza che papa Benedetto gli ha concesso nel mese di ottobre scorso, ha convocato i rappresentanti dell’Islam, del cristianesimo e dell’ebraismo per un incontro di riflessione e alla fine di questo incontro siamo stati in grado di condividere quattro convinzioni comuni. La prima: siamo tutte creature di Dio e quindi c’è un’unità del genere umano. Secondo: la differenza di religioni e culture non è una minaccia, è un arricchimento. Terzo: la famiglia è la realtà più importante per la trasmissione dei valori. Quarto: il dialogo religioso è un contributo essenziale alla pace». Ebbene, diceva il Cardinale, «poter dire assieme queste quattro cose non era possibile anni fa e io penso che questo è già il segno che Dio benedice i nostri sforzi. Dio è paziente, affida alla libertà e alla creatività dell’uomo il suo progetto, cioè che l’intera famiglia umana sia una famiglia». È interessare notare proprio in queste ultime parole, i termini “pazienza di Dio” (2008): la pazienza di Dio che si affida alla libertà e alla creatività umana. Intervenne nel 2010 per toccare due punti fondamentali, rispondendo alla domanda. Cosa possiamo fare assieme noi credenti? «Una pedagogia del vivere assieme: siccome ogni religione si pratica nel quadro di una comunità, le nostre assemblee di preghiera, le attività sociali di ispirazione religiosa sono luoghi dove si apprende a vivere con gli altri, a rispettare la loro singolarità. Dai credenti, ogni persona deve poter trovare la parola che consola, che guarisce, che orienta, sennò vedremo presto apparire slogan identitari e guru compiacenti». È interessante questo passaggio del 2010. Secondo, «una proposta etica: non dobbiamo avere paura di distinguere il bene e il male, di ricordare diritti e doveri delle persone e delle istituzioni, di contribuire assieme ad abbattere i muri che la paura dell’altro ci ha fatto levare. È esattamente questo che si realizza con il dialogo interreligioso ed ecumenico. Dimostriamo che è possibile vivere la differenza nella fraternità e così si potrà passare, a poco a poco, dalla paura dell’altro alla paura per l’altro». Nel 2012 intervenne sul tema della libertà di religione, la libertà di credo. Facciamo attenzione a questi punti che ha specificato in modo molto preciso. Non li elenco tutti ma è importante conoscere tutti i dettagli, perciò vi invito a guardare perché nel sito del Meeting ci sono tutti questi testi. Cito solo i primi due: il diritto di avere la religione o il credo di propria scelta o di non possederne nessuna, o di cambiarla o di rinunciarvi; il divieto di ogni discriminazione fondata sulla religione o il credo e poi, via via, la libertà di esercitare il culto, eccetera. Ma poi c’è un altro passaggio, in quel discorso, che riguarda lo Stato: «I pubblici poteri non possono né imporre né impedire un’adesione religiosa, né propagandare la distruzione del fenomeno religioso. Essi devono proclamare la libertà religiosa quale diritto civile e garantirne l’effettivo esercizio. È in gioco la tutela del bene comune, lo Stato deve esercitare una neutralità: né indifferenza né ostilità né identificazione con una religione né propaganda di una ideologia antireligiosa. Nel caso di una religione che, a causa della storia, abbia particolari legami con una nazione, lo Stato potrà riservare un sostegno speciale a tale religione, ma senza che gli altri credenti vengano discriminati, soprattutto quando appartengono a una minoranza». Mi piace ricordare questo cammino con cui il cardinale ci ha accompagnato negli anni. Ma perché la libertà di religione è preziosa? Ma perché essa, discorso del 2013, non è che la libertà della persona umana di scegliere una relazione con Dio e di decidere di vivere conformemente ad essa. Ovviamente, tutto questo suppone che la persona, usando la ragione, abbia riconosciuto l’esistenza di Dio e che le sia garantita la libertà di pensiero. Scegliere o decidere di avere una relazione con Dio è l’atto più importante che l’uomo possa compiere, si tratta nientemeno che entrare in relazione con Dio. Ecco perché tale scelta e decisione devono realizzarsi senza coazione esterna o interna. E veniamo infine al 2015, l’ultima volta che abbiamo sentito su questo palco il cardinale Tauran: ve lo faccio risentire nell’ultimo minuto del suo intervento.
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JEAN-LOUIS PIERRE TAURAN:
Siamo dei richiedenti asilo più che mai nelle nostre società pluralistiche, le religioni e i loro seguaci devono essere sul terreno benevoli e solidali con tutti, consapevoli però di essere chiamati a raccogliere una triplice sfida: la prima, il dovere dell’identità, la seconda, il coraggio dell’alterità e la terza, la sincerità delle intenzioni. Allora scopriremo che il futuro non è altro che il presente messo in ordine per permettere che si realizzi il disegno di Dio, cioè rendere felice ogni persona umana. Vorrei ringraziarvi, membri del Comunione e liberazione che ogni anno invitate a Rimini, per condividere la gioia di sapere chi siamo e dove andiamo, sì, grazie a voi che aprite la porta per dire al viandante: «Venite e guardate, Dio non è morto». Grazie.
WAEL FAROUQ:
Sono sicuro che al cardinale Tauran sarebbe piaciuto tantissimo essere oggi con noi per continuare il dialogo cominciato a Riad, la capitale dell’Arabia Saudita, con Sua Eccellenza Muhammad Bin Abdul Karim Al Issa. Come ho detto all’inizio, noi non invitiamo le persone solo per il loro incarico ma soprattutto per loro persona. A parte l’amicizia con il cardinale Tauran che lui, con un gesto molto significativo per un arabo, ha invitato a casa sua, nel suo paese, c’è un curriculum vitae veramente lungo. La cosa minore che ha fatto è il ministro della Giustizia. Ma io voglio sottolineare altre cose: è un giurista che ha presentato una grande riforma per le leggi dell’Arabia Saudita, ha scritto tantissimo libri, la maggior parte dei quali sui diritti umani. Uno studioso dell’Islam, che ha sempre ripetuto il rifiuto a ridurre l’Islam a qualsiasi dottrina, wahabismo e salafismo inclusi. La Lega musulmana rappresenta cinquanta Paesi del mondo islamico e lui è il presidente eletto di questa organizzazione. Ma oltre a ricordare le tante opere di carità che fa la Lega musulmana, voglio porre anche una domanda particolare. Noi, come musulmani, non facciamo nulla nella nostra vita quotidiana senza premettere l’espressione “Nel nome di Dio Misericordioso”. La parola misericordioso, il nome di Dio, ha la stessa radice di un’altra parola che significa ”il grembo della donna”. Quindi, l’Islam ci dice che non possiamo fare niente nella nostra vita quotidiana, non possiamo mangiare, bere, giocare, lavorare, senza ricordare che facciamo questo per l’amore di Dio e per l’amore di tutti quelli che sono usciti dal grembo di Eva, cioè l’umanità. Come esperimenta questo valore della misericordia nella sua vita e nel suo lavoro per la Lega musulmana mondiale?
MUHAMMAD BIN ABDUL KARIM AL ISSA:
Nel nome di Dio, grazie a Dio che ci permette di incontrarvi oggi in questa bella città tramite questo convegno internazionale, le cui attività sono degne di elogio e apprezzamento. La volontà del nostro Creatore fa sì che l’umanità sia varia in colore, lingua, religione, pensiero e cultura. Dio l’ha racchiusa interamente nell’espressione del nobile Corano: «Dio ha onorato i figli di Adamo». Questo è un tributo divino che non esclude nessun essere umano, perché è frutto della pietà e della giustizia divina.
E l’umanità, è stata forse soddisfatta da questa pietà e da questa giustizia divina? Sì, ne sono soddisfatti i cuori puri, pieni di passione e bene, che hanno visto in buona parte di questa diversità una ricchezza umana che stimola al dialogo, alla coesistenza, alla cooperazione e alla pace. Non è invece soddisfatta la malvagità che ha innescato l’odio, ha scatenato le guerre e l’ingiustizia, ha classificato l’umanità su basi razziste e discriminatorie, ha sollevato lo slogan del conflitto di civiltà, facendo del conflitto – non della pace e della concordia – l’origine del nostro pianeta; ha stabilito una teoria secondo la quale la diversità è conflitto e niente è degno se non la propria comunità religiosa, etnica o politica, sia che esprima questo concetto con parole o lo pratichi senza dichiararlo.
Nonostante gli ostacoli che hanno incontrato idee del genere lungo la storia passata, e nonostante gli ammonimenti scaturiti dalla storia, queste idee malvagie continuano ad insistere nella loro follia, priva di qualsiasi significato umano, etico, logico, razionale, lontana da qualsiasi saggezza. Saranno queste idee a soffrire per prime l’esito della loro sconsideratezza, seppure mascherata da una temporanea vittoria. Per essere imparziali, abbiamo il dovere di essere consapevoli dell’esistenza di gruppi che sono arrivati al declino ideologico, basandosi su convinzioni religiose o filosofiche estremiste. Si tratta di fenomeni isolati che si manifestano in ogni religione e in ogni epoca. Abbiamo detto e continuiamo a dire che non esistono religioni estremiste in partenza, ma che in tutte le religioni ci sono estremisti, così come ci sono delle filosofie che propinano scempiaggini teoriche, piuttosto che logiche filosofiche. Nel nome dei popoli musulmani uniti nella Lega del Mondo islamico, abbiamo avvertito l’importanza di chiarire la verità della religione musulmana che ama, coesiste, dialoga e coopera con tutti, dopo che l’estremismo, isolato dall’Islam, ha cercato di abusarne, ad opera di gente malvagia, stolta e ignorante. Qualsiasi religione che non si armonizzi con la vita non può sopravvivere per 1400 anni, come è successo all’Islam. L’Islam è ancora una delle religioni geograficamente più distribuita e più in crescita; l’Islam conta oggi più di un miliardo e ottocento milioni di fedeli che comprendono i precetti di Dio sulla varietà delle religioni, dei pensieri e delle culture e considerano la coesistenza, la concordia, la tolleranza e la pace come alti valori etici. I fedeli musulmani ritrovano questi valori nel nobile Corano e nei precetti del Profeta e si oppongono a chiunque abusi dei loro testi sacri, propinandone una comprensione sbagliata o distorcendone il significato per altri scopi. Non è logico né giusto semplificare questa religione, con le sue centinaia di milioni di credenti, ad un’unica categoria estremista che non conta, secondo le statistiche della Lega del Mondo islamico, più di un appartenente per ogni 200mila musulmani moderati. La diversità religiosa e culturale dell’umanità è un fatto innegabile e qualunque sia la distanza, il vuoto che separa i vari gruppi, non ci permette di trasformare il mondo in un’arena di conflitto. Come abbiamo detto, tale diversità è parte dei precetti del nostro glorioso Creatore e non deve mai scontrarsi con l’importanza della coesistenza, della cooperazione, della carità e della passione verso tutti, come condizione fondamentale per vivere in libertà, pace e concordia. Non si fermeranno davanti al richiamo dei saggi e dei sapienti, per la necessaria sovranità dei nostri fattori comuni, morali ed umani, che garantiscono la pace e la concordia nel nostro mondo, se non i successori dei malvagi di ieri, gli estremisti e i terroristi che la storia dell’uomo ha visto in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni religione e ideologia. La storia, nelle sue pagine più radiose, ha reso immortali coloro che si sono sacrificati per combattere l’odio, il razzismo e tutte le forme di ingiustizia; e in compenso ha schiacciato, con la sua giusta logica, quei malvagi che hanno sollevato lo stendardo dell’astio e dell’oppressione contro l’umanità per motivi religiosi, etnici o per ambizioni puramente materiali. Siamo consapevoli dell’esistenza di stereotipi reciproci tra alcune nazioni, alcuni popoli e alcune culture, basati sul fraintendimento che scaturisce dalla mancanza di dialogo. Questo è ciò che, nel maggior parte dei casi, porta ad usare informazioni provenienti da un’unica fonte per formulare impressioni e giudizi umani più pericolosi e gravi. A nome di coloro che fanno parte della nostra organizzazione, la Lega del Mondo islamico, a nome di quel miliardo e ottocento milioni di musulmani, ci presentiamo al mondo col messaggio dell’Islam che si fonda sulla nobiltà d’animo e sui valori della pace, pregando che il dialogo, con i suoi significati profondi, prenda il posto del conflitto, e la comprensione basata sul rispetto reciproco compensi le politiche di egemonia e supremazia che sono collassate davanti alla tribuna della giustizia divina. Non dimenticheremo, nel nostro mondo, altri argomenti che rappresentano la parte più importante del processo di costruzione dei ponti di pace e concordia umana: innanzitutto, i diritti delle minoranze, della donna e i diritti umani in generale, oltre all’emigrazione, l’integrazione, la tratta di esseri umani, la povertà, l’ignoranza e così via. Argomenti che richiedono da noi maggiori sforzi per essere vissuti correttamente. In questo senso, le organizzazioni mondiali affiliate alla Lega del Mondo islamico, che operano per favorire lo sviluppo nel mondo e distribuiscono diverse centinaia di milioni di dollari all’anno, non guardano alle proprie attività caritatevoli se non con uno sguardo umano, senza alcuna discriminazione religiosa, etnica e di qualsiasi tipo. I nostri precetti islamici e i nostri valori morali lo confermano. La Lega del Mondo islamico offre tutti i suoi servizi in coordinazione diretta e trasparente con i governi di tutti i Paesi in cui opera. Abbiamo relazioni forti con le altre religioni e le varie scuole di pensiero, abbiamo scambiato con tutti (senza eccezioni) visite ed eventi che rappresentano e sostengono i nostri valori comuni. In conclusione, vorrei ringraziare i fautori di questo speciale convegno che mi hanno dato l’opportunità di parlare dell’Islam a nome della Lega del Mondo islamico, che raccoglie sotto il suo stendardo centinaia di milioni di musulmani dalla sua sede principale, La Mecca, mira delle loro preghiere e legame spirituale che li unisce. Grazie per la vostra generosa partecipazione.
WAEL FAROUQ:
È veramente bellissimo, questo lungo applauso, perché non siamo in grado di fare una testimonianza se non siamo capaci di riconoscere le testimonianze degli altri. Questo applauso indica che la testimonianza del Meeting è vera. Perché solo quelli che vivono la verità sono capaci di vederla. Ricordo la storia di un ragazzo universitario molto religioso, che ha avuto un’amicizia con una sua collega. Studiano insieme, mangiano insieme, vanno al cinema insieme e un giorno questa ragazza è andata da lui dicendo: «Ti ho nascosto una cosa, ma siamo così profondamente amici che devo dirla». E si aspetta che lui si arrabbi perché lei è lesbica e lui un ragazzo religioso. Ma questo ragazzo le fa una domanda che ogni volta che ne parlo mi colpisce: «Sei solo questo?». Sei solo questo? Un proverbio italiano, e anche arabo, dice: l’amore è cieco. Perché quando qualcuno è innamorato, non è capace di vedere i difetti dell’altro. Ma io dico che l’amore è discernimento perché solo l’amore può renderci capaci di vedere oltre i difetti dell’altro. Lo sguardo che rappresenta questo Meeting, questo spazio di testimonianza, è indipendente. E questa sua indipendenza dipende da voi, dalle vostre donazioni perché questo Meeting possa continuare ad essere uno spazio per la testimonianza, ad avere il coraggio di fare quello in cui crede anche se a volte va controcorrente.
(trascrizione non rivista dai relatori)