INVITO ALLA LETTURA. GIOVANNI XXIII, IN UNA CAREZZA LA RIVOLUZIONE

Invito alla lettura: GIOVANNI XXIII, IN UNA CAREZZA LA RIVOLUZIONE

Presentazione del libro di Stefania Falasca, Giornalista (Ed. Rizzoli). Partecipa l’Autore. Introduce Francesca Fabbri Fellini, Giornalista.

 

FRANCESCA FABBRI FELLINI:
Adesso passiamo ad un altro libro. Ho il piacere di avere accanto a me una collega giornalista editorialista dell’Avvenire, che si chiama Stefania Falasca, una scrittrice che io stimo moltissimo, perché ha scritto un libro molto bello, un libro che praticamente riguarda un Papa che abbiamo amato tutti noi, un Papa che viene da lontano, Giovanni XXIII. Il titolo di questo volume è Giovanni XXIII: in una carezza la rivoluzione, edito da Rizzoli, ma è molto importante la linguetta che c’è su questo volume, perché c’è un altro papa che tutti noi amiamo, papa Francesco: “Perché è santo: la storia di una canonizzazione voluta da Papa Francesco”. Io comincerei subito a bomba con Stefania ricordando la data di oggi. Stefania, oggi è?

STEFANIA FALASCA:
Il 26 agosto, la data dell’elezione di Albino Luciani, di Papa Luciani.

FRANCESCA FABBRI FELLINI:
È la data dell’elezione, nel ’78, di Papa Luciani, che solo per poco abbiamo amato tutti. Stefania è vice postulatrice per la causa di canonizzazione di papa Luciani. Papa Luciani viene da lontano nella tua storia, perché tu hai presentato la tua tesi di laurea…

STEFANIA FALASCA:
No, la tesi di dottorato, sul linguaggio di Papa Luciani. Ma su Luciani bisogna dire che è anche un figlio spirituale di Giovanni XXIII, anzi io li legherei proprio in un ideale disegno, appunto Giovanni XXIII, Luciani, Paolo VI e Papa Bergoglio.

FRANCESCA FABBRI FELLINI:
Possiamo dire, è una cosa questa molto dolce, che tu conoscevi il Papa prima che diventasse Papa. Questa è una cosa molto bella, aver avuto a casa con i tuoi bambini una creatura meravigliosa che poi è diventata Papa, io credo che sia un’emozione straordinaria, chiusa dentro il tuo cuore, quello di tuo marito e quello dei tuoi bambini,.

STEFANIA FALASCA:
Io non sono la nipote di Bergoglio, quindi non è una famigliarità in questo senso. E’ stato così: l’ho conosciuto in anni lontani, agli inizi del 2000, per ragioni di lavoro, appunto giornalistico, andando a Buenos Aires dove egli era, e quindi col tempo è rimasta questa vicinanza con lui.

FRANCESCA FABBRI FELLINI:
Ed è bellissimo. E arriviamo a questo volume: questo volume, che ci tengo subito a dire, non è una biografia, non rientra nei libri biografici. Che tipo di libro hai voluto creare, hai voluto offrire ai lettori italiani e non?

STEFANIA FALASCA:
Io innanzitutto volevo ringraziare di questa opportunità di parlare di Giovanni XXIII e della sua canonizzazione, perché questo ci riporta nel presente, inesorabilmente ci riporta al presente con tutte le contingenze che ci sono al momento, e perché anche io credo che sia importante come chiave di accesso per capire quelle che possono essere le coordinate importanti, diciamo così, l’orientamento di una stagione ecclesiale che stiamo attraversando con papa Francesco. Giustamente, dicevi, non è una biografia: non lo è né voleva esserlo, anche perché Giovanni XXIII gode di studi considerevoli dal punto di vista scientifico. Non è neppure un compendio di letture agiografiche. E’ semplicemente – quello che volevo fare – una messa a punto, partendo dalla documentazione processuale, cioè da quei dossier che vengono sempre consegnati, le cosiddette “positio”, ai teologi per il parere ultimo. Quindi attraverso questa documentazione, in particolare la positio presentata nel 1999, quella sulle virtù, e quella di quest’anno, compilata quest’anno per la canonizzazione, ho voluto sostanzialmente mettere in luce quelle che sono le ragioni, i motivi e le opportunità pastorali della sua canonizzazione nel tempo presente e futuro della Chiesa. Perché ho detto opportunità? Perché questa è una prassi proprio dei processi. Non basta infatti riconoscere o dichiarare la santità di una persona, bisogna sempre poi chiedersi e interrogarsi se quel candidato alla fine è opportuno proporlo adesso, cioè se nel tempo presente è valida la sua esemplarità, e questo vale a maggior ragione nel caso di Roncalli, perché? Perché Roncalli è una canonizzazione voluta da papa Francesco, è una canonizzazione pro gratia, quindi senza il miracolo che normalmente viene chiesto per la canonizzazione.
Subito dopo che c’è stato l’annuncio della data della canonizzazione, quindi lo scorso settembre, io ricordo di aver chiesto direttamente a papa Bergoglio “ma perché lei lo vuole canonizzare adesso” e la risposta è stata diretta, netta, spiazzante come è lui, la risposta è stata secca “perché è santo”, punto. Poi ha aggiunto che mentre firmava il decreto della canonizzazione, riferendosi a papa Roncalli, ha detto “questo qui mi deve aiutare”. Nel discorso che aveva fatto precedentemente, si vedono proprio i punti che aveva rimarcato. Quando ha parlato in occasione dei cinquant’anni dalla morte di Giovanni XXIII, ha rilevato il fatto della bontà di Giovanni, “ipsa imago bonitatis”, con la quale Giovanni XXIII ha costruito tutte le sue relazioni in ambienti lontani e non ostili, bontà che è anche trasparenza di una pace interiore. Papa Francesco ha sottolineato proprio il fatto della bontà come trasparenza di una pace e poi ha ammesso un aspetto importante che è quello che ebbe grande importanza nel magistero di Giovanni XXIII, cioè l’obbedienza evangelica che gli ha permesso di abbandonarsi totalmente allo Spirito Santo e alla volontà di Dio, portandolo a quella progressiva spoliazione di sé fino a essere conforme a Cristo. Ecco questo è un aspetto che Papa Francesco ha messo in evidenza, l’altro è che proprio l’intuizione profetica della convocazione che lui ha fatto del Concilio Vaticano II e l’offerta della propria vita per questa buona riuscita, restano pietre miliari, faro luminoso per il cammino che ci attende. Queste sono poi affermazione che aprono tutto un percorso di riflessione, perché qui ritorniamo al presente, al cammino che ci attende.

FRANCESCA FABBRI FELLINI:
Diciamo che queste sono le coordinate del Magistero…

STEFANIA FALASCA:
Sì, queste sì, ma diciamo poi ci sono state prima di tutto quelle che sono le ragioni di questa canonizzazione, i motivi per cui è stato possibile realizzarla. A me è rimasto impresso che appena c’è stato l’annuncio, hanno subito cominciato a cercare le affinità che ci possono essere tra Giovanni XXXIII e Francesco e certamente ci sono, specialmente quella comune spiritualità che rimanda a Francesco d’Assisi, come rilevava anche lo stesso Capovilla, ma a mio avviso possono esserci affinità, e anche profondissime, con Luciani, come possono esserci con Paolo VI. Il punto è che non si canonizza nessuno per delle affinità elettive. La canonizzazione non è un titolo onorifico, non è un cavalierato, canonizzare vuol dire, secondo la prassi, elevare al culto universale della chiesa, quindi al culto liturgico della chiesa universale, quindi deve avere una valenza, un’esemplarità significativa per un indirizzo che sia universale, che sia di riferimento nella contemporaneità, come dicevamo prima, e anche per illuminare al tempo stesso questo cammino. Quindi una canonizzazione è sempre pro ecclesia, anzi pro salus ecclesiae, per tutta la chiesa e, a mio avviso, io credo che sia stato anche un particolare significativo il tono con il quale ha canonizzato sia Giovanni XXIII – perché sono stati canonizzati insieme – che papa Wojtyla, il 27 aprile. Perche? Perché nel ricordare queste figure, nel farne memoria, chi si aspettava magari l’esaltazione di un’autocelebrazione del passato, di un ruolo storico avuto dai due predecessori, forse è rimasto un po’ deluso, perché anche la sua omelia è stata all’insegna della sobrietà, nello stile di Santa Marta, cioè non si è soffermato per nulla a rievocare la grandezza di qualche gesto, e anche lì, come dicevamo prima, ha ricondotto all’essenziale, alla vita cristiana, cioè ha ricondotto la loro testimonianza a questo, dicendo: hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la chiesa secondo la fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i secoli, che le hanno dato i santi nel corso dei secoli, quella in cui si vive l’essenza del Vangelo.
E’ significativo anche il modo con cui ha parlato. Sono affermazioni canoniche certamente della stessa santità, una santità della classe media, una santità dei piani bassi, accessibile a tutti, come poi ha ribadito anche la Lumen gentium, cioè riconducendo a questa classe media della santità anche quella dei papi. Ha detto “i santi non sono super uomini, né sono nati perfetti”, quindi sono persone che per amore di Dio nella loro vita non hanno posto condizioni a Lui, hanno speso la loro vita al servizio degli altri, non sono mai stati ipocriti, non hanno mai odiato. Non è dunque in questo caso la chiesa, come uno pensa, a fare i santi, sono i santi che mandano avanti la chiesa; e quello che è importante però da sottolineare è questo aspetto, cioè che attraverso la memoria di Giovanni XXIII, Francesco ha riproposto la perfezione cristiana non come un fatto eccezionale ma come una norma dell’agire, della vita cristiana, come a dire: che cosa chiede Dio al papa? Chiede di essere un credente, non un uomo di rappresentanza ma una testimonianza autentica, credibile del cristianesimo, nella quale lo stesso popolo di Dio si identifichi e al tempo stesso si edifichi.

FRANCESCA FABBRI FELLINI:
Senti, Stefania, è bellissima questa cosa che tu ci riporti di papa Francesco che ha detto: “Questo qui mi deve aiutare”. Si ha la sensazione, attraverso le cose che tu hai detto, che la lezione di Roncalli si stia attuando oggi, in questo momento, con papa Francesco. Secondo te è un cliché estremamente riduttivo quello che da anni viene dato a papa Roncalli di papa buono o ha un valore particolare? Io da spettatrice, come dicevo prima, da spettatrice della strada – non sono una vaticanista – io dico solamente che li trovo estremamente vicini, come dicevi tu, Giovanni XXIII e papa Francesco, e proprio buttandoci dentro il tema di questa edizione del Meeting di quest’anno che è “le periferie del mondo”, io li trovo due protagonisti delle periferie del mondo.

STEFANIA FALASCA:
Sì, qui ritorniamo appunto su quelle che sono le affinità nella continuità. Certamente qui la radice comune è il Concilio Vaticano II e adesso vedremo in che termini queste opportunità ci sono. Per quello che riguarda il fondo da cui sgorga un esercizio del ministero petrino come noi lo vediamo, è questo della bontà pastorale che richiamava lo stesso Bergoglio all’inizio, come categoria fondante, perché la bontà, è vero che non bisogna confonderla con il buonismo, e certamente Capovilla, il segretario di Giovanni XXIII, quando gli dicevano il papa buono, andava un po’… perché può essere fraintesa la bontà. In sé è una delle virtù che viene anzi scandagliata per vedere… infatti, Bergoglio diceva: la bontà è trasparenza di un processo di pacificazione interiore, cioè è riverbero di una pace interiore, che però, appunto, che cos’è? La bontà paterna, il pastor bonus et pater riassume che cosa? Quello che era Cristo stesso. Quindi come indirizzo, Giovanni XXIII già negli scritti – basta leggere Il giornale dell’anima – aveva detto, fin dai primi anni del suo sacerdozio, che l’esercizio della bontà pastorale e paterna deve riassumere tutto l’ideale della vita. Quindi questo è l’indirizzo che lui ha dato: è chiaro, quando si parla di questo tipo di azione, per Papa Giovanni, questo si radica nell’immagine stessa del Dio Misericordia; è un dato che viene percepito immediatamente poi dalle folle, cattoliche e non, di allora, che coniarono subito il termine “Papa buono”, cattoliche e non perché la fama di santità di Giovanni XXIII ha travalicato non solo i confini cattolici del mondo cristiano ma è giunta anche ai non credenti. In questo possiamo ritrovare l’effetto che ha avuto anche Bergoglio, nel senso di radicarsi in questa immagine del Dio Misericordia che non è una scelta, è il riverbero della vita evangelica sul modello di Cristo, il mite che conquista la terra, il mite, quindi il buono.
Bisogna però poi vedere, perché la canonizzazione, dicevamo prima, non è un cavalierato. A parte questo, è stato possibile realizzarlo pro gratia innanzitutto a causa della fama di santità. Non che sia un fatto che non abbia avuto precedenti nella storia della chiesa, anche Giovanni Paolo II aveva fatto una canonizzazione, no più canonizzazioni pro gratia per i martiri cinesi, quindi c’era un precedente. Al posto del miracolo, diciamo così, ci sono altri elementi che teologicamente possono essere riconosciuti come validi. Nel caso di Giovanni XXIII sono stati proprio due, queste due particolarità: l’eccezionale vastità del culto liturgico che era già stata resa a Giovanni XXIII dopo la beatificazione – è una cosa di cui si deve richiedere l’autorizzazione alla Santa Sede – e lui ce l’aveva dall’Asia all’America, quindi questo, di fatto, lo configurava già come un santo, canonizzato; la seconda importante è stata quella dei padri del Concilio che subito dopo la morte di Roncalli auspicarono la canonizzazione immediata, cioè addirittura come atto del Concilio stesso. C’erano state diverse petizioni, la discussione è andata avanti nel corso del Concilio in diverse fasi, dai vescovi africani ai vescovi dell’episcopato polacco, ai vescovi americani, quindi c’era stato un vasto consenso nel chiedere “santo subito”, quasi per acclamazione. Questa è una condizione che nessun candidato agli onori degli altari, sia prima che adesso, può vantare, cioè un culto liturgico che lo equiparava prima della canonizzazione a un santo e una richiesta di “santo subito” per acclamazione da un concilio. Quindi la pro gratia è giustificata in pieno, diciamo così. Però quelle che sono le opportunità, ci riportano al presente, ci riportano a quello che dicevamo prima, per comprendere l’orientamento e la stagione ecclesiale che stiamo attraversando e perché la sua esemplarità è di questo momento, attuale.

FRANCESCA FABBRI FELLINI:
Giovanni XXIII verrà ricordato, lo diciamo, l’11 ottobre, nel calendario liturgico.

STEFANIA FALASCA:
Esattamente, questa è una delle opportunità, vediamole tutte. Questa è sicuramente una di quelle importanti. Perché santo adesso e quali sono queste opportunità? Innanzitutto bisogna ripartire dalle considerazioni che si fanno per le canonizzazioni: la testimonianza di vita cristiana, l’assoluta coincidenza tra quanto ha insegnato e quanto ha vissuto. Quando Papa Francesco diceva “non sono mai stati ipocriti”, ecco è un requisito. “Visse con fedeltà quotidiana alla sua vocazione”, l’urgenza evangelica risvegliata nel corpo ecclesiale, le intuizioni pastorali e l’ampiezza degli orizzonti da lui abbracciati e proposti con la convocazione del Vaticano II “sono un faro luminoso per il cammino che ci attende”. I motivi espressi a favore delle opportunità sono quindi nell’attualità del suo esempio, del suo magistero, del suo messaggio, ma principalmente in alcuni aspetti che appaiono di essenziale importanza nel cammino presente e prossimo, e sono cinque: l’attuazione del Concilio Vaticano II, l’impegno per il dialogo ecumenico per l’unità dei cristiani, per il dialogo interreligioso, per la ricerca della pace, per il rinnovamento e la missionarietà della chiesa. Questi sono stati ratificati insieme alla santità, cioè il messaggio per cui lo facciamo santo risiede in questi cinque punti e sono proprio gli aspetti in cui si riflettono e si focalizzano le linee del magistero e dell’opera di Francesco che stiamo vedendo. Papa Francesco non è che sta inventando qualcosa di diverso, la sua intuizione di ritornare alle origini con il Concilio Vaticano II è dentro questo cammino che Giovanni XXIII ha aperto. Io penso che una riflessione minima sul Concilio Vaticano II, su che cosa significa, noi dobbiamo farla, perché ci stiamo camminando dentro e non ci accorgiamo, oppure sì, noi ci stiamo camminando dentro, perché il Concilio è stato voluto per una decisione che è nata da un’intuizione di Giovanni XXIII e che cosa fu per Giovanni XXIII? Fu un’ispirazione dello Spirito e come tale rappresentava per lui un insieme di fedeltà e di novità che erano connesse.
L’interpretazione del Concilio secondo Giovanni XXIII è guidata da questa idea chiave, della continuità nel rinnovamento, della fedeltà nel progresso, che sono propri di un evento dello Spirito. Nel discorso di apertura aveva detto quelle che erano le finalità: il rinnovamento della Chiesa, la ricomposizione dell’unità dei cristiani, il dialogo con il mondo contemporaneo; quindi lui ha aperto il Concilio con queste intenzioni e incoraggiava tutti alla speranza nella fede, pronunciando quel no convinto a ogni genere di profeti di sventura. Io fino qui vi ho riletto esattamente cose che abbiamo sentito da papa Bergoglio. Il Vaticano II, grazie all’intuizione di Giovanni XXIII, fece suo questo sguardo di fiducia, sia nella Gaudium et Spes, sia nella costituzione dogmatica Lumen Gentium dove, focalizzando lo sguardo sulla natura e la missione della chiesa del tempo, stimolava i credenti a passare a una concezione della chiesa che non fosse proprio dirimpettaia del mondo, chiusa nella difensiva della cittadella fortificata, ma una chiesa viva nella fede, amica degli uomini e desiderosa di contribuire al bene di tutti, specialmente nella testimonianza della carità e dell’impegno per la giustizia e la pace. Per Papa Giovanni anche il Concilio voleva essere un segno della misericordia del Signore sopra la sua Chiesa, come premessa necessaria per impostare il cammino della Chiesa. Papa Francesco, nell’intervista rilasciata a Civiltà Cattolica, rispondendo alla domanda su che cosa è stato il Concilio, ha detto: “Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea, ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dal Vangelo stesso”. Ci troviamo nella stessa lunghezza d’onda di Giovanni XXIII. Questo aspetto del rinnovamento, di risalire alle origini, di risalire alle sorgenti, al Vangelo, ecco, il Concilio è stato questo, e la Lumen Gentium aveva confessato con chiarezza e semplicità che il punto sorgivo della Chiesa non è la Chiesa stessa. Il Concilio ritornava sulle orme dei Padri della Chiesa che dicevano appunto che la chiesa splende non di luce propria ma di quella di Cristo. Quindi è un ritornare alle origini sul modello dei Padri, questo è stato e questa in sostanza è l’immagine di Chiesa che si ritrova nella ecclesiologia che ha espresso Bergoglio. Il suo intento è traghettare la Chiesa fuori da se stessa, finché arrivi a tutti, perché questa è la natura della Chiesa. Quindi è fuori discussione poi che su questo Bergoglio possa avere dei tentennamenti: arriverà a un punto da cui non sarà possibile ritornare indietro.

FRANCESCA FABBRI FELLINI:
In conclusione Stefania, poiché è finito il tempo a nostra disposizione, tu che sei un’esperta: uno dei prossimi step che vivremo sarà quello della beatificazione di Paolo VI?

STEFANIA FALASCA:
Certamente Paolo VI è stato il Papa della formazione di Papa Francesco; lui ha detto: “Io sono il primo Papa che non ha partecipato al Concilio e mi sono formato nel post Concilio”. Certamente Paolo VI è un riferimento, pensare a dei modelli implica sempre la “salus ecclesiae” cioè avere davanti quello che può essere salutare per la Chiesa, quello che è il cammino, il percorso, dove i Santi possono esprimere la loro esemplarità. Certamente Paolo VI è una visione ecclesiale da cui Papa Francesco attinge molto, sulla linea dell’attuazione del Vaticano II.

FRANCESCA FABBRI FELLINI:
Grazie Stefania di essere stata qui con noi, di aver fatto questo viaggio, di averci raccontato la grandissima attualità di Giovanni XXIII insieme a Papa Francesco. Grazie, buona vita e buon lavoro a te.

Data

26 Agosto 2014

Ora

20:00

Edizione

2014

Luogo

eni Caffè Letterario A3
Categoria
Testi & Contesti