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SENSO RELIGIOSO, ALLA RADICE DELL’UNIVERSITÀ
Senso religioso: alla radice dell'università
22/08/2011 ore 11.15 Partecipano: John Garvey, President of The Catholic University of America; Moshe Kaveh, President of Bar-Ilan University, Israel; Lorenzo Ornaghi, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Introduce Joseph H. H. Weiler, Director Straus Institute for the Advanced Study of Law & Justice and Co-Director Tikvah Centre for Law & Jewish Civilization at the New York University.
Partecipano: John Garvey, President of The Catholic University of America; Moshe Kaveh, President of Bar-Ilan University, Israel; Lorenzo Ornaghi, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Introduce Joseph H. H. Weiler, Director Straus Institute for the Advanced Study of Law & Justice and Co-Director Tikvah Centre for Law & Jewish Civilization at the New York University.
JOSEPH H. H. WEILER:
Buongiorno a tutti, mi chiamo Joseph Weiler, e sarò il moderatore oggi. Come mia abitudine chiedo scusa per il mio italiano un po’ stentato, però penso che sia meglio il mio italiano stentato della traduzione. Giussani sempre parlava della sfida educativa, la sfida che consideriamo oggi è una sfida educativa particolare, quella di prendere l’università con l’identità religiosa e chiedere cosa significa chiedere, nel mondo che è più e più secolarizzato, di mantenere questa identità religiosa, pur essendo fedeli alla missione universitaria, alla scienza, all’inserimento dell’università nella vita sociale e culturale del Paese, della nazione, nel mondo. Di sicuro c’è una sfida, di sicuro non è una cosa semplice e di sicuro non c’è una risposta singola: dipende molto dal contesto culturale e nazionale dove si trovano queste università. Oggi abbiamo tre personaggi, e veramente non potevamo sperare di meglio per discutere e affrontare questa tematica: il primo è il professor John Garvey, presidente della Catholic University of America, il secondo è il professor Moshe Kaveh, presidente della Bar-llan University in Israele, l’università con l’identità ebrea esplicita nel mondo universitario israeliano, e – in inglese si dice last but not least – il nostro Lorenzo Ornaghi, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Non siamo alle partite di calcio, mi raccomando. Abbiamo deciso di cambiare un pochino il formato, spero che funzionerà. Invece di dare a ognuno di questi ospiti i soliti venti minuti per parlare, loro erano d’accordo, faranno conversazione con me e fra di loro e risponderanno ad alcune domande. Così vediamo, è un po’ aperta la discussione, vediamo dove arriviamo alla fine. E vorrei porre la prima domanda al professor John Garvey. Professor Garvey, innanzitutto vorrei chiederle di dirci un pochino cosa significa quando parliamo dell’Università Cattolica d’America. Una persona, un uomo, più in particolare immaginiamo uno studente, che deve decidere tra due università a Washington, facciamo un esempio, la George Mason e la Catholic University of America. Immaginiamo anche che questo studente sia un cattolico praticante, come farebbe lei per cercare di convincerlo a scegliere la Catholic University of America per la sua carriera universitaria?
JOHN GARVEY:
Sarò breve. La differenza maggiore tra la Catholic University of America e la George Mason sta nel fatto che la Catholic University of America è completamente cattolica, mentre la George Mason, sulla base della Costituzione degli Stati Uniti, è secolare. Quando dico completamente cattolica, intendo due cose: innanzitutto, quelli che sono i suoi obiettivi accademici, nella storia, nella letteratura, in giurisprudenza, in economia, nelle scienze, nell’ingegneria, subiscono l’influenza della tradizione intellettuale cattolica; in secondo luogo vogliamo che i nostri studenti crescano nella saggezza e nella virtù. Quindi nei nostri programmi ci dedichiamo anche allo sviluppo spirituale dei nostri studenti.
JOSEPH H. H. WEILER:
Presidente Garvey, mi dica una cosa circa l’ essere completamente cattolica. Immaginiamo che uno studente non sia un cattolico praticante, magari che sia addirittura ateo, oppure un protestante praticante, oppure un ebreo praticante come me. Questo studente si sentirebbe fuori luogo nella Catholic University of America? Avrebbe un buon motivo comunque per frequentare la sua università?
JOHN GARVEY:
Non credo che gli studenti che non hanno un credo o comunque che hanno un altro credo, si sentano a disagio, che sentano l’obbligo di fare qualcosa che per loro è inaccettabile o difficile. Secondo me il fascino, l’attrazione nei confronti degli studenti, permette agli studenti di mantenere le proprie radici e la propria tradizione. Secondo l’istituto superiore di ricerca sull’istruzione superiore, che studia questi argomenti, gli studenti cattolici e i college e le università cattoliche negli Stati Univi hanno una proporzione più alta di studenti musulmani delle università statali non cattoliche. Vi faccio un esempio. Nella nostra università, il numero di studenti musulmani è più che raddoppiato negli ultimi anni, siamo passati da quaranta a più di cento. Il motivo è che gli studenti che osservano restrizioni alimentari, che devono vestire in maniera particolare o pregare durante la giornata, non si sentono fuori luogo in una scuola in cui molti studenti vanno a messa tutti i giorni e in cui ci sono anche ministri religiosi che vivono nell’università. E si sentono anche a loro agio col fatto che ci sia una divisione tra uomini e donne nella nostra università. Per quanto riguarda gli studi, il fatto che siano interessati o meno, dipende dall’attrazione della tradizione intellettuale cattolica e anche dal contenuto dei corsi.
JOSEPH H. H. WEILER:
Un’altra domanda, Garvey, in questo primo giro: qual è la percentuale di studenti cattolici nella sua università e qual è la percentuale di professori cattolici?
JOHN GARVEY:
Nel primo corso c’è una percentuale dell’85% di studenti cattolici, nella seconda metà della popolazione studentesca abbiamo una percentuale del 60%. Per quanto riguarda i docenti, il numero dei cattolici, su una carriera di 10 anni, è del 55-60%.
JOSEPH H. H. WEILER:
Grazie professor Garvey. Sentiamo il professor Kaveh, a cui vorrei fare esattamente la stessa domanda. Innanzitutto può dire al pubblico qual è la differenza tra la Bar-llan e le altre università israeliane? E poi può rispondere alla stessa domanda, cioè uno studente ebreo che deve scegliere di andare alla Bar-llan piuttosto che all’università di Tel Aviv, perché dovrebbe preferire la Bar-Ilan?
MOSHE KAVEH:
Grazie professor Weiler. Sono lieto innanzitutto dei essere qui. La Bar-llan è stata fondata 56 anni fa. È bello essere giovani da un canto, evitando di ripetere errori di altre università, d’altro canto però siamo nati in una nuova era della nostra società. Lo slogan dell’università, il logo, è la Bibbia da una parte e il microscopio dall’altra. Questo per far capire a tutti gli studenti che è possibile ottenere una conoscenza profonda tramite lo studio, che ci permette appunto di raggiungere la saggezza che risale a migliaia di anni fa e che questa può essere associata alla scienza moderna, senza dover abbandonare per questo l’eccellenza in tutti i settori della scienza. La distribuzione degli studenti nel corso di questi 56 anni e negli ultimi 15 anni, nei quali sono stato Rettore – ieri ero studente di fisica oggi sono Rettore -, la mia esperienza mi ha permesso di capire qual è il cambiamento delle generazioni e che le generazioni che cambiano, cambiano anche l’atteggiamento a seconda delle epoche. L’università obbligatoria, che è diversa dalle altre sei università che si occupano di ricerca, fa sì che ogni studente possa scegliere tra 47 facoltà diverse, possa imparare una professione, avviare una carriera di ricercatore. E nel corso di 56 anni abbiamo costruito il più ampio bacino di corsi di filosofia ebraica, abbiamo 2000 corsi che sono accessibili a tutti gli studenti. E la risposta alla sua domanda è che uno studente non praticante può scegliere di mettere a confronto la sua identità in via di sviluppo e la può mettere a confronto con la sua tradizione che sia o meno ebraica. E voglio aggiungere che gli studenti amano e seguono di solito il 25% dei corsi che sono offerti. Non chiediamo a uno studente se sia religioso o meno e non lo accettiamo in base a questo. Circa il 60% degli studenti hanno frequentato scuole superiori laiche e circa 40% hanno frequentato scuole religiose. Si incontrano per la prima volta nei nostri corsi, aprono un dialogo e imparano che la cosa più importante nella vita, quella cosa che cerca di insegnare veramente l’università, è il rispetto della dignità degli altri, anche se la loro opinione è diversa. Secondo noi, nell’università la tolleranza può creare una società migliore. Vorremmo che questa saggezza che gli studenti imparano nell’università e nella loro vita professionale, possa essere utile anche per gli altri e non solo per gli studenti. E siamo molto felici che ci siano molti dei nostri studenti che hanno avuto grandi successi nella vita: abbiamo avuto primi ministri, giudici, economisti, uomini d’affari. Queste persone sanno associare l’etica, che è alla base della loro esperienza universitaria, con la vita quotidiana. Abbiamo due college in università, ogni college è composto da 3000-4000 studenti, il 50% dei quali sono non ebraici, il 50% invece ebrei. I non ebrei seguono il 25% dei corsi nella propria tradizione e si sono iscritti ad altri corsi per capire quali sono le analogie tra le tre religioni monoteiste e per utilizzarle per aiutare tutti gli esseri umani, in quanto ogni persona è nata ad immagine di Dio e quindi merita di essere aiutata.
JOSEPH H. H. WEILER:
Volevo chiedere un chiarimento: ogni studente che si iscrive all’università deve avere studiato nei propri corsi precedenti materie ebraiche almeno per il 25%?
MOSHE KAVEH:
Sì, deve avere un contenuto ebraico se lo studente è ebreo. Se non è ebreo può seguire il 25% dei corsi che sono collegati alla sua religione. Alcuni di loro naturalmente seguono corsi di entrambe le nature, di entrambi i tipi; quindi, la differenza fra la mia università è che non ci si può laureare senza aver seguito per il 25% corsi di tipo accademico. Un’altra cosa: questi corsi sono corsi di livello accademico, nella nostra università diciamo che non bisogna predicare, bisogna insegnare: don’t preach, teach.
JOSEPH H. H. WEILER:
A Milano, uno studente cattolico praticante che va alla Messa, perché dovrebbe scegliere la Cattolica e non la Statale?
LORENZO ORNAGHI:
L’esperienza italiana è un po’ piccola rispetto al mondo, ma può essere significativa. Se il Professor Weiler, che ha molto ben preparato questo incontro, e lo ringrazio, me lo consente, farei una piccola premessa prima di rispondere direttamente alla domanda e la premessa è la seguente. Prima di entrare, il professor Weiler che appunto aveva già indicato le domande, dice: ma può aver senso questo incontro e qual è il senso rispetto ai giovani che sono qui presenti e cioè rispetto a voi? Io non ho risposto al professor Weiler ma pensavo nella mia testa quale potesse essere la risposta. La risposta può essere sicuramente molto utile, perché è un incontro non conformistico, non rituale. Non è conformistico e non è rituale, perché credo che per la prima volta metta al centro la seguente domanda: che cosa significa oggi essere una università cattolica, una università ebraica, una università che, come dice il titolo del nostro incontro, ha come sua radice principale il senso religioso? Ecco, io credo che occorra partire da qui, questa è la mia premessa breve, poi rispondo alla domanda. Occorre partire da qui, perché gli anni o i secoli ci hanno un po’ disabituati a chiederci qual è il senso religioso che sta alla radice di una università cattolica. Ecco, che cosa significa essere una università completamente cattolica? Allora nel percorso storico che mi facevo, il momento in cui una università viene fondata come cattolica o come ebraica, è probabilmente un momento difficile ma facile. Pensiamo a quando viene fondata l’università da parte del cardinale Newman di Dublino: è relativamente facile, ma è anche relativamente facile per padre Gemelli fondare la cattolica; è relativamente facile perché si è in un ambiente per molti aspetti o antagonista o ostile e quindi la realizzazione di una università completamente cattolica è relativamente più semplice, sottolineo il relativamente; ma oggi, in cui è persino difficile cogliere tutti gli aspetti di ostilità rispetto al cattolicesimo, l’impresa è per molti aspetti molto più complessa che non la fondazione. Quindi la prosecuzione è più difficile, più complessa, è più complicata che non la fondazione, perché appunto mette in gioco un significativo paradosso delle università cattoliche oggi, ma potremmo dire di tutte le università che hanno il senso religioso alla loro radice. E il paradosso qual è? In quanto hanno una radice, la radice del senso religioso, sono costrette ad andare controcorrente, perché il mondo secolarizzato o comunque il mondo in cui viviamo magari non è ostile o sembra non ostile, però tende, se non a emarginare, a svuotare o a dare poco rilievo al senso religioso. Quindi le università, oggi si dice di tendenza, sono costrette ad andare controcorrente e però, ecco il punto importante, l’essere controcorrente oggi è fondamentale per svolgere fino in fondo il ruolo di università, senza aggettivi. Le università cattoliche o le università di tendenza sono quelle più vicine al modello originario di università, quello in cui appunto c’era attività di ricerca, elaborazione di pensiero, creazione di una cultura che sulla base di una tradizione innovava e rispondeva alle sfide dei tempi e c’era su quello la formazione, ricerca e formazione. Allora, ecco, sono quasi alla fine della premessa, il completamente cattolica diventa non così facile. Se dovessi essere molto onesto qui e dire, guardando l’Università Cattolica del Sacro Cuore, è completamente cattolica – la risposta poi fino in fondo la darei al mio confessore -, qualche dubbio l’avrei sul completamente cattolica, non rispetto all’ortodossia, ma al completamente cattolica. Questo è un altro dato su cui richiamare la vostra attenzione: altro è se un’università resta su piccoli numeri, altro se è un’università di grandi numeri. Allora, di che cosa oggi ha bisogno un’università di tendenza? Ha bisogno di essere su grandi numeri, come l’Università Cattolica del Sacro Cuore, quindi quasi inevitabilmente porta in sé anche il microcosmo della società che corregge o riporta alla virtù rispetto ai vizi delle società. Altra cosa, invece, è se è una piccola università. Quindi il dato quantitativo è altrettanto rilevante del dato qualitativo. Allora, e rispondo finalmente alla domanda: per quale ragione un giovane che si chiede dove vado a fare i miei studi, studi che continuiamo a considerare importanti, quelli universitari, perché dovrebbe andare in Cattolica? Allora, con un po’ di idealismo, ma non tanto idealismo, direi così: una università cattolica, una università oggi di tendenza, la specifica nostra università cattolica, intende proprio per quel paradosso, cioè sono costretto ad andare controcorrente ma devo farlo perché questa è la mia funzione rispetto alla società, è una università che certamente si pone il problema di dove andranno i suoi laureati a lavorare. Certamente deve anche porsi il problema di come li sta educando, al di là della loro formazione professionale; porsi la domanda, come li sto educando, significa dire dove sta la forza mia di università come comunità. Ecco, la risposta che io darei a chi non sa in quale università andare è: cerca di venire in Cattolica, prova prima, prova l’esperienza di venire qualche giorno per vedere che quella è una comunità e non solo una comunità fra coloro che in quel momento ci sono, ma è una comunità rispetto a chi c’è stato prima, rispetto a chi verrà dopo, per cui la forma di quella comunità dipende anche da te. Ecco, su questo profilo sottolineerei molto il dato – conoscendo tutti i limiti che molti dei presenti conoscono, sia dei docenti sia di altre strutture – del, direi, “sperimenta”. Quest’anno lo slogan che noi abbiamo dato per le immatricolazioni è appunto questo: the genuine experience, una esperienza genuina.
JOSEPH H. H. WEILER:
Vorrei porre la prossima domanda al professor Garvey e al professor Ornaghi. Voi avete sentito il professor Kaveh e sembra che l’impostazione della sua università sia molto audace, perché impongono allo studente ben il 25% di quello che deve studiare: si fa la fisica, si fa la giurisprudenza, si fa lettere, ma ben il 25% deve essere di materie della civilizzazione ebrea. Da voi c’è qualcosa di simile e cosa pensate di questa impostazione della università di Bar-Ilan?
JOHN GARVEY:
Bene, credo che sarebbe opportuno conoscere maggiormente i dettagli di questi corsi relativi alla civiltà e alla civilizzazione ebraica, ma vorrei comunque fare una osservazione: c’è una tendenza, rispetto alla formazione universitaria, che porta a fare una divisione fra attività secolari e attività caratterizzate da una identità religiosa. Si potrebbe quindi dire che le scienze sociali, la medicina e la storia sono temi non religiosi, mentre ci sono altre materie che sono caratterizzate da una identità religiosa. Credo che questo crei a noi un problema, poiché ci porta a pensare che la religione è separata da tutto il resto delle cose che facciamo. Vorrei fare un esempio. Pensiamo allo studio della storia: gli storici hanno dei punti di vista così come tutti noi li abbiamo e quindi ci sono storici marxisti, che pensano che la storia sia influenzata da forze materialistiche; ci sono altri storici invece che hanno visioni più utopistiche o comunque diverse della storia stessa e del suo svolgersi. Ci sono poi storici del femminismo, che rivedono la storia con questa visione del mondo, sono storici che cercano di risollevare quelli che considerano punti di vista femminili, che sono stati negati in passato e quindi cercano di rivalutare quelle figure femminili che nel corso della storia sono state completamente trascurate. Nel XX secolo, in Francia, c’è stata proprio una scuola nello specifico che ha visto molti esponenti di spicco, come anche Claudel e lo scopo di questa scuola di pensiero era proprio quello di mettere l’accento sui temi sociali e non politici, quindi più sulle strutture che sugli eventi. Credo invece che gli storici, con un punto di vista religioso, partano da idee che sono diverse ma non diverse diciamo per la loro natura, rispetto a quelle degli storici femministi, marxisti o con altri punti di vista e lo stesso vale per lo studio della sessuologia, della storia, della psicologia, dell’economia, dell’arte. Quindi, all’università cattolica d’America, ad esempio, spero che i corsi di studio in queste materie possano essere diversi in un certo qual modo rispetto alle stesse materie insegnate nelle università secolari. Ovviamente ci sarebbero parti simili rispetto alle metodologie statistiche utilizzate in sociologia o in economia. Ma gli storici, presso il nostro ateneo, hanno un interesse particolare rispetto al ruolo svolto dalla religione, dalle idee religiose nella storia, nelle istituzioni. Anche qui vorrei fare qualche esempio. Il responsabile della facoltà è un ebreo e ha proprio pubblicato di recente un libro intitolato Il capitalismo e gli ebrei (Capitalism and the Jewish). Invece, di recente, un altro professore del nostro ateneo di storia ha scritto un testo sul senso religioso nel Medioevo e sta approfondendo il tema del rapporto tra Cattolicesimo e contraccezione. Quindi vedete che tutto questo, tutto il lavoro che stanno svolgendo, in un certo senso cerca di indagare il ruolo svolto dal senso religioso e dall’identità religiosa. Forse le loro idee religiose avranno anche un impatto sulle valutazioni che traggono rispetto a questi loro studi, a queste riflessioni. Sicuramente è vero che in università cattolica d’America ci sono corsi di teologia e filosofia che in un certo qual modo gli studenti devono seguire e quindi potremmo classificare queste materie alla voce “argomenti religiosi”, ma facendo un passo avanti spero si possa superare questa classificazione delle materie religiose e non religiose, perché in realtà c’è molta più commistione.
JOSEPH H. H. WEILER:
Se capisco la tua impostazione, tu dici che non è necessario fare quella divisione che fanno a Bar-llan, venticinque per cento studi della tradizione ebraica, perché la maniera in cui lo storico cristiano, lo storico religioso, il filosofo religioso insegnano la filosofia, la storia, lettere, eccetera, avrà già un interesse, un contenuto, una impostazione influenzata. Però, e lo dico delicatamente, questo può creare un altro problema, perché se tu vuoi che la tua università sia veramente cattolica in questo senso, o religiosa in questo senso, non è necessario che la maggior parte dei docenti siano religiosi e che nella scelta del docente ci sia un esame religioso. Ora traduco io in inglese per professor Garvey.
JOHN GARVEY:
Ottima domanda. Beh, la creazione del corpo docente è basata su valori e prospettive particolari e questo appunto rischia di creare un esame di religione per i professori della nostra facoltà. Beh, in un certo senso questo è vero. Papa Wojtyla ha scritto un’enciclica nella quale parlava della natura delle università cattoliche e del significato del cattolicesimo per queste università. Negli Stati Uniti, la Conferenza episcopale statunitense ha impiegato dieci anni per decidere come applicare questa enciclica alle università americane. Nell’applicazione di questa enciclica, secondo la conferenza episcopale, si è stabilito quanto segue. E cioè che la maggior parte del corpo docente di queste università cattoliche deve essere composta da cattolici che siano testimoni della fede. Voglio dire due cose su questa doppia prospettiva del problema. Tutti quelli che conoscono i sistemi che vengono utilizzati per l’assunzione dei docenti dell’università, sanno che ci sono questi metodi. Se una facoltà ha un approccio marxista, allora la facoltà assumerà dei professori che abbiano lo stesso punto di vista, se abbiamo una facoltà di storia con un’impostazione che si basa sull’analisi di stampa francese, ad esempio, farà lo stesso. E questo è interessante anche per gli utenti dell’istruzione superiore, cioè che ci siano delle università che rappresentino diverse prospettive. Gli studenti poi potranno scegliere quella che si confarrà loro di più. Se vogliamo creare veramente una cultura intellettuale cattolica, allora bisogna avere una massa critica dello stesso luogo, che si occupi degli stessi problemi dallo stesso punto di vista. Volevo aggiungere un’altra cosa. La seconda cosa che volevo dire è che è importante nel costruire questa cultura che nella facoltà, nel corpo docente, si crei un punto di vista che sia in un certo senso ideologico. Un’università cattolica non può essere un’università seria, però, se rappresenta soltanto il punto di vista cattolico, perché allora c’è un pericolo che tutti pensino uguale e nessuno metterà più in dubbio quella che è l’ortodossia prevalente. Se si vuole costruire un movimento cattolico interessante, allora occorre avere un numero di cattolici che lavorino sullo stesso problema da diversi punti di vista. Grazie.
JOSEPH H. H. WEILER:
Lei pensa che bisognerebbe avere una maggioranza di docenti che sono cattolici praticanti?
LORENZO ORNAGHI:
Dunque, la risposta è subito sì, però provo ad argomentarla meglio, perché la risposta è subito sì, bisognerebbe però argomentarla meglio, perché credo che la prima risposta del professor Garvey abbia indicato uno dei punti più rilevanti e giustamente se ne è richiesto l’approfondimento. Di nuovo pregherei di tenere sullo sfondo quel problema della dimensione a cui accennavo, quanto è grossa un’università, quindi quanti docenti ci sono e quanti studenti ci sono, perché alla stessa domanda di Weiler su che tipo di selezione dei docenti facciamo, altro è se si selezionano 30 docenti o 70, altro se 700 o 3000. Può sembrare una risposta un po’ prosaica, da bassa cucina, ma non lo è. Porto un attimo la questione all’indietro, ma arrivo a rispondere. Credo che proprio perché le università di tendenza, specifico, le università cattoliche siano in questo felice paradosso di dover andar controcorrente, siano anche il modello più rilevante di università, oggi. Per rispondere al quesito se dobbiamo avere una percentuale di insegnamenti cattolici o ebraici o musulmani oppure no, bisognerebbe tener conto di quale funzione noi intendiamo come principale per un’università di tendenza. Allora, provo a dire la mia opinione. Io credo che la funzione principale non sia soltanto la conservazione di quel senso religioso che ne costituisce la radice, ma credo che sia la promozione di quel senso religioso, sulla base della domanda e quindi poi dell’obiettivo: che cosa può fare un’università cattolica per rispondere alle questioni storiche del tempo presente? Quindi non è soltanto la conservazione del mio senso religioso, ma è, per dir così, la sua attualizzazione, far sì che quel senso religioso sia produttivo di eventi, di realtà nuove, se possibile migliori di quelle di oggi. Questa credo sia la domanda. E allora, per cercar di dare risposta a quella domanda, se mi fermo soltanto alle scienze, e quindi alla percentuale di insegnamenti cattolici o ideologici o di dottrina sociale o di bioetica, rispetto agli altri, prenderei in considerazione il fatto che le scienze, mettiamo dentro tutte le scienze, le scienze pesanti, le scienze umanistiche, tutte le scienze secondo la vecchia tipizzazione occidentale, hanno uno status che è in realtà diverso. In realtà diverso anche perché il mondo circostante è più portato ad attribuire utilità sociale alle scienze di cui vede subito i risultati. Un settore delle scienze mediche è ritenuto socialmente molto più utile della filosofia o del diritto. Un po’ scherzando, ma neanche tanto, dico che fa poco chi finanzia le ricerche, finanzierà molto più volentieri le ricerche di dietetica o di estetica, non nel senso della filosofia ma di bellezza e bruttezza di ciascuno di noi, di quanto non finanzi le ricerche di economia o di filosofia, perché l’utilità sociale di quei settori è ritenuta impropriamente più alta. E se noi abbiamo queste identità di università, sappiamo invece bene che per la costruzione del mondo di domani, gli studi umanistici, la filosofia o il diritto, sono almeno altrettanto importanti di quelle scienze di cui abbiamo subito il riscontro operativo e produttivo. E allora è qui che credo il rapporto fra il senso religioso, l’orientamento e la tendenza dell’università e gli ambiti disciplinari diventi importante. Quindi io credo che più che una quantificazione, cioè a fianco delle scienze ci sono gli insegnamenti teologici, di dottrina sociale e quant’altro, che pur hanno da esserci, sia molto importante quel primo punto che Garvey indicava, cioè dove quelle scienze, quindi la medicina, la fisica, la chimica, il diritto, eccetera, hanno, esprimono, risentono di un senso religioso. Questo credo sia importante, ma questo più che alla, perdonate la complessità della risposta, più che alla meccanicità di certi numeri o di certe discipline obbligatorie, eccetera, credo davvero dipenda da chi insegna, da chi fa ricerca e da chi insegna. Quindi ecco la seconda parte: come si seleziona, come si sceglie? E devo dire, dovrei un po’ arrendermi perché da noi in Cattolica i meccanismi sono diversi, chiedo scusa, sono molto simili a quelli di tutte le università statali. Quindi io credo che quello che l’università può ancora fare e credo che possa fare ancora molto per il futuro dell’Occidente, soprattutto adesso, in questa situazione di crisi permanente, dipenda molto da quel vecchio meccanismo che era la scelta da parte del maestro di colui che poi l’avrebbe sostituito. Io credo in questo senso di più alla responsabilità e anche alla manifestazione del proprio senso religioso da parte di chi sceglie, piuttosto che a meccanismi preordinati di selezione dei docenti, tipo appunto l’esame che veniva richiamato. Nel senso che si può benissimo, si deve in molti casi avere la verifica di alcuni aspetti, ma se la finalità, l’orientamento è quello che cercavo di indicare – abbiamo bisogno di ricercatori, di studiosi e di maestri che mostrino anche nelle scienze più esatte, nelle scienze apparentemente più lontane dalla nostra umanità che invece il senso religioso è dentro – credo che questo sia, come dire, un insegnamento che si trasmetta appunto da maestro ad allievo, per cui credo davvero che la cosa più importante sia un nucleo di grandi maestri, grandi docenti che sappiano poi fare emergere i grandi maestri e i grandi docenti del futuro. Ecco, sotto questo profilo, la risposta che Garvey dava è davvero importante e cioè abbiamo bisogno di testimoni della fede. Se laicizzo un po’ la sua risposta, la laicizzo perché Garvey è un giurista e quindi più preciso di quanto non lo possa fare un politologo, un political scientist: credo che abbia bisogno di testimoni della fede e abbiamo bisogno di leader. Cioè abbiamo bisogno sì di studiosi seri, di studiosi rigorosi, ma abbiamo anche bisogno di leader. Questo perché il senso religioso di un’università oggi non è nel chiudersi in se stessa ma nell’essere la più aperta e attiva nel mondo circostante, quindi la capacità di leadership in chi insegna è la possibilità di insegnare queste virtù credo non sia un aspetto di poco rilievo. Credo di aver risposto alla domanda.
JOSEPH H. H. WEILER:
Grazie Rettore. Allora vorrei porre una questione al professor Kaveh. Esser un’università con identità ebrea, essere un’università con identità cristiana, questo segue un pochino quello che ha detto il Rettore, non è solamente questione di materie, di imparare il Talmud, San Tommaso, eccetera. Perché l’identità ebrea e l’identità cristiana sono anche un modo di essere nel mondo, un modo di comportarsi, di capire il mondo, non solo in senso intellettuale ma in senso etico e morale e perciò su questo la risposta non può essere nel curriculum, nell’impostazione della materia. Allora la domanda è: come voi pensate di affrontare questo problema?
MOSHE KAVEH:
Prendiamo tutte le università su un tempo di mille anni. Prendiamo ad esempio il fatto che, nella fisica, i sistemi dinamici sono in continua mutazione, a meno che non ci sia un punto fisso. Il punto fisso della mia università è quello di mantenere il suo carattere, quello di avere esperti in qualsiasi aspetto del giudaismo, che troviamo in tutti i testi della filosofia ebraica e che hanno un’influenza su tutte le materie, la medicina, come la psicologia pur in modalità diverse. Quindi uno studente di medicina che comincia, si iscrive adesso, studierà naturalmente anche l’etica sulla base dell’ebraicità della medicina. Nella nostra università, abbiamo una cinquanta sessanta percento di attività basate su un approccio filosofico. Ogni studente che entra nella nostra filosofia, che entra in una delle nostre cinquanta, sessanta facoltà, impara la saggezza del suo settore e la possibilità di aiutare le persone e impara anche qual è il senso religioso, quello di aiutare i poveri, aiutare la società. Ci sono persone che si definiscono religiose, altre meno religiose ma tutti praticano la stessa vita. Nella vita reale aiutano le persone. Io sono fermamente convinto che non esista una separazione nella vita; la separazione porta all’estremismo, mentre la vita è un continuo. Se qualcuno si definisce religioso, beh teniamo in conto ad esempio che ci sono almeno dieci categorie di ebreo religioso, se qualcuno si definisce laico, beh allora ci sono almeno venti categorie di ebrei laici. E lo stesso mi hanno detto i miei studenti cristiani o musulmani. Quindi il primo dovere dell’università è quello di fornire una piattaforma che permetta a tutti di arricchire la propria spiritualità, senza sentirsi forzati; bensì permettendo agli studenti di scegliere quello che preferiscono, per poter compiere la transizione dal mondo accademico a una vita adulta. Ogni studente della mia università deve conoscere, studiare tutti i punti di vista, tutti i punti di vista della vita, altrimenti resterebbe ignorante e proprio conoscendo tutti i punti di vista, lo studente conoscerà anche il punto di vista ebraico e poi sceglierà qual è la strada migliore per lui o per lei nella vita. Quindi la mia università, in Israele, fornisce il più grande laboratorio di intersezione tra vita, tradizione ed eccellenza nelle scienze e queste non si scontrano le une con le altre. E come facciamo a garantire che ci sia questo continuo, questa continuità? Beh, circa il quaranta percento dei nostri professori, lo dico con orgoglio, sono stati nostri studenti e ora sono in tutti i campi della nostra società e se una persona è stata un bravo studente, può diventare un bravo docente, non abbiamo criteri restrittivi nella selezione dei nostri docenti. L’atteggiamento principale è quello di dare dignità a tutti i punti di vista; senza naturalmente rinunciare al proprio. E questo fa sì che i nostri professori possano avere un dialogo aperto. Naturalmente non ci va bene assolutamente che un professore di fisica o di chimica dica: questa è una formula, questa è un equazione perché me lo ha detto Dio; lo licenziamo se fa così. C’è l’obbiettività della scienza, alla quale si può aggiungere il proprio credo personale. E la saggezza dell’ università risiede in questo equilibrio delicato, che non dobbiamo mai sbilanciare. Grazie.
JOSEPH H. H. WEILER:
Vorrei aggiungere una domanda Professor Garvey. Il fatto di essere il Rettore dell’ università cattolica d’America, le pone problemi specifici rispetto alla libertà accademica e forse problemi che non avrebbe in università di stampo laico? Ad esempio, rispetto all’insegnamento della religione? Vorrei che facesse questa aggiunta alla domanda che ho posto in precedenza. Un’università cristiana non è solo un corpus di insegnamenti ma anche un modus vivendi. E in questo senso l’università può svolgere un ruolo per accompagnare gli studenti in questo modus vivendi, in questo stile di vita.
JOHN GARVEY:
Credo che si tratti di una splendida domanda, soprattutto per quanto riguarda il nostro approccio alle università cattoliche. E vorrei descrivere una differenza importante fra un università laica e una cattolica. L’università cattolica si caratterizza per credo particolari, non solo per quanto riguarda la teologia ma anche per le altre materie. D’altro lato, da un punto di vista cristiano, sarebbe un errore pensare che si arrivi poi a una verità. La verità in cui credono i cristiani cattolici riguarda il loro rapporto con Cristo e quindi non riguarda un insieme di dogmi. Quindi lascio da parte un attimo i precetti in cui tutti cristiani credono ma per questo stesso motivo, è molto importante anche per il concetto di università cattolica che si tenga conto della libertà accademica e che la si rispetti. Da un punto di vista cristiano, sarebbe presuntuoso e anche sbagliato pensare di essere giunti alla verità e di avere anche la capacità di descriverla. Questo è un punto importante da sottolineare, perché chi si trova all’esterno della comunità dell’istruzione superiore cattolica, potrebbe pensare che si cerchi di indottrinare gli studenti attraverso la trasmissione di precetti che si devono memorizzare. Quando invece in realtà si pongono interrogativi, si scambiano risposte e tutto questo è molto più simile a quello che avviene negli atenei di stampo laico o comunque non cattolici. Ma ovviamente lo sfondo è che comunque ci sia una verità a cui aspirare e che si ricerca di capire e di cogliere.
JOSEPH H. H. WEILER:
Segno che è stato un incontro interessante, è che all’improvviso è arrivato il tempo di concludere. Però, pazienza, prima di andarsene, vorrei dare l’ultima parola al Rettore su questa domanda: un’università cattolica, un’università cristiana non è soltanto sapienza ma anche modo di vivere. Qual è il ruolo dell’università, la sua università, nell’educare i vostri studenti a questo modo di vivere? A lei, Rettore, l’ultima parola.
LORENZO ORNAGHI:
Ecco, spero che sia l’ultima, non quella prima del licenziamento che mi può arrivare ma l’ultima nel senso che conclude, perché posso essere a rischio anche di licenziamento da noi. E’ forse la domanda più difficile questa, Weiler. Risponderei così, esprimendo con molta franchezza il mio pensiero agli studenti qui presenti, che stanno vivendo, loro stanno vivendo un’esperienza che non vivranno più, nel senso che stanno vivendo gli anni universitari. Certo poi vivranno quelli professionali, qualcuno resterà in università come docente, ma mediamente faranno qualcos’altro. Allora, qual è il senso oggi di un università e qualè il senso religioso delle università che sono università con quella radice? Io sottolineavo la mia convinzione che, come atenei, come università, siamo in un momento straordinariamente difficile ma anche straordinariamente bello, se usciamo dai conformismi tardo ottocenteschi e del novecento sugli atenei e ritorniamo a scoprire l’università come produttrice di grandi fatti della storia. Non dimentichiamo che le università medioevali e poi le università della prima età moderna ri-diffondono il diritto come forma per tenere assieme le società. Quindi non è il diritto della lite condominiale, certo c’è anche quello, ma è il diritto come forma mentis che tiene assieme la società. Dalle università nasce lo stato, dalle università nascono tutti quelli che hanno creato la cultura dell’occidente, nelle virtù di questa cultura e nei vizi di questa cultura. Allora che compiti hanno oggi le nostre università rispetto al futuro che ci attende? Questo è l’obbiettivo fondamentale. Rispetto ad esso, io credo che qualsiasi risposta di tipo meramente conservativo sia una risposta parziale. Che cosa intendo per risposta meramente conservativa? Quella che sulla base di ciò che gli atenei hanno dovuto essere dal tardo ’800 in poi, pensa che il compito sia soltanto la ricerca, sia soltanto la professionalizzazione. No il compito è l’educazione sulla base di una ricerca che prosegue. Bene, allora in questo caso, io credo, e arrivo alla risposta concreta: come cerchiamo di educare questi giovani?
Bisogna tener conto che il mondo in cui viviamo, la nostra società, è certamente fatta di ambiti distinti: la vita civile è distinta dall’ambito puramente politico così come può essere distinta dall’ambito spirituale, ma la distinzione non è la separazione: distinguo ma non separo. Io credo che l’insegnare dentro un’università cattolica sia mostrare che la necessità dell’integralità, dell’unitarietà della ricomposizione, sia la più importante ricomposizione di quelle separazioni che molto spesso sono anche dentro di noi. Separazioni che sono nel mondo dell’ economia, della società, della politica. Quindi credo che l’educazione sia, torno a quel che dicevo all’inizio, l’educare a vivere interamente la propria individualità, personalità, viverla dentro una comunità, che in quel momento è la comunità accademica, che comporta che cosa? Comporta una piccola virtù, certo una piccola virtù, ma che oggi è una virtù faticosa ed è una virtù faticosa perché oggi siamo nella situazione che Benedetto XVI giustamente chiama, quasi con eccessiva insistenza, quella del relativismo. Lo potremmo chiamare sociologicamente il politeismo dei valori, ma se tutti i valori sono uno eguale all’altro, lo sforzo della coerenza diventa quasi impossibile. Come faccio e tenerli tutti assieme? Come faccio a tenere tutti assieme le diverse contrastanti pretese dei diversi ambiti scientifici? Se servo tutto il politeismo dei valori, posso essere forse tranquillo con me stesso, ma credo di non essere produttivo rispetto al mondo che mi aspetta. Non sono creatore di eventi, sono conservativo, cioè sono conservativo di questa situazione. Allora credo che il metodo da seguire dentro questa comunità che educa sia quello che il fondatore dell’ università cattolica chiamava “l’entrare, l’agire soprannaturalmente nel cuore della realtà”. Cioè mettersi dentro il cuore della realtà, capirla per poi modificarla. Questo che cosa richiede? Richiede quella piccola virtù, ma straordinariamente faticosa, che è la coerenza, perché se non sono coerente dico ma faccio diversamente. Questo, però, significa davvero servire i tanti dei che hanno tenuto in piedi i faticosi equilibri dell’occidente, i tanti dei che l’hanno tenuto assieme in maniera un po’ precaria e quella precarietà la stiamo sperimentando in questi anni.
JOSEPH H. H. WEILER:
Grazie Rettore. Lo devo dire per me stesso: purtroppo dobbiamo finire. Vorrei ringraziare: Lorenzo Ornaghi, John Garvey, Moshe Kaveh. Mille grazie a tutti.
(Trascrizione non rivista dai relatori)