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DA QUALE CUORE IRRADIANO MILLE MANI? IL MISTERO SORGENTE DI 30 ANNI DI AMICIZIA
Partecipano: Shodo Habukawa, Monaco Buddista; Mauro-Giuseppe Lepori, Abate Generale dell’Ordine Cistercense. Introduce Roberto Fontolan, Direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.
Da quale cuore irradiano mille mani? Il mistero sorgente di 30 anni di amicizia
ROBERTO FONTOLAN:
Vorrei che dessimo tutti il nostro grande benvenuto, anzi bentornato, al Reverendo Professor Habukawa, a tutti i monaci del tempio Muryokoin del Monte Koya e, insieme a loro, all’Abate Giuseppe Lepori. Questo incontro è un po’ un happening, un meeting dentro il Meeting. Io inizio così: “Il 28 giugno 1987, ore 13, Monsignor Giussani comparve davanti ai miei occhi in una luce chiara e abbagliante. Restammo abbracciati in silenzio per qualche istante, senza bisogno di dire una parola”. Così scriveva il professor Habukawa su Tracce, in occasione dei venti anni di questo incontro, di questo giugno 1987. Sono passati altri dieci anni da quelle giornate, ed è bellissimo ricordarlo. Per me poi lo è ancora di più perché ero presente, in quel 28 giugno 1987, anche alle ore 13. Ma ancora di più del ricordo, è bella la vibrazione che il ricordo provoca in noi. Qualcosa che misteriosamente ci parla ancora oggi. Ecco, in questa occasione, in questo meeting dentro il Meeting, vogliamo sentire di nuovo questo qualcosa che misteriosamente ci parla ancora oggi. Dopo trent’anni da quell’inizio di amicizia, da quella fiamma che non si è mai spenta tra questi due uomini, don Giussani e Shodo Habukawa, che hanno vissuto un’amicizia intima e misteriosa per tutti noi e che abbiamo accompagnato, vissuto assieme a loro, nel tempo. Chi vuole può documentarsi su questa storia, consultando nel sito comunioneliberazione.org la raccolta di Tracce, solo per gli abbonati, però! Abbonatevi, così potrete consultare tutto e troverete, nel corso del tempo, il diario di questa amicizia, le sue anse, i suoi tornanti, le vicende che ci hanno accompagnato in questi 30 anni di storia. Ma adesso andiamo con ordine, perché ho bisogno un attimo di Wakako, che prego di venire qui un secondo, perché introduca molto brevemente il primo momento di questo incontro. E ci deve spiegare delle cose particolari, affinché noi lo possiamo vivere in tutta la sua intensità e significato. Grazie, Wakako.
WAKAKO SAITO:
Grazie a tutti davvero. Sono veramente commossa e contentissima perché trent’anni di amicizia è una cosa bellissima che nessuno poteva nemmeno immaginare. Devo ringraziare don Giussani e Habukawa perché sono due grandi maestri. Fra poco noi sentiremo una preghiera da parte dei cristiani e dei buddisti. Quando i monaci del Shingon fanno una preghiera, lanciano petali di fiori. Per noi, questa è la purificazione del luogo: chi riesce a prendere questi petali di fiori è una persona amata dal mistero. Quindi, quando i monaci gettano i fiori, se uno se li trova vicino vuol dire che è più felice. Quindi, se volete, prendete posto perché la felicità è lo scopo della vita per tutti. Ovviamente, quelli che non possono prenderli non devono dispiacersi perché tutti noi siamo abbracciati dal mistero. Questa è la spiegazione, grazie.
ROBERTO FONTOLAN:
Bene, allora è tutto chiaro, c’è questo momento di preghiera, questo lancio di fiori di loto, giusto? Non azzuffatevi per prenderli perché, come abbiamo capito, siamo tutti benedetti dal mistero. Qualcuno avrà anche la fortuna di avere il fiore. Dopo proseguiremo il nostro incontro, prima questo momento in tre tempi.
Preghiera e canti.
ROBERTO FONTOLAN:
Mi sono chiesto con quali parole avrei dovuto o potuto accompagnare, presentare, introdurre questo incontro, questa seconda parte del nostro incontro dopo la parte di preghiera: ma una delle cose che qualche volta rende fortunati i moderatori al Meeting è poter avere i testi in anticipo e poterli leggere. Dopo che li ho letti, ho capito che non mi sarei sentito all’altezza delle cose che, rispettivamente, Shodo Habukawa e l’abate Lepori ci diranno. Perciò, sono molto emozionato e toccato perché, come vi dicevo, nel mio piccolo ho partecipato al primo incontro e ho cercato nel tempo di accompagnare quest’amicizia e questa storia. Habukawa mi manda sempre le sue calligrafie: come ci sono le foto di questa storia di trent’anni, in un corridoio del tempio, così da me, al Centro Internazionale a Roma, ci sono le calligrafie che mi manda, che mi fa avere attraverso Wakako, di tanto in tanto, mandandomi questi segni profondi di un’amicizia che è anche indescrivibile, per tanti aspetti. Ora, grazie alla instancabile Wakako Saito che accompagna, che è il motore immoto di tutto questo nostro vedersi, trovarsi, incontrarci e anche un po’ capirci, come donna all’incrocio linguistico dei nostri mondi, adesso sentiremo Shodo Habukawa, l’intervento che ha preparato per questo nostro incontro. Grazie ancora.
SHODO HABUKAWA:
Buongiorno, buonasera, buon appetito. Mi chiamo Shodo Habukawa Koyasan. Molte grazie per il vostro invito caro, ancora quest’anno, al Meeting di Rimini. L’incontro con il Mistero fa incontrare tutti e l’incontro con l’altro aiuta ad approfondire la propria esperienza. Era il 29 agosto del 1999, pochi mesi prima del passaggio di millennio: partendo da Lugano, stavamo percorrendo la strada per arrivare all’abbazia cistercense di Hauterive, a Friburgo, in Svizzera. Dalla finestra della macchina, davanti ai miei occhi, ho visto la pianura verde bellissima che si estendeva per chilometri quadrati, senza limite. C’erano tanti gruppi di mucche che portavano un campanaccio al collo, il tempo passava in silenzio e in pace. Nello stesso anno, don Ambrogio Pisoni di Milano è venuto sulla nostra montagna sacra, il Monte Koya del Buddismo Shingon, per commemorare i 2000 anni. Dunque, torniamo alla nostra visita all’abbazia cistercense di Hauterive, in Svizzera: siamo arrivati lì alle nove di mattina. C’erano circa 20, 25 monaci vestiti in bianco e nero che ci aspettavano. Così abbiamo partecipato alla liturgia della mattina: l’abate mi indicava con il suo dito l’inno della preghiera del messale e io seguivo tramite le lettere dell’alfabeto (anche se non capivo il senso delle parole). Io che sono un monaco buddista e loro che sono amici monaci cattolici, nonostante la differenza siamo uniti davanti al Mistero tramite la preghiera.
Nel pomeriggio, ho partecipato di nuovo alla liturgia. Ad un certo punto ho visto che tutti i partecipanti si alzavano per andare davanti all’altare, senza sapere bene cosa facessero, e solo dopo ho saputo che era il momento della comunione che solo i cattolici potevano ricevere. Mi sono alzato anch’io per prendere l’ostia ma il monaco che mi accompagnava scuoteva la sua testa pacificamente con un grande sorriso per dirmi che non potevo andare. Era un momento molto impressionante perché davvero abbiamo condiviso il momento più profondo della preghiera nell’abbraccio al Mistero, nonostante la differenza, e per questa intensità non dimenticherò mai la scena.
Il mattino dopo, purtroppo, dovevo salutare l’Abate dell’Abbazia. Ci siamo separati davvero a malincuore. Nel settembre 2010, ho saputo che questo Abate è stato eletto Abate Generale dei Cistercensi, quando aveva soltanto 50 anni. Questo Abate Generale è, come sapete già, Mauro-Giuseppe Lepori che sta di fianco a me ora e dopo questo primo incontro del 1999, sono già passati 18 anni, ma l’Abate Generale non è cambiato per nulla, è sempre uguale. Monsignor Luigi Giussani, che rispettiamo e amiamo molto, ci ha insegnato che per avere un’esperienza mistica è davvero importante “aprire il nostro cuore a tutto ciò che esiste nel mondo”. Direi che i suoi discepoli, Don Ambrogio Pisoni, l’Abate Generale Mauro-Giuseppe Lepori e Sua Eccellenza il Vescovo Massimo Camisasca sono davvero i maestri che aprono il loro cuore a tutto ciò che esiste nel mondo, nella vita quotidiana. Tutto ciò che esiste nel mondo appartiene all’unico essere che dà la vita, cioè al Mistero. Il Mistero crea comunione tra tutti gli esseri e l’eternità ed anche noi siamo parte del Mistero. Quindi, vedendo tutto ciò che esiste nel mondo, possiamo sentire la presenza del Mistero. (Significa che quando vediamo e capiamo più profondamente il nostro cuore, allora possiamo sentire la coscienza del cosmo, superando il tempo e lo spazio, in altre parole possiamo dire che costituiamo un’unica unità con tutto il cosmo).
Quando è venuto Monsignor Luigi Giussani al Monte Koya, gli è piaciuta molto una figura buddista Senjyu-kannon, che è una Divinità buddista della compassione raffigurata con mille braccia per aiutare tutti quelli che soffrono con il suo amore, con strumenti e oggetti diversi. Ho sentito che, dopo essere tornato in Italia, Don Giussani ha messo una raffigurazione di questa divinità Senjyu-kannon sulla sua scrivania per sempre e non l’ha tolta mai. Non dimenticherò mai il suo insegnamento e questo episodio.
Se continuiamo a vivere la nostra vita quotidiana, in ogni momento, intensamente e diligentemente, riceviamo l’esperienza Mistica. Essa è un momento in cui il Mistero parla per e con noi, nella forma del “logos”, quindi senza parole che hanno un preciso significato, ma rivelandosi profondamente al nostro cuore. Grazie mille per il vostro ascolto.
ROBERTO FONTOLAN:
Ho detto che non avevo molte parole per introdurre questa giornata e il professor Habukawa mi ha anche anticipato, perché ha parlato dell’abate Lepori, l’ha già presentato, ha detto che è uguale a 18 anni fa… Mi è un po’ dispiaciuto che non mi abbia trovato uguale a trent’anni fa, però accetto il passare del tempo in modo sereno. Allora, Mauro-Giuseppe Lepori è l’Abate Generale dell’Ordine Cistercense e adesso ci apprestiamo ad ascoltare il suo intervento su questo titolo: “Da quale cuore irradiano mille mani?”. Avete un po’ già capito che si riferisce a questa figura che tanto colpì don Giussani in quella occasione.
MAURO-GIUSEPPE LEPORI:
Sayonara. Quando, alcuni mesi fa, mi sono incontrato con la cara amica Wakako alla Stazione Centrale di Milano per parlare di questo incontro, mi ha trasmesso da parte del Prof. Shodo Habukawa un prezioso regalo: una splendida calligrafia artistica eseguita dal Prof. Habukawa stesso, con quattro elementi che compongono una frase di Kobo-daishi, fondatore del Buddismo Shingon, una frase in cui egli elogia la virtù del suo maestro Keika. La frase dice: “Tutti quelli che vanno a trovare un grande maestro o una persona virtuosa, hanno il loro cuore vuoto. Ma grazie all’incontro con lui, tutti saranno salvati e torneranno sulla strada di casa con il loro cuore pieno di soddisfazione”.
Con questa frase, il Prof. Habukawa mi offriva la chiave di lettura di quello che ho provato nell’incontro con lui, quando venne a visitare la mia abbazia di Hauterive nell’agosto del 1999. Raramente qualcuno ha lasciato in noi tanta pace e letizia come ce l’ha lasciata lui. La sua familiarità con il Mistero e la sua tenera attenzione ad ognuno ci hanno rimandato “sulla strada di casa”, cioè al cammino quotidiano della nostra vocazione di monaci cristiani, con un senso più intenso di quanto il rapporto col Mistero soddisfi il cuore, lo riempia di soddisfazione, cioè ne riempia il vuoto strutturale, ontologico. Ci siamo ritrovati a pregare le nostre preghiere quotidiane, a celebrare l’Eucaristia, a fare silenzio, ad ascoltare la parola di Dio, a vivere i rapporti fra di noi, a contemplare la bellezza del creato con un cuore più sensibile, più desto, più fervido. E per noi il mistero era che questo dono ci era offerto da un monaco buddista, che un monaco di un’altra religione ci aveva richiamato a Cristo, quasi facendoci rivivere l’incontro con Gesù Risorto dei discepoli di Emmaus il cui cuore vuoto era stato riempito di fuoco anche quando non lo riconoscevano ancora (cfr. Lc 24,13-35).
Per questo, non mi stupisce quando si ricorda l’impressione che l’incontro con il Prof. Habukawa ha lasciato in Don Giussani, e viceversa. Anche perché la stessa esperienza di un incontro che ti riempie del senso del Mistero l’avevo fatta incontrando Don Giussani stesso. Gli incontri che ho fatto io con entrambi mi fanno intuire, con un senso di venerazione, l’intensità dell’incontro che hanno vissuto fra loro. Per questo, è provvidenziale che il momento di oggi, che non vuole solo commemorare storicamente un incontro di 30 anni fa ma che vuole continuare a viverlo, e rinnovarne la portata e l’esperienza, si svolga in un’edizione del Meeting di Rimini intitolata: “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”.
È proprio questo che ci interessa facendo memoria di ogni avvenimento del passato in cui il Mistero si è manifestato. Ci interessa riguadagnarlo, che poi è come dire “redimerlo”. Da cosa? Da una distrazione, da una dimenticanza che poco o tanto ha magari lasciato scivolare nel passato un’esperienza in cui l’Eterno si è manifestato nel presente. Un’esperienza così, un incontro così, di per sé non può scivolare nel passato. Sarebbe come dissipare un’eredità invece che farla fruttificare. Un’eredità dissipata di per sé non sparisce, ma è alienata, non è più messa a frutto per chi ne è legittimo erede. Ma l’eredità di un incontro è un’esperienza del cuore, e ciò che ci aliena dal nostro cuore, anche se altri possono usufruirne, è come se ci alienasse da noi stessi, ci allontanasse da noi stessi. È come se ci portasse via il cuore.
Per questo, la frase di Kobo-daishi donatami dal Prof. Habukava esprime un grande amore per il nostro cuore, e quindi per il senso, la bellezza e la verità della nostra vita.
“Tutti quelli che vanno a trovare un grande maestro o una persona virtuosa, hanno il loro cuore vuoto. Ma grazie all’incontro con lui, tutti saranno salvati e torneranno sulla strada di casa con il loro cuore pieno di soddisfazione”.
Che consolazione sentirsi dire che l’unica condizione per incontrare un grande maestro, un padre che possa ridestare la nostra vita, è quella di avere un cuore vuoto. Un cuore vuoto non è un cuore chiuso, perché è un cuore pieno di desiderio di felicità, che anela alla soddisfazione, a una pienezza. Un cuore vuoto è soprattutto un cuore che non si riempie da sé, né di se stesso, né di quello che uno crede di potersi dare da sé, o che strappa agli altri. La verità di un cuore umano nel vivere il vuoto che è, la capienza di infinito che è, è la libertà di andare a trovare un grande maestro, una persona virtuosa, noi diremmo un santo. La verità del cuore vuoto è il metterci in cammino verso chi ci può trasmettere una pienezza, il dono di una pienezza di cuore.
È la verità del cuore vuoto del figlio prodigo che Gesù descrive così intensamente nel capitolo 15 del Vangelo secondo Luca. Dopo aver vissuto nella perdizione, ribellandosi al padre, cercando di realizzare la soddisfazione del suo cuore lontano dal padre, questo figlio si ritrova con un cuore e una vita svuotati del loro senso. Ma Gesù dice che è proprio allora che quest’uomo “ritornò in sé” (Lc 15,17), cioè ritornò a pensare al proprio cuore, e scoprendolo vuoto, triste, perduto, intuisce che solo il padre potrà consolarlo, che solo aprendolo al padre, così com’è, vuoto e triste com’è, la sua vita si può riaprire ad una pienezza: “Mi alzerò, andrò da mia padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e verso di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (Lc 15,18-19). È così che il cuore dell’uomo, in qualunque condizione si trovi, ritrova una strada, la “strada di casa”, della casa del padre, e riguadagna l’eredità, non quella che ha dilapidato, che era un’eredità materiale, un’eredità che non può mai valere quanto un cuore, ma l’eredità di essere figlio, di lasciarsi rigenerare dal Padre alla vita e alla felicità.
Spesso, se l’uomo contemporaneo dilapida l’eredità paterna, non lo fa soltanto per sete di libertà, di indipendenza e di piacere, ma perché l’eredità che si è preteso di trasmettere, anche culturale, anche religiosa, era un’eredità senza paternità, che ha preteso di trasmettersi senza il padre che la dona.
Nessuna eredità è interessante se non trasmette, con essa e per suo tramite, un amore alla vita che si comunica solo da cuore a cuore, dal cuore del padre al cuore del figlio, dal cuore del maestro al cuore del discepolo. Un’eredità che non trasmette il cuore di chi ci genera, non è interessante, e merita solo di essere dilapidata.
Ma l’eredità che trasmette il cuore di una persona, di una famiglia, di una comunità, di un popolo, è sempre preziosa, ed è incorruttibile. È un tesoro accumulato in Cielo, come dice Gesù (cfr. Mt 6,20). Può sempre essere riguadagnata, recuperata anche dall’oblio, anche dalla distruzione dei suoi segni nel tempo. Perché rimane viva, come una sorgente. L’ultima eredità di Cristo al momento della sua morte, non è forse il Cuore trafitto, il Cuore vuoto perché svuotato nel lasciarci in eredità tutta la vita e l’amore che lo animano? (cfr. Gv 19,33-34)
Come lo ha ricordato il Prof. Habukawa, Don Giussani rimase impressionato dall’immagine del bodhisattva Senjyu-kannon, una divinità che, con le sue mille mani munite di strumenti diversi, esprime la compassione del Mistero teso a venire in aiuto a tutte le necessità umane. Evocando questo episodio e questa figura con la nostra amica Wakako Saito, quando ci incontrammo a Milano, ci fu chiaro che mille mani tese ad aiutare tutti in tutto sono l’irradiamento di un cuore, hanno cioè una sorgente, un centro di amore e compassione che si esprime in mille modi, ma che irradiandosi rivela un’unità, un centro, un cuore appunto. Noi vediamo le mille mani, ci sentiamo soccorsi da una compassione che ci tocca in un bisogno particolare, ma questo gesto, questo tocco, questa carezza ci fanno levare lo sguardo, ci fanno scrutare la loro origine, la loro sorgente. Ed è allora che intuiamo la natura profonda del Mistero, e che il Mistero è un Cuore, un Amore infinito.
Anche di Gesù si dice nel Vangelo che percorreva tutta la Galilea “guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4,23). Nessuno poteva vedere il suo Cuore, eppure ogni suo gesto lo svelava come mistero, il Mistero profondo di Dio. Ma anche come il mistero profondo dell’uomo. Perché ogni volta che un malato o un bisognoso sentiva la carezza del Nazareno, il Suo tocco benefico e rigenerante, non si sentiva richiamato solo al mistero del Cuore paterno e divino che irradiava quel gesto, ma anche al mistero del proprio cuore umano, raggiunto dall’amore del Mistero come il corpo o l’anima malati erano raggiunti dal gesto di compassione.
È sempre il cuore il terminale ultimo dell’amore del Mistero che ha compassione dell’uomo. E il cuore che si sente amato, guarisce, è sanato, più profondamente e eternamente di qualsiasi organo malato che il Signore possa risanare.
Io non so, io non capisco, che intuizione del cuore del Mistero hanno i nostri amici buddisti. Io non posso cogliere cosa è dato loro di intuire del Cuore che irradia mille mani traboccanti di compassione. Così come non so fino a che punto abbia per loro un significato il Cuore trafitto del nostro Signore crocifisso e risorto.
Perché per loro, come per noi, il cuore del Mistero è insondabile, è… il mistero del Mistero. Ma se è insondabile il cuore del Mistero, del mistero del cuore, del nostro cuore, facciamo esperienza. E questa esperienza, pur misteriosa, è come una lanterna nella notte che ci fa incontrare chi la porta accesa come noi.
“Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli [Gesù risorto] conversava con noi lungo la via?” (Lc 24,32). Il cuore dei discepoli di Emmaus ardeva, come una lampada accesa che permetteva loro non solo di riconoscere Cristo, ma di riconoscersi l’un l’altro, e di riconoscersi fino in fondo al cuore.
Il Mistero, conversando con l’uomo, nelle infinite possibilità che lo Spirito Santo esprime, ci rende capaci di riconoscerci, di riconoscere l’uomo, il mistero dell’uomo che arde in fondo ad ogni cuore. E questa è l’origine e la consistenza dell’amicizia, di una comunione di cuori altrimenti impossibile. Mai i due di Emmaus si erano sentiti tanto uniti, tanto amici e fratelli, come nel momento in cui il Mistero ha toccato e acceso con il suo Fuoco il loro cuore.
Non è questo mistero, il mistero di questa amicizia accesa da un Mistero più grande di noi, più grande delle nostre differenze e divisioni, più grande dei nostri dubbi e delle nostre convinzioni, non è questo mistero di comunione dei cuori che ci svela l’unità del Mistero, l’unità di Dio al di là e al di sopra di quello che riusciamo a capire? L’ecumenismo è un cammino che avanza nella misura in cui l’esperienza dell’unico ed eterno Mistero si fa sperimentare prima ancora che riusciamo a definirlo.
L’amicizia, la sintonia dei cuori vuoti ma accesi, perché ardenti di sete di Infinito, e che a questa luce si incontrano e camminano insieme; questa amicizia è il Mistero che si lascia sperimentare, che si manifesta presente, e amante l’umanità, prima che riusciamo a parlare di Lui. Non finiremo mai di capire il Mistero, come non finiremo mai di desiderarlo. L’ardore del cuore è l’inizio di un’esperienza infinita, di un cammino eterno. Sorprenderci a condividerlo, l’ardore del cuore, e sorprenderci magari a poter condividere solo questo, ci svela che anche la nostra amicizia è infinita, eterna, ed è il solo tesoro che quando lo scopriamo in terra è già conservato in Cielo.
Quando ho incontrato la prima volta il Prof. Habukawa, con sua moglie che ci ha offerto una delicatissima danza in kimono, non sapevo se ci saremmo incontrati di nuovo. Ma quando l’ho rivisto, anni dopo, al Meeting di Rimini, come ora, mi sono accorto che lui ha tenuto accesa nel suo cuore la fiamma della nostra amicizia con un’intensità ben più ardente della mia. Ma questa sua fedeltà al desiderio del cuore vuoto ha riacceso subito anche la mia. E questa è la più grande compassione che il Mistero possa esprimere attraverso un uomo: tenere accesa in sé la fiamma del cuore dell’altro, per riaccenderla in lui al primo incontro, come nella preghiera.
L’amicizia più grande, che noi cristiani chiamiamo carità, o comunione, è quando ognuno conserva accesa in sé la fiamma del cuore dell’altro, come se il cuore dell’altro ci appartenesse quanto il nostro, come se il desiderio d’infinito dell’altro ci fosse caro quanto il nostro.
Forse è questa l’amicizia che trent’anni fa è iniziata fra il Prof. Habukava e Don Giussani, e per questo non potrà mai spegnersi, e per questo e così la ereditiamo dal loro cuore per possederla e trasmetterla a nuovi cuori, in un’eredità senza fine.
E ci accorgiamo che il Mistero, anche se ha mille mani, ci ama e ci tocca sempre con il suo Cuore.
ROBERTO FONTOLAN:
Le ultime parole del Professor Habukawa erano queste: “L’esperienza mistica [cioè l’esperienza del Mistero] è un momento in cui il Mistero parla per noi e con noi nella forma del logos”. E c’è un’esperienza particolare che il Professor Habukawa voleva aggiungere e raccontare per arricchire questo suo intervento, un’esperienza particolare che ha nella visione della pietà di Michelangelo il suo centro, il suo fuoco iniziale; perciò volevo pregare di aggiungere al suo intervento il racconto di questa esperienza di incontro con la pietà di Michelangelo.
SHODO HABUKAWA:
Un prete cattolico giapponese, Don Masayuko Shirieda, che ora è in Paradiso e che ha offerto e consacrato tutta la sua vita per la Santa Sede, come sotto-segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha scritto un libro in giapponese intitolato: Chi fa accadere il Miracolo, stampato nel 2006 nella lingua giapponese, (il libro presenta lo scambio di lettere fra Padre Shirieda in Vaticano e la scrittrice cattolica Ayako Sono in Giappone). In esso parla della famosa statua di Michelangelo, la Pietà, nella basilica di San Pietro in Vaticano. Quando Michelangelo è diventato vecchio, ricordandosi di come avesse fatto a realizzare la Pietà con la massima contentezza, disse che mentre faceva il lavoro con il blocco di marmo, il senso dell’ispirazione ha guidato tutto il suo movimento, e che così poteva riuscire a scolpire la figura di Gesù e della MadonnaDon Shirieda ha scritto nel libro “Posso immaginare quanto siano vere queste parole di Michelangelo perché anch’io quando sto davanti a questa figura meravigliosa, sento il senso d’ispirazione che arriva dal Mistero direttamente a me. Se guardo la statua della Pietà concentrandomi, dopo qualche tempo comincia a parlarmi. E poi ne emana una specie di “logos”, ovvero parole che esistono dentro di me. Anche se questo tipo di esperienza è totalmente personale, quando parlo di quest’esperienza a chi ne ha fatto una simile, sentiamo sempre con stupore una profonda unità”. Don Masayuko Shirieda scrive che questo è possibile perché l’ispirazione di Michelangelo, quindi la volontà del Mistero, arriva direttamente a noi tramite la sua opera d’arte. Vorrei vivere la mia vita intensamente ricordando questo insegnamento di Michelangelo come luce del nostro cuore, anche se questo mondo diventa troppo caotico e siamo troppi individualisti. Grazie per il vostro ascolto.
ROBERTO FONTOLAN:
Prima di avviarci alla terza parte del nostro incontro, un piccolo epilogo con un canto. Interpreto bene, Wakako? Ho capito tutto quello che succederà? Speriamo di sì. Volevo chiedere brevemente a Padre Lepori: c’è una cosa che ha detto in conclusione del suo bellissimo intervento: ereditiamo l’amicizia che trent’anni fa è iniziata tra il Professor Habukawa e Don Giussani, la ereditiamo per possederla e per trasmetterla. Vorrei chiedere: come facciamo a riguadagnarla, questa amicizia?
MAURO-GIUSEPPE LEPORI:
Quello che è avvenuto fra Don Giussani e il Professor Habukawa, per noi è un incontro fra due padri e il loro incontro è un’eredità. Don Giussani è già in Paradiso e auguro lunga vita al Professor Habukawa, però ci lasciano un’eredità di padri, no? L’eredità che riceviamo – un amore, un’amicizia vissuta dai nostri padri -, se non vogliamo ridurla a un ricordo del passato dobbiamo viverla fra di noi, viverla fra fratelli, fra sorelle. E’ questo che tiene viva un’esperienza del passato e la trasmette e non la riduce a qualcosa che manipoliamo e quindi che derubiamo al Mistero. Credo che ogni eredità abbia un compito, continuare questa amicizia con le persone che da quell’incontro sono state coinvolte, sono state generate, in un modo o nell’altro. E questa è anche la natura della Chiesa, cioè il testamento di Gesù, “amatevi gli uni gli altri come fratelli, come io ho amato voi”. Penso che anche ogni esperienza in cui il Mistero si affaccia in un’esperienza di amicizia lascia un’eredità di amicizia da accogliere e da vivere, che diventi anche un compito, cioè una fedeltà, un non dissipare questo dono. E questa è forse la provocazione più grande che la libertà dell’uomo può ricevere da una paternità.
ROBERTO FONTOLAN:
Bene, allora penso che abbiamo vissuto – prendo una parola a prestito dal Professor Habukawa – con grande intensità questa nostra ora che abbiamo passato insieme. Credo che ci sia un epilogo che adesso Wakako ci introduce.
WAKAKO SAITO:
E’ una sorpresa per voi, ci sarà qualcosa che possiamo continuare. Vogliamo regalarvi una conclusione che ponga davanti ai nostri occhi la bellissima amicizia fra cristiani e buddisti. Marina e Guia sono venute in Giappone quando è successo il terremoto, per cantare per il nostro popolo distrutto, che ha improvvisamente perso tutto. Lì è nata un’amicizia bellissima perché hanno imparato una nostra canzone popolare, si chiama Sakura, è un fiore che noi amiamo. E’ un regalo che facciamo a tutti voi che siete amici carissimi. Grazie!
ROBERTO FONTOLAN:
Intanto che si preparano, vi voglio ricordare che, per chi vuole ripercorrere la storia di questa amicizia nata trent’anni fa, c’è la mostra fotografica di testi, dove viene anche pubblicato e riproposto il meraviglioso, assolutamente straordinario intervento che Don Giussani tenne nella conferenza al Centro Culturale di Nagoya, che diede spunto e fu l’occasione da cui nacque un po’ tutta questa storia. Questo testo è pubblicato su un pannello e viene anche ripercorsa, attraverso fotografie e didascalie, questa nostra storia che abbiamo condiviso e che abbiamo il compito di continuare, come ci diceva l’Abate Lepori. Questa piccola mostra si trova nella Hall Sud, invito tutti a dare un’occhiata. Infine, prima di Sakura, ricordo che anche quest’anno è possibile contribuire alla costruzione del Meeting attraverso donazioni (è un momento marketing, questo) e a questo scopo, all’interno di numerosi padiglioni, troverete le postazioni “Dona Ora”. Le donazioni dovranno avvenire unicamente ai desk dedicati dove sarete accolti da volontari che indossano la maglietta verde “Dona Ora”. Adesso ci apprestiamo ad ascoltare il canto che chiude questo nostro incontro e che riapre un’altra storia che vedremo e vivremo assieme negli anni successivi. Grazie, Professor Habukawa! Qui è richiesta anche la presenza di Don Ambrogio Pisoni, che è stato evocato dal Professor Habukawa. Don Ambrogio è un altro dei volti che compongono tutta questa nostra meravigliosa avventura. Allora, grazie Professor Habukawa, grazie moltissimo all’Abate Lepori e vi auguro buon proseguimento di Meeting sulle note di questa canzone.