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MARE NOSTRUM
Mare nostrum
26/08/2011 ore 11.15 Partecipano: Gian Carlo Blangiardo, Professore Ordinario di Demografia all'Università degli Studi di Milano-Bicocca; Michele Emiliano, Sindaco di Bari; Roberto Maroni, Ministro dell'Interno. Introduce Robi Ronza, Giornalista.
Partecipano: Gian Carlo Blangiardo, Professore Ordinario di Demografia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca; Michele Emiliano, Sindaco di Bari; Roberto Maroni, Ministro dell’Interno. Introduce Robi Ronza, Giornalista.
ROBI RONZA:
Mare Nostrum, mare nostro, mare di tutti i popoli che vi si affacciano, quindi mare anche del nostro Paese. Il nostro Paese in particolare ha una cosa che lo rende specificamente importante nel Mediterraneo: la sua centralità culturale nel Mediterraneo e il fatto che nel G8 ci sono solo due Paesi bagnati dal Mediterraneo e ce n’è solo uno bagnato esclusivamente dal Mediterraneo, che è l’Italia. Dunque l’Italia ha un ruolo particolarissimo nel Mediterraneo, di cui noi dobbiamo renderci sempre più conto. Il Mediterraneo per altro, grande risorsa, divenuta contro natura grande problema nell’epoca, ora al tramonto, dell’egemonia planetaria dei Paesi nord-atlantici, il Mediterraneo ha bisogno di una cura di risanamento. In questo quadro si pone tra l’altro il problema dell’immigrazione non autorizzata, gestita a scala transcontinentale da organizzazioni criminali, di cui la traversata via mare verso la Sicilia e le sue isole minori costituisce soltanto l’ultima tappa. Il nostro tema immediato è il problema dell’immigrazione ma non possiamo anche ignorare la crisi libica e la maldestra irresponsabile gestione europea di questa crisi che, invece che aiutare a risolverla, ha aiutato a complicarla. Il detonatore del fenomeno, dico del fenomeno delle migrazioni, è l’enorme squilibrio di sviluppo, e quindi di reddito, tra nord e sud del globo, e fino a quando non si comincerà a porvi rimedio, questi flussi migratori saranno in certa misura irrefrenabili. Non di meno si tratta di un fenomeno patologico, in sostanza negativo, sia per i Paesi di esodo che per i Paesi di immigrazione; un fenomeno che, stando così le cose, occorre gestire con un misto di misure di contrasto e di misure di mitigazione del reciproco disagio, perché è un reciproco disagio. Considerarlo un fenomeno fisiologico o se non addirittura profetico, è un grosso equivoco. Occorre distinguere chiaramente tra il dovere di pronto soccorso e il presunto dovere dell’accoglienza definitiva del migrante illegale non autorizzato. Da una cosa non deriva affatto l’altra, altrimenti si finisce paradossalmente per affermare un presunto diritto di invasione che, per il fatto di non essere armato, dovrebbe essere in qualche modo legittimo: un’invasione può essere non armata ma per questo non diventa legittima. L’immigrazione non autorizzata, mi spiego subito, verso il Nord è gestita da organizzazioni criminali. I governi, il nostro Governo, devono perciò mobilitarsi per stroncare il fenomeno all’origine e nelle aree di primo transito. Quando questi migranti illegali arrivano nelle nostre acque, siamo nella fase del pronto soccorso; è l’ultimo anello di una catena: questa catena deve essere tagliata molto prima. Legalizzare di fatto questo genere di immigrazione si dissolve in una obbiettiva complicità con le organizzazioni criminali di cui ho detto. Ecco, su questi temi potremmo ascoltare quest’oggi tre importanti esperti e testimoni, e sono, li presento anche se non avrebbero bisogno di essere presentati, nell’ordine in cui darò loro la parola, il professor Gian Carlo Blangiardo, demografo, il sindaco di Bari, Michele Emiliano, e il Ministro degli Interni Roberto Maroni. Inizio ponendo a ciascuno una domanda. Mi hanno assicurato che la loro prima risposta non andrà oltre i 15 minuti, in modo che ci sarà poi tempo per un altro giro. Al professor Gian Carlo Blangiardo pongo questa domanda: da tempo lei studia la demografia dell’Europa e rispettivamente dell’Africa e il loro probabile impatto sulle relazioni Euro-Africane, che tendono a essere caratterizzate da un grave squilibrio, di cui gli attuali flussi via mare di migranti illegali sono soltanto un segno premonitore. In particolare, dal suo punto di vista di demografo, ma non solo, quali sono le dimensioni prevedibili del fenomeno e le sue conseguenze, rispettivamente per quanto riguarda l’Italia e per quanto concerne il resto dell’Unione europea? Le prime previsioni fatte a riguardo sono state confermate? E se ciò non fosse, quali sono le varianti imprevedibili che le rendono ardue? Quali, infine, sono a suo avviso le possibili linee di una politica non casuale nei confronti di tale fenomeno? Il professor Blangiardo risponderà facendo anche uso di diapositive, slides.
GIAN CARLO BLANGIARDO:
Grazie, buongiorno a tutti, grazie per l’invito e la vostra presenza. Cercherò di essere estremamente sintetico. Allora, una prima premessa. Quando parliamo di immigrazione, regolare e meno che sia, parliamo innanzitutto di “persone”.
Parliamo di esseri umani che, se anche nel linguaggio delle statistiche poi si confondono e diventano “numeri”, hanno un loro progetto di vita e aspirano legittimamente a poterlo realizzare.
Tuttavia, affinché ciò possa accadere occorre che in quello che rappresenta il loro contesto abituale – determinato dal tessuto sociale, dal sistema economico, dal clima politico, dalla realtà ambientale che li circondano – vi siano le condizioni per farcela o almeno per credere di potercela fare.
Se manca tale convinzione, può allora svilupparsi l’idea di cambiare contesto; può maturare la decisione di spostarsi altrove. Può prendere corpo la scelta di “emigrare”, nella speranza di riuscire a raggiungere, talvolta in luoghi e tra popoli anche assai diversi, quella qualità della vita – per sé e per i propri familiari – che la terra d’origine nega o rende quanto mai difficile ottenere.
Senza dunque dimenticare che dietro ai numeri ci sono le persone, la funzionalità dei dati statistici – e in particolare quelli che delineano realtà e scenari demografici – consiste nell’aiutarci a riflettere proprio sulle condizioni di contesto. Le statistiche, quando corrette e non manipolate, ci mettono a disposizione importanti elementi non solo per leggere e interpretare le dinamiche migratorie, ma anche per anticiparne – almeno in parte – i futuri sviluppi.
Giusto vent’anni fa, in occasione dello storico “sbarco degli albanesi in Puglia”, abbiamo avuto occasione di toccare con mano cosa significava già allora, in un mondo vent’anni meno globalizzato e meno connesso di quello attuale, lasciare spazio al confronto tra due contesti profondamente diversi che si affacciano sullo stesso mare.
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Sappiamo tutti quale siano stati gli sviluppi degli eventi di quell’estate del 1991. Dopo di allora, con un percorso di insediamento lungo e impegnativo si è giunti oggi ad avere sul territorio italiano quasi un quinto del popolo albanese: al circa mezzo milione di residenti (stime Istat al 1.1.2011) se ne aggiungono altri 50 mila con valido titolo di soggiorno ma non ancora iscritti in anagrafe e circa altrettanti presenti in condizione di irregolarità (Fondazione Ismu, 2011).
Ma questa è l’esperienza delle vicende migratorie che hanno interessato un Paese con poco più di 3 milioni di abitanti, come è per l’appunto l’Albania.
Se allarghiamo lo sguardo lungo la sponda sud del Mare Nostrum troviamo rischi analoghi ma con grandezze demografiche che sono ben diverse. Oggi i cinque Paesi del Nord Africa che si estendono lungo la fascia che va dal Marocco all’Egitto contano complessivamente 165 milioni di abitanti: 10 milioni in più rispetto all’insieme di quelli che appartengono alla così detta Europa del Sud (dalla Grecia, all’area ex-jugoslava, a Italia, Spagna e Portogallo).
Più in generale, va rilevato che i poco più di 400 milioni di africani – di cui un quinto in Paesi affacciati sul Mediterraneo – che popolavano il continente a metà degli anni ’70 hanno ormai superato il miliardo. Oggi l’Africa sopravanza l’Europa di ben 300 milioni di abitanti e tra vent’anni il divario sarà salito a 800 milioni. Nel contempo i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo avranno portato da 10 a 50 milioni di abitanti il vantaggio su quelli della sponda Nord.
Il tutto in un mondo in cui, grazie ai flussi informativi e alle tecnologie del nostro tempo, è e sarà sempre più agevole conoscere e confrontare le diverse realtà di vita del pianeta.
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Cosa potrà significare tutto questo in termini di prospettive sul fronte migratorio? In che modo, e a quali condizioni, si potrà fare in modo che differenziali di sviluppo demografico così consistenti non si trasformino in fattori di pressione migratoria verso l’Europa e, in prima linea, verso l’Italia?
Se partiamo dalla crescita demografica va ricordato che è dal 1798 (T. Malthus, Saggio sul principio della popolazione e dei suoi effetti sullo sviluppo futuro della società) che l’equazione crescita demografica = sottosviluppo e, in una moderna società globale (per i confronti di contesto di cui si è detto), = spinta all’emigrazione, viene sbandierata con alterno successo.
Il fatto è che quando poi andiamo a cercare un riscontro empirico delle teorie di Maltus, “la popolazione tenderebbe a crescere in progressione geometrica, quindi più velocemente della disponibilità di alimenti, che crescono invece in progressione aritmetica”, nella realtà del XXI secolo che meglio si presta, ossia l’Africa, troviamo che qualcosa non funziona.
Ad esempio, se consideriamo la storia degli ultimi trent’anni – quelli che per l’appunto hanno segnato il sorpasso dell’Africa sull’Europa – ci accorgiamo come la dinamica demografica di forte incremento vissuta dal continente africano non abbia tuttavia impedito un ancor più forte incremento del suo prodotto interno lordo (PIL) e dello stesso PIL pro capite.
Su 39 Paesi africani (i più importanti e con dati disponibili) oltre la metà hanno segnalato nell’ultimo trentennio una variazione positiva del PIL pro capite superiore di almeno 50 punti percentuali alla corrispondente crescita della popolazione. Per un quinto di tali Paesi la velocità di incremento dell’indicatore economico ha sopravanzato per più di 200 punti percentuali quella del corrispondente indicatore di sviluppo demografico.
Che ne direbbe Malthus? O che ne dicono i suoi moderni seguaci?
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Una volta chiarito che, nonostante il peso di un’umanità che – come ci hanno ripetuto all’infinito – cresce troppo in fretta, la parola “sviluppo” non è affatto assente nel vocabolario del Sud del Mondo, sarebbe interessante spostare il ragionamento dalla “quantità” alla “qualità” della crescita, valutando come sarà fatta questa popolazione che va costantemente aumentando con una particolare attenzione alla sua struttura per età.
Così facendo si ha non solo la possibilità di toccare con mano alcune trasformazioni che potrebbero avere importanti effetti sul piano dei flussi migratori dei prossimi decenni, ma anche la sorpresa di scoprire che “il tipo di crescita” che il continente africano ha davanti contiene elementi che, ove adeguatamente valorizzati, potrebbero persino rappresentare un fattore non di espulsione ma di sviluppo della popolazione locale.
Partiamo da un dato di fatto: la macroscopica differenza di vitalità demografica, tra un’Europa dove gli anziani hanno già sopravanzato in numerosità i giovani e un’Africa dove questi ultimi sono tuttora ben undici volte più frequenti. Basti pensare che il rapporto tra anziani e popolazione in età attiva è di 1 a 16 per il complesso dell’Africa (1 a 13 per quella del Nord) mentre diventa 1 a 4 nella vecchia Europa e risulta ancora più appesantito nella sua fascia mediterranea.
Si pensi che, ad esempio, la popolazione di un Paese come il Mali si caratterizza per aver vissuto in media 21 anni e per avere ancora in media 30 anni di lavoro e 9 di “pensionamento”; per il nostro Paese gli stessi valori sono, rispettivamente, 43, 21 e 17 anni.
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E’ soprattutto dal dato sulla popolazione in età attiva che conviene avviare la riflessione circa la sfida per mantenere condizioni di equilibrio negli scenari migratori che vanno configurandosi nel continente africano.
Tra il 2010 e il 2030 del circa mezzo miliardo di unità che si aggiungeranno al totale degli africani, ben 2/3 sarà rappresentato da soggetti in età lavorativa, e nel Nord Africa tale proporzione sarà ancora più elevata (oltre 3/4).
A tale proposito vale la pena di ricordare che già nell’ultimo ventennio l’Africa Sub-Sahariana ha complessivamente esportato altrove circa 15 milioni di abitanti 15-49enni e, analogamente, il Nord Africa ha pagato un tributo di 4 milioni di giovani emigrati.
In prospettiva, nel prossimo ventennio si segnala l’esigenza di fronteggiare, nel complesso dell’Africa, un surplus tra potenziali ingressi e uscite dal mercato del lavoro che sarà nell’ordine di venti milioni di unità annue, per il 90% localizzato nei Paesi della Regione sub sahariana. E’ realistico immaginare che, in assenza di qualsiasi azione volta ad accelerare lo sviluppo locale, la valvola di sfogo di una tale pressione sia unicamente l’emigrazione? E poi, verso quali Paesi? Se anche si mette in conto il deficit annuo di circa 2 milioni di unità prospettato per l’Europa, come si può pensare che il gioco dei vasi comunicanti possa realisticamente arginare una pressione dal Sud come è quella che potrebbe ventilarsi? Per altro espressa da popolazioni – giovani, sempre più istruite e con una crescente parità di genere – che hanno piena consapevolezza dell’esistenza di “un altro mondo”.
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Va però anche considerato che se è vero che nei prossimi vent’anni la gran parte della crescita demografica africana sarà rappresentato da soggetti in età lavorativa, è anche vero che mentre oggi in Africa il rapporto di dipendenza, o di carico sociale, è di 78 persone a carico (per lo più giovani) per ogni 100 soggetti in età attiva, nell’ambito della componente che si aggiungerà nei prossimi vent’anni si prevede che il suddetto rapporto sarà sceso a 50.
Tale allentamento del carico sociale – che viene visto come se fosse un “dividendo demografico” maturato per la favorevole coincidenza di un calo tendenziale della componente giovanile non ancora accompagnato da un aumento di quella anziana – si configura nei termini di una vera e propria grande occasione di sviluppo per il continente africano. Un’opportunità che, per essere colta, richiede tuttavia la sussistenza (o meglio la realizzazione) delle condizioni – economiche, sociali, politiche, infrastrutturali – necessarie per mettere a frutto l’abbondante capitale umano che si renderà sempre più disponibile in loco.
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E’ evidente che per giungere a condizioni che consentano alla popolazione africana di incassare il “dividendo demografico”, come valida alternativa alla “valvola di sfogo” dell’emigrazione, sarà indispensabile uno sforzo – e un costo certo non indifferente – sul fronte di una vera cooperazione da parte dei Paesi del Nord del Mondo, prima fra tutti l’Europa.
Non va però dimenticato, e le recenti esperienze in Nord Africa ce lo hanno chiaramente ribadito, che l’alternativa ai costi di azioni mirate alla salvaguardia degli equilibri mondiali – ma anche a rispondere ad un dovere sul piano etico – consiste nel lasciare che tutto proceda nell’illusione che, così come la versione della bomba demografica sul piano dei “numeri” non è esplosa con effetti dirompenti, anche la sua variante qualitativa, connessa agli effetti della struttura per età, potrebbe passare sulla testa dei Paesi ricchi senza alcun significativo danno.
E se così non fosse? Siamo sicuri, noi europei, che saremo ancora in grado di arginare un fenomeno che abbiamo perso l’occasione di prevenire?
In conclusione, io credo che la dura legge dei numeri offra valide argomentazioni per ricordarci che la sfida che viene dal Sud va necessariamente affrontata con realismo e lungimiranza.
Da un lato, occorrono chiarezza e fermezza rispetto alla definizione e al rispetto delle regole – evitando di alimentare quello che è stato “il sogno albanese del 1991” in centinaia di milioni di potenziali migranti – dall’altro è fondamentale, con una strategia a livello europeo, mettere mano a strumenti che promuovano lo sviluppo nello stesso Sud. Dove se è vero che qualche segnale incoraggiante sul piano della dinamica economica sembra si stia registrando, è anche vero che molto ancora va fatto per valorizzare pienamente il capitale umano del continente africano.
E’ solo attraverso adeguate forme di investimento e con efficaci iniziative di formazione – anche sviluppando e organizzando in modo funzionale il fenomeno delle migrazioni circolari – che il “dividendo demografico” potrà venire finalmente riscosso a beneficio di coloro che ne hanno legittimamente titolo. E la bomba migratoria, con i suoi molteplici nodi problematici, verrebbe così sostanzialmente disinnescata. Grazie.
ROBI RONZA:
Grazie al professor Blangiardo. E adesso la mia domanda al dottor Michele Emiliano, Sindaco di Bari. Come magistrato lei, se non erro, prestò servizio a Brindisi, in seguito all’immigrazione non autorizzata dall’Albania. Quali lezioni ha ricavato da quell’esperienza e dalle sue stabilizzazioni successive, fino al blocco ufficiale, efficace dell’esodo a mezzo di gommoni e la positiva regolazione legale dei flussi migratori dall’Albania all’Italia cui ha accennato già anche Blangiardo? Nella sua attuale veste di sindaco della capitale della Puglia, qual è il suo giudizio conclusivo sull’impatto a lungo termine della ripresa della crescita delle relazioni tra l’Italia e il Mediterraneo per la Puglia, che è la naturale porta del nostro Paese verso il Levante?
MICHELE EMILIANO:
Buongiorno a tutti e grazie per questo invito. È sempre un’emozione particolare partecipare ad un evento così importante come il Meeting e soprattutto ritrovare una platea così attenta e una qualità delle questioni, sulle quali ci stiamo interrogando, di questo livello. È ovviamente un onore particolare per me anche parlare alla presenza del Ministro dell’Interno, perché è evidente che sia per il ruolo istituzionale che ricopre, sia per il modo in cui ricopre questo ruolo, egli rappresenta, non vi sembri strano, comunque un interlocutore che desta in me speranza e soprattutto fiducia. Questo ovviamente non implica il fatto che si sia d’accordo sul merito delle questione, però è una base di fondamentale importanza quella che ci si parli senza prevenzioni, in particolare sulla base delle esperienze che abbiamo fatto, perché è evidente che il punto di vista non solo del Signor Ministro ma dell’intero apparato di sicurezza in questi anni, fornisce dei dati, che probabilmente noi dovremmo analizzare con maggiore compiutezza, e l’esperienza sul territorio ne fornisce altri. Probabilmente, se noi avessimo un approccio un po’ più scientifico alla decisione politica piuttosto che lasciare alle diverse ideologie di tirare le conclusioni, probabilmente noi ci accorgeremmo, questa è la mia sensazione, che i dati sui flussi demografici dal punto di vista diciamo dei flussi migratori, gli elementi sui dati criminali, sulla commissione dei reati nel nostro Paese, gli elementi sul mercato del lavoro, le questioni relative alla contribuzione INPS o di altri istituti che probabilmente non potrebbero essere in equilibrio economico se non vi fossero le migliaia e migliaia di lavoratori extra-comunitari, come in maniera piuttosto sommaria noi li definiamo, ci accorgeremmo che tutti questi dati finiscono per contribuire all’equilibrio dei nostri conti. Ecco, se noi avessimo la pazienza, senza azzuffarci prima del tempo, di ragionare in maniera più pacata, senza farne oggetto di campagna elettorale basata sulla paura, senza parlare agli italiani direttamente alla pancia, vedremmo anche gli aspetti positivi del fenomeno. Perché quando si parla ad un popolo, diciamo la verità, molto preoccupato, ragionevolmente e oggettivamente preoccupato come il popolo italiano, e gli si parla in modo tale da acuire le paure, le ansie, le preoccupazioni, ecco forse si ottiene un risultato immediato dal punto di vista elettorale, se ne ottiene però sicuramente uno negativo in termini di governo successivo alle elezioni, perché poi è evidente che per affrontare fenomeni così vasti è indispensabile che tutto il popolo italiano abbia un’idea su come affrontare questi problemi, non basta che le idee chiare ce le abbia il Governo. Ecco, tutti questi elementi mi portano a dire che la gran parte delle esperienze che abbiamo fatto, a partire da quella dei nostri fratelli albanesi, sono esperienze estremamente interessanti. Io ricordo che nel pieno di una indagine importante, quella sulla Missione Arcobaleno, ebbi modo di visitare l’ambasciata italiana in Albania. Erano tempi, lo dico chiaramente, nei quali diversi funzionari delle nostre ambasciate avevano avuto guai giudiziari in relazione alla concessione dei visti, perché evidentemente ogni volta che in un mercato libero si introducono delle misure, diciamo, di limitazione o di protezione, si crea un mercato riservato che è oggetto di interesse della criminalità organizzata. Ogni volta che c’è una proibizione, sulla vendita dell’alcol, della droga, sui visti, su qualsiasi altro meccanismo, c’è qualcuno che si organizza per violare quel divieto e per consentire ciononostante l’attività che lo Stato vieta. I visti ovviamente costituirono, come posso dire, la fonte primaria dell’intesa tra i gruppi di criminalità organizzata albanesi e la Sacra Corona Unita. Furono il meccanismo fondamentale, l’aggiramento dei visti ovviamente, per il quale per esempio la marijuana albanese inondò il mercato italiano, perché sulle stesse barche sulle quali arrivavano gli immigrati, c’era anche sostanza stupefacente, e molto spesso per pagare e per consentire anche a famiglie con bambini con nessuna intenzione criminale, per consentire la traversata, il compito che veniva assegnato a queste famiglie albanesi comuni era quello di trasportare la sostanza stupefacente. L’avere creato il mercato riservato, il racket dell’immigrazione, aveva spinto un popolo assolutamente identico a qualunque altro popolo del mondo, con le stesse percentuali di criminali tendenziali e di persone per bene di qualunque altra nazione del mondo, lo aveva spinto ad interpretare questa volontà di cambiamento, anche politico, dopo tanti anni di dittatura comunista terribile, in maniera criminale. Man mano, ovviamente con grande pazienza, ma anche con immensi lutti… ricordo ancora, ero ancora in Magistratura, quando il Presidente del Consiglio arrivò a Brindisi: una nave italiana aveva speronato un’imbarcazione albanese, provocando centinaia di morti, e ricordo le lacrime del Presidente del Consiglio. Ecco, noi abbiamo la certezza che tutte le politiche di respingimento provocano un numero eccezionale di morti e determinano un interesse fortissimo da parte della criminalità organizzata a gestire il racket dell’immigrazione illegale, cioè ne motivano la ragione economica. E questa è una constatazione. Infatti, nel momento in cui i visti, solo qualche anno fa, sono stati eliminati, ecco noi adesso abbiamo il porto di Bari che è il porto dell’Adriatico più trafficato in assoluto, dal porto di Bari passano migliaia di albanesi in entrata e in uscita e, devo essere sincero, l’unica cosa che mi colpisce è che hanno quelle macchine che assomigliano a quelle dei nostri immigrati di venti anni fa, macchine tedesche prevalentemente, con i pellicciotti, i cagnolini con la testa che fa così, insomma hanno quei difetti estetici che avevamo noi venti anni fa e che man mano abbiamo in qualche modo smaltito, se è vero che nell’ultimo viaggio che ho fatto in Svizzera ho potuto constatare che i nostri connazionali in quel Paese non solo sono diventati classe dirigente, ma si sono fatti onore e hanno anche smesso di essere così pittoreschi nelle loro esibizioni. È chiaro che il rapporto con il Nord Africa e con l’Africa sub-sahariana è più complesso, però l’impressione che ho io è che il prodotto interno lordo italiano, senza quel quinto di albanesi presenti sul nostro territorio, sarebbe sensibilmente più basso, anche perché hanno trovato un loro spazio. Non mi risulta che questi abbiano, come posso dire, rubato lavoro agli italiani, anche perché, questa è la mia esperienza di sindaco, gli italiani che cercano lavoro sono in massima parte italiani che cercano un determinato tipo di lavoro, cioè non un lavoro qualsiasi; viceversa, i flussi immigratori quasi sempre si accontentano di ciò che il mercato offre. Questo è di fondamentale importanza in un meccanismo di globalizzazione dell’economia. Adesso sta per uscire, o forse è uscito, un film, ho visto il trailer che mi ha sconvolto per l’intuizione, cioè un film dove si simula, come in una fiction, che cosa accadrebbe nel nostro Paese se improvvisamente, da un giorno all’altro, sparissero tutti gli immigrati che abbiamo accolto in questi anni e, devo dire, sono curiosissimo di vederlo e vi invito a riflettere anche andando al cinema a vedere questo film. Ho l’impressione dunque che quello che accadde, per tornare alla domanda sull’Albania, per esempio durante la cosiddetta Operazione Primavera, nella quale il Governo italiano negoziò con il Governo del Montenegro, della ex Jugoslavia che si stava dissolvendo, un regolamento più chiaro sul contrabbando di sigarette, e questo il Signor Ministro sicuramente se lo ricorderà, che determinò per la mia Regione l’allentamento della morsa della pressione contrabbandiera sulle coste pugliesi, che pure fu un fenomeno drammatico, possa essere imitato. Noi dovremmo seguire una forma nella quale la revoca, l’eliminazione del reato di immigrazione clandestina, in maniera probabilmente rapida e anche coerente, dal mio punto di vista, con i valori costituzionali, debba essere effettuata, non nel vuoto delle intese internazionali, ma intraprendendo un percorso con i governi che devono controllare in qualche modo i loro flussi migratori. Questo certamente è un loro dovere, come fu dovere del Governo italiano controllare l’immenso flusso migratorio che negli anni passati ci ha visti sparsi per il mondo. Noi abbiamo sparso per il mondo ben più del numero delle persone che abbiamo accolto, vorrei che ce ne ricordassimo sempre, e devo dire che la gran parte di questi italiani nel mondo hanno fatto il più grande danno della storia dell’umanità dal punto di vista immigratorio, perché vi ricordo che noi abbiamo esportato all’estero la più potente organizzazione criminale del mondo, anzi neanche una sola, credo più d’una, quindi abbiamo delle responsabilità precise da questo punto di vista, e pur tuttavia, questo flusso migratorio offre a moltissimi Paesi del Sud America, del Nord America, del Canada, degli Stati Uniti, classe dirigente di prima classe, magistrati, poliziotti, medici, ricercatori. È diventata cioè la più grande industria, quella dell’accoglienza della risorsa umana, che quei territori in qualche maniera potessero immaginare in quella fase storica. Noi, come posso dire, non abbiamo risorse naturali, abbiamo però questo strano meccanismo nel quale le persone cercano di insediarsi nel nostro Paese, o cercano di passare dal Paese, o cercano attraverso l’Italia di arrivare in Europa. Il fatto che noi siamo così attrattivi per queste persone è una opportunità economica senza precedenti, non è affatto una minaccia; ha delle controindicazioni ovviamente, controindicazioni principalmente criminali e soprattutto di costi sociali nell’immediato meccanismo di accoglienza: la prima accoglienza, e forse anche la seconda, ha un peso sul nostro welfare che andrebbe calcolato. Ma dovremmo anche calcolare qual è, per esempio, il contributo in termini di sostegno al sistema pensionistico e in generale di welfare al nostro Paese che viene dato dai redditi prodotti da queste persone nel nostro Paese. Questi dati ovviamente devono essere considerati in maniera assolutamente scevra dalla questione dell’italianità. Ora, fermo restando che la questione dell’italianità posta nel nostro Paese è davvero singolare, quasi nessuno di noi ha un’origine certa, le influenze che abbiamo avuto nel corso dei secoli sono infinite, è però dal mio punto di vista necessario che noi si entri e si sfrutti fino in fondo quella cultura cosmopolita che ha fatto dell’Italia un Paese straordinario. Mi pare che la stessa presenza sul nostro territorio nazionale del Vaticano ci dia un’occasione senza precedenti, perché lì c’è un serbatoio di cultura internazionale e di tolleranza che non può essere utilizzata al bisogno: va benissimo quando bisogna discutere di alcuni argomenti, poi li si mette a tacere questi poveri, no poveri no, non sempre insomma, sacerdoti, quando invece cercano di dirci che l’accoglienza è un dovere che fa parte dell’identità di un popolo. Devo dire che viene probabilmente dall’antica Grecia, da ancestrali istinti che hanno portato il popolo italiano ad essere un popolo, da questo punto di vista, di straordinaria importanza; persino le nostre truppe, quando sono all’estero, storicamente e per un motivo che non è dato dal loro addestramento ma dal loro istinto e dalla loro identità nazionale, hanno una capacità di gestire la relazione con il diverso, con le persone di un altro popolo, di un’altra religione, che è superiore a quella di qualunque altro contingente. Questo significa che ciò che noi in qualche modo auspichiamo, quando abbiamo missioni all’esterno, dobbiamo in qualche modo realizzarlo anche nel nostro territorio nazionale, senza esasperazioni ideologiche, lo dico chiaramente. Quando qualcuno, come è capitato qualche tempo fa, mi ha detto “dobbiamo mettere gli immigrati che arrivano da Lampedusa negli alberghi in piena stagione turistica sul lungomare di Palese di Torre a Mare”, lo dico chiaramente, io ho detto “perdonate, se voi volete scatenare una guerra a sfondo razzista facciamo questa operazione, altrimenti cerchiamo di essere più prudenti, cerchiamo di gestire queste operazioni coinvolgendo le popolazioni locali in un meccanismo di accoglienza”. Mi permetto di dire, e veramente poi concludo: voi avete proiettato la fotografia dell’Aurora, quella nave che è arrivata a Bari; voi sapete che ci fu, in quella occasione, qualche cosa di pazzesco, cioè un Governo nazionale, completamente diverso da quello attuale, quindi ci consente di parlare con distacco, che aveva l’idea che il respingimento fosse l’unica soluzione possibile, e una comunità locale, i baresi e il loro sindaco Enrico Dalfino, che, invece, ritenevano che la gestione ordinata di quell’evento fosse possibile, anche in funzione del futuro della città di Bari, perché volevamo in qualche modo precostituire con quella gente delle relazioni particolari, non fondate sulla guerra come sta accadendo per i francesi in Libia, ma su qualche cosa di meno cruento e di più tollerabile sotto il profilo dei valori umani, per progettare un futuro comune anche di tipo economico. Ricordo che quel sindaco fu definito, da autorità importantissime della Repubblica, un cretino perché intendeva contrapporre, tra l’altro statuto del Comune alla mano, perché il Comune di Bari questa regola ce l’ha scritta nello statuto… Ecco, abbiamo quest’anno commemorato il ventesimo anniversario dell’arrivo dell’Aurora, è venuto il Presidente della Repubblica Albanese, peraltro in visita privata perché non è stato possibile organizzare una visita di stato, che pure il presidente albanese avrebbe voluto in qualche modo realizzare, ci hanno portato una medaglia della gratitudine, perché si sono ricordati che i baresi aveva lottato persino contro il loro stesso governo per accoglierli e per costruire con l’Albania quella relazione che oggi è importantissima per moltissimi nostri imprenditori che lavorano in Albania, non protetti dall’esercito, dalle Beretta o dagli M12, ma protetti da una storia onorata e da ricordare, che fu il frutto di una intuizione popolare e di una classe dirigente che noi ancora oggi consideriamo un esempio da ricordare, da commemorare e da tenere fermo nella memoria.
ROBI RONZA:
Grazie sindaco Emiliano, ora la mia domanda al Ministro Maroni. Per un insieme di circostanze su cui non ci possiamo soffermare qui, lei da Ministro degli Interni ha fatto anche il Ministro degli Esteri, andando anche a Tunisi a negoziare, diciamo, la riorganizzazione dei flussi di migranti dalla Tunisia all’Italia via Sicilia, via Lampedusa, nel momento difficile della transizione tra il regime di Ben Ali e la nuova amministrazione tunisina. È riuscito anche, in circostanze veramente difficili, a creare un certo tipo di normalizzazione, almeno temporanea, dei flussi di migranti dalle coste libiche al nostro Paese. Quindi ha un esperienza, in questo caso, sia da Ministro degli Interni, sia internazionale. Ecco ora, sulla base di questa esperienza rifaccio a lei la stessa domanda che ho fatto al professor Blangiardo: a suo avviso qual è il possibile quadro di insieme di una politica italiana non casuale nei confronti di questo fenomeno?
ROBERTO MARONI:
Buongiorno a tutti, grazie per l’invito, grazie soprattutto per la aver posto l’attenzione a un tema così straordinariamente importante di attualità, quale quello dei flussi migratori, dei fenomeni migratori. Il fenomeno migratorio è un fenomeno complesso, che non ha quindi una risposta semplice, deve avere una risposta articolata nei vari aspetti in cui viene affrontato. Mi riferisco agli aspetti della sicurezza, che sono quelli che mi riguardano più direttamente e sui quali mi sono molto impegnato negli ultimi tempi, a quelli dell’accoglienza, dell’integrazione, compresi lo straordinario capitolo dei diritti umani, la politica estera, i rapporti con questi Paesi per la prevenzione ma anche per lo sviluppo economico, i fenomeni demografici, la programmazione dei flussi. Si potrebbe parlare per ore di come affrontare e gestire i fenomeni migratori, non dimentichiamo però che devono essere contestualizzati. L’anno scorso da questa platea potevo parlare dei risultati ottenuti nella prevenzione dell’immigrazione clandestina, ottimi risultati, con una diminuzione del 90% degli arrivi rispetto all’anno precedente. Quest’anno è cambiato il mondo, dalla cosiddetta rivoluzione dei gelsomini della Tunisia del 14 di gennaio, alla cosiddetta primavera araba, anche se è avvenuta in inverno, forse evocando la Primavera di Praga. Speriamo che abbia lo stesso sviluppo in termini di democrazia, ma lì c’è un grosso punto interrogativo. Da quel giorno è cambiato il mondo sotto tanti punti di vista; per me è cambiato in senso di drammatica emergenza umanitaria. Nei dieci anni trascorsi fino al 2010, sono arrivate sulle coste italiane 80.000 persone dai Paesi africani; in quattro mesi, nel 2011, ne sono arrivate 57.000; questo vi dà l’idea della differenza di approccio che abbiamo dovuto avere, che dobbiamo avere nei confronti di un fenomeno che deve essere contestualizzato. La cause le conosciamo: sono saltate in aria le dittature, si è liberata quella morsa che costringeva molte persone a rimanere; l’Europa attraverso l’Italia viene vista come il paradiso, come l’area in cui tutti sono felici, in cui si può fare tutto, in cui tutto è permesso. Questa attrazione fatale, assieme al venir meno delle chiusure, dei controlli di polizia, ha portato a questo massiccio fenomeno migratorio, che ha messo in difficoltà le nostre strutture, perché sono arrivati tutti sulla piccola isola di Lampedusa: non ci fosse stata Lampedusa, ci fosse stata la Sicilia, sarebbe stato diverso. Abbiamo dovuto affrontare in tempi rapidissimi, con una reazione immediata, un fenomeno straordinariamente difficile, che non ha precedenti ed è stato gestito sotto vari aspetti: quello dell’accoglienza, quello della sicurezza e quello delle relazioni internazionali. Il fenomeno si è ora stabilizzato? Spero di sì, anche se l’incognita è: che cosa succederà nei Paesi del Maghreb e in Egitto? Che cosa succederà nei prossimi mesi? Quali sono le strategie per gestire questo fenomeno? Noi in Italia abbiamo sviluppato, contrariamente a quanto troppo spesso si dice, un modello di accoglienza, di integrazione, di valutazione che è una best practice in Europa. Dobbiamo essere orgogliosi di come il nostro Paese gestisce il rapporto con le persone che arrivano, sapendo ben distinguere – è l’esperienza che ci ha portato a questo – tra chi ha diritto a stare e chi non ha diritto a stare; il massimo dell’accoglienza accanto al massimo del rigore, nel rispetto e nell’applicazione delle regole. Per coloro che sono arrivati, ormai il tam tam attraverso i telefonini è: appena arrivi devi presentare domanda di asilo, anche se sei tunisino, anche se non hai motivi, perché la semplice presentazione della domanda di asilo mette in moto tutto un meccanismo di valutazione che impedisce il rimpatrio immediato. Per contrastare questo cattivo utilizzo di uno strumento essenziale per garantire i diritti umani, abbiamo potenziato il sistema di valutazione; le commissioni territoriali sono passate da 10 a 20, stiamo accelerando i tempi, con un rigore che non è persecutorio, ma che è giusto per garantire, a chi ha diritto a stare, il diritto e per rimandare a casa chi non ha diritto a stare, secondo le regole internazionali. A seguito di questa intensa azione di screening delle domande di asilo presentate, dei 57.000 cittadini extracomunitari arrivati, ne sono già stati rimpatriati oltre 13.000 in sei mesi; pensiamo di arrivare a 30.000 entro la fine dell’anno. Massimo rigore per chi non ha diritto a stare, che serva anche come deterrente per chi pensa che si può venire in Italia liberamente, senza problemi: una volta che sei qui hai acquisito il diritto vita natural durante a stare in Europa. Per chi ha diritto, invece, secondo certi parametri stabiliti dalla legge italiana, dalle convenzioni delle Nazioni Unite, noi siamo in grado di gestire molto di più della fase della prima accoglienza. Questo periodo tumultuoso è stato veramente complicato e io voglio davvero ringraziare il mondo delle autonomie, i comuni, le province, le regioni che hanno aderito a uno sforzo comune. Non succede spesso in Italia che i rappresentanti istituzionali di destra e di sinistra si mettano attorno a un tavolo e trovino una soluzione a un problema grave. E’ successo in questo caso. D’altronde parliamo di uomini, di donne e di bambini, che spesso scappano dalla guerra e che devono essere accolti con la dignità che si deve riconoscere alle persone umane, lasciando poi dopo il distinguo, ma la prima accoglienza è stata gestita grazie al sistema istituzionale delle autonomie. Questa prima accoglienza garantisce tutta una serie di misure, poi il modello italiano, quando viene riconosciuto lo status di rifugiato, garantisce processi di integrazione. E’ giusto che chi scappa da una guerra, chi non può tornare nel suo Paese perché teme per la propria vita, non solo abbia un rifugio, ma abbia anche percorsi di integrazione. Noi abbiamo sviluppato un piano di integrazione nazionale che prevede numerose attività, cinque assi: l’insegnamento della lingua, le misure per fare trovare lavoro, l’alloggio, l’accesso ai servizi essenziali e le misure speciali per i minori. Tutto questo è il modello italiano, costa ma funziona e garantisce i diritti umani a coloro che hanno la necessità di trovare rifugio. Per gli altri, invece, il rigore vuol dire riportarli nel loro Paese, attività che facciamo e che abbiamo intensificato. Io, però, preferisco un’altra attività, e qui mi metto un po’ nei panni del Ministro degli Esteri. Perché dobbiamo accogliere e poi riportare a casa, sapendo che questo favorisce le bande criminali, le grande organizzazioni criminali che lucrano su questi trasferimenti e mette a rischio la vita di coloro che su una carretta attraversano il Mediterraneo? Dobbiamo fare in modo che questi fenomeni non succedano, che siano prevenuti. Per questo negli scorsi mesi ho girato tutti i Paesi sub-sahariani, oltre che quelli del Maghreb, per fare accordi bilaterali contro l’immigrazione clandestina, per la prevenzione del controllo dei flussi, contro il terrorismo, contro il traffico di droga. Che cosa c’entrano il traffico di droga e il terrorismo con l’immigrazione clandestina? C’entrano, perché l’esperienza anche recente dice che le grandi organizzazioni criminali ormai sono le stesse che fanno transitare la droga in Europa attraverso i Paesi africani e che gestiscono il traffico degli esseri umani. Colpire queste organizzazioni vuol dire colpire i traffici di droga, ma anche la tratta più spregevole, che è la tratta degli esseri umani, dei bambini, delle donne, degli uomini. La nostra azione è importante ma non è sufficiente, il ruolo dell’Europa è fondamentale. Finora l’Europa ha avuto un difetto di analisi, ma soprattutto un difetto di azione. Il difetto di analisi è considerare quello che sta succedendo come un problema di immigrazione clandestina; è uno degli aspetti, ma forse neanche quello più importante; è un fenomeno sociale quello che sta avvenendo nei Paesi del Maghreb, è una rivoluzione, è una rivolta i cui esiti non siano in grado di prevedere. Chi vincerà? Si affermerà un modello di democrazia occidentale con libere elezioni, un parlamento, un governo eletto? Vincerà un sistema Islamico? I Fratelli Musulmani – questa è una preoccupazione forte che io ho – i partiti dei Fratelli Musulmani sono molto forti, hanno uno slogan che la dice lunga sulla loro prospettiva. Lo slogan elettorale è: “L’Islam è la soluzione”. Sono preoccupato che in quei Paesi, quando arriveranno le elezioni, in Tunisia, in Egitto, in Libia, non vinca il partito dell’Islam intransigente, che vede l’Europa e l’Occidente come un nemico. Questo sarebbe il peggior servizio che l’Europa può fare in quei Paesi. Questo difetto di analisi ha portato l’Europa a non agire, a dire: è un problema dell’Italia. La Tunisia, i flussi degli immigrati…è un problema dell’Italia, se li veda l’Italia. L’Europa deve muoversi, deve darsi una mossa, non solo attraverso la NATO e le bombe, ma per garantire in quei Paesi uno sviluppo sociale che porti a forme autonome di rappresentanza democratica, ma non ostili all’Occidente, e questo capitolo è tutto da scrivere. Concludo sulla Libia, due parole. Adesso Gheddafi è il mostro dei mostri. Io non sto qui a ricordare cosa disse – ne cito uno tra i tanti, Tony Blair nel 2004 – quando disse: l’abolizione pura e semplice dell’embargo non è sufficiente; gli inglesi hanno già un accordo per addestrare alcuni reparti delle forze di sicurezza di Gheddafi; è possibile, bisogna far finire il blocco dei commerci e si possono concepire deroghe alla vendita di armi alla Libia. Era un altro mondo; adesso siamo di fronte al futuro della Libia: che cosa succederà se e quando Gheddafi cadrà? La Libia è un Paese strano, io lo conosco abbastanza bene, essendovi stato tante volte, avendo studiato il sistema sociale libico. E’ un Paese totalmente diverso da quelli che conosciamo, diverso dalla Tunisia, diverso dall’Egitto, non c’è una struttura sociale con una classe borghese, con gli intellettuali, con l’esercito a fianco, con il mondo della produzione. E’ un mondo che si basa su 100 tribù, grandi, meno grandi, piccole, ostili spesso tra di loro. Allora io vorrei davvero che l’Europa, dopo aver svolto questa azione militare, si occupasse e si preoccupasse di creare in Libia un sistema sociale stabile, che possa garantire la forniture di materie prime, ma anche un rapporto di amicizia. Temo, ma vorrei essere smentito – e concludo – che l’interesse di alcuni Paesi europei, non certo l’Italia, in quel Paese sia solo per le materie prime, per il petrolio e per il gas. Spero di sbagliarmi, grazie.
ROBI RONZA:
Grazie Ministro Maroni. Ora un altro giro di interventi, cinque minuti, Blangiardo.
GIANCARLO BLANGIARDO:
Sì, qualche riflessione anche alla luce di quello che abbiamo sentito. L’immigrazione oggi in Italia, in un Paese di 60 milioni di abitanti, perché tanti siamo, conta per circa 5 milioni di persone; quindi ha una presenza molto importante. Ma soprattutto quello che va tenuto presente è la velocità con cui l’immigrazione è cresciuta in questi anni, e cioè a colpi di 400-500 mila unità in più ogni anno. Quindi abbiamo a che fare con un fenomeno che è in forte crescita. Come è stato detto più volte, un fenomeno di persone e come tale va gestito con molta attenzione. Quando si dice gestito con molta attenzione, io credo che sia importante non enfatizzare eccessivamente alcune cose, cioè vedere con realismo. Noi siamo abituati a sentirci dire, il film evocato poc’anzi, gli immigrati sono fondamentali, sono essenziali, non se ne può fare a meno e così via. Certo, sono estremamente importanti e funzionali, oltre a essere delle persone, però non dimentichiamo che non dobbiamo esagerare nel senso contrario, cioè ritenere che l’immigrazione sia la naturale soluzione ai nostri problemi. Vi faccio un esempio: i problemi demografici, la denatalità, i bambini che gli italiani non fanno; qualcuno teorizza: li fanno gli immigrati. Non è vero. È vero che le nascite da popolazione straniera sono salite a 78.000 l’ultimo anno, ma teniamo presente che c’è dietro una serie di evoluzioni, ricongiungimenti, quindi famiglie che erano state distaccate nel tempo e quindi chiaramente, quando poi si riuniscono, fanno il figlio; ma nelle grandi città il livello di fecondità della popolazione immigrata – dico Milano, Napoli, Palermo, Roma – è largamente inferiore al ricambio generazionale, i famosi due figli per donna. Non li fanno neanche gli immigrati a Milano. Magari li fanno a Mantova, cioè nella campagna del mantovano, del cremasco, ma nella grande città, con tutti i problemi della grande città, gli immigrati vivono gli stessi problemi degli italiani, anzi forse di più. Quindi prima cosa: non è la soluzione al problema demografico, l’immigrazione. Forse non è nemmeno la soluzione all’aspetto invecchiamento del problema demografico, perché gli immigrati, anche loro, prima o poi invecchiano, se rimangono sul territorio. Quando si dice che pagano le nostre pensioni, stanno versando i contributi all’INPS, non dimentichiamo che un giorno i contributi dovranno ritornare a persone che sono entrate ufficialmente nel mercato del lavoro in età abbastanza avanzata; quindi che hanno un sistema di contributi relativamente basso. Quindi nel conto, nel bilancio, mettiamo tutto: mettiamo gli elementi positivi, mettiamo la funzionalità, mettiamo l’importanza rispetto a certi lavori svolti – il caso delle badanti direi è il più eloquente di tutti – però quando facciamo i bilanci non trucchiamo i dati. Il contributo al PIL, non sono un economista, però fatico a ritenere che il contributo al PIL di persone che guadagnano mille euro al mese sia così alto, come qualcuno ci vuol far credere. L’esempio del bonus bebè: giustamente, se si va nelle graduatorie in base ai redditi, il bonus bebè viene assorbito in buona parte dalle famiglie straniere e, naturalmente, non sono la maggioranza delle famiglie. Quindi evidentemente c’è sotto un discorso di reddito; è chiaro che se il reddito è quello anche gli aspetti di, come dire, contabilità nazionale sono quello che sono. Allora diamo giustamente agli stranieri quel che gli spetta, prendiamo atto che si tratta di un fenomeno importante, si tratta di un fenomeno su cui lavorare, da valorizzare, di persone che vanno acquisite. Un altro tema di cui si discute molto è la cittadinanza: l’Italia, povero Paese, non concede la cittadinanza agli stranieri, perché sono solo 50.000 coloro che hanno acquisito la cittadinanza. Poi vai a vedere le statistiche internazionali e scopri che in Francia sono 130.000, in Germania sono 90.000, nel Regno Unito sono 120.000; cioè non è che sono molto diversi. Poi dici: siccome ci vogliono dieci anni di residenza, dieci anni fa quanti erano i residenti in Italia? E non erano certamente i quattro milioni e mezzo di oggi. Quindi, anche qui, leggiamo correttamente i dati, perché nella prospettiva del futuro (abbiamo fatto qualche conticino), a parità di legge, quindi senza cambiare le regole, i nuovi cittadini ogni anno saranno nell’ordine di 150.000. Quindi non sono quattro gatti, pari a quelli degli altri Paesi europei. Credo che quando si affronta un fenomeno come l’immigrazione, ci voglia molto realismo, sia nella dimensione del mio primo intervento, cioè attenzione a cosa c’è dietro l’angolo, per agire per tempo, sia nella valutazione di cosa c’è già al di qua del confine. L’immigrazione è una grossa potenzialità per questo Paese, che va seguita con molta attenzione, va sviluppato il discorso dell’integrazione e tutto ciò che in qualche modo è connesso. Le seconde generazioni: abbiamo un milione di minorenni presenti in Italia. Il futuro è quello, ed è un futuro che va gestito con molta attenzione, perché noi le banlieue non le abbiamo ancora avute, perché avevamo ancora dei ragazzini; fra quattro, cinque, dieci anni, quando questi ragazzini non saranno più ragazzini, allora se non arriviamo per tempo con gli strumenti adeguati, rischiamo di avere le stesse difficoltà che hanno avuto gli altri Paesi di immigrazione.
ROBI RONZA:
Grazie Professor Blangiardo. Ora la parola al Sindaco Emiliano.
MICHELE EMILIANO:
Ovviamente si potrebbero toccare mille argomenti, proviamo ad affrontare la questione sotto il profilo ingegneristico, cioè constatando innanzitutto che si tratta di un flusso e come è noto, quando la fonte di un flusso è in perenne attività, occorre gestire con due possibili meccanismi il flusso che rischia di interferire in un contesto che è quello della nostra vita nazionale. Il primo è il sistema della diga, che è quello che stiamo adoperando, che è un sistema che ovviamente nel breve e medio periodo ci da dei time out, delle pause, che potrebbero essere utili per riflettere. Noi onestamente non le adoperiamo bene per riflettere su che cosa succede. Quando ci sono delle condizioni particolari e si verificano sempre queste condizioni particolari, ciclicamente noi costatiamo che il sistema della diga non funziona, perché c’è una guerra, perché c’è una carestia, perché c’è un particolare momento di emergenza. E ovviamente insisto col dire che, ogni volta che si costruisce una diga in materia criminale, si ha l’effetto del costruire un mercato riservato ad una organizzazione criminale che organizza, immediatamente ed automaticamente, un racket e che quindi spinge sulla creazione dell’immigrazione clandestina, perché quello è il suo business e le possibilità di fare, di contenere questo meccanismo non sono molte. Dunque rimane l’altro sistema per gestire i flussi, che è quello di costruire delle reti, una rete, se fosse acqua potrebbero essere dei canali, per consentire il normale deflusso a regime. Noi dobbiamo cercare un meccanismo che constati il flusso migratorio, che lo legga all’interno della globalizzazione economica, che lo porti a regime. Ecco perché sono importanti i viaggi del Ministro dell’Interno all’estero. Sono importanti perché quegli interventi sono interventi che cercano un meccanismo che mandi il sistema a regime, ma, il sistema a regime, secondo il mio punto di vista, non può fondarsi sul reato di immigrazione clandestina e soprattutto su un meccanismo, diciamo la verità, totalmente ipocrita, nel quale in teoria l’immigrato può entrate nel nostro Paese se ha già un orientamento per l’abitazione e per il lavoro. Capisco che questo è un sistema che tende a costruire una rete di certezze anche per il Ministero degli Interni, che altrimenti diventerebbe matto a giocare a guardia e ladri con persone che dicono di essere sul nostro territorio per cercare una sistemazione. Però voglio anche dire che questo sistema, che è il perno della legge Bossi-Fini, è un sistema cha alimenta ulteriormente il racket, perché il racket non consiste più solo nell’ingresso clandestino ma anche nel meccanismo di collocazione del soggetto all’interno di una comunità che già è insediata nel nostro Paese e che spesso e volentieri, come posso dire, consente a questo particolare pezzo del mercato del lavoro, di essere gestito in maniera e secondo regole completamente diverse da quelle uguali per tutti.
Per esempio, gli immigrati che vengono dalla Cina Popolare, con moltissime situazioni, vengono poi gestiti in un circuito dove la casa ed il lavoro vengono effettivamente trovati, ma, il mistero che circonda le condizioni di vita di queste persone, l’effettività della loro attività è un mistero fittissimo e complesso per la nostra polizia, esattamente come i loro dialetti o come la loro scrittura. E’ evidente che, se invece noi avessimo l’atteggiamento di coloro che vogliono investire su questa opportunità, senza, come giustamente si diceva prima, considerare che l’immigrazione sia l’unica soluzione al caso italiano – perché il caso italiano è grave ed una soluzione la deve trovare, questo però è oggetto di un altro convegno – è evidente che la circolazione delle persone sul territorio potrebbe essere una grande opportunità. Vi faccio l’esempio della mia città: noi ospitiamo da molti anni, dopo un intuizione di Aldo Moro straordinaria, lo I.A.M., che è l’Istituto Agronomico del Mediterraneo. E’ un istituzione dell’ONU, che forma le classi dirigenti in agricoltura di tutti i Paesi del Mediterraneo. Con questo sistema la città di Bari ha relazioni internazionali con praticamente tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo ed ha, diciamo, possibilità di scambi commerciali, industriali in Paesi che debbono ricostruirsi totalmente o addirittura in qualche caso costruire le infrastrutture fondamentali, che sono amichevoli per definizione. Inoltre, questo rapporto amichevole non è stato costruito, ripeto, nel corso di un bombardamento o fornendo delle armi o mandando gli istruttori militari, come hanno fatto inglesi, francesi e forse anche americani, per sostenere i ribelli in Libia ma è stato costruito nel creare legami tra le persone, legami che hanno scavalcato il mare e che consentono ad una cittadina, tutto sommato piccola ed abbastanza insignificante, di avere un ruolo nella politica estera del nostro Paese di eccezionale importanza, grazie ad un investimento fatto cinquanta anni fa, che ci consente di formare, di avere una partecipazione nella vita di questi Paesi. Noi avremmo bisogno di piccoli gesti quotidiani, inseriti in una strategia complessiva, che tendano a costruire nel tempo, senza fretta, la rete per gestire questo flusso, in modo tale che si innervi nella nostra storia, nella nostra vita quotidiana senza eccessivi impatti. Il che non significa affatto, da domani mattina, fare la rivoluzione delle politiche dell’immigrazione, ma considerare che le dighe che stiamo elevando, prima o poi, si schianteranno sotto il peso della nostra debolezza, in qualche caso anche demografica, o addirittura di eventi internazionali che oggi non siamo in grado di prevedere, ma che sicuramente accadranno. Grazie.
ROBI RONZA:
Grazie sindaco, mi sembra che il nostro incontro sia veramente interessante, perché sono veramente culture diverse che si confrontano in maniere competente, cosa che non accade spesso. La parola di nuovo al Ministro Maroni.
ROBERTO MARONI:
Grazie. Ho capito che il sindaco Emiliano vuole mandarmi in Africa, non gli darò questa soddisfazione, anche perché c’è già qualcuno del suo partito che ha detto che sarebbe andato in Africa. Sì, ma scherzo!
MICHELE EMILIANO:
Io avrei altri progetti su di te Roberto, anche di maggiore responsabilità, ma credo che ti farei un danno se ne parlassi.
ROBERTO MARONI:
Io ci andrò, ci sono stato diverse volte come ho detto, ci sono delle cose straordinarie da vedere, il deserto libico per esempio, pieno di suggestioni, Leptis Magna, le rovine romane, sono posti fantastici, che speriamo vengano preservati e non succeda loro quello che è successo alle sculture in Afghanistan. La mia preoccupazione adesso non è tanto capire che cosa potrà succedere nei prossimi cento anni sul fronte dei flussi migratori della demografia, ma nei prossimi sei mesi. E so che da Ministro dell’Interno – non perché io preveda le elezioni nel 2012, ho detto sei mesi ma potrei dire sei più dodici più altri sei – che nei prossimi mesi potrebbe succedere una nuova rivoluzione, una contro rivoluzione, una restaurazione in quei Paesi che adesso sotto osservazione. Ho parlato della Tunisia, è il Paese più vicino a noi, Lampedusa è più vicina alle coste tunisine di quanto non lo sia alle coste della Sicilia. Lampedusa non è Lampedusa, Lampedusa è Unione europea, è Svezia, è Norvegia, sono i 27 Paesi. E’ questo che l’Europa non capisce, è questo che l’Europa non capisce. La Tunisia quindi, primo focus: in Tunisia ci sono le elezioni il 23 di ottobre, si presume che parteciperanno 80 partiti alle elezioni, probabilmente nascerà un governo di grande coalizione o di piccola coalizione, ma comunque di coalizione ed i governi di coalizione hanno come caratteristica quello di essere molto deboli sul piano della governabilità.
Secondo punto. La stagione turistica in Tunisia è un disastro, le grandi compagnie di crociera europea hanno escluso la Tunisia, per i sommovimenti che ci sono, dalle rotte. Mi aspetto quindi, che ad esito di una stagione turistica drammatica e visto che la Tunisia vive di turismo, con un governo debole possa riprendere, mi auguro di no naturalmente, un flusso massiccio di disperati in cerca di una vita migliore. Noi ci siamo attrezzati della serie
“ne bis in idem”, abbiamo provato una volta, quello che è successo a febbraio-marzo a Lampedusa non succederà, non dovrà più succedere un’emergenza del genere, ci siamo attrezzati ma bisogna che qualcuno intervenga in Tunisia, e non può essere il Ministro dell’Interno, per fare in modo che si stabilizzi la situazione democratica istituzionale e politica. Lo stesso in Libia, cento tribù, che cosa succederà? L’Egitto è più lontano, ma in Egitto, anche lì ci saranno le elezioni e c’è il punto interrogativo. Noi abbiamo accordi con tutti questi Paesi, io voglio rassicurare che siamo attrezzati per gestire, in condizioni di stabilità istituzionale in quei Paesi, per gestire al meglio i fenomeni migratori, filtrando, fermando, prevenendo, riportando ed anche respingendo, quando serve, ma favorendo flussi di immigrazione, come li ha definiti Robi Ronza, immigrazione autorizzata, immigrazione gestita, che possa portare vantaggi anche al nostro PIL ed alla nostra società, ma che abbia delle regole. Questo è importante, la gestione deve avere delle regole, possono non piacere ai troppo generosi, bene, ma le regole sono importanti per filtrare, perché altrimenti il rischio è che succeda anche in Italia quello che è successo in Francia con le Banlieue, vi ricordate, qualche anno fa, quello che è successo a Londra questa estate: mancanza di regole, accoglienza libera per tutti e soprattutto mancanza di piani di integrazione vera. Noi abbiamo le regole, abbiamo i piani di integrazione ed abbiamo anche gli strumenti per prevenire, quello che ci serve, quello che serve è la stabilità istituzionale in quei Paesi. Quando io ho fatto l’accordo con il Ministro dell’Interno tunisino, il 5 di aprile, ed i tunisini sono cominciati ad arrivare a febbraio, non è che siamo stati lì, a febbraio-marzo, a pensare oddio cosa facciamo? Io sono andato quattro volte in Tunisia, ho fatto, ho incontrato fino all’ultimo, ho incontrato ed ho discusso del fenomeno in tre settimane con tre Ministri dell’Interno diversi: trattavo con il Ministro dell’Interno, tornavo giù per fare l’accordo ed il Ministro era cambiato, mi toccava ricominciare daccapo, fino a che, all’inizio di aprile si è stabilizzato il Governo transitorio. Anche in Tunisia non c’è nulla di più stabile delle cose transitorie, come in Italia evidentemente, e l’accordo è stato fatto e funziona. Per poter fare una gestione efficace di questi fenomeni migratori, occorre la stabilità istituzionale in quei Paesi e come ho detto prima e lo ripeto, occorre che nascano Governi che non siano ostili all’Occidente. Non è una questione di religione, è una questione di rapporti di buon vicinato e in questo l’Europa ha un ruolo fondamentale ed io non mi stancherò mai di stimolare l’intervento dell’Unione europea, che è ancora troppo debole ed ancora troppo poco efficace. Io concludo e vi ringrazio, vorrei concludere prenotandomi già per il prossimo anno, per parlare di un’altra delle eccellenze dell’Italia che è la lotta alla criminalità organizzata, gli straordinari successi che abbiamo ottenuto e che stiamo ottenendo contro la mafia e contro le organizzazioni criminali e questo vi fa pensare, vi fa capire che nelle nostre previsioni questo Governo durerà anche il prossimo anno, fino alla scadenza naturale della legislatura. Grazie.
ROBI RONZA:
Grazie Ministro Maroni, prendiamo nota della sua prenotazione e poi, siccome siamo tutte e due ex allievi dello stesso liceo classico di Varese, mi compiaccio per il suo brocardo latino. Grazie, buona continuazione. Oggi pomeriggio alle 17.00 si parlerà di nuovo di nord-Africa con l’incontro con il Ministro Frattini: “La sfida del Nord-Africa: conciliare stabilità e diritti”. C’è già stato un incontro importante ad altissimo livello con personalità egiziane, vedete che il tema lo stiamo affrontando, direi, adeguatamente. Buona continuazione.
(Trascrizione non rivista dai relatori)