Chi siamo
FONDAZIONI PER UN MONDO CHE CAMBIA
Fondazioni per un mondo che cambia
Partecipano: John Samples, Director of the Center for Representative Government at the CATO Institute, Washington, D.C.; Joseph R. Wood, Senior President Fellow German Marshall Fund of the United States. Introduce Letizia Bardazzi, Fondazione per la Sussidiarietà.
LETIZIA BARDAZZI:
Buon pomeriggio. Vorrei darvi il benvenuto al quarto appuntamento di questa serie di seminari organizzati dalla Fondazione per la Sussidiarietà con il titolo Fondazioni per un mondo che cambia. Il ruolo dell’istruzione e del welfare. Questa serie si caratterizza per la partecipazione di ospiti molto importanti che provengono da altre fondazioni straniere e anche da fondazioni italiane, il primo tentativo qui al Meeting di Rimini di fare un confronto tra varie missioni, mission e tra vari obiettivi di varie fondazioni, soprattutto per quanto riguarda questi due argomenti principali, welfare, lo stato sociale e l’istruzione. Siamo onorati oggi pomeriggio di avere una discussione con il pubblico e questi ospiti così importanti che ci parleranno della loro esperienza. Hanno un curriculum, una carriera molto brillante e molto lunga e una grande esperienza. Vi presento il signor Joseph Wood e il signor John Samples, benvenuti al Meeting! Vi voglio dire qualche cosa, brevemente, su quello di cui si sono occupati di recente: il signor John Samples è il direttore del Centro per il Governo Rappresentativo del CATO Institute di Washington che è uno dei più, uno dei think tank più famosi degli Stati Uniti. Lo scopo del Cato Institute è aumentare la comprensione delle politiche pubbliche sulla base del principio dei limiti posti al governo dalla libertà individuale, dalla pace e dal mercato libero. Si occupa soprattutto di questioni che si riferiscono alla politica nazionale e il sistema elettorale ed è l’autore di diverse pubblicazioni, per esempio una pubblicazione che si occupa degli ultimi trent’anni di storia americana, dei presidenti americani e anche di altri volumi, è anche l’autore di un libro italiano, che ha scritto in collaborazione con Alberto Simone, giornalista italiano, che è stato pubblicato dalla casa editrice Lindau e si intitola La corsa più lunga. Si è occupato della campagna presidenziale del 2008; è anche un insegnante, un professore della Johns Hopkins University. Il signor Wood è il Senior President, quindi il presidente della German Marshall Fund degli Stati Uniti; dal 2005 fino a quando è passato a lavorare al German Marshall Fund è stato un collaboratore stretto di Cheney, del vicepresidente della precedente amministrazione, aveva la responsabilità di tutta la politica, di tutte le politiche che avevano a che fare con l’Europa, l’Asia, l’Africa. E’ stato un colonnello dell’aeronautica, ormai in pensione, e si è occupato dei rapporti della politica estera degli Stati Uniti, della libertà religiosa e della base, diciamo, religioso-filosofica delle decisioni politiche. Fra le sue pubblicazioni recenti ci sono articoli su questioni che riguardano, per esempio, il futuro della Nato e la politica spaziale europea e americana. Abbiamo deciso che per primo parlerà il signor Wood e ci parlerà di come si lavora sulle politiche pubbliche e poi il signor Samples si concentrerà di più su questioni interne, diciamo, quindi il livello più basso, diciamo, del governo, come funzionano le fondazioni che si occupano di beneficenza negli Stati Uniti.
JOSEPH R. WOOD:
Grazie, Letizia. E’ un piacere per me essere qua al Meeting e ci ho pensato per tanti anni, so che questo Meeting si svolge da tantissimo tempo, ne ho sentito parlare e sono molto lieto di essere qua. So che ci sono delle persone meravigliose, molte delle quali le conosco, che si occupano, appunto, di organizzare il Meeting. Vi posso dire che dopo alcuni giorni, penso che quello che rende il Meeting così famoso, è che si arriva in un posto così famoso, in un posto così grande e si incontrano decine di migliaia di persone che non hanno tutte per esempio lo stesso credo, la stessa credenza, però è palpabile il senso di quello che viene fatto qui, quindi è un’opportunità molto importante per me e sono lieto di avere l’opportunità di parlare in pubblico. Voglio ringraziare lo staff, tutti i volontari che hanno reso possibile questa mia partecipazione. Io li ho osservati, fanno un lavoro veramente meraviglioso e vi voglio ringraziare pubblicamente perché, veramente, vi ho tenuto d’occhio e ho visto come lavorate: siete un esempio di cosa vuol dire spendersi per gli altri, di essere gentili con gli altri. Voglio ringraziare quelli che mi hanno accompagnato. Quando si parla del fatto di investire dei fondi, qualcuno dice: “Va beh, potrebbero investire in maniera diversa”, invece si è deciso di investire i fondi qui e secondo me è un’ottima decisione, voglio ringraziare Letizia per avermi invitato e sono molto contento di aver rivisto molti amici. Voglio iniziare questa discussione sul German Marshall Fund degli Stati Uniti, che è la fondazione per la quale lavoro, dandovi un esempio di un’organizzazione americana che è un’organizzazione a sfondo politico che cerca di influenzare le politiche pubbliche, innanzitutto negli Stati Uniti, però anche in Europa. Poi voglio parlare di alcuni aspetti un po’ più ampi, alcune considerazioni, diciamo, più di ampio respiro che, secondo me, ci portano ad aiutare, per esempio, gli Stati Uniti, ma non soltanto. Vi voglio parlare dei benefici per le persone svantaggiate e del lavoro che fanno queste organizzazioni. Il German Marshall Fund, inizialmente la GMF Stati Uniti, è stato creato dal governo e sono stati utilizzati i fondi che erano avanzati, per così dire, dal piano Marshall, il denaro che proveniva dalla Germania come una sorta, diciamo, di riconoscimento, di gratitudine per quello che avevamo fatto per la ricostruzione europea. Quindi è stato creato nel ’73, era il GMF, era una specie di segno di gratitudine e gli Stati Uniti hanno cercato di fare qualcosa di utile, appunto, anche per l’Europa e poi abbiamo svolto anche un ruolo nello sviluppo delle relazioni, dei rapporti transatlantici fra i due continenti e abbiamo cercato di migliorare questi rapporti, come tutte le istituzioni, le organizzazioni. E’ molto importante tornare a pensare al contesto nel quale queste organizzazioni sono state create. Pensiamo alla situazione dl 1973, un periodo in cui la Nato ormai esisteva già da 25 anni e aveva già affrontato varie crisi, per esempio nel ’66. Queste crisi avevano fatto sì che molti alleati si chiedessero: “ma qual è lo scopo dell’organizzazione?”. Nel 1973 gli Stati Uniti ormai uscivano dalla guerra del Vietnam, un periodo terribile della nostra storia, in cui avevamo anche delle difficoltà nei nostri rapporti con l’Europa e quindi la politica estera non funzionava perfettamente. Il background di quel periodo ha incluso anche l’inizio della distensione con l’ex Unione Sovietica, quindi eravamo in una fase molto importante della guerra fredda e anche in Germania la situazione era abbastanza problematica. In questo contesto politico i Tedeschi hanno creato il German Marshall Fund degli Stati Uniti. Il contesto, naturalmente, è cambiato in questi ultimi decenni, dal ’73 è cambiato tantissimo,, soprattutto nel 1989, con il crollo del muro di Berlino econ la fine della guerra fredda, che invece aveva caratterizzato la fondazione proprio di questo GMF. Poi questo ha provocato delle nuove sfide per il fondo nella fondazione che bisognava affrontare. Ci sono tre funzioni principali del GMF, tre attività principali: la prima che, secondo me, è quella che la Fondazione fa meglio, è quella di aumentare le relazioni, di migliorare le relazioni organizzando delle conferenze per far incontrare le persone. E’ una cosa molto importante perché organizziamo delle conversazioni, si parla insieme, per esempio c’è una riunione tutte le primavere a Bruxelles e c’è un altissimo livello di partecipazione. Poi, per quanto riguarda gli Stati Uniti, ci occupiamo anche di questioni che si riferiscono alla sicurezza. Abbiamo degli incontri a Washington che mirano, ancora una volta, a far incontrare le persone perché, incontrandosi, ci si può capire meglio; poi la seconda funzione è quella di concedere delle borse di studio, dei finanziamenti, per esempio per i programmi. Due delle aree principali nelle quali siamo attivi è il Black See Trust, che si occupa della zona della Romania, quindi a Bucarest, e si concentra sulla regione del mar Nero; poi c’è un altro fondo che è attivo nei Balcani che sostiene le nuove democrazie dei Balcani e per la costruzione, per la realizzazione di istituzioni democratiche che hanno bisogno di sostegno. Siamo una delle poche organizzazioni che continua a essere impegnata nell’Europa centrale, perché molte organizzazioni che prima si occupavano dell’Europa centrale ormai ne sono andate, non si occupano più dei problemi politici e delle istituzioni democratiche dell’Europa centrale. La terza funzione è quella di portare avanti delle ricerche sulla politica estera. Ci occupiamo di tante tematiche: la politica ambientale, l’immigrazione, e poi cerchiamo di collegare le due sponde dell’Atlantico. Questa nostra attività rappresenta un modo per mettere insieme tutte le forze che sono coinvolte sulle due sponde dell’atlantico. Naturalmente abbiamo delle riunioni a Bucarest, abbiamo degli uffici a Bucarest, a Belgrado; uno degli aspetti della GMF è che è abbastanza diversa dalle altre istituzioni, è centralista, vuol essere al centro dello spettro politico ed in generale non cerca di imporre una visione aziendale, per così dire. Cerchiamo finanziamenti da fonti esterne alla Fondazione, per esempio dalla fondazione Bradley e anche dal governo statunitense, dalla IAD, che è l’agenzia per lo sviluppo internazionale che appunto ci sostiene. Ci sono altre organizzazioni a Washington che hanno una mission molto simile alla nostra, per esempio Talking School for International Studies che si concentra sulle relazioni transatlantiche, abbiamo tre organizzazioni che praticamente fanno tutte le stesse cose e sono praticamente tutte quante a Washington. Una delle osservazioni di più ampio respiro che volevo fare riguarda le organizzazioni e come queste organizzazioni funzionano. La prima osservazione è che c’è una richiesta costante, una ricerca costante di avere un impatto sulle politiche, è una cosa molto difficile da portare avanti perché i politici in tutti i paesi sono sempre molto occupati, soprattutto quelli che vivono a Washington hanno sempre tantissimi questioni delle quali si devono occupare, tanti problemi da risolvere; è difficile per loro trovare il tempo di partecipare ai nostri incontri. Questo è già un risultato molto importante per noi, ci sono tante pubblicazioni disponili che spesso creano confusione, perché è difficile orientarsi in mezzo a queste pubblicazioni, c’è una costante ricerca per quanto riguarda l’impatto che si può avere sulle politiche, perché bisogna cercare di influenzare le politiche. Vi voglio far capire come succede tutto questo a Washington. Alcune organizzazioni che praticamente si occupano delle stesse mansioni, si occupano delle stesse cose. Ma se si pensa alla politica estera nella sua complessità ci si rende conto che c’è la Heart Foundation che in genere fa, diciamo, più parte del partito conservatore, ci sono altre organizzazioni che si appoggiano più sui partiti liberali. Poi c’è la Foundation for defence Democracy, il centro per il progresso americano che si basa più sui partiti di sinistra e poi ci sono altre organizzazioni. C’è una organizzazione particolare che diciamo è l’organizzazione madre di tutte queste, che ha sede ha New York, il Council for Relations. Sono alcuni esempi di organizzazioni che si occupano delle stesse questioni. A Washington ci sono, appunto, tantissime persone che si occupano di politiche, che cercano di influenzare le decisioni dei politici. Qual è il valore di tutta questa attività che noi portiamo avanti, me lo chiedo spesso veramente, però è difficile avere una risposta dai miei colleghi. A cosa serve tutto questo, aiutiamo qualcuno con tutta questa attività? Io credo che ci sono alcune cose positive che vengono fuori da tutte queste attività: innanzitutto a Washington, come conseguenza di questo lavoro, c’è una conversazione, diciamo, una discussione costante su questi argomenti, su queste questioni che si svolge sotto forma di incontri. Sono grandi incontri o anche incontri più piccoli; hanno la forma per esempio di veri e propri incontri con gli esperti, con i rappresentanti dei media, della stampa e quindi c’è una discussione costante che crea una certa attività intellettuale che contribuisce a far sì che a Washington ci sia sempre tanto di cui parlare, e questa in sé è già una cosa positiva. Poi, il secondo aspetto prezioso di questa attività è che cerchiamo di colmare il divario, diciamo, tra la teoria e la pratica; gli accademici hanno come obiettivo preoccupazioni di tipo teorico e anche pratico, però sempre distanti dalla politica pratica. Non si vogliono avvicinare alla pratica della politica, cercano di mantenere una certa distanza. E queste organizzazioni cercano di colmare questo divario tra gli accademici, gli intellettuali e i pragmatici della politica, coloro che si devono occupare praticamente delle politiche. Alcuni hanno delle idee che non sono politicamente corrette, e quindi alla fine ci sono dei think side che sono politicamente più in linea con il governo attuale, alcuni che lo sono meno. Quindi questo tipo di istituti cerca di colmare il divario tra la pratica e la teoria e quindi tutti le idee, tutti gli stimoli che vengono dagli intellettuali. Poi mettiamo a disposizione del governo e dei cittadini la nostra esperienza, per esempio cerchiamo di concentrarci sugli aspetti che sono importanti, poi abbiamo un sito web per cui quelli che sono interessati possono consultare il nostro sito, quello della Heart Foundation per esempio, poi cerchiamo di impegnare tutti quelli che hanno voglia di discutere con noi nel fatto di poter forgiare, quindi formare quella che è l’agenda politica e questo è pure un altro aspetto importante, positivo. Poi forniamo una possibilità di lavoro anche agli ex funzionari del governo, io ne sono un esempio. Quindi svolgiamo tante funzioni importanti, questa in particolare è una funzione molto importante negli Stati Uniti, perché il livello di impegno politico va molto in profondità. Ci sono circa 5, 6, 7 livelli per quanto riguarda l’impegno politico, per cui quando c’è un nuovo presidente che viene eletto, che inizia il suo mandato, magari di un altro partito, ha tanti posti di lavoro da assegnare, ha tante posizioni da riempire tra i suoi collaboratori, e quindi in un certo senso noi prepariamo le persone adatte ad occupare questi posti. Poi c’è una specie di ciclo di persone che poi ruotano nel corso del tempo, e riescono poi a rendere disponibile la loro esperienza per i loro successori. Si mantiene questa esperienza che viene acquisita da coloro che hanno lavorato per il governo e dopo diventa disponibile per coloro che verranno in seguito. Un’altra funzione è quella della riabilitazione, del riscatto, per così dire: ci sono spesso dei ricchi che vorrebbero investire i loro fondi per fare qualcosa di positivo e li aiutiamo a fare questo; c’è bisogno di consigli per coloro che vogliono in un certo senso riscattarsi facendo qualcosa di positivo per gli altri; quindi i thinks tank forniscono un mezzo per utilizzare i fondi in maniera positiva, in maniera vantaggiosa per coloro che vivono una situazione di difficoltà. Naturalmente ci sono anche dei problemi da affrontare e voglio parlare anche degli aspetti negativi. Innanzitutto questa discussione costante può diventare anche un rumore costante, è facile che lo diventi, perché ci sono tante pubblicazioni, tanti blog, tante persone che si occupano di questo tipo di attività; vi ho parlato prima appunto del fatto che sono tantissime persone, tantissime fondazioni, pensate a quello che succede in tutto il mondo. Ce ne sono così tante che qualche volta si rischia di diventare rumorosi, di avere troppe informazioni, troppe opinioni diverse e qualche volta si rischia di diventare incomprensibili, perché poi magari per il cittadino comune è difficile cogliere e avere le informazioni giuste in tutto questo oceano, per così dire, di informazioni diverse. Quindi bisogna trovare un modo chiaro per esprimere le proprie opinioni. Vi voglio portare un esempio, non so se lo capirete bene in Italia, comunque a me non piace l’estate a Washington perché è molto caldo ed è molto umido., Tanti anni fa, tutti quanti a luglio ed agosto se ne andavano da Washington, se non si poteva andarsene da quella palude si era costretti a sopportare il calore finché non si poteva più sopportarlo. C’era una specie di decompressione a Washington d’estate, sembra che se ne andassero tutti. Invece adesso migliaia di persone rimangono in questi cubicoli rinfrescati dall’aria condizionata; e quindi la gente non se ne va più come prima quando non c’era l’aria condizionata, quando se ne andavano tutti da Washington. E quindi forse Washington con l’aria condizionata è riuscita a far sì che si continuassero quelle attività di think tank, quindi il dibattito. L’idea di avere un grande numero di persone che sono esperte, che sono fuori dal governo e che aiutano il governo, è un fenomeno abbastanza nuovo negli Stati Uniti, è un fenomeno tecnocratico per così dire, bisogna metterlo in un alveo democratico, cercando di mettere a disposizione di tutti le proprie esperienze. Un quarto problema è che in tutti i governi e i think tank bisogna aver sempre ben chiara la differenza tra il fine e i mezzi, perché si rischia di perdere il cammino, perché si rischia di dimenticarsi di quelli che erano gli obiettivi che ci eravamo fissati all’inizio e di perderci lungo la strada, per così dire. Anche se c’è una cosa, per esempio come la libertà religiosa, che ovviamente è una cosa positiva, si rischia di perdersi lungo la strada; quindi bisogna pensare tutti i giorni ai mezzi che vengono utilizzati oltre che tenere gli obiettivi che dobbiamo raggiungere. Poi il problema è che non tutte le idee sono buone, non tutte le idee che emergono da una fondazione, da una think tank sono necessariamente idee positive, idee buone, idee valide. Qualche volta si dà importanza a idee non troppo buone, ed infine il denaro che viene utilizzato per influenzare la decisione politica, qualche volta questi fondi sono trasparenti, vengono utilizzati per scopi ben precisi per cui tutti sanno perché vengono utilizzati questi fondi ma invece qualche volta non è così. La cosa curiosa è che per esempio c’è tanto denaro proveniente dall’Arabia Saudita che circola negli Stati Uniti, quindi in qualche caso la trasparenza non è garantita. C’è tanto denaro che proviene dal Medio Oriente e arriva negli Stati Uniti, sappiamo che la Russia spende tanti soldi e dà tanti soldi a Washington, non si sa però se la provenienza di questi fondi è lecita o non è lecita. Qualche volta si è più trasparenti, qualche volta si è meno trasparenti, questo per esempio è un altro problema. Diciamo quindi che è un cestino che contiene elementi postivi ed elementi negativi. E’ un po’ una mescolanza di vari fattori, ci sono vantaggi e svantaggi come in tutte le cose, quindi bisogna esse sempre molto attenti per poter discernere quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi. Per quanto riguarda al mia attività, si arriva per esempio al punto in cui c’è una crisi, una crisi di mezza età e si cominciano a fare tante domande sulle cose che succedono nel mondo, sul fatto di fare qualcosa di positivo e io mi chiedo spesso per cosa lavoro, se raggiungo dei risultati; e per me è un piacere esser qua al Meeting, perché ho la possibilità di confrontarmi; però anch’io voglio riflettere sulle questioni che vi state ponendo qua al Meeting e sulle quali state riflettendo tutti quanti. Grazie.
LETIZIA BARDAZZI:
Grazie. Grazie per la completezza della tua presentazione, hai toccato veramente molti aspetti. John, a te la parola.
JOHN SAMPLES:
Grazie, grazie molte. Anzitutto vorrei dire che sono molto lieto del fatto di essere qui, mi sto molto divertendo a questo Meeting, è una cosa particolare e secondo me, per gli americani in particolare, è molto utile questo Meeting. Si tratta di un avvenimento che, per esempio, sulla base della mia esperienza, non avviene negli Stati Uniti e al tempo stesso, per certi aspetti, è molto vicino a quello che è lo spirito della comunità e anche delle associazioni americane. Quindi apprezzo molto il fatto di essere qui e vorrei anche dire come nota preliminare, che concordo con tutto ciò che John ha detto finora; credo che sia ragguardevole il fatto che lui lavori a Washington nell’ambito della politica estera e anche su questioni che sono pertinenti per la Unione Europea. Io mi occupo in particolare di politica interna, però mi occupo di esperienze simili a quelle che lui ha toccato e spesso mi viene posta la domanda relativa a ciò che noi facciamo, a che cosa facciamo e al perché lo facciamo. Spesso questo nostro obiettivo, diciamo, viene perso anche perché è molto difficile influenzare la politica americana. La mia risposta a questa domanda è che all’Istituto CATO, al CATO Institute, cerchiamo di influenzare appunto i politici e anche gli americani, fornendo loro delle alternative; il che significa appunto non magari fare leggi, però forniamo un’alternativa e se non lo facessimo, per quel che riguarda la politica pubblica americana, probabilmente nessuno farebbe ciò che noi facciamo. Il periodo nel quale si trova l’America oggi e forse magari è una situazione simile anche a voi, all’Italia, è un periodo in cui c’è un problema riconosciuto. Il pubblico magari ha una preoccupazione riguardo a un certo aspetto e spesso la tendenza è quella di dire: è il Presidente che dovrebbe fare qualcosa o magari è il Congresso che dovrebbe fare delle leggi su certe cose. Ci dovrebbe sempre essere una risposta che arriva da qualcun altro, magari dal Governo. Il CATO Institute cerca di fare questo. Aspettiamo di dire questo, aspettiamo, siete voi l’alternativa, siete voi l’alternativa a quello che non viene fatto a Washington; poi ci sono altre alternative che magari non sono di tipo governativo e che sono forse più vicine ai cittadini. Quindi oggi vorrei parlare brevemente di queste due linee, per così dire, alternative che noi proponiamo negli Stati Uniti e che danno adito a delle discussioni relative alla società civile. Innanzitutto vorrei parlare del governo americano che è più vicino agli americani. Non parlo di Washington: noi abbiamo dei governi statali, dei singoli stati che sono per così direun qualcosa di simile a quello che sono in Italia le regioni. E poi vorrei parlare appunto della società civile stessa, quindi di aspetti non governativi. Prima però vorrei parlare di quello che definiamo il federalismo negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, compresi molti paesi anche in Europa, attorno al 1900, dal 1930 fino a più o meno il 1975, c’è stato un periodo di accentramento, un periodo nel quale si mettevano insieme, appunto si accentravano delle questioni, del potere probabilmente e questo è stato dovuto alla presenza delle Guerre Mondiali, della Seconda Guerra Mondiale in particolare. E in parte anche è stato questo un risultato della Grande Depressione. Quindi negli Stati Uniti abbiamo avuto più o meno un periodo di quarant’anni di accentramento, di centralizzazione e ci sono stati magari dei periodi con meno accentramento e c’è stato anche a volte il tentativo di riportare il potere alle comunità locali e ai singoli stati. Il primo movimento in questa direzione è stata appunto l’amministrazione di Ronald Reagan negli anni ’80, che però è stato un tentativo incompleto. Comunque c’è stato questo: quello che avviene nella mente delle persone poi avviene in politica. Ma in realtà non è inevitabile, perché l’idea era che appunto ci fosse un’alternativa a quel potere centralizzato o non centralizzato. Quindi in questo senso, sotto quest’ottica, il decentramento è diventato sempre di più una possibilità da contemplare. Anche per quello che riguarda le amministrazioni regionali, spesso queste amministrazioni vengono riconosciute; quindi ci sono a volte delle misure di welfare a livello regionale, che portano via, detraggono il potere per così dire, dal governo centrale. La cosa importante all’interno del governo è, per esempio, quella di combattere la povertà ed è la cosiddetta Earned Income Tax Credit, quindi un credito fiscale sull’imposta sul reddito ed è un modo appunto che fa sì che delle persone che guadagnano di più diano a coloro che invece ne hanno più bisogno, che hanno un reddito non sufficiente a sostentarsi. E questo tipo di politica è stata avviata durante l’amministrazione Reagan ed è stata supportata da entrambi i partiti; quindi questo è stato un primo modo per cercare di venirsene via da un governo per così dire accentrato, centralizzato, verso una politica che era tesa a premiare il lavoro e a dare i fondi, il denaro a quelle persone, affinché queste persone si sollevassero dalla povertà. Al tempo stesso gli stati hanno cominciato a sperimentare tutta una serie di politiche, quindi c’è questa idea appunto del laboratorio, dei laboratori della democrazia che si è andata diffondendo negli Stati Uniti, quindi stati che hanno appunto cominciato a implementare una serie di politiche per il lavoro, per l’istruzione per esempio; poi abbiamo fatto un passo indietro dicendo: quali sono le politiche che hanno funzionato e quelle che non lo hanno fatto? E fra quelle che hanno funzionato, quelle magari potevano essere scelte, selezionate per essere finanziate meglio. E gli esempi, alcuni esempi di queste strategie basate appunto sugli stati, quindi dei tentativi di decentramento per fare buona politica, è la welfare reform, quindi la riforma del welfare. Questo, in un contesto più generale, significa che il welfare era un modo per dare sostegno, in questo caso specifico, per esempio, ai bambini poveri e alle madri, alle loro madri. Essenzialmente ovviamente prima alle loro madri, ma in generale ai genitori dei bambini poveri. Ovviamente la riforma ha atteso al miglioramento del welfare e questo è stato, ha raggiunto proprio il culmine negli anni ’90; infatti c’è stato un programma che è provenuto dagli stati, dai singoli stati che poi è stato adottato a Washington con Bill Clinton, democratico e con un Congresso repubblicano. E’ consistito in questo: da un lato appunto c’era un’aspettativa di responsabilità da parte delle famiglie povere, però al tempo stesso il programma consisteva anche nel dare del sostegno, parte del sostegno necessario per migliorare la situazione. Quindi in altri termini la riforma del welfare è stata una sorta di scambio, nell’ambito del quale c’era un’aspettativa relativa al fatto che appunto i poveri facessero fronte alle proprie responsabilità, quindi che si occupassero dei loro figli per esempio e al tempo stesso si dava loro la possibilità di farlo con dei finanziamenti. E in quel momento molte persone hanno visto la politica come un qualcosa che in realtà consisteva solamente nel dare soldi alle famiglie povere e quindi si è intravisto in questo un disastro; in realtà non era così, le persone che precedentemente ricevevano dei sussidi dallo stato, avevano dimostrato di essere in realtà molto più forti di quello che non si pensava e avevano capacità lavorative e anche delle influenze, delle ripercussioni sui loro figli. Però in generale entrambi i partiti ritengono che il cambiamento nel welfare che è avvenuto con queste riforme è stato un qualcosa di molto buono. Quindi questo è un esempio di cosa si può fare quando si porta un qualcosa che parte appunto a livello decentralizzato, a livello dello stato; quindi per esempio un tipo di politica volta a combattere la povertà, andando a finanziare ciò che funziona e poi passando dal livello statale al livello nazionale. Ovviamente non è necessario che queste cose vengano fatte a livello centralizzato, è comunque un modo per cercare di trovare ciò che funziona e alla fine quello che serve è trovare delle cose che funzionano ed è questa la cosa più difficile che un’amministrazione deve cercare di fare. Con l’amministrazione Obama noi assistiamo a una mossa, a un movimento nella direzione opposta, quindi verso il decentramento che ovviamente non è il punto programmatico dei Repubblicani, dei Conservatori, ma anche dell’ambito dell’amministrazione Clinton. Ora, parlando della società civile e abbandonando le questioni relative a ciò che può fare l’amministrazione, concentriamoci su ciò che fanno le persone nell’ambito delle attività non governative. Durante l’amministrazione Bush, il presidente George W. Bush aveva portato avanti l’idea del conservativismo compassionevole, per così dire, che indicava questo: da un lato che il Governo poteva fare affidamento, può fare affidamento su organizzazioni a sfondo religioso, affinché queste potessero dare un contributo su certe questioni, in certi ambiti, ad esempio la lotta alla povertà o l’aiuto alle persone bisognose. Quindi una sorta di conservativismo compassionevole, quindi il denaro viene sì dal Governo ma in realtà l’attività viene portata avanti privatamente. Questa idea infatti è una sorta di mix fra iniziativa governativa e iniziativa non governativa, privata, avviata appunto sotto forma di politica. E uno dei motivi per cui ha funzionato e magari perché fa parte della cultura americana, è la separazione fra Stato e Chiesa. Non so se in Italia è così. Noi infatti avevamo problemi, preoccupazioni riguardo al mescolare la religione con la politica, ma poi alla fine l’idea del conservativismo compassionevole abbiamo visto che ha funzionato.
In realtà il problema è che non si pone adeguata attenzione alle necessità della società civile. C’è un altro settore, accanto al mercato, accanto allo Stato, e questo terzo settore deve svolgere un ruolo molto importante negli Stati Uniti nella formulazione di politiche. Tuttavia era vero in precedenza ed è ancora vero oggi, perlomeno a partire dal 1830, che gli americani hanno sempre avuto la tendenza, quando si sono trovati di fronte a problemi collettivi, a questioni collettive, hanno sempre avuto la tendenza a formare delle associazioni per cercare di trovare delle soluzioni, e questo tipo di tendenza, che è vera dall’epoca degli inizi e va avanti anche oggi e prosegue, è forse divenuta più formalizzata, è stata più ufficializzata. Quindi c’è un’enorme attività privata, una sorta di beneficenza o finanziamento da parte dei privati a favore di certe questioni, per esempio anche per l’istruzione, per cui ci sono sia azioni volontarie ma anche filantropia. Quindi ci sono queste donazioni volontarie, quindi per esempio degli individui, dei soggetti benestanti che donano grosse quantità di denaro per scopi che non sono economici. Un esempio di un fatto secondo noi ragguardevole che forse non conoscete riguarda gli Stati Uniti e che anch’io ho appreso solo di recente. Spesso gli Stati Uniti vengono visti dai critici del Paese, sia all’interno del Paese che all’esterno, come l’ultima società neoliberale, quindi quel tipo di società in cui c’è questa concorrenza darwiniana e un paese nel quale non ci sia lo stato del welfare. In realtà secondo me questo è un aspetto, è un’affermazione completamente sbagliata, ed è sbagliata perché le persone che ritengono questo considerano solo ciò che viene speso da parte dell’amministrazione, da parte delle sfere governative. Se si considera la spesa dei Paesi nel welfare, bisognerebbe guardare non solo quello che spende lo Stato in termini di percentuale sul PIL o di produzione economica. C’è stato uno studioso che appunto ha posto questa domanda: se confrontiamo l’America, relativamente al denaro che viene speso pro capite sul welfare, considerando anche le attività filantropiche e le si considerano appunto come attività di social welfare, i risultati sono effettivamente ragguardevoli. Credo che voi, prima di entrare in questa sala, avevate una opinione completamente diversa se qualcuno vi avesse chiesto: chi spende di più nel welfare sociale pro capite, quindi per persona, gli Stati Uniti oppure la Svezia, stato famoso per lo Stato sociale? Tutti avrebbero probabilmente detto la Svezia, anche voi qui, la maggior parte delle persone in tutto il mondo lo dicono. In realtà non è affatto vero, perché se considerate la spesa pro capite sulla base dei dati raccolti da questo studio, vedete che gli Stati Uniti spendono molto di più in queste attività rispetto a tutti i paesi scandinavi, compresa la Svezia e quindi questo probabilmente vi da la dimensione giusta, il punto di vista giusto relativamente a quant’è importante l’elemento della filantropia negli Stati Uniti. Ci sono dei soggetti benestanti, molto ricchi, che fanno attività di questo tipo. Per esempio io ho un amico, col quale ho lavorato qualche tempo fa, che ha fondato una scuola a Washington DC, una scuola privata per dei figli di afroamericani giovani, che sono in condizioni di povertà. E questa persona, quest’uomo che ha un Master in economia, che continua a lavorare nell’ambito di think tank importanti ha lasciato il suo lavoro per via di queste sue convinzioni religiose e per fondare questa scuola. E lui non è solo, c’è tanta gente in America che fa questo tipo di lavoro. Però ovviamente aveva bisogno di fondi, e i fondi devono venire da persone che sono disposte a darli. E quindi qui c’è una spetto cruciale: molte persone ritengono che ci sia una sorta di bilanciamento tra il governo e questo tipo di attività volontaria o filantropica esercitata dalla società civile. E l’esempio che vi ho appena dato è che in realtà si assiste a casi del genere, negli Stati Uniti, dove la tassazione e anche il settore governativo hanno un ruolo meno importante di quanto non sia in Europa. E questo tipo di donazione privata, di attività in Europa invece è inferiore. Gli Stati Uniti, come forse sapete, hanno dei problemi fiscali molto, molto importanti, molto seri, con una situazione molto difficile e nessuno sa esattamente come si riuscirà ad uscire da questa situazione, nessuno sa per esempio che cosa succederà nel prossimo decennio e una questione è che probabilmente ci saranno degli aumenti sostanziosi nell’imposizione fiscale. E una cosa a cui noi americani dobbiamo pensare è che il pericolo è che se noi andremo semplicemente aumentando le tasse, possiamo prevedere che l’attività filantropica, la spesa in questo tipo di attività che destiniamo alle questioni del welfare da parte di soggetti privati non continuerà. Magari potrebbe capitare che le persone ci verranno a dire, questi soggetti benestanti ci verranno a dire: io non ho la responsabilità per questo aspetto, perché pago già le tasse al Governo, e quindi è il Governo che deve pensarci. Quindi ciò a cui potremmo trovarci di fronte negli Stati Uniti, il pericolo più grosso per gli Stati Uniti, sotto certi punti di vista, è che noi andremo a risolvere i nostri problemi fiscali innalzando le tasse e poi alla fine della giornata verrà meno questo impegno privato, perché in realtà le persone avvertiranno di meno la responsabilità di far fronte a questo tipo di problemi. Quindi questo è un aspetto molto, molto importante. Magari ne avete già letto in merito. E oltre a questo tipo di analisi c’è anche l’idea che i donatori ritengono che sia una cosa buona per la società il fatto che sia il Governo a raccogliere i soldi con le imposte e poi a rispenderli per la società. Anche questo è un altro aspetto che diventerà importante ai fini della discussione. Perché Bill Gates e altri due uomini d’affari molto, molto importanti, hanno, per così dire, punzonato delle persone benestanti in tutto il mondo, spingendoli a donare parte dei lori averi a favore di attività filantropiche? E’ un’attività eccezionale, però la settimana prima che venissi qui ho letto a proposito di un miliardario tedesco che ha rifiutato questa loro sfida, per così dire, perché ha detto: è sbagliato che queste persone benestanti determinino, stabiliscano come questi soldi vadano spesi, perché in realtà questi soldi dovrebbero andare al Governo, un Governo democratico, e poi il Governo democratico decidere come spenderli. Quindi non farò affermazioni relative a Paesi che non siano gli Stati Uniti, perché spesso e volentieri quando si spendono dei fondi, la mia preoccupazione è che le imposte che vengono prese a Bill Gates o a personaggi miliardari, in realtà i soldi di queste imposte vadano a dei gruppi piuttosto che a certi fini filantropici. Quindi se per esempio si investe nel settore governativo, non è detto che questi soldi vadano a tutti i poveri. I poveri, per esempio se guardate alla situazione di Washington, a coloro che appunto fanno le politiche, i poveri, le questioni dei poveri in realtà non sono così rappresentate nelle lobbies a Washington. Quindi la questione è che gli Steve Jobs, i Bill Gates o i grandi del mondo in realtà probabilmente si tireranno indietro ed è più probabile invece, come nel caso di Bill Gates, che loro spenderebbero di più scegliendo loro quelli che sono gli ambiti di destinazione, per così dire. Quindi concluderei con questa affermazione: mi pare che la cosa importante, relativa alla società civile, non è soltanto il denaro, ma è il fatto che le persone che hanno offerto dei modelli esemplari in quanto sono diventati degli importanti uomini d’affari, sono diventati ugualmente importanti come fautori di attività filantropiche. In passato c’erano delle persone che magari mettevano in piedi delle Fondazioni e pensavano che fosse sufficiente. Si danno dei soldi alla Fondazione e poi sicuramente questi soldi verranno spesi a fini positivi. Non entro nel dettaglio di questo, ma magari non sempre era così. Ma con persone che hanno questi talenti e che si sono impegnate nel compito di spendere dei denari in determinate modalità all’interno della società civile, a favore appunto del bene comune, credo che questo tipo di attività dovremmo rafforzarle. Andranno a rafforzare anche il lavoro della società civile. Per lo meno negli Stati Uniti è lì che i soldi dovrebbero restare. Concluderò con questo e spero che ci siano delle domande da parte vostra.
LETIZIA BARDAZZI:
Grazie ai relatori. Entrambe le presentazioni sono state veramente interessanti, sono state fantastiche. Il signor Wood è stato molto preciso, ci ha presentato la grande varietà dei think tank che esistono negli Stati Uniti. E’ molto utile per fare un vero confronto con la nostra Fondazione, con la Fondazione che rappresento e ti ringrazio. Invece il signor Samples: della sua presentazione mi è piaciuto molto il fatto che si sia concentrato sulla società civile. Anche noi come Fondazione per la Sussidiarietà ci concentriamo sulla società civile, perché ci ha detto che bisogna essere di supporto alle persone, quindi ci ha parlato di come è stata avviata tutta la riforma del welfare. E’ la nostra stessa visione: anziché appoggiarsi soltanto al Governo bisogna appellarsi alla società civile. Quindi il terzo settore, la collaborazione fra settore pubblico e settore privato, per poter migliorare l’erogazione dei servizi di welfare. Vi ringrazio perché le presentazioni sono state veramente interessanti. Abbiamo un po’ di tempo per le domande che verranno tradotte in oversound in inglese, quindi potete farle in italiano tranquillamente.
DOMANDA:
Grazie per le presentazioni che abbiamo ascoltato. Volevo sapere se potete fare qualche commento sulle pressioni politiche che si possono fare su alcuni componenti dei think tank.
JOHN SAMPLES:
La 1C3 è un riferimento al codice impositivo degli Stati Uniti. Uno dei motivi per cui si portano avanti attività filantropiche è qualcosa di tipicamente americano, perché si hanno dei crediti d’imposta se si avviano attività benefiche. Questo è chiaramente un motivo che spinge ad occuparsi di questo tipo di attività perché ci sono dei benefici fiscali, questo è innegabile, e quindi ci si impegna: non si dà solo il denaro ma ci impegna attivamente per capire dove viene investito, dove viene speso questo denaro. Il Governo, una determinata amministrazione può chiaramente fare delle pressioni sui think tank e questo succede. Uno dei modi per cercare di affrontare il problema delle pressioni è quello di non accettare il denaro dal Governo, quindi non abbiamo contratti con il Governo, non riceviamo sussidi dal Governo. Per esempio sono andato in uno studio televisivo per fare un discorso e normalmente lo studio televisivo è di proprietà del Governo, vengo pagato magari 100 dollari per questo discorso, ma io non lo posso accettare perché viene dal Governo, quindi in questo caso semplicemente non lo facciamo, cerchiamo di non rivolgerci e di non contare sul Governo.
JOSEPH R. WOOD:
Voglio aggiungere un paio di commenti su questo. Non lo vedo come un problema così grande il fatto che ci siano delle pressioni sui think tank. Credo che la pressione che c’è, dipende molto dalle persone che lavorano in questi istituti, in queste fondazioni, perché alcuni per esempio vogliono impegnarsi con l’opposizione e altri invece no, vogliono penalizzarla, per cui dipende molto dalle persone con cui abbiamo a che fare. Spesso ci si concentra molto sui propri interessi e ci troviamo ad affrontare questo tipo di problemi. Quando le persone fanno per esempio delle scelte oculate, magari il problema è meno presente. Per alcune persone magari è più evidente la pressione politica. Il modo in cui i think tank si occupano di questo problema dipende da vari fattori, per esempio dipende dal consiglio di amministrazione, da chi gestisce questi istituti, perché in alcuni casi chi è a capo di questi istituti riesce a resistere meglio alle pressioni, mentre in altri casi non si riesce a resistere a questo tipo di pressioni. Se si riesce a resistere, si riesce a creare una sorta di barriera contro le pressioni politiche. In questo caso si parla appunto di varie forme di Governo, di gestione aziendale. Abbiamo forse spazio per un paio di domande ancora.
DOMANDA:
Volevo chiedervi se potete parlare un po’ di più sul coinvolgimento delle persone comuni per quanto riguarda il lavoro di questi think tank, se il coinvolgimento di queste persone comuni fa parte dei vostri obiettivi oppure no. Voglio parlare del mio punto di vista. Il problema è quello appunto di influenzare i politici ma anche di avere una maggiore partecipazione democratica per quanto riguarda la scelta di chi si deve occupare poi delle leggi, dei legislatori.
JOHN SAMPLES:
Per quanto riguarda la mia fondazione, vogliamo ottenere che la persona della strada sia informata. Quindi noi vogliamo informare le persone comuni che fanno parte della società civile, vogliamo coinvolgerle il più possibile. Comunque fa parte, sì, della nostra missione anche quella di coinvolgere l’uomo comune, diciamo.
DOMANDA:
Sono interessata alla dinamica … lei ha parlato di una situazione abbastanza buona nell’ambito dei think tank e mi chiedevo: perché si ritiene che certi gruppi siano per così dire ridondanti invece altri magari no? E quindi perché si debba parlare per certi gruppi di obsolescenza o meno. Quindi qual è la dinamica perché alcune think tank sono in concorrenza l’una con l’altra? Magari sollevare questa questione potrebbe aiutare.
JOSEPH R. WOOD:
Non so, non credo che le think tank siano appunto uscite dal mercato. C’è ne stata una, una think tank famosa a New York che, in realtà non mi ricordo il nome, che ha avuto molta influenza negli anni ’90. Probabilmente questo ci riconduce a uno dei problemi di cui ho parlato prima, cioè il fatto che i fini diventano i mezzi. E per esempio l’idea è quella del cono del gelato, la metafora è quella, cioè del fatto che la think tank in realtà va ad autoalimentarsi. Le fondazioni in America tendono a fare riferimento a delle organizzazioni che hanno dei soldi e li danno via. Ma è una cosa distinta appunto dalle organizzazioni che si basano da sull’attività delle think tank. Le fondazioni, per quello che ha detto John, pensano di più ad altri tipi di attività. Per esempio John non ha parlato della Fondazione Foid, che in realtà, si sa, si è allontanata molto da quelli che erano i suoi scopi principali. La Templeton Foundation si è occupata molto di scienza e di religione e anche questa fondazione, negli ultimi due anni, è stata sotto gli occhi dei riflettori, perché è stato difficile appunto far sì che il suo funzionamento in realtà venisse riportato in linea con quelli che erano gli obiettivi primari originali della fondazione, con quello che John Templeton aveva previsto quando l’ha fondata. Quindi i pericoli ci sono. Ci sono dei pericoli che ovviamente sono intrinseci a queste istituzioni, proprio perché queste organizzazioni sono molto potenti. È giusto, tra l’altro il consiglio di amministrazione, il consiglio dei sindaci, in certe fonazioni, ovviamente, ha molte difficoltà. Sono perfettamente d’accordo con quanto ha detto John. Penso che alla Cato, la dedizione che è stata fatta dal fondatore è stata quella di non mettere a disposizione una specie di dote, perché ovviamente questo avrebbe messo a disposizione troppi soldi. Quindi il risultato è che bisogna raccogliere i soldi senza avere una sorte di riserva. Questi soldi vanno raccolti ogni anno. Perché l’idea del fondatore è che non si volesse costituire appunto una sorta di riserva che poi facesse sì che chi era ai vertici della fondazione li utilizzasse per altri scopi. E poi c’è anche un problema relativamente ai donatori, perché bisogna essere responsabile nei confronti di chi ti dona i soldi e bisogna quindi raccogliere questi soldi, questi fondi, per dei buoni scopi. Io non ho mai lavorato in posti in cui la riserva, questa dote iniziale, per così dire, fosse elevata, perché se ci sono troppi fondi, in realtà si possono avere dei problemi, e quindi l’idea è che è molto difficile poi per l’istituzione tenere a mente che c’è un qualcosa al di fuori di quella organizzazione per il quale devono lavorare. Quindi, ecco, se l’Italia seguirà questa via, se magari si ridurranno le tasse per questo e si favoriranno i privati, io ovviamente inviterei chiunque, qualunque privato che metta a disposizione il denaro, a non costituire delle riserve troppo alte.
LETIZIA BARDAZZI:
Sono le ultime due domande.
DOMANDA:
Abbiamo poco tempo, quindi probabilmente sarò molto franco e schietto. Se l’idea è che si debba andare oltre la raccolta di denari, come si possono spendere i soldi in una maniera che effettivamente possa rispondere alle reali esigenze delle persone e non alla organizzazione che li gestisce? Questo perché in realtà è qui il principale problema che noi dobbiamo affrontare in Italia e in generale in Europa. Il dibattito è come spendere, ma in realtà “chi” lo deve spendere. E la nostra posizione è che se coloro che aiutano e che spendono i soldi sono più vicini alle necessità delle persone, probabilmente li riescono a spendere meglio. Quindi non è una questione solo relativa al denaro ma in realtà è una questione relativa alle esigenze delle persone che hanno bisogno di aiuto. Non so qual è il vostro punto di vista.
JOHN SAMPLES:
Una delle battaglie perpetue, continue, negli Stati Uniti a livello governativo, è che, appunto, noi parliamo di grosso governo, grande governo, quindi del governo nazionale a Washington. E un modo per spendere i soldi governativi nel settore del welfare, è di inviare il denaro agli stati, dando loro un ampio margine di scelta sul come spenderli, partendo dal presupposto che ci possano essere delle diverse esigenze in diverse parti del paese. E in altri casi, un’alternativa è che Washington, appunto, dia il denaro ai singoli comuni, per esempio alle singole aree, dicendo loro magari come spenderli. Il concetto più generale è che, dal punto di vista privato, io credo sia molto molto difficile, sia un processo, un problema molto molto difficile. E bisogna veramente essere veramente consapevoli di quali sono le istituzioni che spendono questi soldi. La reale risposta a questo tipo di domanda potrebbe essere che a livello della società civile ci debba una forte leadership. Perché la società civile ha una visione di quelle che sono le istituzioni e quindi riesce a riconoscere certe responsabilità e a garantire che certe esigenze vengano soddisfatte, perché appunto è nell’interesse stesso dello staff di queste organizzazioni.
JOSEPH R. WOOD:
In realtà non ho molto da aggiungere a questo. Vorrei scusarmi con gli interpreti per aver fatto loro tradurre la battuta sul cono di gelato.
LETIZIA BARDAZZI:
Grazie a John, a entrambi i John. Grazie per la conversazione. Questa conversazione, questa discussione, sicuramente rappresenta un passo in avanti nella comprensione di quello che è il bene comune. C’è un bene comune, un bene riconoscibile a cui appellarci che noi possiamo riconoscere ovunque, al quale possiamo arrivare prima di tutte le divisioni. Noi, appunto abbiamo cercato delle risposte a queste domande. Continueremo sempre a cercarle, però innanzitutto occorre che il bene comune sia quella realtà di iniziative e di tentativi che sono già in corso e si sono già dimostrati positivi e di successo. Una società nasce come punto di sintesi dell’iniziativa di tante forze particolari che tendono tutte al bene comune. Per questo motivo non è per così dire un’eresia affermare un bene comune pensato a priori, perché piuttosto questo è il risultato di una ricerca continua di risposte a tanti bisogni parziali. In realtà sarebbe un errore contrapporre queste istanze parziali al bene comune. Il welfare è fatto appunto di realtà sociali che erogano servizi nella sanità, nell’assistenza, nell’istruzione. Sono tutte ispirate da ideali del bene comune. La sussidiarietà, che è appunto l’ideale al quale è dedicata la nostra Fondazione, è radicata esattamente nella capacità di valorizzare questo tipo di iniziative. Quindi costruire o ricostruire una società complessa come quella moderna necessita di basi antropologiche positive solide, che devono essere verificate, approfondite nell’appartenenza alle realtà che nascono appunto dall’ideale. In questo contesto l’istruzione è fondamentale. Quindi l’appartenenza a realtà motivate da ideali educa i singoli al realismo. Quindi è il miglior modo di educare i singoli al realismo, all’amore al lavoro, alla creatività, alla disponibilità al cambiamento, all’amore per il bene comune che rende capaci di utilizzare ogni opportunità, ogni desiderio di avere un progresso vero e duraturo. È questo il modo, la strada di uno sviluppo fatto del tentativo e del contributo di tutti, quello che consente a una società di superare tante prove e che ci può far accettare la sfida che il cambiamento del mondo di oggi ci impone. Grazie per averci dato questa enorme opportunità questa sera.
(Trascrizione non rivista dai relatori)