IL WELFARE AZIENDALE. QUALE MODELLO?

Partecipano: Fiammetta Fabris, Direttore Generale di UniSalute Spa; Andrea Keller, Amministratore Delegato di Edenred; Manuela Kron, Direttore Corporate Affairs del Gruppo Nestlé in Italia; Annamaria Parente, Membro della Commissione permanente Lavoro e Previdenza Sociale del Senato. Introduce Bernhard Scholz, Presidente di Compagnia delle Opere.

Il welfare aziendale. Quale modello?

BERNHARD SCHOLZ:
Buongiorno a tutti e benvenuti a questo incontro sul welfare aziendale. Guardando il pubblico vedo che è un incontro dove sono anche alcuni esperti del tema e quindi spero che sia interessante anche per chi è esperto, ma anche per chi, come vedo altri, hanno delle aziende, che cercano di comprendere le opportunità, che il nuovo welfare aziendale potrebbe dare alla loro impresa.
Saluto in modo particolare i nostri ospiti che ci aiuteranno a comprendere meglio questo tema. Prima di tutto la senatrice Annamaria Parente, che è membro della Commissione Lavoro e Previdenza del Senato, la Direttrice Generale (si chiama Direttore in termine tecnico, ma io preferisco dire Direttrice Generale) di UniSalute, Fiammetta Fabris, Manuela Kron, Direttrice Corporate Affairs del Gruppo Nestlé Italia e Andrea Keller, Amministratore Delegato di Edenred.
Uno dei pochi incontri dove noi maschi siamo in minoranza, ma questo potrebbe essere un segnale molto positivo.
Allora, noi parliamo di welfare. Il welfare, di per sé, non è qualcosa di nuovo perché tanti imprenditori hanno sempre cercato di aiutare, di contribuire al benessere dei loro dipendenti, delle loro famiglie in un modo privato (pensate, solo in Italia, uno dei nomi famosi è Adriano Olivetti). Certamente le modalità sono cambiate, si sono evolute, si è cominciato a lavorare con partner esterni, con le istituzioni e quindi, sono soprattutto tre filoni sui quali il welfare si è sviluppato: contributi particolari per la previdenza e la sanità, alcuni servizi alla famiglia (come l’asilo nido aziendale) e poi i classici benefit aziendali che sono i buoni pasto, l’auto aziendale, la carta di credito, il cellulare… Però, con la legge di stabilità 2016 è entrato un grande cambiamento. Vi chiedo scusa se dico adesso due o tre cose un po’ tecniche, ma se non le dico, non si capisce bene di che cosa stiamo parlando. Con questa legge il welfare aziendale è diventato oggetto di una contrattazione sindacale di secondo livello, ma anche possibile per aziende senza rappresentanza sindacale.
La contrattazione di un piano di welfare viene concordato con i dipendenti (che hanno poi la libertà di scelta) e ha come conseguenza che beni e servizi, che il datore di lavoro mette a disposizione, non sono assoggettati né a tassazione, né a prelievo contributivo, fino a un massimo di 2.000 euro.
E poi sono molto aumentate le possibilità che il datore di lavoro può mettere a disposizione dei suoi dipendenti. Ne dico solo alcuni, tranne i classici che conosciamo, servizi educativi, nidi, scuole e università, assistenza familiare anziani non autosufficienti (una cosa quasi rivoluzionaria rispetto a leggi precedenti), contributi di assistenza sanitaria e integrativa e di previdenza complementare, prestiti al pagamento degli interessi del mutuo. Finisco qua, perché la lista finisce poi, con i servizi di lavanderia, che sembra poco ma viene utilizzato sempre più frequentemente, perché soprattutto per le donne è un grande aiuto. Allora si vede che abbiamo uno spettro molto ampio.
Le conseguenze sono due: da una parte, le conseguenze per le aziende che avete, che ho già enunciato, ma poi anche un grande cambiamento per i soggetti profit e non profit, che erogano questi servizi. Quindi, parliamo di questi due aspetti, di opportunità per le aziende e i cambiamenti che questo implica per chi fa, eroga questi servizi, in accordo con le aziende.
Allora, abbiamo concordato di iniziare con l’intervento della senatrice Parente che ci aiuterà a capire, come abbiamo detto prima, la ratio della legge, cioè quali sono state le ragioni per la quale il legislatore ha voluto fare questa legge che ha avuto anche un ampio consenso, se non mi sbaglio.
Oltre a quello che ho detto, c’è ancora un aspetto specifico, perché la legge ha anche l’intenzione di sostenere la crescita della produttività delle aziende, perché, come sappiamo da tutte le statistiche, la produttività delle aziende italiane è il tallone d’Achille del sistema economico italiano. Perché in creatività nessuno ci darà mai delle lezioni, perché siamo i primi al mondo. Il problema è l’efficacia, l’efficienza di un sistema produttivo che spesso non riesce a creare redditi sufficienti o a controllare i costi in modo sostenibile. Quindi, grazie di essere qua con noi e a lei la parola.

ANNAMARIA PARENTE:
Grazie veramente. Io vorrei cominciare dalla frase, che voi avete preso a prestito di un grande dell’umanità quale Goethe per il vostro Meeting, perché questa frase ci sono anche le ragioni, la ratio come diceva Bernhard, anche che ha guidato il nostro essere legislatori. “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo per possederlo”. Perché questa frase mette in gioco la nostra responsabilità, la mia responsabilità in questo momento della mia vita di essere rappresentante nelle istituzioni e il welfare aziendale, che è una acquisizione legislativa nella legge di stabilità già da due anni. Io alla prima legislatura ho imparato, che non c’è legge più politica che quella di stabilità di bilancio, perché si compiono delle scelte precise e legiferare significa scegliere, perché appostare le risorse su una misura piuttosto che su un’altra, indica una direzione di marcia per la politica.
Quindi, avendo scelto nella legge cardine del nostro vivere comune, di inserire il welfare aziendale (peraltro, nelle passate legislature c’era una misura, ma non era come questa), ha significato scegliere che il welfare aziendale una legislatura di sostegno per vivere meglio nel lavoro.
Questa è l’eredità che noi abbiamo avuto dai nostri padri, quando il sindacato in Italia e negli altri Paesi europei… Guardiamo dove non c’è il sindacato che cosa succede negli altri Paesi del mondo. Adesso tutto viene tacciato come forse non tanto bello, ma il sindacato in Italia ha combattuto perché il lavoro potesse essere più dignitoso. Se pensiamo alle donne, le donne prima potevano essere licenziate quando si sposavano. Quindi il percorso di acquisizione di un lavoro degno, come ci ricorda sempre questo meraviglioso Papa e come avete anche nella frase all’ingresso di questa bellissima mostra, ma …E quindi il welfare aziendale parla di un lavoro più dignitoso e di benessere aziendale.
Quello che più mi ha impressionato nel vostro Meeting e che mi impressionava anche quando ci venivo negli anni scorsi, è che voi basate molto sulle questioni delle testimonianze (anche quella bella mostra sul lavoro è basata su questo). Una testimonianza la riporto insieme a Keller abbiamo fatto un tour per diffondere la normativa, perché uno degli altri temi che abbiamo in Italia, acquisita una normativa, la legge non viene conosciuta, non viene usata, ci sono delle risorse su questa ancora non spese. E abbiamo raccolto anche delle testimonianze qui in questo piccolo libricino: “Welfare book” che abbiamo fatto anche insieme a Keller. C’è una donna, una responsabile, una piccola e media azienda. Qui ci sono aziende grandi, ma il tema sarà anche incentivare questa normativa per le piccole e medie aziende e quindi incentivare contrattazioni territoriali (dico due cose su questo di qui a poco), e una donna di un’azienda dice che ha fatto esperienza di welfare aziendale: “Chi sta meglio, lavora meglio”. Questo è poi il cuore. E quindi, questa normativa è uno straordinario crocevia di questioni fondamentali, di incontro di questioni fondamentali.
Il primo è la produttività come ci ricordava Bernhard. Noi abbiamo delle agevolazioni fiscali, perché in realtà si compone di due grandi questioni: la prima agevolazione fiscale, una tassazione agevolata per premi di produttività e la scelta in più la scelta data volontariamente al lavoratore e alla lavoratrice di trasformare il premio di produttività in benefit. Quindi, diciamo ci sono due grossi filoni in questa normativa.
Questo avviene solo se la contrattazione decentrata è legata alla produttività. Noi sappiamo che l’Italia ha un bisogno enorme di crescere in termini di produttività e di innovazione. E stiamo ancora scontando gli anni 2000, in cui i fattori della produttività sono diminuiti del 6,2%, dal 2000 al 2014. Scontiamo ancora questo. Scontiamo l’abbassamento del PIL, anche se i recenti dati sul PIL ci confortano molto, confortano noi parlamentari che siamo alle porte dell’affrontare a fine legislatura una nuova legge di bilancio. Sapete nel 2017 (non vado fuori tema, ma sono questioni importanti per tutti noi) perché nel 2017 c’è la questione delle clausole di salvaguardia dell’Unione Europea e avere un PIL che sta crescendo, fa respirare tutti noi che di qui a qualche settimana (quest’anno cominciamo nel Senato, sapete che c’è una staffetta tra Camera e Senato e quest’anno siamo noi in prima lettura al Senato con la legge di bilancio), avere questi dati positivi sul PIL ci mette nelle condizioni di aprire positivamente anche la legge bilancio a misure di crescita diversa. Quindi, agevolazioni fiscali legate alla produttività, il premio di produttività legato all’aumento di produttività delle aziende, il decreto attuativo della normativa dà indicazioni su come si misura questa produttività. Questo voi che sono persone di azienda, sappiamo quanto non è sempre facilissimo dare delle indicazioni di misurazione della produttività. Questa normativa si lega anche ad altre leggi che abbiamo portato a termine in questa legislatura (penso al lavoro agile, allo smart working) perché questo è uno dei fattori che la legge e il decreto attuativo indica come temi aperti nelle aziende per aumentare la produttività. E allora, il primo crocevia è questo.
Il secondo, una politica pubblica, cioè noi abbiamo agito su una politica pubblica, perché agire sulla leva fiscale vuol dire fare una politica pubblica di sostegno al benessere aziendale. Noi abbiamo i dati (ieri sera ne parlavamo con il ministro Poletti) i recenti dati il Ministero del Lavoro ha messo a disposizione da qualche giorno, in cui i contratti depositati (perché nella normativa c’è l’obbligo di depositare i contratti e nei contratti deve essere scritto il criterio di misurazione della produttività, devono essere scritti la scelta dei lavoratori tra il cash del premio di produttività e la scelta invece del benefit), i contratti depositati finora sono 25.349 di cui 12.700 ancora attuati, cioè che valgono ancora per il 2017. Quindi un risultato molto dignitoso, molto importante di questa normativa.
Naturalmente se guardiamo i dati, la normativa è stata adoperata soprattutto dalle grandi aziende al nord, quindi questo ci indica che noi dobbiamo cercare di incrementare e ancora di più, di agevolare; le parti devono agevolare la contrattazione territoriale che vale sia per territori come quelli del sud, sia per realtà come quelle delle medie e piccole aziende.
E questo è un lavoro che le parti devono fare, perché il terzo crocevia è che noi, la legislatura affida con una politica pubblica affida alle parti il protagonismo della scelta del welfare aziendale. Questo è il lascito per chi come me, viene da una tradizione sindacale anche dei nostri padri: l’incremento, il mettere al centro la contrattazione decentrata e il protagonismo delle parti, significa che società complessa si governa non solo con le leggi, ma con il governo, appunto, di bisogni diversi. Con questa normativa di mette in moto tutto un sistema di modernizzazione delle ricompense, perché si mette in equilibrio, si cerca di dare un equilibrio diverso tra salario fisso, salario variabile e benefit. Ripeto: sempre a scelta del lavoratore la questione del benefit. E in più, con una differenziazione di agevolazione fiscale che con la seconda stabilità si è un po’ modificata, si mette in modo anche un lascito dei nostri padri, che hanno visto come si governa con società complesse, che è la cd. democrazia economica, perché viene data un’agevolazione differenziata ad accordi paritetici in cui si coinvolgono aziende e lavoratori. Poi vediamo come questo sarà realizzato: non abbiamo dati sufficienti per capire se questo pezzo qui è stato vissuto dalle aziende. Ultimo crocevia, ultimo punto di crocevia è il grandissimo tema della conciliazione lavoro-famiglia, perché è chiaro che, come diceva Bernhard all’inizio, soprattutto i benefit, i voucher, riguarderanno, ci auguriamo e ci sono le aziende possono appunto testimoniare su questo, che questa normativa venga usata soprattutto per aiutare le famiglie e in particolare le donne, con appunto aiuti per baby-sitter, servizi anziani, borse di studio, l’aiuto al lavoro dei figli. Perché noi abbiamo parlato del tema economico che è strettamente connesso con il tema sociale. Noi sappiamo tutti (e chiudo su questo) che il grande i fenomeni che sta attraversando la nostra società sono, grazie a Dio, un invecchiamento della popolazione e quindi il grandissimo tema della cura degli anziani e, purtroppo, diciamo noi, anche come donne come madri che c’è un bassissimo livello di maternità. L’ultimo rapporto Istat ci dice che bisogna risalire alla metà del ‘500 per trovare un numero così ridotto di nati (475.000 nel 2016) e c’è un così basso livello di partecipazione al lavoro delle donne. E allora, riguadagnare l’eredità significa riprendere questo filo di dare protagonismo alle parti, di riprendere il tema di come il sindacato ha contribuito in Italia all’acquisizione di diritti importanti per un lavoro dignitoso. Possederlo, questo, significa tenere in conto che oggi i bisogni diventano diversi, che non si possono tutelare tutte le persone alla stessa maniera, perché uno che nasce a Milano è diverso e che lavora in una grande azienda è diverso da uno che nasce in Calabria e lavora in una piccola azienda. Tutti e due devono essere tutelati in maniera differente, ma in un unico alveo. Questa è la bellezza di questa legge del welfare aziendale. E’ questo che ci ha guidato. E quindi questo è quello che noi dobbiamo possedere per andare avanti per avere la responsabilità del futuro. Una società complessa si governa con un sistema di welfare che parla di un sistema pubblico di welfare, accompagnato e integrato con un sistema di welfare privato. Noi abbiamo anche fatto una legge sul terzo settore per incrementare e sostenere anche quello che i Comuni fanno insieme, i nostri enti locali insieme, appunto al pubblico, insieme al terzo settore. Quindi avere un sistema diciamo di welfare che parla di pubblico, molte volte quando partecipo agli incontri mi si dice: “Ma il welfare aziendale toglie la possibilità di allargare il welfare pubblico”. E’ esattamente il contrario. In una società complessa in cui i bisogni si diversificano noi dobbiamo avere un sistema complesso, complementare, in cui il sistema pubblico venga rafforzato insieme al sistema privato e a tutto lo sviluppo del terzo settore e in cui le parti sono protagonisti e quindi interpretano e possono rappresentare davvero i bisogni di quell’azienda in quel momento, in quella fase storica e il welfare aziendale dà la possibilità di fare tutto ciò. Questo è la guida e il lume che abbiamo avuto in Parlamento per questa normativa.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie mille. Cogliendo questo ultimo aspetto, penso che la legge non è il tema di questa mattina ma questa legge, per il suo spirito indica un superamento di un vecchio statalismo da una parte e un privatismo dall’altra ma una covazione tra pubblico e privato, mettendo al centro i bisogni delle persone, che sono diversi, cioè è un metodo, un approccio, completamente nuovo che spero sarà anche, come dire, un’indicazione per altre modalità di nuove leggi che saranno da fare, perché è chiaro che il Welfare statale non sarà più sostenibile, così come è concepito oggi. Esiste una ricerca di una grande società di consulenza, che dice che il Welfare aziendale, che conferma che lei ha detto ma adesso vi risparmio i numeri perché tanto poi non si ricordano, ma che conferma che il Welfare aziendale favorisce, proprio, l’aumento della produttività, sminuisce l’assenteismo, riduce anche lo stress, aiuta le persone a essere più serene perché la famiglia in qualche modo si trova meglio, e quindi ci sono tanti effetti positivi. Quindi, la mia domanda a Manuela Kron va in questa direzione: come fa una grande azienda come Nestlé, che comunque in Italia ha tre stabilimenti, 5500 persone che lavorano, esperienza di questo? E poi, essendo Nestlé presente in 1097 paesi nel mondo, quindi dappertutto, questo permette anche un certo paragone tra l’Italia e il resto. Mi interessa anche questo aspetto perché il paragone aiuta anche a capire meglio alcune specificità. A te la parola.

MANUELA KRON:
Grazie, grazie molto innanzitutto per questa possibilità di parlare, anzi di essere portavoce, perché in realtà io qui rappresento la nostra comunità delle risorse umane, che sono loro che da anni lavorano a questo tipo di progetti con una grande efficacia e tra l’altro anche mostrando di avere intercettato in anticipo le esigenze che la senatrice Parente ha enunciato prima, partendo proprio dalla frase del: “Chi sta meglio lavora meglio”, che è un dato di fatto. Ora, non è sempre verissimo, non è vero in tutti i contesti, però sono delle scommesse che un’azienda deve fare. Noi queste scommesse abbiamo iniziato a farle nel 2010 e le abbiamo poi proseguite al 2011 con dei contratti proprio con i sindacati in cui anticipatamente abbiamo iniziato a introdurre non solo gli aspetti, diciamo la normazione reciproca degli aspetti del salario, che è, diciamo l’aspetto tangibile del rapporto tra i dipendenti (e io sono una dipendente, evidentemente, della mia azienda), e l’azienda. Ma l’azienda, appunto, nel “chi sta meglio lavora meglio” comincia a porsi anche dei punti, del tipo: “Che cosa posso dare di meno tangibile ai miei dipendenti?”. Ci sono una serie di forme, quelle con cui Bernard ha iniziato la discussione, di dare delle tangibilità, di semplificare la vita? Per esempio, però ti devo dire che da noi la lavanderia la usano più gli uomini delle donne, perché probabilmente hanno dei vestiti più complicati, non lo so, però queste sono le nostre esperienze.

BERNHARD SCHOLZ:
Così non devono stirare le camicie, questo è il problema…

MANUELA KRON:
Esattamente. Poi ci sono anche tante persone giovani quindi sai, dipenderà anche da quello. Però, l’altra questione molto importante è: “Che cosa posso di meno tangibile offrire, alle persone che lavorano con me, per aiutare la loro produttività? La parola che credo venga immediata è: il tempo. Posso aiutarli a migliorare la loro gestione del tempo. Alla fine, la conciliazione famiglia/lavoro non è “ nient’altro” che il cercare di capire insieme come ti posso aiutare a migliorare il tempo. E quindi le nostre attività in questa direzione, al di là delle attività, diciamo più pratiche come asili aziendali e, ritornerò su questo tema alla fine, è anche come posso aiutarti col tempo. Quindi abbiamo iniziato già dal 2011-2012 a fare una serie di attività in questo senso. La parola “Smart Working” noi la applichiamo da anni e la applichiamo ovviamente cercando di trovare il giusto bilanciamento tra quelle che sono le esigenze aziendali e quelle che sono le esigenze dei lavoratori, dei dipendenti. Quindi che cos’è lo Smart Working applicato alla nostra realtà, che probabilmente è la cosa più importante che abbiamo in termini di Welfare, anche se ne abbiamo tante? È quello di poter dire, di stabilire un reciproco rapporto di fiducia coi dipendenti che dica: “Lo so che non è necessario che tu sia sempre in ufficio per lavorare e per produrre. E se lavoriamo per obiettivi – e qui faccio mie le parole del nostro direttore delle relazioni sindacali – se lavoriamo insieme e lavoriamo in modo tale che io mi fido di te e ti do degli obiettivi e tu poi quando e come lavori, è un problema tuo se mi porti i risultati.”, questo probabilmente è il modo migliore per instaurare un rapporto. Tanto è vero che da noi la cosa che è iniziata, perché qui era un problema anche di fare educazione non solo con i dipendenti ma soprattutto con i capi dei dipendenti e io sono capo nella mia area, quindi non è stato così semplice dire: una persona mi dice, un giorno prima, due giorni prima: “Guarda che io farò Smart Working, quindi sto a casa, lavoro.”. Cosa vuol dire Smart Working? Io sono a casa, sto dove mi pare, però sto lavorando, sono accessibile e sto facendo quello che abbiamo concordato di fare. Quindi questa è stata una delle attività più forti, ovviamente somministrata coi tempi in modo da educare l’una e l’altra parte alla questione, e stiamo notando che sempre più persone la stanno facendo, perché Smart Working vuol dire: non ho un’esigenza specifica e normata per cui faccio part-time (c’è anche, evidentemente, la possibilità di fare part-time) ma posso avere un problema familiare, posso avere… devo fare delle visite mediche, devo fare delle altre cose, magari mi prende due ore, cosa vengo a fare due ore in ufficio per due ore poi dovermene andare e prendermi le ferie? Posso fare tutte e due le cose. E quindi in questo senso è stato fatto un lavoro di regolamentazione all’interno dei nostri accordi sindacali e abbiamo quindi dato il tangibile ovviamente, quello che riguarda la retribuzione, ma anche tutte queste possibilità non tangibili. E con ore di lavoro e con persone che prendono questo, in costante crescita. Quindi questo è stato uno dei primi esercizi e siamo ancora, come dire, ci stiamo ancora lavorando perché siamo tantissimi, e, per esempio, la percentuale di colletti bianchi che usufruisce di Smart Working è sempre in crescita però, perché no? Chi dice che non lo possono fare anche gli operai nelle fabbriche? E quindi stiamo lavorando anche in quella direzione, dove è un passare… non è un passaggio banalissimo perché bisogna pensare che appunto bisogna educare le due parti, il capo, il responsabile e gli operatori. Però, perché no? Se abbiamo delle tecnologie che ci permettono di lavorare a distanza, se siamo sempre tutti connessi, non è che devi sempre per forza essere in ufficio, puoi essere flessibile. E quindi questa è stata una delle operazioni principali. Tornando invece alla domanda che mi facevi, Bernard, su quali sono, visto che Nestlé è un operatore in tutto il mondo. In tutto il mondo noi abbiamo paesi che applicano le leggi ovviamente in maniera diversa. Un esempio: la maternità, Il Maternity Leave dopo che hai avuto il tuo bambino: in Italia abbiamo delle leggi fantastiche, in Cina zero giorni (zero!), nei civilissimi Stati Uniti, 10-15 giorni, forse nemmeno, dipende dalle contrattazioni aziendali. Allora Nestlé opera dappertutto e Nestlé ci tiene molto a che le famiglie siano, come dire, felici. E quindi, che cosa ha fatto Nestlé, unica al mondo? Ha dato a tutte le sue dipendenti nel mondo, non importa dove vivano, almeno 14 settimane di Maternity Leave, dopo il parto, ovviamente laddove una legge non permetta di più. in Italia sono 16 quindi evidentemente in Italia applica il 16 dell’Italia, ma negli Stati Uniti applica il 14, in Cina applica il 14. È chiaro che questo è qualcosa che può incentivare le giovani cinesi, le giovani americane ad avvicinarsi più volentieri alla nostra azienda, perché sanno che nel momento in cui avranno il bambino non verranno “punite”. Io non riesco neanche a immaginare di dover tornare al lavoro una legge che noi abbiamo fatto dappertutto. Ma sempre pensando, appunto, alla famiglia, molto prima che la legge Fornero rendesse obbligatori due giorni di Paternity Leave, Nestlé ha aggiunto giorni, ne diamo di più ai nostri dipendenti, ma non lo facciamo obbligatorio (anche perché dovremmo andare a caccia di… “ma scusa tu hai la moglie incinta”… non funzionerebbe così, è una grave violazione della privacy) e non solo, diamo anche due settimane da poter usufruire entro i primi due anni del bambino. Quindi cerchiamo di incentivare a padri e questo ovviamente aperto a tutti i padri o futuri padri dell’azienda. Secondo voi, chi prende di più di questi Paternity Leave? Lo prendono di più gli operai delle fabbriche o i colletti bianchi? Gli operai nelle fabbriche, non c’è partita. Ai padri, i ragazzi che abbiamo in ufficio dobbiamo quasi dirgli: “Ma non vuoi stare a casa?”. Non hanno tanta voglia di stare a casa, c’è ancora una forte mentalità del “fa punteggio essere in ufficio”. Soprattutto tra i maschi, scusatemi ma è un dato di fatto. E quindi però stiamo vedendo che invece le nostre persone in stabilimento, più volentieri vogliono stare accanto alle mogli quando hanno i bambini, anche se magari ne hanno più di uno di bambini ma ormai è un fenomeno sempre più raro, però può capitare, magari la mamma, se si vuole fare una doccia, ha bisogno di avere qualcuna in casa che l’aiuta. Quindi, per quanto ci riguarda, questo, partendo dalle cose più importanti e quelle che abbiamo normato nei nostri contratti, queste sono le cose più salienti. Cerchiamo anche di aiutare i genitori a gestire i bambini, quindi abbiamo i nostri campi estivi dei genitori che quando chiudono le scuole possono portare i bambini da noi, ovviamente gli asili aziendali laddove hanno senso, ma parlando di aziende piccole e grandi, noi siamo sì una grande azienda, però abbiamo fabbriche piccole e grandi. La fabbrica piccola, ad esempio, magari nei posti di paese, non ha tanto l’esigenza di avere qualcuno che gestisca i bambini, perché c’è un sistema che funziona da solo. A Milano e a Perugia invece siamo tanti e la gestione ci fa molto comodo. Quindi anche quello, un ascolto dei nostri territori, parlare coi nostri territori e dire: “A te questa cosa serve, a te questa cosa non serve.” e trovare una mediazione all’interno che non scontenti nessuno. Qual è la prossima frontiera? La nostra prossima frontiera è in una forza lavoro che invecchia in ufficio un po’ di più, per questioni ovviamente legate al poter andare o meno in pensione, abbiamo la gestione dei nostri genitori da gestire. Quindi in questo è sicuramente molto positivo offrire dei voucher e avere qualcuno che possa gestire, ma la nostra frontiera interna, così come abbiamo gestito la questione dei bambini quando le scuole chiudono, però è anche come fare ad aiutare in maniera programmata le persone che possono avere la problematica del genitore che ha bisogno improvvisamente o di qualsiasi altro anziano della famiglia che abbia bisogno improvvisamente di cure. Ci stiamo lavorando da anni, non riusciamo a trovare una soluzione che possa accontentare il territorio italiano perché sono tante realtà spezzettate, quindi se tra di voi che mi ascolta che può avere idee, noi siamo felicissimi di ascoltarle. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Adesso andiamo, dopo aver sentito anche dal vivo le necessità che si pongono le aziende, andiamo a vedere cosa fanno gli operatori. Prima di dargli la parola, vi leggo una statistica, su un campione di 400 imprese, che almeno dà un’indicazione di come stanno evolvendo i bisogni. Allora, 67% delle aziende intervistate ha almeno un benefit di Welfare, quindi una cifra piuttosto elevata; 50% ha un piano di Welfare con contratto, quindi applica la nuova legge, e i benefit più diffusi sono (scusate se vi do i numeri ma almeno vi dà un’idea): mense aziendali, buoni pasto (60%), flessibilità di orari (46%, quindi un’esigenza molto forte), polizza sanitaria (41%), convenzioni per il consumo (38%), assistenza sanitaria (36%), benefit per lo studio dei figli (30%), Smart Working (27%). Questo adesso, non è una Bibbia del Welfare, però dice almeno come si stanno posizionando, riposizionando le esigenze, e quindi il fattore tempo, il fattore salute, il fattore consumo, in un modo più accessibile diventano sempre più importanti. Andiamo da UniSalute che da 20 anni si occupa di servizi ospedalieri, ex ospedalieri e di assistenza e di prevenzione, quindi ha una storia che permette anche qua di cogliere le differenze e i cambiamenti, e quindi passo la parola a Fiammetta Fabris per illustrare la vostra esperienza.

FIAMMETTA FABRIS:
Grazie, grazie a tutti. Vi ringrazio anche per l’occasione di presentare un po’ le cose che stiamo facendo, non soltanto con UniSalute ma in generale anche come gruppo Unipol. Questo perché la particolarità delle nostre aziende, quindi del gruppo in sé, è stata sempre quella di considerare il fattore umano all’interno delle aziende come un elemento determinante. E questo ci ha portato a portare delle soluzioni all’interno delle aziende proprio volte in particolare alle persone. Salute, in primis, ma anche previdenza, sono i due aspetti che caratterizzano in particolare le nostre soluzioni assicurative per le imprese, accanto quindi a tutto ciò che è il Core business delle aziende dal punto di vista della produzione, ma è soprattutto il focus sul fattore umano, quello che ha caratterizzato le nostre imprese. Da qui quindi le scelte, forse fatte ancor prima di altre società, di dedicarsi in maniera particolare alle soluzioni in primis di pensione, e poi di far nascere, in questo caso all’interno del gruppo, una società specializzata come UniSalute che oggi ha sette milioni di clienti, tutti appartenenti ad aziende, all’interno dei quali presentiamo programmi specifici di salute. Questo elemento quindi, come dicevo, del fattore umano è determinante. Quando questo, la salute delle persone, in generale, come clima e come altro, si coniuga anche con scelte di carattere normativo e legislativo che incentivano le aziende anche attraverso incentivi fiscali, a costruire programmi adeguati di Welfare, è sicuramente una opportunità che non può che essere colta e che sicuramente è alla base del successo delle iniziative. Quindi direi che molto bene, dal punto di vista governativo, si sta continuando a dare un forte imprinting al contratto di lavoro, che così come ha portato degli elementi importanti sulla previdenza e sulla sanità integrativa in generale, sta cominciando a trainare anche quelle soluzioni proprio di concertazione per soluzioni interne di Welfare un po’ più ampio, un po’ più collegato quindi agli stili di vita, alle necessità delle persone e delle famiglie, per arrivare quindi a costruire dei veri e propri programmi salute, intendendo quindi per la famiglia, che quindi hanno dato e stanno continuando a dare grandi vantaggi. E questo non soltanto, come si diceva, per le grandi aziende, che forse avevano già un po’ più nel DNA la scelta di determinate soluzioni, ma sta dando la possibilità a tutto il tessuto vero della piccola e media impresa italiana, di arrivare a portare delle soluzioni integrate di questo genere ai propri dipendenti. Soltanto per farvi vedere alcuni dei numeri di cui si parlava, riprendo un po’ quello che è il ragionamento di cui si è parlato. Quindi, partendo proprio dalle soluzioni di Welfare che sono state organizzate e gestite, oggi sono i numeri di cui parlava prima Bernhard, e sono assolutamente reali: in pochissimo tempo le aziende hanno cominciato ad invertire un po’ la rotta, quindi a pensare al business anche in chiave di presidio e di tutela del proprio fattore chiave, il fattore umano. Più le persone trovano un’identità all’interno dell’azienda, più si trovano soluzioni specifiche per i comportamenti che le stesse persone devono poter adottare e ottemperare all’interno delle aziende, più in questo caso cresce l’elemento di fidelizzazione e soprattutto si ha quindi la possibilità di avere anche un personale più contento, come si diceva, meno assenteista (se qualcuno qui di voi ieri ha seguito Quark, è stato uno degli elementi tra l’altro citato in maniera specifica); per cui tutte queste analisi di cui si sta parlando, danno effettivamente la chiave di quanto sia importante per le aziende concentrarsi sull’uomo. È questa la grande risorsa ormai che dobbiamo cominciare a tenere in grande considerazione. Dal punto di vista, quindi, delle soluzioni ciò che effettivamente viene in un qualche modo richiesto è soprattutto una possibilità di migliorare la qualità del proprio lavoro, avendo quindi determinate possibilità di mense e di determinati tipi di supporti, ma per quanto riguarda operatori come noi, che siamo poi operatori in particolare nell’area salute e previdenza, il focus proprio sulle polizze sanitarie, ma non solo polizze sanitarie, programmi di gestione e salute è uno degli elementi che dà la massima sicurezza e la massima tranquillità è una delle cose che viene richiesta di più. Dal punto di vista operativo quindi, ancora i contratti nazionali sono trainanti da questo punto di vista, ma anche gli accordi integrativi interni. E quindi al sindacato e alle parti datoriali è dato una ruolo molto importante nella costruzione di questi strumenti e dal punto di vista operativo tutto ciò determina quindi la possibilità di costruire soluzioni ad hoc, azienda per azienda, anche in considerazioni di studiare ciò che quel territorio effettivamente offre. Quindi, a proposito di quelle soluzioni di cui si diceva, i famosi oltre venti mila accordi che sono già stati depositati, molto è anche presso il ministero del lavoro, molto è anche della piccola e media impresa, e questa è una grande conquista, il problema è che ancora sono aziende dei territori lombardi, Veneto, molto Veneto ed Emilia Romagna. Sono quindi le tre aree che si sono mosse prima per riuscire ad ottenere e ad organizzare al meglio queste opportunità che dal punto di vista fiscale e non solo le nuove legislazioni stanno dando. Dal punto di vista delle soluzioni che in un qualche modo però bisogna portare, proprio perché questo strumento non può essere patrimonio solo di una grande azienda, è indispensabile che per delle imprese ci sia anche la possibilità di poter ottenere delle piattaforme. Non è facilissimo portare degli strumenti organizzati e gestibili per soluzioni di welfare integrato. Un conto è quindi una trattativa solo ed esclusivamente per conquistare un piano sanitario e quindi portare una copertura salute che, per quanto ampia possa essere, non è però indifferenziata soggetto per soggetto, ma riguarda tutta la totalità, ma per poter costruire, in forza quindi proprio della gestione dei variabili, degli specifici piani welfare intendendo quini una valutazione un po’ più ampia delle esigenze delle aziende, si deve partire necessariamente da un’analisi dei bisogni iniziali. Quindi su questo l’impresa è molto importante, indispensabile che si conosca veramente qual è la necessità dei propri lavoratori e come queste possono essere colte e possono essere inserite all’interno di uno strumento valutativo. Ma da lì, poi, è indispensabile che tutto quanto quello che ne deriva venga in un qualche modo articolato in maniera adeguata all’interno di una piattaforma informatica che deve essere vestita, articolata e studiata in specifico per quell’azienda, ma che deve portare ad un utilizzo più rapido possibile delle tipologie di prestazioni. La nostra esperienza, come in questo caso Unisalute, partendo proprio dalla dinamica e dall’esperienza fatta sui piani sanitari, come vi dicevo quindi sette milioni di persone in Italia per le quali quindi gestiamo sanità integrativa che va dall’area ricovero fino all’area delle odontoiatriche e altro, attraverso reti di convenzionamento nazionale, ci ha portato anche a poter costruire piattaforme per la parte delle gestione della flexibal benefit, perché di questo poi stiamo parlando, con una modalità organizzata nuova. Quindi dal gennaio di quest’anno siamo sul mercato anche con degli strumenti informatici per la piccola impresa in maniera tale da minimizzare per l’impresa gli investimenti ed ottimizzare per i dipendenti tutto quanto ciò che è il controvalore del premio di produzione. Ma è indispensabile che l’azienda al suo interno con il supporto eventuale di consulenze che possono essere messe a disposizione, parta da questa analisi dei bisogni, e probabilmente nel secondo intervengo il Dottor Keller spiegherà ancora di più quanto sia determinante questo tipo di valutazione proprio perché è da lì che si può effettivamente tarare un abito su misura. Io devo costruire un programma di flexibal che in un qualche modo dia modo alla mia popolazione di dipendenti di trovare rispondenza, deve necessariamente essere una soluzione: se ho più donne, più mamme o più persone che hanno problemi con gli anziani, ho bisogno di costruire soluzioni per questo. Se ho più bisogno invece di soluzioni perché ho una popolazione giovanile, probabilmente sarà più tagliato sulla parte viaggi o sulla parte magari di prestazioni sanitari fisioterapiche, probabilmente troppo calcetto può costruire anche delle necessità a quel punto salute che è necessario avere. Se ho dei bambini può darsi che le prestazioni anche di carattere odontoiatrico oltre che libri e altre soluzioni di questo genere possano essere ancora ritenute importanti. Quindi è indispensabile conoscere quello che i nostri dipendenti hanno bisogno di poter trovare come soluzione all’interno dei piani. E considerate che anche con poco si possono costruire soluzioni, non è indispensabile, non è necessario che i premi di produzione siano premi significativi, con la possibilità magari di dare convenzionamenti, accordi di ottimo valore qualità – prezzo, è possibile trovare delle modalità con cui anche il poco risultato dal punto di vista economico possa però essere la possibilità per il dipendente di non affrontare direttamente quella spesa e di aver un controvalore importante. Su questo faccio un’altra valutazione. Noi oggi abbiamo un milione di persone assicurate per la non autosufficienza e questo ci ha dato la possibilità di costruire e qui alla dottoressa Kron do forse una risposta sull’intero territorio nazionale noi abbiamo oltre trentamila convenzionamenti tra badanti, OSS e altro personale pronto per dare le prestazioni domiciliari. E’ ovvio che si tratta di convenzioni, quindi sono sostanzialmente accordi fatti con o il terzo settore o le società presenti su quel territorio che possono effettivamente dare queste soluzioni e quindi in questo caso già ai nostri assicurati possiamo dare queste prestazioni di domiciliarità e le stiamo già gestendo, ma possono essere anche elementi che possono essere inseriti all’interno dei piani di flexibal benefit e quindi di welfare aziendale per portare soluzioni organizzate. Quello che le persone vogliono è anche capire come mi devo muovere, come posso fare ad arrivare a quella soluzione. Vogliono avere un supporto. Molto spesso abbiamo visto che i nostri keys manager aiutano la famiglia a gestire al meglio la persona e quindi dando il senso di qualcuno che ti può effettivamente costruire attorno una tutela di welfare un po’ più larga rispetto al fatto di doverti da solo procurare le soluzioni necessarie. Quindi la nostra esperienza è quella di, partendo dalle coperture che sono nate per i sette milioni di clienti, avere traslato tutto quel know – how e messo a favore della popolazione della piccola – medio impresa anche nelle piattaforme di flexibal – benefit. Quindi io ritengo che questa sia una grandissima occasione per le varie imprese proprio perché il tessuto, specie adesso che sta crescendo, diciamo, anche il nostro PIL, avrebbe senso investire ancora di più su una popolazione che finora ha avuto certamente delle necessità di organizzarsi dal punto di vista operativo su un territorio che, pur presente il pubblico in maniera sensibile, ha necessità, però, di riqualificare di riorganizzare un po’ alcune scelte. Questa è un’occasione e l’azienda, in questo caso, ha ancora la possibilità di essere vicina ai propri dipendenti. Chiudo semplicemente dicendo che anche il nostro gruppo ha determinate forme di organizzazioni di welfare e quindi, sostanzialmente, iniziate già con un anticipo rispetto a quello che è stato fatto. I nostri, quindi, il gruppo conta oggi 16 mila dipendenti, quindi sostanzialmente un programma di welfare che prevede quindi una organizzazione molto significativa. E però queste soluzioni sono soluzioni ad amplissimo raggio considerano le soluzioni per le persone quindi vanno dal libera tempo alle soluzioni, quindi che consentono di sposare e coniugare quanto già la compagnia fa di per sé per i propri clienti, migliorandolo ulteriormente, mettendo a disposizione tutte queste soluzioni per i propri lavoratori. E quindi su questo, programmi di questo genere, declinati su tutto il territorio nazionale con le modularità necessarie, ha portato certamente ad una grande disponibilità nei confronti delle persone che probabilmente hanno necessità, però, non solo di conoscere a fondo tutte queste ipotesi e queste organizzazioni, ma determina anche la necessità che questi programmi siano nel corso del tempo rivisti. La soluzione: uno può valere magari per i primi anni, ma nel momento in cui io comincio ad avere davanti un po’ più di anni di popolazione che sta cominciando ad utilizzare i welfare l’attenzione, a questo punto, al rinnovamento di questi strumenti è determinate. Una volta iniziato il percorso bisogna continuarlo. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie. Mi permetto solo di sottolineare che questo aspetto dell’analisi, analisi è un termine un po’ freddo, si chiama così però in fondo è una comprensione, migliore comprensione dei bisogni dei collaboratori, è stato per tante aziende la prima volta di guardare veramente in faccia i propri dipendenti per capire di che cosa hanno bisogno. È molto paradossale vedere che una legge dello Stato ha portato a una certa umanizzazione anche dei rapporti dentro un’azienda, anche per necessità. La prima volta che chiedi: ma tu di che cosa hai veramente bisogno? E la tua famiglia in che situazione si trova? E quindi anche un certo superamento, se mi posso permettere di dirlo, di un certo paternalismo aziendale anche, perché tanti benefit sono stati erogati con un certo atteggiamento paternalistico, diciamo la verità. Adesso è superato anche questo. Poi non voglio fare il tifo, però l’utilizzo delle piattaforme è più semplice di quello che può sembrare, adesso all’inizio spaventa un po’ ma una volta che uno familiarizza entra abbastanza velocemente. Bisogna superare la soglia e dopo è abbastanza veloce.
Adesso andiamo a sentire l’esperienza di Edenred che è presente in Italia da oltre 35 anni, avete penso 1,5 milioni di utilizzatori. Mi fermo qua con i numeri perché li racconterai tu. È un altro tipo di servizio che adesso andiamo ad ascoltare.

ANDREA KELLER:
Buongiorno a tutti innanzitutto. Vorrei ringraziare in particolare Emilia Guarnieri per questo invito perché sono un novellino al Meeting di Rimini, è la mia prima partecipazione e devo dire che sono stato molto sorpreso di questo evento che è veramente bello dal punto di vista culturale e dal punto di vista delle tematiche trattate e soprattutto sono stato impressionato dai più di tremila volontari che stanno facendo vivere questo Meeting ormai da parecchi giorni, praticamente con notti molto corte. La seconda ragione per cui ringrazio è che mi dà la possibilità di parlare di welfare perché welfare è un po’ la centralità della mia vita professionale, l’ho preso molto a cuore, quindi fa sempre bene parlare un po’ delle proprie passioni. Meeting di Rimini è un incontro, come la parola Meeting dice, mi presento: sono Andrea Keller, 45 anni, ho sposato una francese, quindi io la comunità europea ce l’ho in casa tutte le mattine, due figli e lavoro per Edenred che è una società appunto da quarant’anni in Italia e sostanzialmente è una società nata con i buoni pasto, quindi con il ticket restaurant, e da questo voucher, per la ristorazione, nel tempo siamo arrivati a trattare di piattaforme piuttosto che voucher servizi per il welfare sia nel mondo aziendale che con le amministrazioni pubbliche, quindi veramente, ho la fortuna di lavorare nel cuore della mia passione, quindi questa è una bella fortuna. Allora, ho due domande sul tavolo a cui cercherò di rispondere. La prima è il welfare: si parla di welfare tanto nei giornali, lo si cita anche talvolta in televisione, ci sono normative che sono uscite, ma da dove viene welfare e perché il welfare si sta trasformando in questo modo in Italia e in particolare, seconda domanda a cui cercherò di rispondere, è il welfare nelle aziende, come mai le aziende, le imprese, sono entrate a parlare di welfare e come mai sta prendendo in questo modo così significativo. Allora, riguardo alla prima domanda welfare: welfare nasce dal welfare state, la cui traduzione sostanzialmente un po’ letterale è “stato sociale”. E infatti welfare nasce ed ha sempre rappresentato come termine un insieme di interventi pubblici rivolti al benessere della popolazione. Si è sempre parlato di scuola, sanità, assistenza sociale, lavoro, pensioni. Quindi il welfare nasce come un elemento pubblico, una serie di operazioni e di interventi pubblici per il benessere, volte alla felicità dei propri cittadini. Si sta trasformando, perché si sta trasformando? E qui citerò qualche numero che ogni volta che riprendo in mano mi impressiona. In particolare: l’aspettativa media di vita in Italia oggi è aumentata di 50 anni. Risalgo un po’ a delle statistiche antiche, al 1861, dove l’aspettativa di vita era 35 anni. Quindi in 150 anni, che dopo tutto sono pochi rispetto ai più di 10 mila anni diciamo dell’uomo moderno sulla terra, diciamo abbiamo guadagnato 50 anni di aspettativa di vita. Nel 2020 si parla di 90 anni per le donne in particolare. Otto degli ultimi dieci anni di vita sono in generale e mediamente trascorsi in condizioni di non autosufficienza, quindi è una tematica che mediamente tocca tante persone. Il tasso di natalità è fermo, l’abbiamo citato prima, a 1,3 figli per donna quando il rinnovo demografico di una popolazione dovrebbe essere 2,1. Queste cifre parlano poco però mi ha scioccato sapere che oggi ci sono 60 milioni di italiani e con questo tasso di natalità tra 50 anni saremo 53 milioni, cioè quindi la società, gli italiani diminuiranno in Italia, magari al mondo siamo molti di più. Il numero di separazioni dal 1970 è passato da 12 mila all’anno a 85 mila, la problematica della famiglia, no, questo pilastro della società moderna che sta soffrendo. Conseguenze: se oggi ci sono quattro persone attive per ogni persona non attiva, tra 40 anni è previsto che ce ne siano due persone attive per ogni persona non attiva con un debito pubblico che è arrivato al 132% del PIL e ieri il ministro Poletti nel suo intervento, c’è stato un intervento e ha presentato le statistiche tra il 1980 e il 1990 il debito pubblico all’inizio degli anni ’80 era al 52%, siamo arrivati negli anni ’90 al 100%, quindi raddoppiato in dieci anni e da allora, diciamo, discutiamo con questi fattori. Quindi come vedete, se sintetizzo siamo un paese che sta invecchiando, bisognerebbe fare più bambini, in fase di sofferenza dal punto di vista dei pilastri anche sociali come la famiglia e che ha sempre meno risorse per gestire, diciamo, le problematiche dei cittadini. Conseguenza: il welfare state deve cambiare ed è cambiato, si passa da una nozione di welfare pubblico ed esclusivamente pubblico ad una nozione di comunità di welfare, che è welfare community, vale a dire dove tutti gli attori che contribuiscono al benessere della popolazione devono darsi da fare per aiutare la felicità delle persone, si parla dello Stato, ma si parla delle famiglie, dimensione che in Italia è molto forte, e si parla anche delle aziende. E allora arrivo al secondo elemento. Questa trasformazione del welfare che è diventata comunità di welfare, una problematica sociale, come mai è atterrata nelle aziende. E’ atterrata nelle aziende per questi motivi, ma deve trovare nelle aziende una dimensione in termini di strumenti adatta alla dimensione aziendale, perché è una realtà diversa. Vuol dire in un certo senso entrare in un periodo rinascimentale del welfare, di fatto nel rinascimento, dopo il periodo medievale, si sono inventate tante cose: l’assistenza, gli ospedali, culture, istruzione. Di fatto nuovi strumenti sono necessari per permettere alle aziende di erogare welfare. In questo il quadro normativo ci ha molto aiutato, perché tutto il lavoro che è stato fatto a livello anche della senatrice Parente sostanzialmente ha contribuito a creare un ruolo dello Stato come agente abilitatore per creare nuove soluzioni. Abbiamo parlato delle piattaforme, io parlerò fra poco dei voucher, comunque tutto questo è permesso perché la Stato si è messo in una postura di agente abilitatore per facilitare il welfare. Abilitatore come? Con delle operazioni di defiscalizzazione, oggi l’azienda, oltre alla retribuzione monetaria fissa e alla retribuzione monetaria variabile, è anche una terza leva su cui agire nel rapporto col lavoratore, che sono i benefit. Può l’azienda mettere a disposizione babysitting, può l’azienda mettere a disposizione istruzioni, pagare spese scolastiche, praticamente benefit. In questo caso a fronte, ho segnato, di 150 euro erogati dall’azienda, se questi 150 euro passassero in busta paga, il lavoratore ne vedrebbe 95, a causa della fiscalità associata al lavoro, mentre invece sottoforma di benefit, per 150 euro di servizi erogati, il lavoratore ne tocca 150. Quindi c’è anche una questione di potere d’acquisto dietro. Alla luce di questo allora, nuovi strumenti, nuovi strumenti per l’azienda. Non ritorno sul discorso delle piattaforme perché è già stato ampiamente coperto, parlo di un esempio che risale al dopoguerra, che è quello dei voucher. Magari non tutti sanno che i voucher sono stati creati da un medico inglese nel dopoguerra, dove il problema era sostanzialmente come dar da mangiare alle proprie assistenti e ai propri assistenti dello studio medico. E’ andato a contattare i ristoranti intorno proprio allo studio medico e si è messo d’accordo che una specie di ticket valesse sostanzialmente per pagare il pranzo e fosse poi rimborsato al ristoratore a valle. Questo primo esempio di voucherizzazione nato proprio in un momento di cambiamento, il momento del dopoguerra, ha portato poi a delle evoluzioni molto forti che sono state riprese, cito l’esempio francese nel 2005 dal ministro Borloo, che ha creato un voucher per il welfare aziendale. Questo voucher chiamato chèque emploi service universel, ha, nell’arco di dieci anni, creato più di 100.000 posti di lavoro e ha servito in media all’anno più di 800.000 famiglie. Quindi, come vedete, gli strumenti adeguati sono messi in atto, di fatto le numeriche raggiunte sono molto significative. Un primo esempio, ritorno ai 20.000 contratti che sono stati firmati nell’ambito della nuova normativa per il welfare, le numeriche, con i giusti strumenti, si possono sviluppare. Si possono sviluppare a livello di sistema. Mi avvio quindi verso la conclusione dicendo che in pratica oggi le aziende, fatto il debito rinnovo del dialogo con i lavoratori, su questo sposo assolutamente quello che la dottoressa Fabris ha detto, vale a dire che il welfare era un’occasione per rinnovare il dialogo tra azienda, tra impresa e lavoratore e collaboratore, di fatto le aziende oggi hanno due strumenti per cui implementare questo welfare. Il primo le piattaforme, che abbiamo già coperte, e il secondo è il voucher. Voucher che si può trovare sia dentro le piattaforme, sia, per realtà più semplici, essere acquistato, essere preso. Come strumento di welfare aziendale è molto semplice, può essere il welfare a livello di entrata in materia, si parla di buoni regalo, si parla di buoni benzina, gli stessi buoni pasto per certi versi sono degli strumenti, diciamo, a favore del welfare del lavoratore, del benessere del lavoratore. Quindi oggi si può dire che questo periodo di creazione di nuovi strumenti, sta portando i primi frutti e i primi risultati e penso che questo cambiamento debba essere incentivato. Infatti il lavoro sta cambiando nel senso che, come conclusione io direi, il lavoro sta cambiando, i giovani pensano con degli schemi completamente diversi, vedono il lavoro con degli schemi completamente diversi, bisogna accompagnare questa trasformazione perché non si può resistere alla trasformazione, la trasformazione del lavoro oggi porta verso lo smart- working, porta verso la flessibilità. Faccio un esempio, le tecnologie sempre di più entrano nei lavori ripetitivi, quindi non possiamo portare i giovani e le generazioni del futuro a fare lavori ripetitivi, dobbiamo portarli a fare lavori creativi, lavori in cui la dimensione umana sia veramente al centro. Tutto questo necessita di un ripensamento. Il welfare penso che sia una buona idea per ripensare il rapporto con il lavoro, il rapporto tra azienda e lavoratore e penso che sia necessario supportare le nuove idee, come quella del welfare aziendale, perché la nostra società ha bisogno di dimensioni di innovazione sociale proprio per far fronte alle sfide che ci aspettano. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Abbiamo ancora pochi minuti quindi farò una domanda veloce a ognuno dei partecipanti e chiedendo veramente di essere molto sintetici. Senatrice Parente, da un certo punto di vista c’è stata una legge recepita molto velocemente. Quali sono dal suo punto di vista i primi riscontri dal punto di vista amministrativo, nel contempo vede delle verifiche necessarie, perché se tutte le leggi fossero verificate così velocemente potremmo essere solo contenti, ma qua veramente siamo…

ANNAMARIA PARENTE:
Sì, in parte lo dicevo prima dando i dati del deposito dei contratti, siamo contenti perché è un risultato più che accettabile per una normativa nuova, l’esperienza insegna che quando le normative sono nuove è difficile l’implementazione, quindi questo è sicuramente un dato positivo, per quello che c’è da fare io credo che noi dovremmo tenere il senso della norma e quindi occuparci di welfare aziendale. L’anno scorso abbiamo allargato la questione dei buoni benzina che viene citato, per carità è importante, ma da legislatore penso che più in là, rispetto a un senso vero non possiamo andare, e che quindi questa normativa sia utile soprattutto per il benessere aziendale. I datori di aziende, e l’esperienza delle persone di aziende è indicativa del fatto che la produttività è strettamente legata al benessere dei lavoratori e delle lavoratrici. Oggi si parla tanto di industria 4.0, dei robot che sostituiranno gli umani, c’è un dibattito antropologico anche su questo, filosofico, abbiamo un bellissimo tavolo alla CEI , al quale ho l’onore di partecipare, su questo tema, e quindi ci interroghiamo di qui ai prossimi vent’anni, perché una delle responsabilità del politico dovrebbe essere anche questa, di guardare di qui almeno ai prossimi vent’anni, e quindi ci interroghiamo sulla centralità della risorsa umana nel lavoro. E quindi questa normativa è importante per questo. Naturalmente, dal punto di vista pratico, la forte leva fiscale è stato un incentivo alla diffusione, perché aver avuto un’imposta sostitutiva al 10% ,come dicevamo prima, aver avuto la possibilità di sostituire il premio di produttività in benefit e quindi essere assoggettati alla fiscalità del benefit e non del premio di produttività è stato un incentivo forte, cioè, la leva fiscale è una grandissima politica pubblica per incentivare appunto la diffusione di una legge. E poi ha incrociato, sta incrociando, ma su questo dove bisogna ancora accelerare, su questo ha intercettato i bisogni sociali, quelli di cura, quelli dei bisogni differenziati, lo dicevamo prima, e quindi è interessante che una normativa possa finalmente andare incontro e assumere i cambiamenti sociali rispetto a questo, e le aziende che possono appunto avere agevolazioni rispetto a questo. Sempre legati al tema della produttività. Come dicevo prima, questa roba è un crocevia di tutto ciò, dove bisogna ancora incrementare, probabilmente dovremo dare un grande valore alla contrattazione territoriale che culturalmente è ancora più difficile della decentrata, ma l’Italia si tiene insieme tutta insieme solo se noi diamo valore non solo alla contrattazione decentrata, e quindi al tema del rapporto tra contrattazione nazionale, legislazione, contrattazione decentrata e contrattazione territoriale, perché lì avremo la possibilità di aiutare le grandi aziende. Mi ha colpito quello che diceva la rappresentante della Nestlè abbiamo la grande azienda e piccole aziende, loro hanno dentro di sé tutte queste realtà diverse e quindi del tema diverso tra chi sta in un piccolo centro e chi è in un grande centro, e quindi questo grande tema di conciliare il lavoro con la famiglia. Aggiungo che questo tema, la normativa sul welfare aziendale può creare anche posti di lavoro in tutto il filone dei servizi alla persona, possibilmente legali e non al nero, perché se la normativa richiede il voucher, richiede una serie di rapporti con aziende che fanno babysitter piuttosto che cure agli anziani, facciamo emergere anche il lavoro nero, soprattutto in alcune zone del nostro paese e aumentiamo anche il livello occupazionale. Perché il filone dei servizi alla persona è un tema di occupazione del prossimo futuro.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie. Manuela Kron ha insistito sul fatto che chi sta bene lavora anche meglio. Le grandi aziende hanno una possibilità particolare di poter misurare anche certi sviluppi all’interno dell’organico. Avete qualche riscontro oggettivo che l’applicazione di certe modalità di welfare portano realmente a uno sviluppo lavorativo migliore?

MANUELA KRON:
Diciamo, l’unica verifica che possiamo avere è: questa modalità cresce o no? E sta crescendo tanto. Evidentemente se cresce e, se vediamo che non solo cresce in, e cresce su due aspetti. Uno perché sempre più persone lo usano, poi perché vediamo che ci sono sempre più giorni usati. E quello che vediamo, diciamo, della nostra produttività, giriamola così, per lo meno non scende, probabilmente potremmo anche dire che in alcuni ambiti sale, però per lo meno non scende. Quindi il fatto che le persone acquisiscano consapevolezza è un riscontro. E poi ovviamente ci sono i più classici prove ed errori, noi nell’ambito dei benefit abbiamo fatto anche degli errori, per esempio sulla questione del tempo avevamo pensato che le persone che magari dovevano rimanere più tempo in ufficio potessero avere un benefit ad avere dei pasti pronti da portarsi a casa. Un flop colossale, non lo faceva nessuno. Pazienza, abbiam provato, non ha funzionato. Quindi, quello che noi stiamo facendo adesso dopo tre anni è vedere che le giornate di lavoro agile, di smart – working aumentano e noi lo prendiamo per un trend positivo, non è detto che non dovremo cambiare in corso d’opera e aggiustare.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie. L’ultima domanda che vorrei porre sia, la stessa domanda a Fiammetta Fabris, sia a Andrea Keller, è già stata anticipata appena dalla senatrice, se questi incentivi, questa modalità di collaborazione pubblico privato potrebbe diventare un drive di sviluppo complessivo anche del Paese.

FIAMMETTA FABRIS:
Sicuramente sì. Per noi tra l’altro come gruppo e come società, è uno degli elementi dei master delle nostre programmazioni, nel senso che riteniamo, specie sulla parte salute, che sia indispensabile sostenere il servizio sanitario nazionale. Questo è un elemento fondamentale. Per poterlo sostenere e rendere quindi che il principio universalistico, e quanto di buono a livello di servizio sanitario nazionale la nostra riforma ha fatto e può continuare a fare, è però indispensabile un puntello, è indispensabile quindi che le risorse, proprio queste da contratti per la parte relativa al welfare, quello che si decide di destinare alla salute e alla sanità integrativa, possano essere costruiti in maniera complementare, e quindi in questo caso riuscire a fornire alle persone soluzioni che siano o non prestate dal servizio sanitario nazionale, odontoiatria, piuttosto che ipotesi di fisioterapia, non autosufficienza, prestazioni che in qualche modo sono al di fuori di una ordinaria gestione quindi del servizio sanitario nazionale e che quindi vanno all’interno del socio assistenziale, sia la maniera migliore per poter utilizzare le risorse economiche dei contratti, ma soprattutto anche portare effettivamente una soluzione concreta alla persona.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie.

ANDREA KELLER:
In pochi minuti di fatto io penso che assolutamente tutto ciò che si sta facendo nell’ambito del welfare sia un bell’esempio di come da logiche di contrapposizione si sta andando verso logiche di sinergia che quindi possono avere un impatto strutturale. Diciamo da alcuni punti di vista lo Stato e le aziende sono sempre state viste come due entità non dico quasi in contrapposizione ma in ogni caso una sorta di tensione. Ecco il welfare secondo me è una sintesi, è una sintesi di una sinergia nuova che si può creare. Di fatto in quest’ambito il regolatore è due ruoli: è sia attore, perché di fatto le pensioni, la sanità, il Welfare State, quindi il Welfare pubblico continua ad esistere, deve continuare a funzionare bene e sempre meglio. Dall’altra parte però diventa anche abilitatore quindi regolatore di una parte nuova di questo gioco che è quello dove intervengono le aziende private e scrivere le regole non è mai semplice, difficilmente si è sempre contenti, si creano delle regole universali per le quali tutti siano contenti però sostanzialmente le regole devono essere scritte perché queste sinergie devono essere incentivate. Solo in questo modo, facendo collaborare tutte le ricchezze che ci sono in Italia, pubbliche e private e orientandole verso degli obiettivi comuni, si può creare veramente un presupposto di sistema importante.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie. Ringrazio tutti i nostri ospiti, ringrazio voi. Sono certo che è stato un incontro utile per chi vuole approcciarsi a questo tema, vuole incrementare ulteriormente il Welfare nelle sue attività professionali imprenditoriali. Grazie, buon Meeting. Vi ricordo anche che potete sostenere questo meeting attraverso una donazione che potete dare alle postazioni dove c’è scritto “dona ora” perché questo Meeting dipende anche da chi partecipa, non è che si autorealizza da solo. Grazie.

Data

24 Agosto 2017

Ora

11:15

Edizione

2017
Categoria
Incontri