Chi siamo
GIOVANI Vs CRISI. UN CAFFÈ CON GLI STARTUPPER: SOCIAL IMPACT
Partecipano: Roberto Esposito, Founder and CEO di Derev Srl; Andrea Salvati, Managing Director di Aleteia – Catholic Worldwide Network; Anna Maria Siccardi, Socio Fondatore di Retedeldono. Introduce Santiago Mazza, CEO di Fotonica Srl.
GIOVANI Vs CRISI. UN CAFFÈ CON GLI STARTUPPER: SOCIAL IMPACT
Ore: 13.45 Sala Mimosa B6
Partecipano: Roberto Esposito, Founder and CEO di Derev Srl; Andrea Salvati, Managing Director di Aleteia – Catholic Worldwide Network; Anna Maria Siccardi, Socio Fondatore di Retedeldono. Introduce Santiago Mazza, CEO di Fotonica Srl.
SANTIAGO MAZZA:
Buongiorno a tutti, grazie per la partecipazione al nostro incontro. E’ un ciclo di incontri dove parliamo appunto di Startupper vs crisi. Ieri abbiamo visto come alcune persone, attraverso le loro startup, le loro imprese, stiano riducendo le emissioni di C02 che Internet attualmente sta producendo attraverso il consumo energetico dei server. Abbiamo sentito l’esperienza di due ragazzi, due startupper che stanno sviluppando un’impresa per ridurre questo consumo di CO2. Sempre ieri, Cosimo Palmisano sta sviluppando la propria startup utilizzando i dati dei social network, quindi tutti i dati che la rete produce: la sua startup, nata dodici mesi fa, ha assunto cento persone. Questi ragazzi, il lavoro non lo vanno a cercare, se lo creano. Creano il proprio lavoro e in alcuni casi le loro idee diventano vere imprese. Queste imprese offrono chiaramente un nuovo modo di occupazione, un nuovo metodo. Abbiamo apprezzato come Alberto Onetti, di Mind The Bridge, dicesse, martedì: “Non abbandonate mai la possibilità di realizzare i vostri sogni, apritevi al mondo, al diverso, perché non ci si difende chiudendoci al mondo che avanza bensì aprendosi”, detto da uno della Silicon Valley, che se ne intende! Non si va in Silicon Valley, oltreoceano, per cercare i soldi, per trovare i finanziamenti per sviluppare le vostre idee ma per formarsi, per confrontarsi con una realtà. La cosa più interessante è ricevere critiche, mettersi in gioco. La nuova ondata imprenditoriale che sta nascendo potrebbe interrompersi da un momento all’altro, sappiamo che uno su dieci ce la fa. Però il fatto di provarci dimostra chi siamo. Qui al Meeting c’è la mostra su Chesterton, vi invito a visitarla, che scrisse nel 1909: “Le favole non insegnano ai bambini che i draghi esistono, perché i bambini lo sanno già, le favole insegnano che i draghi possono essere battuti”. Allora, esistono tanti draghi oggi che sicuramente dobbiamo combattere, come la disoccupazione, come la rassegnazione, la conservazione di privilegi che non hanno più senso. Ma un drago abbiamo davanti, la nostra emergenza uomo, la nostra mancanza di identità: non sappiamo più chi siamo e da dove veniamo. Ascoltando questi amici, osserviamo che i draghi possono essere abbattuti. Se tu sai chi sei e ascolti onestamente il tuo talento, il tuo cuore, puoi riconoscere la realtà e su questo essere provocato nel senso positivo del fare, del fare politica, del fare impresa, dello studiare. Oggi è con noi Roberto Esposito, che ringrazio per la partecipazione e la presenza, non è semplice farsi 8, 10 ore di treno, lasciare l’attività, venire qui da noi. Tu sei stato provocato proprio dalla realtà, hai 5 milioni di fans su Facebook, hai due Guinnes World Records per le campagne di marketing virali e tutto questo, lo hai fatto partendo da zero. Sei riuscito a raccogliere in Italia, non a Milano o a Roma ma a Napoli, quindi nel sud d’Italia, 1, 25 milioni di euro. Oggi la tua startup conta venti collaboratori, in meno di dodici mesi. Raccontaci da dove nasce la tua idea così interessante, perché già i tuoi risultati e i numeri parlano tanto.
ROBERTO ESPOSITO:
Buongiorno a tutti. Innanzitutto, grazie a te per l’invito e per l’opportunità di partecipare per la prima volta al Meeting di Rimini. La mia startup, la mia idea nasce semplicemente dal fatto che io, da quando avevo 13 anni, non avendo budget, non avendo possibilità, vivendo nel sud dell’Italia, ho sfruttato Internet come finestra sul mondo per lanciare le mie idee in qualsiasi ambito, dall’arte alle startup. Poter utilizzare Internet come finestra sul mondo, in un primo momento validava la mia idea, mi faceva capire, in base al feedback, al riscontro del pubblico, se era un’idea da portare avanti o meno. In secondo luogo, mi dava la possibilità di amplificare, raccogliere contributi, collaborazioni, visibilità a costo zero, e quindi era una opportunità da cogliere. Parallelamente all’idea che portavo avanti, c’era poi la sfida di saperla promuovere tramite la rete. Ho provato a fare questo per più di metà della mia vita ormai, ho 27 anni, e qualche anno fa, quando in Italia si parlava di “legge bavaglio”, per favi un esempio, lanciai uno dei primi blog in Italia di informazione libera contro la censura: questo blog, a costo zero, in due mesi arrivò a fare 200.000 lettori al giorno. Ho venduto poi il blog per pagarmi gli studi universitari, pur avendo studiato tutt’altro rispetto alla strada che ho intrapreso, e ho continuato ad usare la rete per promuovere idee, promuovere progetti a costo zero. Un paio di anni fa, per ricevere visibilità, attirare i riflettori e indirizzarli su quello che stavo portando avanti, ho puntato a battere un Guinness World Record: ho scoperto che l’azienda che su Facebook fa i social games aveva appena battuto il record del mondo del post, con più commenti. Se non sbaglio dava un coupon agli utenti che commentavano, in questo modo aveva battuto il record facendosi anche un bel po’ di pubblicità. Io ebbi l’idea, vendibile anche sui media, del piccolo blogger di provincia che sfida il colosso americano, una sorta di Davide contro Golia. E lanciai questa sfida sulla mia fan page italiana, con un target molto ristretto di utenti: in tre mesi sono riuscito a raddoppiare il Guinness World Record della Zynga facendo quasi 600.000 commenti ed entrando così nel Guinness World Record come post più commentato al mondo. Questo mi ha dato tantissima visibilità, da un lato perché la notizia era molto vendibile sui media, da Il Sole 24 Ore alle riviste di settore che analizzano le strategie di marketing e la viralità in rete, dalle riviste di gossip a Vanity Fair, che parlavano di una curiosità accaduta sul web. In questo modo ho attirato i riflettori e li ho incanalati verso quello che stavo portando avanti. Una delle conseguenze immediate è che mi ha contattato Greenpeace International, da Amsterdam, per spiegarmi che Facebook, dove io avevo fatto il record, in realtà consuma tantissimo in termini di elettricità: pensate che ogni datacenter di Facebook consuma quanto 30.000 abitazioni private, e lo fa acquistando energia elettrica prodotta col carbone o col nucleare. Greenpeace voleva sensibilizzare Facebook a passare alle energie pulite e voleva appunto fare una campagna di sensibilizzazione: chiesero anche il mio supporto dall’Italia e diedi una mano in questa campagna. Portammo più di 80.000 persone, in sedici lingue diverse, a commentare allo stesso post, alla stessa ora, sulla pagina Facebook, creando qualche problemino di traffico ma più che altro riuscendo ad attirare la loro attenzione. Poi Facebook, in maniera molto intelligente, ha firmato un protocollo di intesa per “Facebook Sustainability Program”: ora opera solo ad energia pulita ed ha aperto anche delle politiche aziendali per cui incentivano i loro fornitori, le aziende con cui collaborano ad utilizzare energie pulite. Un’altra conseguenza è stata che il gruppo Mondadori mi ha contattato, mi ha detto che gli piaceva quello che scrivevo, mi ha proposto un contratto per pubblicare i miei libri con loro. Ho fatto il primo libro usando la rete per un esperimento anche un po’ goliardico. Ho creato una pagina su Facebook dal nome particolare, si chiama “figure di merda”, si sono iscritte 700.000 persone in due mesi e mi hanno inviato i racconti delle loro figuracce.
SANTIAGO MAZZA:
Potresti fare un libro a questo punto, visto che hai tutte queste storie!
ROBERTO ESPOSITO:
Mi è arrivato materiale per 20.000 pagine, ti lascio immaginare! Le ho dovute filtrare, ne è uscito un libro con il gruppo Mondadori, che si chiama Figure di merda, un’antologia delle figuracce. Dopo questa esperienza, fui contattato per gestire la comunicazione e il marketing dell’America’s Cup, un evento internazionale che portava lettori, fondi, proprio per lanciare la città. Mi fu chiesto di dare una mano e io incentrai tutto sulla democrazia partecipativa, su come i cittadini contribuivano a inviare suggerimenti, proposte per migliorare la città e come un grande evento, appunto, poteva rilanciare il turismo e le attività della città. Anche questo ha avuto successo: mediamente, un evento dell’America’s Cup fa 30, 40mila spettatori, a Napoli ne fece quasi 800mila, sul web, in una settimana. E’ il loro guinness record in rete. Con queste esperienze, ho maturato l’idea che Internet potesse essere lo strumento adatto per amplificare qualunque buona idea, non come luogo di sfogo, di pulsioni, dove tutto si butta e finisce, ma come strumento di passaggio, attraverso cui una buona intuizione, una buona idea, può crescere, amplificarsi e tornare nella realtà con un impatto concreto. Ho provato a fondare una piattaforma che permettesse a chiunque avesse una buona idea di poterlo fare. La piattaforma si chiama Derev, durante la scorsa primavera ho girato l’Italia in cerca di qualcuno che credesse nella mia idea e volesse investire: lo scorso agosto sono riuscito a ricevere un investimento privato di 1 milione 250mila euro da un fondo di Venture capital e cinque imprenditori privati che hanno creduto nella mia idea, ne hanno acquistato una quota di minoranza e sono entrati in società con questi soldi.
SANTIAGO MAZZA:
E scusami, i soldi dove li hai raccolti, come hai fatto?
ROBERTO ESPOSITO:
Ho girato tutta l’Italia. Alla fine, il fondo che ha investito è napoletano, però opera in tutto il Mezzogiorno, nel sud dell’Italia; e ci sono anche cinque Business Angel, cinque privati che hanno avuto successo nel settore, anche loro sparsi in Italia, buona parte a Milano. Abbiamo deciso di restare al sud, a Napoli: uno dei primi sfizi che mi sono tolto con i soldi, è stato prendere un palazzo affrescato dell’Ottocento, perché poi l’ambiente contribuisce molto al morale, alle idee, alla creatività. Siamo rimasti a Napoli perché è un luogo che, da un lato, stimola moltissimo la creatività, le nuove idee, la fantasia e quindi l’innovazione, dall’altro, un luogo in cui ci sono più problemi che nel resto di Italia, e più problemi in alcuni casi vuol dire più soluzioni, quindi più idee innovative, più modi di innovare: appunto, la democrazia partecipativa. Con questo investimento ho assunto un team di persone, a distanza di un anno siamo venti, per sviluppare questa piattaforma che è partita a metà febbraio, si chiama Derev e lo slogan che abbiamo scelto dice: “Trasformiamo le vostre migliori idee in rivoluzioni”. In sostanza, offriamo una serie di strumenti per dare potere alle idee, il principale è il crowd-funding, ovvero la possibilità per chiunque di raccogliere fondi online e contributi per finanziare un’idea. Lo facciamo dall’arte alla cultura, dalle startup alla ricerca, dalla politica al no profit. Chiunque ha una buona idea può presentarla sul sito, secondo un format che noi riteniamo abbastanza efficace dal punto di vista comunicativo: nei primi 5, 6 mesi di attività, i progetti hanno raccolto quasi 700mila euro. Il caso più eclatante è il nostro: a una settimana dal lancio della piattaforma, a Napoli è stato incendiato il polo tecnologico-scientifico della città. Ci hanno chiesto di dare una mano e simbolicamente abbiamo lanciato una raccolta fondi di 100mila euro, proprio per tastare il polso della situazione e anche della sensibilità dei cittadini: abbiamo raccolto più di mezzo milione in tre mesi. Quindi, abbiamo quintuplicato il nostro obbiettivo. Oltre al crowdfunding, sul sito è possibile usare anche altri strumenti per raccogliere firme, per fare petizioni o campagne elettorali, per organizzare degli eventi. Abbiamo degli strumenti per il crowdsourcing, chiunque sul sito può ricevere feedback, suggerimenti, propositi dal proprio pubblico: lo possono fare i partiti politici, le associazioni, i Consigli comunali, i cittadini possono inviare proposte come mettere il wi-fi in piazza o sistemare un quartiere, un monumento, possono discutere e votare le migliori proposte, quindi parlarne direttamente con l’amministrazione comunale. Infine, abbiamo uno strumento per fare live streaming dal vivo sul web: abbiamo sviluppato una nuova tecnologia che permette di fare streaming dal vivo in peer to peer: funziona come i programmi di condivisione della musica, come Napster, E-mule, per cui ogni utente che scarica rilancia agli altri utenti. Questo ci permette di farlo a costo totalmente zero, e quindi di poter offrire un canale web dedicato ad ogni progetto. Uno in particolare è lo speaker corner: si ispira ai parchi londinesi, dove storicamente c’è una cassetta della frutta capovolta. In passato ci sono saliti da Lenin a Marx, da Orwell a Obama a Tony Blair. Chiunque può salire e parlare per 10, 15’ al suo pubblico. Li abbiamo portati in virtuale, è una sorta di web-tv dove chiunque può andare, prenotare una trasmissione, andare in diretta streaming con un tablet, una webcam, un cellulare, può parlare a tutto il pubblico del nostro sito e a tutti i siti della nostra rete, che comunque incorporano le trasmissioni. Gli utenti hanno una chat di gruppo, un sistema per fare le domande allo speaker perché, essendo rigorosamente in diretta, c’è la massima interazione. Anche questo lo stiamo applicando ad ogni settore: dalle band musicali che mettono una webcam in garage, fanno ascoltare una canzone e chiedono di finanziare un album, alle startup, ai politici che fanno il botta e risposta con i cittadini, ai Consigli comunali in diretta, ecc. Derev è partito in Italia da pochi mesi, abbiamo fatto una sorta di rodaggio, una sorta di test perché la piattaforma è in continua evoluzione, stiamo per rifare la grafica, gli strumenti funzionano. A maggio, Forbes ci ha eletto prima piattaforma italiana di crowdfunding, a giugno il Parlamento europeo e la Microsoft ci hanno nominato digital democracy leader di tutta l’Unione Europea e ci hanno permesso di incontrare anche tutte le delegazioni straniere. Abbiamo scoperto che all’estero c’è una fortissima attenzione per questi temi e un fortissimo interesse anche nei confronti della nostra piattaforma. Ora che il nostro sito è solo in italiano, riceve il 20% di traffico in inglese, non sappiamo cosa capiscano. Infatti abbiamo anticipato il lancio internazionale, abbiamo tradotto il sito in inglese, abbiamo iniziato partnership, anche perché in realtà sono stati loro a chiamare noi, dalle lobbies europee ai partiti politici, alle associazioni culturali. Da settembre inizieremo il lancio europeo.
SANTIAGO MAZZA:
Complimenti, Roberto. Questo è Made in Italy, questo è Italia, questo è il nuovo metodo di sviluppo, un suggerimento per chi è qui in sala. Come dicevo all’inizio, non tutti hanno le condizioni che hai trovato tu, anzi, che ti sei creato affrontando la realtà, essendo provocato dalla realtà, dal quotidiano. Quindi, grazie veramente.
ROBERTO ESPOSITO:
È possibile fare vedere il video?
SANTIAGO MAZZA:
Sì, c’è il contributo video.
ROBERTO ESPOSITO:
In un minuto ve lo faccio vedere.
Proiezione video
SANTIAGO MAZZA:
Complimenti, si può innovare ogni cosa che facciamo se teniamo presente quello che dicevo proprio ieri, che innovazione è quando introduciamo qualcosa di nuovo, che cambia in meglio la nostra vita e quella delle persone intorno a noi. Questo Anna Maria lo sa molto bene, la ringrazio della sua presenza.
ANNA MARIA SICCARDI:
Grazie a voi per l’ospitalità.
SANTIAGO MAZZA:
Tu hai innovato e stai innovando, stai basando la tua startup sulle donazioni, un tema sensibile, molto delicato per l’impatto sociale. Racconta un attimo come nasce la tua idea e come stai portando le innovazioni, facendo un’impresa proprio sulle donazioni.
ANNA MARIA SICCARDI:
A onor del vero, la mia idea la devo a una amica che si chiama Valeria Vitali. E’ mia socia e oggi non ha potuta essere qua, vi porta comunque i suoi saluti. E’ un’idea copiata, perché Valeria, che per motivi di lavoro si era trasferita da diversi anni a Londra, conoscendo la mia passione, lavorativa e intellettuale, per il web, mi aveva segnalato tre anni fa l’esistenza di un sito inglese molto interessante che si chiama JustGiving, lo cito perché è a questo sito che dobbiamo la nostra sfida: è un portale che raccoglie fondi per le charity inglesi. E quando mi ha detto di andarlo a vedere, ho scoperto che raccoglie ogni anno più di 200 milioni di pounds di donazioni, ha più di 6mila charity registrate e io, che sono un po’ una smattona del web, sono subito andata a vedere il traffico che generava. Mi sono accorta che in alcuni periodi dell’anno arrivava ad avere milioni di visitatori. Ora, non c’è bisogno di essere un guru del web per capire che per fare questi numeri ci deve essere qualche uovo di colombo, perché portare milioni di visitatori unici su un sito, raccogliere denaro per più di 200 milioni di pounds in un anno, ha un costo in termini di strutture e di visibilità enorme. Insieme, io e Valeria abbiamo studiato il portale e ci siamo resi conto che il meccanismo con cui JustGiving raccoglieva queste donazioni era un meccanismo simile alla classica “colletta”: ci sono sostenitori, donatori particolari che non si limitano a donare per una causa, per un progetto di utilità sociale, un progetto che sta loro a cuore per qualche motivo personale o professionale, ma ci mettono la faccia e invitano la loro cerchia sociale, partendo proprio dalla mamma, dal papà, i parenti, i colleghi, gli amici più stretti, poi via via allargando la rete ai semplici conoscenti, chiedendo loro di donare a favore di una causa. In questo modo i conti tornano, perché c’è un meccanismo virale che ha trovato nei social media un alleato fortissimo e che permette alle charity di raggiungere donatori che non conoscono la causa, abbattendo la barriera di diffidenza attraverso l’ambasciatore, il fundraiser, che invita gli amici a donare.
Studiando questo meccanismo, abbiamo visto che in Italia non esistevano realtà o piattaforme che facessero una cosa simile. Ci sembrava ci fossero i presupposti per provarci, anche in termini di esigenza inespressa del mondo del non profit, per esplorare canali nuovi di raccolta fondi, soppesando vari fattori. In realtà io sono passata dal ruolo di imprenditore al ruolo di consulente, perché ho il brutto difetto di non riuscire a dialogare con dei capi, quindi devo per forza lavorare per conto mio, al limite con dei soci. Quello che mi è piaciuto di questa sfida è stato il fatto che, intanto, si trattava di mettere in pratica delle competenze sul web che avevo assimilato, poi l’idea di fare una realtà imprenditoriale che aveva però l’ambizione di dare un servizio al Terzo Settore. Questa cosa mi è sembrata intrigante. E non ultimo, finalmente avevo un socio donna, quindi proviamo a misurarci con una donna, vediamo che cosa succede. Poi c’è un altro motivo, in realtà, però ve lo racconto dopo per rendere meno noioso il mio intervento. Pensavo di lanciare un video che spiega velocemente come funziona la rete del dono: con un cartone animato riassumiamo cose che ci vorrebbero cento slide a spiegare.
Proiezione video
ANNA MARIA SICCARDI:
Nella seconda parte del mio intervento vorrei raccontarvi qual è stato il nostro uovo di Colombo, perché il personal fundraising c’è l’ha fatto scoprire JustGiving e noi possiamo attribuirci il merito di aver capito quale fosse l’uovo di Colombo che in Italia poteva permetterci di raggiungere quella che tecnicamente si chiama massa critica: perché, una volta fatta il portale, non basta ovviamente metterlo online, bisogna che la gente cominci ad usarlo, che lo conosca. Si tratta di realizzare una pratica di raccolta fondi non diffusa in Italia, avendo a disposizione budget non enormi in advertising. Ci è venuta in aiuto un’altra mia passione, quella per il podismo: vi domanderete cosa c’entra. Non so se alcuni di voi sanno quale sia l’evento che tecnicamente detiene il Guinness dei primati per la raccolta fondi associata all’evento: è la maratona di Londra che, nel 2007, ha permesso di raccogliere, alle charities che hanno partecipato al cosiddetto detto Charity Program, un totale di oltre 53 milioni di euro in donazioni, e che tutti gli anni viaggia tra i 40 e i 50 milioni di euro in donazioni raccolte in occasione della maratona. Lo fa grazie ai portali come JustGiving: i maratoneti non professionisti che corrono la maratona si fanno sponsorizzare dagli amici e dai parenti, raccontando la loro esperienza: mi sono lanciato in questa sfida quasi impossibile, mi sto allenando, vuoi essermi vicino, vuoi fare il tifo per me? Come? Facendo una donazione a favore di una causa, una charity che loro appoggiano. Ci siamo guardate intorno per vedere se in Italia c’era qualche grande evento sportivo che poteva sposare questo esperimento. In particolare, dobbiamo ringraziare le due grandi maratone italiane, la maratona di Roma e la maratona di Milano, a cui la nostra proposta è piaciuta al punto da associare alla loro edizione 2012 un Charity Program, invitando le persone che si iscrivevano a fare raccolta fondi per svariate onlus. Il Charity Program è aperto, qualsiasi onlus può iscriversi per tentare di raccogliere fondi attraverso i runner: questo ci ha permesso, nel primo anno di attività, di raccogliere circa 220mila euro di donazioni. Da lì siamo partite, abbiamo ampliato le nostre partnership anche ad altri sport, non solo al podismo, e quest’anno, nel primo semestre, abbiamo raccolto tanto quanto in tutto il 2012: una cifra contenuta ma un trend molto positivo. Siamo soddisfatte perché si avvicinano al portale persone che non sono degli sportivi ma che in occasione del compleanno, di un battesimo, una commemorazione, lanciano una iniziativa di raccolta fondi. Vorrei concludere con un omaggio a quelli che sono i nostri fundraiser, perché il motore del nostro portale sono queste persone normalissime che non hanno nulla a che fare con i classici testimonial, che si mettono in gioco e fanno cose straordinarie. Abbiamo realizzato un video in occasione della maratona di Milano dove ci sono alcune interviste a loro: vorrei farvelo vedere perché trasmettono quello che stiamo cercando di fare. La cosa che ci incoraggia di più, al di là della passione che ci mettono le persone che lavorano con noi, sono i numeri e il fatto che i donatori, quando donano, ringraziano e dicono all’amico: grazie per avermi dato l’opportunità di partecipare a questa iniziativa. Per noi è un grande risultato.
Proiezione video
ANNA MARIA SICCARDI:
Vi racconto qualche dato interessante: c’è stato il sindaco di un paesino vicino a La Spezia che, in occasione della maratona di Roma, ha sposato un progetto di raccolta fondi di una onlus romana, a lui sconosciuta, che aveva bisogno di finanziarsi per acquistare un pulmino che portasse i malati oncologici a fare le terapie. Il progetto gli è piaciuto perché gli sembrava una cosa sostenibile, lui è partito e ha fatto le cose proprio da manuale. Ha “costretto” a donare prima la moglie, poi i genitori, i fratelli, i cugini, poi gli amici, i propri collaboratori: e ha raccolto più dei 15mila euro necessari per l’acquisto di questo pulmino. O un medico che, in occasione della maratona di Milano, ha raccolto fondi per la costruzione di un ambulatorio in Madagascar. I fundraiser sono un migliaio, mi piacerebbe ricordarli tutti ma non è possibile, ho citato questi due per farvi vedere cosa è possibile fare.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie per il tuo intervento, come dicevo all’inizio, si può innovare in settori che magari non conosciamo così direttamente, per riconoscere, anche nell’emergenza uomo, la nostra identità: soltanto se sappiamo chi siamo, riusciamo a percepire quello che c’è intorno a noi e, in alcuni casi, anche a costruire l’opportunità di fare impresa in modo diverso e innovativo. Ieri vi ho raccontato un po’ della mia storia, oggi ve ne racconto un altro pezzettino. Dal mio accento si sente che non sono romagnolo, sono nato in Argentina, ho vissuto là fino a 15 anni, la mia famiglia decise di rientrare nella nostra terra d’origine, che era San Marino e, con il coraggio di mio padre e di mia madre, ricominciare da zero. Per questo oggi è un onore essere qui: mi ha aiutato sapere da dove provengo. Quando uno è migrante, da un Paese all’altro, di crisi ne deve superare tantissime, perché ci sono difficoltà oggettive, la lingua, l’entrare in rapporto con una nuova strada, con nuove persone, non è semplice. Non bisogna dare mai per scontato nulla. Alla fine, una delle gioie è proprio cominciare, il bello è vivere perché vivere è cominciare sempre, ad ogni istante. Sono contento di avere qui con noi Andrea Salvati, che ringrazio di essere con noi. Tu sei padre di due bellissimi bambini, hai una splendida famiglia e anche una grande carriera alle spalle, hai lavorato per diversi anni in Google, tra l’altro ci siamo conosciuti in questa esperienza, in un viaggio in Silicon Valley. Hai lasciato un posto sicuro, Google che, per tutti noi, è Disneyworld, il sogno di tutti: ha 37mila dipendenti, è l’unica azienda che, da 15 anni a questa parte, abbia assunto la media di 4 persone al giorno: il tuo ruolo all’interno di Google era a livello manageriale. Hai lasciato Google, è stata una grande responsabilità sociale rispetto alla tua famiglia. Questo è il tema: sarei felice se raccontassi la tua esperienza dopo Google. Qual è stata la tua iniziativa, la tua startup?
ANDREA SALVATI:
Grazie, Santiago, e grazie a tutti voi di essere venuti qua oggi ad ascoltarci. E’ bella, la domanda: la difficoltà più grossa è stata proprio verso i miei tre figli, spiegare loro che non ci sarebbero stati più i Christmas party a Disneyland. Come sempre, i bambini ci insegnano poi a raccontare le cose come stanno, perché quando sono andato a casa e ho raccontato loro che non avrei più lavorato per Google, la domanda che mi hanno fatto è stata: “Papà, perché? Sei impazzito? E’ bellissimo, ci stiamo benissimo, veniamo a trovarti, è tutto un divertimento”. La realtà è che credo che loro abbiano capito molto bene le parole che ho detto dopo. Ho imparato tante cose, in questa realtà, ho avuto la fortuna enorme di stare sette anni in questa azienda, vedere tante cose. Ma sentivo il bisogno di mettere in pratica le cose che ho fatto in Google, assistendo e seguendo l’attività di molte aziende che erano clienti di Google, provare a realizzarle mettendomi in gioco, non dico in prima persona, perché non sono ancora un imprenditore, anche se l’ambizione è un po’ quella di diventarlo, però ci sto arrivando per gradi. Ci sono quelli che nascono imprenditori, e lo fanno da subito: e abbiamo sentito qualche esempio. Qualcun altro ci arriva per grado o per età, il mio è un percorso più graduale. L’esperienza è nata così, come sempre c’è un’opportunità come tante che se ne stanno creando, anche qui in Italia. Prima di introdurre il tema di cosa faccio oggi, vorrei darvi qualche dato che mi colpisce. Uno dei progetti che ho seguito come manager di Google, durante le mie esperienze in questa azienda in parte italiana, è stato lo sviluppo e la presentazione al mercato del fattore Internet, questo studio realizzato da Google insieme al Boston Consulting Group, molto citato, molto ripreso dalla stampa. La realtà dell’economia digitale in questo Paese, anche per le cifre di qualche anno fa, 2011, quando fu realizzato il Rapporto, è ragguardevole. Parliamo di un’economia che rappresentava già oltre il 2% del prodotto interno lordo di questo Paese, con importanti opportunità di crescita che la proiettavano oltre il 5,6% entro il 2015. In un tessuto produttivo quale il nostro nazionale, dove il 99% delle aziende fanno parte della piccola e media impresa, pensare di ignorare quest’opportunità che c’è offerta dalla digitalizzazione è folle. La prova, come testimonia questo rapporto che vi invito a leggere, Fattore Internet – basta digitare su Google, ovviamente, o su qualche altro motore di ricerca – è che sono proprio le aziende che hanno affrontato con maggior serietà il processo di digitalizzazione, quelle che assumono di più, quelle che hanno maggiore capacità di competizione nei mercati internazionali e quelle che, oltre ad avere una presenza reattiva, sulla parte web hanno una presenza proattiva, fanno attività di e-commerce, cercano di trovare soluzioni commerciali attraverso la rete. Sono quelle che crescono meglio, che resistono di più alla crisi. Davanti a tutte queste evidenze, continua a parermi estremamente grave ed estremamente incredibile che in questo Paese non ci sia attenzione da parte del legislatore, da parte della classe politica, negli interventi decisi e forti nello sviluppo di questa opportunità, della digitalizzazione, perché è qui il nuovo Eldorado, è qui che c’è l’opportunità per creare posti di lavoro, opportunità, valore aggiunto. Oggi abbiamo ascoltato degli esempi di iniziative imprenditoriali nell’ambito del social impact, ma qualcosa adesso vi racconterò della mia esperienza. Nei sette anni che ho passato a Google ho visto tantissime aziende, io venivo da esperienze fatte in realtà editoriali molto consolidate, ero stato per diversi anni al Sole 24 Ore. Google mi ha chiamato: “Aiutaci a sviluppare il settore finance. Mi aspettavo di trovare tra i clienti di Google le grandi banche, le grandi assicurazioni, le grandi realtà. Beh, vi assicuro che rimasi veramente sbalordito quando vidi i nomi di quelli che investivano denaro su Google per acquisire visibilità, traffico e monetizzare quel traffico, anche nell’ambito della finanza. Nomi che oggi sono un pochino più noti, nel 2006 lo erano meno: MutuiOnline, piuttosto che altre realtà nel mondo delle assicurazioni on line, marchi quasi sconosciuti, ma che già intravedevano un’opportunità di sviluppo. Mi ha molto colpito incontrare questi decision makers delle varie aziende, dal primo incontro, capivamo subito se l’appuntamento avrebbe creato prospettive di sviluppo per quell’azienda o meno. Lo capivamo da come brillavano gli occhi, se gli imprenditori e i manager che avevamo di fronte erano pronti ad accettare la sfida dell’apertura alla tecnologia e alla comprensione del nuovo che sta avanzando. Questo è proprio il limite strutturale che stiamo vivendo nel nostro Paese, lo riassumerei in questa paura della tecnologia. Prima ascoltavo con interesse l’esperienza di Roberto, che è ingegnere aerospaziale, poi si dedica a quest’ambito. Lui stesso l’ha sottolineato nella sua presentazione, “ho fatto qualcosa di diverso da quello per cui ho studiato”. Facciamo un po’ di questa commistione: abbiamo tantissimi laureati ed esperti in comunicazione in questo Paese, insegniamo loro ad aprirsi un po’ alla tecnologia, a capire la tecnologia, perché la tecnologia offre delle opportunità e se non mi approccio con apertura a questo mondo, se non capisco questi fenomeni, rischio di rimanere – parlo come sistema – un po’ come quelli che osservano con il sorriso ironico, pensando che sono cose che riguardano i ragazzini che vogliono giocare. Da tempo non è più così, purtroppo la consapevolezza di questo Paese non è cresciuta. C’è un’opportunità enorme ed è una bellissima notizia, come dico sempre anche ai miei figli, anche per questo Paese. Vi cito l’ultimo aneddoto personale che mi colpì quando andai a fare il colloquio con il direttore di Google Italia, allora Massimiliano Magrini. Mi fece questa domanda: “Ma lo sai, Andrea, qual è l’azienda che vende più macchine da caffè online al mondo?”. Io volevo fare quello che lo sapeva, c’era amicizia tra noi, però mi stavo giocando qualcosa di importante. Allora dico: “Sarà un’azienda napoletana, mettendo insieme il caffè napoletano, la fantasia, l’attitudine e l’innovazione napoletana”. Lui mi guarda e dice: “Magari per questo Paese, se fosse così, è un’azienda tedesca”. Quella frase mi fece molto riflettere perché capii che stava aprendosi per me una strada, un’opportunità enorme. Tutto sommato, avevo fatto un’esperienza professionale interessante nel mondo dell’editoria e mi sembrava di essere cresciuto in quel tipo di percorso. Sono entrato in Google e non capivo nulla, continuo a capire molto poco di tecnologia però ho cercato di capire a che cosa poteva servire, soprattutto che cosa questi mondi potevano aprire. Sono stati sei mesi, forse anche dodici, di grande fatica per capire, per allenare la mente, comprendere queste opportunità: dopo però si sono aperti mondi e opportunità che sto cercando di cogliere ma che, generazionalmente, persone molto più giovani di me possono cogliere ancora meglio. Quindi, l’invito è veramente a cercare di capire di più di questo mondo, cercare di interessarsi, cercare di andare direttamente alle fonti. Purtroppo anche i media – ringrazio per questo il Meeting dell’attenzione – non parlano tantissimo di queste iniziative e di questo mondo, spesso hanno anche conflitti di interesse, quindi sono in difficoltà a raccontare modelli di business che sostanzialmente non vanno magari a beneficio dei loro modelli di business: dobbiamo avere pazienza, dobbiamo avere il coraggio e anche la voglia e la curiosità. Il web è un’opportunità stupenda per andare direttamente alle fonti. Che cosa ho fatto? Ho un piccolo video, mi scuso dell’autoreferenzialità ma è una mia piccola intervista, e siccome i tempi della diretta sono sempre stretti, condenso in un paio di minuti che cos’è Aleteia e perché ci sono finito dentro. Poi magari, con l’aiuto di Santiago, vi racconto qualche cosa in più.
Proiezione video
ANDREA SALVATI:
Questo è stato il motivo che mi ha portato a uscire da Google e a intraprendere questa iniziativa. Cosa ci ho visto? Innanzitutto un progetto che ho conosciuto perché erano miei clienti, ero in contatto col mondo vaticano, mi invitarono a una conferenza in cui veniva presentato questo progetto e mi chiesero qualche informazione sul loro business plan. Circa un anno fa mi proposero di prendere la direzione generale del progetto e di guidarne lo sviluppo. Siamo partiti il 29 di gennaio con il lancio della piattaforma, quella che io chiamo Aleteia 1.0, stiamo lavorando alacremente per sviluppare la nuova versione, quella che ritengo sarà definitiva e che vedrà la luce a gennaio del 2014: una piattaforma che comprenderà molto il concetto e lo sviluppo di partnership. Tenete presente che noi puntiamo alla creazione di un aggregatore e quindi di un network di siti cattolici mondiali. I siti possono essere istituzionali, media della parrocchia, blog, e ce ne sono ben 150.000 nel mondo, oltre 14.000 in Italia, ognuno dei quali ha il suo pubblico ben consolidato di utilizzatori, ma ognuno oggi è fuori dai grandi tavoli delle suddivisioni, delle torte pubblicitarie, dei ricavi da donazioni, dall’e-commerce. E quindi riteniamo che oggi il mondo cattolico cristiano sia sottorappresentato in questi tavoli. L’idea mi è piaciuta perché c’era da mettere in piedi qualcosa di nuovo che guardasse al mondo in maniera globale. Noi siamo partiti già in una realtà che parla sei lingue, abbiamo un’edizione francese, spagnola, inglese, portoghese, italiana e araba: abbiamo intenzione di sviluppare altre edizioni proprio perché vogliamo servire gli oltre 430 milioni di cattolici già online e puntare a quelli che saranno i prossimi, sperando di avere tanti frequentatori del mondo online cristiani, perché sono 1 miliardo e 200 milioni i cristiani nel mondo. Quindi, riteniamo che sia solo l’inizio di una migrazione forte di questi contenuti sulla parte online. I numeri sono talmente grandi, talmente interessanti che questa iniziativa non può che guardare in grande. Dal punto di vista editoriale, chiediamo a questi partner di offrirci il loro contenuto, di mettere il loro contenuto anche a disposizione di Aleteia, che produce contenuto autonomo ma valorizza il contenuto prodotto da terze parti. Cosa diamo in cambio? Visibilità e suddivisione dei ricavi che faremo grazie a questa capacità, con i grandi numeri, di sedersi ai tavoli dei grandi player. Oggi vi do quest’ultimo dato, per parlare del mondo dell’advertising: sta succedendo una rivoluzione di cui pochi ancora parlano ma che è ormai evidente. Pensate che entro il 2015, oltre il 90% della raccolta pubblicitaria che viene sviluppata negli Stati Uniti, che è il mercato che rappresenta da solo il 50% del mondo pubblicitario mondiale, dell’industria pubblicitaria nel mondo, passerà attraverso quelle che sono cosiddette piattaforme di real time building. Di cosa si tratta? Semplicemente, anche qui, comprensione della tecnologia, l’applicazione del concetto di trading, di asta telematica, che è tipica del mondo della finanza, del mondo della pubblicità. Di fatto, spariranno gli intermediari, ci sarà un efficientamento del mondo della pubblicità, coloro che vogliono investire per raggiungere dei target specifici e coloro che vogliono vendere questi target lo faranno in maniera automatica. E questo non tra 50 anni, ripeto: nel 2015, oltre il 90% di questa industria di advertising, che sviluppa considerevoli risorse nel mondo, passerà attraverso queste piattaforme. Ecco dunque che a noi occorre, come mondo cattolico, mondo cristiano, tornando al mio impegno, cercare di essere presenti e lo faremo attraverso una società che è il completamento di Aleteia, che si chiama Ad.ethic, è l’acronimo di advertising etico, che già opera in questi contesti rappresentando non solo Aleteia che, ovviamente è la nostra ammiraglia, ma una serie di altri siti, cattolici e non, perché abbiamo anche molti siti laici, ne abbiamo circa 300 già in portafoglio, che oggi hanno affidato alla nostra struttura di raccolta la capacità di essere presenti in queste realtà. Lo slogan è cercare di unire le forze per amplificare il proprio messaggio e specializzare le competenze, perché senza specializzazione, senza capacità, è difficile oggi per un webmaster di un sito cattolico, anche di buona qualità, riuscire a fare contemporaneamente buoni servizi, acquisire traffico, monetizzarlo bene: non gli si può chiedere di cantare e portar la croce contemporaneamente. Bisogna accettare il fatto che questo mondo si sta sempre più professionalizzando e anche qui cercare di capire che le opportunità ci sono e con coraggio accoglierle. Nel nostro piccolo, abbiamo portato a bordo già una cinquantina di persone, stiamo assumendo in tutti i Paesi in cui abbiamo una presenza, nelle varie edizioni linguistiche, e se avremmo successo e capacità di costruire questo progetto insieme, crediamo che avremo opportunità di creare valore aggiunto. Grazie dell’attenzione.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie, Andrea. Può cercare la verità che sa chi è, teniamolo sempre presente. Sta a noi la nostra curiosità e la nostra capacità di metterci in gioco. Vai, Andrea.
ANDREA SALVATI:
Ho ancora un’ultima cosa da dire, il ritorno alla realtà. Durante la recente Giornata Mondiale della Gioventù, abbiamo cominciato a mettere nel mirino quelli che chiamiamo i nostri evangelizer, giovani che sono andati alla Giornata Mondiale della Gioventù e hanno fatto upload di video, e di contributi su Aleteia. Questi signori torneranno a casa, sono già tornati a casa: molti di loro rappresenteranno la nostra rete nelle comunità dei singoli Paesi, faranno da cinghia di trasmissione, per usare un vecchio termine molto efficace, di quella che è l’attività di Aleteia: il contenuto lo potranno prendere su Aleteia, poi portarlo all’attenzione nei momenti di attività offline, all’interno delle comunità.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie, Andrea. Due minuti e finiamo. Visto che l’ufficio tecnico ci ha dato una mano, facciamo vedere il video di Anna Maria che non si vedeva, così andiamo in chiusura. Grazie.
Proiezione video
SANTIAGO MAZZA:
Grazie per questo caffè, domani vi ricordo che l’ultimo appuntamento, alle 13 e 45 come sempre, qui in sala Mimosa. Il tema è l’educazione digitale. Grazie e a domani.
Trascrizione non rivista dai relatori