INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.

Invito alla lettura. Cristo come punto centrale dell'educazione religiosa

CRISTO COME PUNTO CENTRALE DELL’EDUCAZIONE RELIGIOSA
Presentazione del libro di Josef Andreas Jungmann a cura di Alessandro Gamba (Ed. Marietti 1820). Partecipa Stefano Alberto, Docente di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

 

INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.
Ore: 15.00 eni Caffè Letterario D5

CAMILLO FORNASIERI:
Un caro benvenuto a tutti voi da parte del Meeting. Inizia questo pomeriggio l’appuntamento di testi e contesti relativo alle presentazioni di libri. Due parole in generale: sono un pochino sfoltiti rispetto all’anno scorso, per cui ad esempio oggi abbiamo solo una presentazione. Si sono poi aggiunte anche delle proposte di autori letterari, perché l’aspetto della letteratura è quello che più coinvolge il senso profondo della proposta di un libro, che è legato anche a quello della saggistica e della riflessione, naturalmente, ma che in quello artistico riassume un po’ tutti gli aspetti, sia quello del pensiero, sia quello della comunicazione e della intuizione. Oggi presentiamo un libro edito da Marietti, fresco fresco di stampa, il cui autore è Josef Andreas Jungmann. Il titolo è “Cristo come punto centrale dell’educazione religiosa”, a cura di Alessandro Gamba, che vi ha fatto una prefazione introduttivo-storica e ne ha anche curato la traduzione, che vede per la prima volta la luce in italiano. È un testo molto interessante, ma ascolteremo bene i motivi dal nostro ospite. Accenno solo che in questo testo don Luigi Giussani trovò quella impostazione del tema educativo, dell’educazione, che è diventato centrale nel suo lavoro pedagogico con i giovani, ma anche nella sua riflessione teologica ed ecclesiale: «educare è appunto introdurre alla realtà, in definitiva alla realtà totale». Questi accenni all’educazione e a questo aspetto di totalità sono decisivi ed è molto interessante poter ripercorrere oggi chi è questo autore: un austriaco, nato nel 1889 nel Sudtirolo, ma in realtà in un paese che a tutt’oggi è patria italiana, e poi muore nel 1975. È un filosofo e teologo gesuita: prima sacerdote, poi diventato gesuita per un’esigenza di confidenza maggiore, di dialogo più stretto, sentiva l’esigenza all’interno del suo ministero di un punto più coinvolgente, più decisivo. Poi è diventato docente e rettore dell’Università di Innsbruck, dove ha insegnato. È interessante anche immaginare come questo testo sia giunto nei luoghi di studio del Seminario di Venegono, dove don Giussani ha vissuto e ha iniziato il suo cammino e dove sicuramente in quel periodo lo ha letto. Abbiamo qui con noi un massimo esperto, don Stefano Alberto, che salutiamo e ringraziamo per questo momento introduttivo. Insegna Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica, ma ha studiato anche ad Eichstätt, in Germania, e conosce molto bene il mondo tedesco. Per cui ascoltiamo da lui un’introduzione alla lettura di un testo che è senz’altro abbastanza agile, non lungo, ma molto denso e intenso, e che ci fa capire il periodo prima della Seconda Guerra Mondiale e poi anche le successive possibilità o le successive interruzioni che sono accadute a questo teologo, a questo sacerdote che cercava il punto sintetico: notava come la realtà dei fedeli, la vita della Chiesa fosse come oscillante tra un aspetto normativo, anche molto fedele, anche molto sentito, e come invece mancasse di un punto sintetico. C’è un bellissimo excursus nel suo testo dove si chiede dov’è il punto di concentrazione da proporre alla persona, dove si concentra tutto, qual è il punto reale di partenza. Questa è una domanda molto interessante, perché è la domanda decisiva per ogni cosa, è una domanda totalmente ragionevole e totalmente umana, decisiva. A don Stefano Alberto gli spunti introduttivi per andare poi a conoscere questo libro.

STEFANO ALBERTO:
Ringrazio della lusinghiera presentazione. Massimo esperto? In realtà, perché qui parliamo di realismo educativo, occorre dire che io sono – non so se degno o no – un sostituto, perché avrebbe dovuto presenziare alla presentazione del libro colui che ne ha curato sia l’introduzione che la traduzione, il professor Gamba, che però è trattenuto da impegni concorsuali e non è potuto essere presente. Non lo dico solo per ricordare un caro amico ma perché sostanzialmente dobbiamo a lui la riscoperta di alcuni nessi che, anche nel percorso biografico di don Giussani, colmano qualche lacuna e mettono in luce alcuni legami interessanti. La domanda da cui l’amico Gamba è partito con la tipica curiosità del ricercatore è, se volete, un po’ esteriore, un po’ banale, ma non del tutto: perché Giussani, che pure non disdegna di riempire i suoi testi di nomi, parole, di lingue estere (l’inglese: watershed, per esempio; il russo; il francese), addirittura – e questo è un unicum in tutta la sua sterminata produzione – inizia il testo Il rischio educativo con una citazione in tedesco, in lingua originale, ripetuta due volte, ed è l’unico caso in cui lui descrive il fenomeno educativo, la parola, il dinamismo “educazione”, rifacendosi a questa definizione che troviamo nel primo dei quattro capitoli di questo libriccino di Josef Andreas Jungmann. Molti di voi la ricorderanno: «Eine Einführung in die Wirklichkeit […] eine Einführung in die Gesamtwirklichkeit», una «introduzione alla realtà», una «introduzione alla realtà totale»: questa è l’educazione. Camillo ha già dato qualche cenno biografico, io vorrei riprendere due osservazioni. La prima: questo libro, anche se noi non abbiamo – non ancora, perlomeno – la prova diretta, però lascia supporre ancora una volta, se ci fosse bisogno di dimostrarlo, la straordinaria vitalità dell’ambito in cui Giussani si è formato a Venegono. Questo libro esce in un’epoca molto brutta, nel 1939: ormai la guerra, la Seconda Guerra Mondiale, scatenata dalla follia hitleriana, è alle porte. Proprio questi sono gli anni in cui Giussani è in Teologia: non è arbitrario pensare che sia venuto in contatto con l’opera di Jungmann ancora durante il suo percorso formativo, sicuramente durante la sua attività di docente dopo l’ordinazione sacerdotale del 1945, diciamo negli anni che immediatamente hanno preceduto l’inizio della sua attività di docente al Berchet. Non è irrilevante questa notazione, proprio perché non dobbiamo dimenticare che il genio, il carisma di Giussani, unico, assolutamente originale, è fiorito però in un contesto vivacissimo in cui la caratteristica, ampiamente andata perduta negli anni successivi al Concilio, della “ambrosianità” consisteva proprio in questa strettissima unità tra esperienza della vita religiosa popolare e la conoscenza, l’incontro con le migliori correnti, i migliori contributi della teologia europea e non solo. La seconda notazione biografica viene proprio dall’esperienza scioccante che è un po’ la ragione per cui Andreas Jungmann dedica la sua vita a cercare quel punto di unità in cui poter proporre il cristianesimo in termini esteticamente affascinanti ed esistenzialmente persuasivi: appena ordinato sacerdote, Jungmann si trova a vivere come coadiutore in un paesino, Niedervintl, attualmente in Val Pusteria. L’esperienza è sconvolgente in senso negativo. Perché? Perché Jungmann – e questo è un dato che ci fa vedere come il lavoro, la proposta di Giussani, la proposta di Carrón, sia quanto mai attuale, ma abbia radici remote – si trova a confronto con un clima che oggi potremmo chiamare “di dualismo”, di separazione netta tra fede e vita. A Niedervintl – siamo nel 1913 – che cos’è l’annuncio cristiano? Leggo la citazione di un biografo di Josef Andreas Jungmann: «Un caos di proposizioni di fede, di comandamenti e di devozioni ai quali la gente si atteneva svogliatamente e poco convintamente». Un contrasto totale con l’intuizione che Jungmann aveva maturato nei suoi anni di formazione sacerdotale: «un cristianesimo vivo e lieto che nasce dal sapere che cosa significa Cristo per noi». Questo shock trova una espressione – direi – sufficientemente, criticamente maturata in un libro che precede di tre anni il libro che stiamo presentando: questo libro, dal titolo molto significativo, sintetico, “Die Frohbotschaft”, la Buona Novella, il Lieto Annuncio, contiene dei giudizi molto duri sulla situazione di formalismo, di dualismo, di spezzettamento dei vari aspetti della vita cristiana. Dice: «Se noi paragoniamo – sto citando un passaggio di questo libro – lo spirito gioioso e certo del primo cristianesimo con la concezione religiosa del cristiano cattolico medio di oggi, è indubbio che il confronto va a nostro sfavore. Il cristianesimo cattolico è una confessione tramandata, è un dovere più o meno riconosciuto dalla coscienza, al quale bisogna attenersi se si vuole salvare la propria anima; esso comprende a sua volta una somma di doveri: il dovere della Messa, il dovere di ricevere i Sacramenti, il dovere di credere nei dogmi, il dovere della condotta morale, il dovere dell’obbedienza nei confronti dell’autorità ecclesiastica… insomma, è un vario gravame e un impegno, e come tutti gli impegni incompresi provoca piuttosto disagio. Certamente, si sopporta nuovamente il gravame di questi doveri come si sopportano altri gravami, singhiozzando, e con l’intento di ridurli alla minor entità possibile». Quindi sinteticamente – riprendo un’altra citazione -, «Un cristianesimo percepito quasi solo come una somma di doveri, usi e pratiche, per la sua sopravvivenza può affidarsi solo alla pressione atmosferica del contesto». Siamo nel 1936, ma troviamo – non a caso – la stessa lucidità di sguardo che Giussani coglie nel cristianesimo con cui si trova a dover fare i conti, il cristianesimo ufficiale degli anni Cinquanta, il famoso incontro con i giovani sul treno verso Rimini, trovati assolutamente ignoranti degli elementi più elementari del cristianesimo, e cristiani non per convinzione, non per una maturata esperienza, ma per convenzione, per abitudine, quasi per sopportazione. La cosa molto interessante, anche se non siamo specialisti, non siamo teologi di professione – dico voi (neanche io lo sono, ho fatto qualche studio) – è che, sia in ambito francese sia in ambito tedesco, questa crisi viene – non da tutti – avvertita in modo acuto. Viene anche avvertita, direi, in modo sufficientemente critico la ragione di questa crisi: proprio questa frattura, direbbe Joseph Ratzinger, tra sapere e credere, questa frattura tra fede e vita, questo rinchiudersi del cristianesimo in una serie di doveri morali, di pratiche rituali, ultimamente ritenute inincidenti. È molto importante, perché questi autori – potremmo parlare non solo di uno, ma potremmo accennare a Guardini, possiamo accennare a Balthasar, possiamo accennare a De Lubac – anticipano anche, in un certo senso, l’intuizione di un possibile superamento di questa crisi; ed è interessante questa possibilità intravista nel ripartire dall’essenziale, nel ripartire dalla riscoperta di Cristo come punto centrale di tutta l’esistenza, perché – può sembrare paradossale ma non lo è – allora come oggi Cristo era e resta il grande sconosciuto: lo si dà come per scontato, attestandosi più sulle conseguenze – conseguenze organizzative, conseguenze culturali, conseguenze morali – che non sulla assoluta novità, sulla straordinaria verità, vivezza della Sua Presenza. È esattamente – se mi consentite una ripresa di questo straordinario messaggio autografo del Papa al Meeting di quest’anno – la problematica con cui introduce tutta quella serie di domande che abbiamo ascoltato questa mattina: ma come è possibile mantenere questa apertura all’Infinito così strutturale dell’uomo? Non è la vita che tende continuamente a ridimensionare, con le sue prove, le sue fatiche, con l’emergere dei nostri limiti, questa apertura strutturale, così da farla sembrare impossibile? A queste domande risponde il cristianesimo, non come dottrina, non come morale, ma come l’annuncio della Presenza dell’Infinito tra di noi: Cristo. Per questo, dal momento dell’Incarnazione e dal momento in cui io mi rendo conto della Sua Presenza, nulla nella vita resta banale, nulla nella vita è contro l’uomo. Questo libretto, poiché è molto piccolo, è suddiviso in quattro capitoli: il primo è proprio sulla natura dell’atto educativo. È da questo primo capitolo che viene tratta la famosa definizione: “L’educazione è una introduzione alla totalità del reale”. Il secondo capitolo: “L’individuazione di Cristo come specifico punto di concentrazione dell’educazione religiosa“. Il terzo dà ragione perché è Cristo questo punto di concentrazione. Nel quarto ci sono alcune indicazioni pratiche riguardo ai contenuti e al metodo dell’insegnamento della religione. Prima di mettere a fuoco l’interesse di Giussani per Jungmann, una parola sull’influsso che Jungmann ha avuto: un influsso, possiamo dire, da un lato interrotto dalla guerra, ma dagli anni Cinquanta ha inciso profondamente nel campo educativo; fino, direi, al suo contributo più significativo – riconosciuto anche da Ratzinger – che l’ha visto grande protagonista, tra i massimi esperti, nella commissione teologica del Vaticano II, dove ha preparato uno dei testi delle Costituzioni più belle di tutto il Concilio, la prima, approvata il 4 dicembre 1963: la Costituzione sulla Sacra Liturgia, la Sacrosanctum Concilium.
C’è da dire, però, che quest’impostazione realista, tendenzialmente unitaria, non è stata quella dominante nel post Concilium. Bisognerà ancora riflettere a lungo, con pazienza, su questa vicenda un po’ misteriosa della storia della Chiesa del XX secolo, dove, a una straordinaria vivacità intellettuale, con grandiose figure – Jungmann è tra questi – che hanno riportato l’attenzione sull’essenziale, sull’essenza del Cristianesimo – per citare un grande libro di Guardini – ha fatto seguito non una primavera nel post Concilium, ma una nuova glaciazione.
Possiamo dire che questi frutti, questi semi, maturati negli anni ’20, ’30, ’40, sono poi fioriti nell’esperienza dei movimenti, delle nuove aggregazioni laicali. Anche in questo senso sottolineiamo il fatto che Giussani, di fatto, ha rilanciato, con l’uso di questa definizione di Jungmann, il pensiero e l’opera di Jungmann, e l’ha fatto conoscere in tutto il mondo, perché, attraverso le innumerevoli traduzioni del Rischio educativo, Jungmann ha avuto, e gode tuttora, di una fama che ai suoi tempi non era certamente pari a quella attuale. È molto interessante (scusate sono solo accenni, chi vorrà potrà riprenderli) questa ripresa che dal piano – diciamo – della riflessione speculativa, più propriamente teologico-pastorale, diventa per migliaia di persone, e noi tra questi, esperienza vitale.
Ciò detto – e vorrei con questo concludere – perché a Giussani interessa questa impostazione unitaria di Jungmann? Per quattro ragioni – vi suggerisco la lettura di esse, che adesso riprendo, sempre nell’introduzione splendida di Gamba.
La prima: non è facile incontrare una definizione, allo stesso tempo tanto esaustiva e tanto sintetica, come quella offerta da Jungmann, quando definisce in modo elementare il fenomeno educativo come un’introduzione nella realtà totale – se ne trovate una migliore fatela sapere a Camillo che vi inviterà sicuramente a una conferenza al Centro Culturale a Milano.
Seconda ragione – attenzione qui entriamo nel merito -: l’aggettivo “totale” ha un duplice valore, da un lato si tratta dello sviluppo delle strutture della persona, che da ragazzo diventa adulto, per raggiungere la sua realizzazione integrale; dall’altro questo “totale” indica la persona in relazione con tutte le dimensioni della realtà. Quindi, realizzazione totale di se stesso e relazione con la realtà intera: ecco il frutto di un processo educativo corretto, che possiamo denominare anche unità della persona. Vale a dire: nessuno di noi può dire «ho finito il mio percorso educativo», «so già»; chi dice «so già», «non ho niente da imparare», è un uomo morto. E d’altra parte abbiamo da imparare da tutto e da tutti. Pensate al Meeting, in questo momento ci sarà un’affollatissima presentazione della mostra sul rock: John Waters è riuscito nel capolavoro di sfatare il mito che il rock sia solo satanico, mentre ci fa scoprire un sacco di spunti di apertura all’infinito. Chi l’avrebbe mai detto? Al Meeting: la Messa e il rock, Monti e Dostoevskij. Ecco è questa totalità, verso cui qualcuno, qualche cattolico adulto, storce il naso: preferirebbe tenere più separata la vita, più frammentata la realtà, più incasellati, catalogati, divisi per tribù gli interessi, i desideri e gli ideali. Invece, totalità del reale, unità della persona in tutti gli aspetti della realtà.
Terzo: così come l’uomo, nella relazione educativa, si mette in gioco durante tutte le fasi del suo sviluppo rispetto alla realtà intera, l’educazione accompagna l’uomo durante tutta la sua vita. L’uomo sarà sempre immerso in un processo educativo. La parola «movimento» esprime in modo sintetico e affascinante questa immersione continua, totale in un processo educativo. È impressionante incontrare persone che a ottant’anni sono ancora lì che imparano. È impressionante incontrare una personalità come Habukawa, che continua, da buddhista, nel suo monastero sul Monte Koya, a imparare da Giussani.
Ultima ragione: il motivo che giustifica questo carattere permanente dell’educazione, è proprio della natura della ragione umana, intesa come coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori. Infatti, l’uomo è un ricercatore infaticabile, che vive in una tensione di apertura a tutti gli aspetti della realtà, cercando di comprendere i rapporti tra sé e ciò che lo circonda.
Ultimo contributo: vi do un piccolo saggio della prosa jungmanniana nella bella traduzione di Gamba. Ecco il problema: «non possiamo ancora dire di aver raggiunto il nostro scopo se ci limitiamo a offrire ai giovani una serie di nozioni, anche se chiare e sicure. Occorre che la fede, come insieme, venga trasmessa ai giovani come qualcosa di caro e di prezioso, e che si debba fare di tutto affinché essa si radichi profondamente nel cuore e nell’animo, di modo che possa conservarsi, anche più tardi, come forza vitale. Non si può approcciare i giovani con una molteplicità più o meno sregolata di dogmi e pretese, bensì con un tutto organico, un tesoro ordinato di conoscenze, che da un centro riceve luce, e che noi piantiamo – ecco l’immagine cara anche al don Gius – come un seme vivente nella vita del giovane, di modo che dall’interno esso si sviluppi verso una ricchezza sempre più grande».
In sintesi, potete leggere questo libro un po’ per volta – non è di quelli da leggere tutto di un fiato perché ci restate secchi. Un po’ per volta per due ragioni. La prima: noi veniamo veramente da molto lontano; non finiremo mai di scoprire la ricchezza di contributi di varia natura e di varia profondità a cui il genio di Giussani ha attinto. La seconda: per accorgersi di come sia decisiva questa possibilità riconosciuta, ammessa, sofferta, rischiata di lasciarsi educare sempre, cioè di entrare sempre di più alla radice e quindi al gusto di tutta la nostra vita. Buona lettura!

CAMILLO FORNASIERI:
Abbiamo davvero ascoltato e intravisto tutti i motivi, e anche appassionatamente seguito le tracce di una storia straordinaria che stiamo vivendo, proprio perché l’esistenza sia una, intera e non una sopravvivenza di pezzi, che le varie analisi al governo o al potere vogliono proporre. Certamente ci vuole quello stupore, quella passione per vivere un tesoro oggi, per andare a rivedere con la stessa passione le sue origini, i suoi semi. Ma non è molto distante questa citazione del Concilio che ha fatto don Pino: con l’anno della fede, che si aprirà appunto a ottobre, si rievoca quel momento, nel ’63, di questo inizio carico di attesa, carico di preoccupazione e carico di desiderio di servire l’uomo, che alcuni uomini come Jungmann hanno testimoniato e ci testimoniano oggi. Lo trovate in libreria in tutti questi giorni. Grazie don Pino davvero per la compagnia e per le parole. Ci rivediamo alle 19:00. Arrivederci!

Data

19 Agosto 2012

Ora

15:00

Edizione

2012

Luogo

eni Caffè Letterario D5
Categoria
Testi & Contesti