Chi siamo
SUSSIDIARIETÀ PER IL CAMBIAMENTO DEL PAESE
Partecipano: Gianni Alemanno, Sindaco di Roma; Roberto Formigoni, Presidente Regione Lombardia. Introduce Emmanuele Forlani, Coordinatore Segreteria Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà.
MODERATORE:
Buonasera, benvenuti a tutti. Diamo inizio a questo nostro incontro dal titolo “Sussidiarietà per il cambiamento del Paese”. L’applauso con il quale sono stati accolti i nostri ospiti indica evidentemente non solo che li si conosce ma che li si apprezza, e non è la prima volta evidentemente che vengono al Meeting. Li presenterò in maniera estremamente veloce: il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni e il sindaco, neo sindaco, della città di Roma, Gianni Alemanno. “Il mio impegno e la mia stella polare sarà il principio della sussidiarietà, perché dobbiamo favorire la capacità di scelta dei cittadini”; è la promessa che il neo sindaco Alemanno ha fatto all’inizio del suo mandato, il primo maggio di quest’anno parlando al congresso delle Acli, e approfondendo diceva: “il grande problema della politica e delle istituzioni è quello di accostarsi a queste realtà per poterle aiutare, per poterle mettere in rete, per non lasciarle isolate ma stando bene attenti a non strumentalizzarle, a non sottometterle, magari inconsapevolmente, con quella logica per cui, attraverso gli strumenti di potere, si creano meccanismi di sudditanza” e stava parlando di tutte le comunità, le tante identità che ci sono in tutto il territorio di cui lui è sindaco. “Questo è il vero grande problema” continuava, “ci sono tante realtà nella nostra città, nella nostra patria che hanno energie, idee, fede passione e valori; il problema vero è quello di far sì che queste realtà divengano protagoniste, senza minarne l’autenticità. Credo che il principio di sussidiarietà ci debba guidare, io farò tutto il possibile perché questa sia la stella polare delle politiche sociali di questa città”. Il sindaco Gianni Alemanno, non da quando è diventato sindaco, ma da molto prima ha affrontato il tema della sussidiarietà, è tra i promotori dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, nei ruoli, nei tanti incarichi istituzionali che ha ricoperto ha sempre fatto della sussidiarietà una stella polare, per cui non ci ha stupito questa dichiarazione ad inizio mandato. Contemporaneamente, Roberto Formigoni che è presidente della Regione Lombardia da tredici anni dice nella post-fazione di un libro che suggerisco, perché riporta i casi di applicazione della sussidiarietà nella Regione Lombardia, libro che è disponibile in questi giorni ed è “La sussidiarietà in Lombardia”: “in un contesto di complessità e in un approccio in cui giustamente si privilegiano i bisogni, il servizio pubblico ha invece il dovere di proporre la risposta più adeguata agli stessi, sempre rimodulandola man mano che, nell’interazione con essi, ne coglie più profondamente le sfumature presenti o le trasformazioni in atto. Le risposte stesse, specie se poste in essere dalla società civile sostenuta dal pubblico, sono per loro natura dinamiche e non fissate una volta per tutte, in questo senso alla politica resta la scelta degli obiettivi, ma essi si mutano, si calibrano, si capiscono meglio attraverso l’azione concreta e la sua verifica. In questa continua verifica, la politica, cui resta la responsabilità della decisione, conosce e interviene grazie all’Amministrazione, concepita non solo come efficienza di un processo, ma soprattutto come efficacia di un accompagnamento, reale ed intellettuale”. Ecco, ad entrambi, come prima e fondamentale questione, questa sera desideriamo proprio chiedere di poter raccontare, di poterci testimoniare, nella loro esperienza, esempi concreti di che cosa abbia voluto dire in questi anni di carriera politica una reale applicazione del principio di sussidiarietà. La parola al sindaco Gianni Alemanno.
GIANNI ALEMANNO:
Innanzitutto, un saluto a tutti. Come giustamente Forlani ha detto, per me è un appuntamento costante quello del Meeting, da tantissimi anni, quando si trattava di apprendere, di parlare, di capire, di fare degli incontri e quindi sono contento di essere qua, di essere a fianco a Roberto Formigoni e di non mancare anche quest’anno a questo appuntamento. Io penso che noi dobbiamo domandarci innanzitutto una cosa. In teoria di sussidiarietà tutti si riempiono la bocca, a destra come a sinistra la sussidiarietà va di moda, se ne parla, la si cita, sta ai margini di ogni relazione, però poi, quando andiamo a vedere le riforme concrete a livello nazionale, quando vediamo le parole d’ordine su cui si sviluppa realmente il dibattito pubblico, la parola sussidiarietà sistematicamente scompare. Forlani ricordava lo sforzo che abbiamo fatto la scorsa legislatura e anche precedentemente con l’Intergruppo alla sussidiarietà per evitare questa scomparsa, però sembra veramente di fare un’operazione in salita. Allora io penso che il problema vero, il dato centrale qual è? È che la sussidiarietà, a differenza di altri slogan, di altre parole d’ordine, di federalismo, liberismo, economie sociali di mercato, solidarietà, è una parola d’ordine che non puoi predicare in senso teorico, la devi praticare nella realtà. Perché se non la pratichi nella realtà ti mancano quelle energie, quel coinvolgimento, la presenza di persone, di famiglie e di associazioni che poi sono quelli che riescono a dare sostanza alla sussidiarietà. Il discorso si fa diverso a livello locale, perché indubbiamente il lavoro fatto dalla Regione Lombardia, da Formigoni, rappresenta per noi un modello da studiare, da perseguire, da diffondere a livello nazionale. Noi a Roma siamo arrivati in una situazione difficile, da tutti i punti di vista, però non ci rassegneremo a non far sì che Roma, con quello che significa questa parola, con i valori che richiama, con la potenza spirituale che questa città evoca, non ci rassegneremo a non far diventare Roma un grande laboratorio della sussidiarietà, lo vogliamo fare concretamente. Allora come ci stiamo muovendo? Noi stiamo entrando, ovviamente, innanzitutto nel settore delle politiche sociali, dove abbiamo constatato che al di là di richiami retorici alla sussidiarietà, nel Comune di Roma c’è una situazione precisa: c’è chi decide, c’è la politica e la burocrazia che decide; le associazioni o si chiamano fuori, e allora nessuno le calcola, oppure se accettano di entrare in relazione con questi poteri, con queste realtà, debbono sempre pagare un debito di subalternità. La politica, la burocrazia chiede questo pedaggio al mondo associativo e facendo questo rischia di uccidere lo spirito che è dentro queste associazioni, la loro spontaneità, la loro autenticità. Allora noi siamo partiti da un fatto molto semplice: abbiamo azzerato tutto, in vista del prossimo piano regolatore sociale, vedete che nomi altisonanti, in vista di questo piano, abbiamo azzerato tutti quelli che erano i bandi, tutti quelli che erano le definizioni già fatti, cioè tutto quello che era in itinere. Per fare che cosa? Per andare nel territorio con il massimo empirismo e quartiere per quartiere, periferia per periferia, disagio sociale per disagio sociale, andare a vedere quello che realmente esiste sul territorio e partire da loro, non partire da uno schema astratto. Il nostro obiettivo, secondo quello che è il principio di sussidiarietà, è di sostituire totalmente la possibilità di scelta da parte delle burocrazie, da parte della politica con la possibilità di scelta da parte delle famiglie, delle persone, degli utenti: sono loro che scelgono e che premiano una associazione, una cooperativa sociale quando questa dà dei segnali positivi, quando questa dà, non solo dal punto di vista materiale ma anche dal punto di vista qualitativo, di rapporti umani, qualcosa di più rispetto ad altre realtà. Quindi tutto passa per una scelta di libertà: la sussidiarietà significa ridare libertà ai più deboli, ai più umili, a quelli che sono sempre stati emarginati. Quindi, questo il primo dato. Secondo, abbiamo chiesto in maniera assolutamente informale a tutti coloro che rappresentano il mondo associativo per davvero, – perché un altro aspetto che va detto con chiarezza è che, girando per il territorio, abbiamo anche visto tantissime cose assolutamente improbabili, prive di contenuti, in cui le risorse date dal pubblico servivano per mantenere la struttura, non per fare opere e queste realtà noi le vogliamo smantellare, perché dobbiamo liberarci da questa, da questa vergogna – di riunirsi attorno ad un tavolo, perché sono tutte queste persone che insieme devono scrivere i bandi per erogare la solidarietà, per fare le politiche sociali, per stare presenti nel territorio. E soprattutto, un’altra cosa, vogliamo andare nelle scuole, nelle università, là dove si forma la coscienza, e dove c’è quello che voi chiamate “il rischio educativo” che è il più grande rischio che c’è nella nostra comunità nazionale; andare là per vedere di diffondere questa cultura. Io sono convinto che tanti giovani, che tanti studenti, non fanno opere, non fanno volontariato, non dedicano una parte della loro giornata, della loro settimana a questo tipo di attività perché non le hanno mai sperimentate. Dobbiamo portargliele, fargliele toccare, far capire quanto contenuto di vita in più c’è nel fare queste opere, queste attività. Questo è l’altro aspetto, perché vedete, i bandi, i soldi le erogazioni sono un aspetto importante ma importante ancora di più è creare una possibilità di ricambio, anche generazionale, che permetta sempre di più a nuove persone, nuovi giovani, nuove realtà, di crescere nel tessuto sociale. Noi, entro la fine dell’anno, e io spero quando lo faremo di avere vicino esperienze significative, appunto come quella di Roberto Formigoni, come quella di altre realtà che sono più avanti di noi perché il Governo non ha più tempo, noi lanceremo il nuovo modello e saremo orgogliosi di farlo da Roma, da Roma. Questa parola deve tornare a essere qualcosa di molto importante, ma non, questo ve lo dico anche se non c’entra nel tema, ma lo voglio dire come sindaco di Roma, il nostro obiettivo non è fare di Roma la capitale delle burocrazie ministeriali, la capitale del centralismo, questo è un fatto che deve essere superato, un fatto che crea problemi ai territori e crea problemi anche a Roma. Noi dobbiamo fare di Roma un modello dal punto di vista etico e sociale, vogliamo ci sia un punto di baricentro, dove l’unità nazionale non si ricostruisce attraverso le burocrazie, ma attraverso l’esempio, le realtà concrete, che si possa dire: Roma sta riscoprendo qualcosa della sua profonda e universale identità.
MODERATORE:
Partire da quello che c’è, la scelta di libertà, diceva il sindaco Alemanno, e diceva appunto che la regione Lombardia, governata da Roberto Formigoni da tredici anni, è un modello, è riconosciuta come modello a livello internazionale ed è riconosciuta non solo dalla maggioranza, non solo dalla stessa parte politica, è riconosciuta come modello da tutti. E come un modello che funziona. Allora questa sera ci piacerebbe appunto chiedere al governatore Formigoni di spiegarci perché questo modello funziona e quali sono le caratteristiche di questo modello, che cosa fate.
ROBERTO FORMIGONI:
Innanzi tutto voglio dire che mi fa veramente piacere, sono veramente contento che il Meeting abbia organizzato questo dibattito tra me e Gianni Alemanno, proprio per le parole che lui ha detto. Ci eravamo fra l’altro visti nel corso di un incontro della sua straordinaria campagna elettorale, perché ricordiamo che Gianni Alemanno è simbolo anche di un grande successo politico, è diventato sindaco di Roma rovesciando completamente ogni pronostico, ed è un uomo, un uomo politico che questo linguaggio chiaro della sussidiarietà aveva già cominciato a utilizzarlo in campagna elettorale. E io dico, anzi ne sono convinto, che uno dei motivi della sua trionfale campagna elettorale è stato proprio questo, parlare della sussidiarietà. Non lo dico in termini demagogici, lo dico perché sono convinto che ciò che intende il significato vero di questa parola, che ha una sua complessità, è però qualche cosa di cui la gente oggi avverte profondamente il bisogno. La parola sussidiarietà è una parola difficile, una parola complessa, diceva giustamente Gianni, viene utilizzata da tutti, oggi la sentite usare nei comizi dei politici di destra, dei politici di sinistra, dei politici di sopra e dei…, e poi viene dimenticata. Si potrebbe fare un’altra osservazione su questo tema: oggi tutti parlano di sussidiarietà ma poi quando vanno ad applicarla, la stravolgono completamente, perché la sussidiarietà, ricordiamolo, non è il decentramento, non è la cosiddetta deconcentrazione, cioè il passaggio di centri decisionali da una burocrazia centrale a una burocrazia periferica, la sussidiarietà non è neppure, e qui non vorrei essere accusato di blasfemia, non coincide neppure con il federalismo, perché è qualche cosa che viene prima dello stesso federalismo. Secondo la mia convinzione, è il fondamento stesso del federalismo e di ogni politica liberista, sia a livello statale, sia a livello decentrato. E allora il primo lavoro che dobbiamo fare, che abbiamo cominciato a fare in Lombardia, in altre regioni, in altre città, che Gianni sta cominciando a fare a Roma, che l’Intergruppo per la sussidiarietà sta facendo a livello parlamentare meritoriamente da tanto tempo, è proprio mettere in luce questa radice profondamente umana della sussidiarietà. Noi lo sappiamo, l’abbiamo detto tante volte, l’abbiamo scritto, la radice della sussidiarietà è una visione culturale, è una visione antropologica, è una concezione dell’uomo; può parlare di politiche sussidiarie e sussidiarietà chi ha una concezione positiva dell’altro, della persona, chi sa, chi sente che dentro l’uomo, dentro ogni uomo c’è una possibilità straordinaria di creare, di innovare, di dare risposte ai bisogni dell’uomo, anzi, chi riconosce il diritto primigenio, originario, fondamentale alle persone di dare risposte da sé ai propri bisogni e quindi chi attribuisce alla politica questo compito umile e fondamentalissimo di dare una mano alle persone nel rispondere da sé. Ecco perché dico che la rivoluzione sussidiaria è innanzi tutto una rivoluzione culturale e antropologica, perché noi purtroppo siamo abituati da tre secoli a questa parte ad una politica che invece si considera onnipotente, si considera investita del diritto e del dovere di insegnare agli uomini come stare al mondo. Siamo abituati alla pretesa dello stato di sostituirsi al diritto fondamentale dell’uomo di trovare risposte da sé ai propri bisogni, la pretesa che non dobbiamo smettere mai di denunciare, dei politici e delle politiche di ogni parte, di sostituirsi ai genitori nel compito educativo, perché sono loro, i politici illuminati, che sanno come si portano i figli nella giusta direzione, non siete voi genitori. E poi abbiamo a che fare costantemente con una opposizione burocratica, con il persistere di un blocco burocratico parassitario, che vive e che trae la propria forza dal suo monopolio della redistribuzione delle risorse fiscali raccolte, perché anche questo è giusto finalmente dire, che la sussidiarietà è il modo per portare finalmente trasparenza e correttezza nell’amministrazione pubblica, eliminando sprechi, eliminando ruberie, eliminando corruttele. Noi abbiamo cominciato a muoverci in questa direzione, brevemente dirò qualche esempio di quello che abbiamo fatto, siamo e vogliamo essere molto umili di fronte a questo cammino, perché la sussidiarietà è veramente un mondo nuovo; ci accorgiamo noi stessi che abbiamo sempre qualche cosa da imparare, che siamo all’inizio di una grande rivoluzione, perché io questo lo sento profondamente, sento che se riusciremo a essere veramente seri, ad essere veramente razionali, conseguenti con la sussidiarietà, abbiamo la possibilità di rovesciare il mondo. Anzi io sono convinto che oggi, di fronte alla crisi economica, sociale, culturale, dell’Italia e dell’Europa, la leva che la politica ha in mano e che gli uomini hanno in mano per uscire da questa crisi è veramente la sussidiarietà, perché le vecchie politiche hanno fallito, hanno fallito tutte, ha fallito lo statalismo, ha fallito l’assistenzialismo, se non altro perché ci ha portato al collasso dal punto di vista economico, le vecchie politiche del welfare-state sono insostenibili dal punto di vista economico, e ha fallito un liberalismo che si fonda soltanto sul mercato, l’idolatria dello stato e l’idolatria del mercato puro ci hanno portato al fallimento che stiamo vivendo contemporaneamente. Allora la strada è veramente quella di cominciare a considerare, a far crescere il polo del civile, il polo del sociale, il polo dell’impegno della gente. Brevemente, alcuni esempi. Noi siamo partiti per la sussidiarietà dal campo dei servizi alla persona, dalla scuola, dalla sanità, dall’assistenza. L’esperienza forse più conosciuta, che ricordo brevemente, è quella del buono scuola. Abbiamo voluto dare un contributo economico alle famiglie a sostegno della loro libertà sacrosanta di essere loro gli educatori dei loro figli, e siccome viviamo in uno degli ultimi stati in cui il diritto alla libertà di educazione non è riconosciuto, la regione si è sostituita allo stato per garantire questo diritto fondamentale che è scritto nella Costituzione, non dimentichiamolo. Oggi il buono scuola siamo riusciti a farlo evolvere in una direzione che chiamiamo dote, per cui mettiamo a disposizione delle famiglie non più un buono scuola, annuale, versato alla fine dell’anno scolastico, ma una dote, che è un finanziamento pluriennale, versato fra l’altro all’inizio del percorso educativo del figlio, in modo che la famiglia abbia la garanzia che il figlio sarà costantemente assistito, aiutato da un ente pubblico amico come la regione, lungo tutto il suo percorso di educazione e di qualità. Siamo riusciti ad allargare il campo di coloro che hanno diritto alla dote, del buono scuola: al buono scuola accedevano circa 60.000 famiglie, che comunque è una cosa importante anche in una grande regione come la Lombardia, oggi di doti, dote scuole, dote formazione, dote lavoro, siamo riusciti a metterne lì, una dopo l’altra, fino quasi a 200.000. Il che significa che 200.000 persone, 200.000 giovani e donne, perché ci sono doti anche per aiutare le donne nell’inserimento occupazionale, a sostegno delle lauree deboli, a sostegno dei titoli di studio deboli, 200.000 persone in Lombardia sanno di poter essere accompagnate nel loro percorso scolastico, educativo, formativo da una regione che rispetta ed esalta la loro libertà di scelta e che vuole aiutarle dal punto di vista concreto e dal punto di vista economico. Ci siamo occupati di sussidiarietà nel campo del wellfare, cominciando a scrivere le prime tappe del passaggio da un wellfare state a una welfare society; abbiamo cominciato a percorrere le vie della sussidiarietà anche in campi nuovi, per esempio il tema delle imprese, delle piccole e medie imprese, dell’accompagnamento al settore produttivo, perché i piccoli imprenditori, che sfidando le ristrettezze del mercato, l’invasione delle tigri asiatiche e degli altri continenti, le strettezze bancarie, perché per un piccolo imprenditore trovare accesso al credito, lo sappiamo, è una delle fatiche più terribili, bene, la Lombardia ha voluto essere vicino a queste persone; abbiamo varato insieme a una rappresentanza degli imprenditori, del mondo del lavoro, del mondo dell’innovazione, le principali leggi di riforma di questa legislatura: la nuova legge sul lavoro che porta avanti la Biagi, la nuova legge sulla scuola e sulla formazione professionale, bloccata con un ricorso alla Corte Costituzionale dal governo Prodi, ma che sta per essere finalmente sbloccata dal nuovo governo, che è almeno capace di riconoscere le cose buone che vengono fatte dalle regioni; abbiamo reso possibile, almeno per quanto riguarda la legislazione regionale, il vecchio sogno di dare agli imprenditori la possibilità di costruire un’impresa in un giorno. Non è esattamente così, perché le norme statali sopravvivono, ma per quello che riguarda gli adempimenti regionali tutto è rimandato ad una verifica successiva. Prima, per far partire una attività economica, dovevi avere l’ispezione dei vigili del fuoco, dovevi presentare le certificazioni, dovevi avere il loro nulla osta, dovevi fare lo stesso con i vigili urbani, dovevi far lo stesso con l’agenzia regionale per la protezione ambientale, con l’azienda sanitaria locale, oggi basta una comunicazione in auto-certificazione, io imprenditore parto in questa attività economica ed evidentemente mi impegno a rispettare tutte le leggi, un fax, una mail, e l’attività economica può partire. Seguiranno poi i controlli, perché è giusto che la regione tuteli il buon nome di tutti i cittadini, andando a vedere che le leggi siano rispettate da tutti, ma i controlli sono successivi. E’ evidente che chi sgarrasse, sarà punito ancora più fortemente. Mi ero segnato molte più cose, come sempre il tempo è tiranno e brucia, e quindi non le dico, vediamo eventualmente con le successive domande, voglio soltanto concludere dicendo questo: la squadra della sussidiarietà va allargandosi dentro il mondo politico, dentro il mondo amministrativo nazionale e locale, c’è un numero crescente di persone che, vedendo i risultati, vedendo la passione e le cose, si unisce, cresce, lavora in questa direzione; ma è altrettanto essenziale che la sussidiarietà sia concepita come un compito non soltanto da chi fa politica, ma analogamente, e vorrei dire innanzitutto, da chi è cittadino di questa società. Di un popolo della sussidiarietà abbiamo bisogno. Con questa fede, con questa convinzione, le cose, credo, potranno veramente cambiare.
MODERATORE:
Il presidente Formigoni è anche da pochi mesi vicepresidente nazionale del partito di Forza Italia. La domanda che vorrei fargli è proprio quella di capire verso che tipo di partito si sta andando, si dovrà costituire il popolo della libertà, così sembra, nei prossimi mesi: sarà l’ambito nel quale la squadra della sussidiarietà potrà giocare o pure no? L’idea appunto che è stata descritta coi fatti di sussidiarietà, con tutta la carica antropologica e culturale, appunto, che possiamo vedere testimoniata, sarà ospitata, quali sono i pilastri di questo popolo della libertà che nasce? Ci piacerebbe poterlo, appunto, approfondire.
ROBERTO FORMIGONI:
Sì, io credo che questa avventura del popolo delle libertà sia qualche cosa di affascinante e nello stesso tempo di necessario, perché nasce dall’intuizione di Silvio Berlusconi, ma nasce con la stessa forza da una richiesta che i nostri cittadini, che i nostri elettori ci fanno, di avere a disposizione, finalmente, uno strumento partitico in cui le distanze siano accorciate, possibilmente annullate. Questa almeno è la grande speranza, la grande carica che mi viene quando penso a come vogliamo costruire il popolo delle libertà. Io sogno e mi impegno per costruire un partito vero, non la trasposizione di apparati burocratici e politici. Noi vogliamo offrire ai cittadini italiani uno strumento nel quale contino le persone, contino le idee. Quindi stiamo lavorando, ci saranno a settembre i momenti di verifica con le riunioni in cui si deciderà, ma in queste settimane, in questi mesi stiamo andando in giro per l’Italia, su varie piazze, e quello che sento come richiesta dalla nostra gente, anche in questi giorni sono andato nelle Marche, in Emilia Romagna, ad incontrare tanti gruppi di Forza Italia, dei cittadini, quello che ci viene chiesto, appunto, è uno strumento nel quale il partito possa essere agito, utilizzato direttamente dalle persone. Ecco perché io insisto, lo abbiamo detto anche stamattina in conferenza stampa, vogliamo che sia un partito pienamente democratico, nel quale è la scelta degli iscritti a determinare, per esempio, i coordinatori comunali, provinciali e regionali. Abbiamo un leader, Berlusconi, ma tutto il resto deve essere rimesso in discussione, dobbiamo saperci mettere in discussione. Abbiamo bisogno di un partito che riconsegni agli elettori una possibilità di scelta integrale; certo, parliamo di sussidiarietà, diciamo che dev’essere riconsegnata ai cittadini la libertà di scegliere, nel campo della scuola, della sanità, e volete che non sia riconsegnata ai cittadini la possibilità di scegliere il loro deputato e il loro senatore? La reintroduzione del voto di preferenza è, nella mia visione, una priorità assoluta. Io non so se le cose andranno esattamente così, eh, badate bene, io non so se le cose andranno esattamente così. Vi sto dicendo che personalmente mi batto perché questo accada, ma credo di non essere solo, credo che siamo in tanti. Vi chiedo di battervi assieme a me. E ancora, ed è l’ultima annotazione che faccio, anche qui cercando ci accelerare, credo che abbiamo bisogno di dare a questo partito una identità ideale e programmatica molto chiara. Il popolo della libertà nasce dall’esperienza di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, della DC per le Autonomie, di tutti gli altri partiti, ma nasce dall’afflato di questi milioni di persone che ci hanno accompagnato e votato in questi anni, e si colloca culturalmente sul versante di questa esperienza, avendo come riferimento un punto chiaro, il Partito Popolare Europeo, cioè il partito dei cattolici, dei laici, dei riformatori che hanno fatto l’Europa, delle idee di libertà e di protagonismo che hanno fatto l’Europa e che devono continuare a contare in Europa. E’ stato per me molto importante e molto bello ieri ascoltare la sottolineatura appassionata e nello stesso tempo preoccupata del capo dei vescovi italiani, del cardinal Bagnasco, sul fatto che si sta dimenticando, anzi, si è voluto censurare il fatto storico delle radici cristiane dell’Europa, illudendosi che un’Europa senza radici possa andare lontano, quando senza radici si può avere soltanto un albero sterile, che renda ancora più desertico il panorama nel quale le donne e gli uomini vivono.
MODERATORE:
Il sindaco Alemanno è componente del comitato di reggenza di Alleanza Nazionale, comitato che è stato costituito e che sostituisce appunto la presidenza di Gianfranco Fini, che, come sapete, oggi è presidente della Camera dei Deputati. E quindi è un altro interlocutore estremamente importante per capire di che tipo di partito si parlerà, di che tipo di partito si parla, quale sarà l’identità del popolo della libertà. C’è spazio per i desiderata di Roberto Formigoni, che non sono solo i suoi, evidentemente, come la platea dimostra?
GIANNI ALEMANNO:
Sì. Io innanzitutto vorrei sottolineare i perché. I perché. Perché bisogna costruire assolutamente il PDL? Beh, io dico un argomento pratico e un argomento invece, oserei quasi dire, storico. Il primo problema pratico io l’ho sperimentato, ma anche chiunque di noi si trova ad amministrare, a governare, dunque, io l’ho sperimentato durante il precedente governo Berlusconi. In quel governo c’era Alleanza Nazionale, c’era Forza Italia, c’era l’UDC, c’era la Lega, c’erano anche altre formazioni minori. Quando ci si sedeva al tavolo per decidere i provvedimenti, per esempio la legge finanziaria, il tema in discussione non era tanto quello di dire: dobbiamo fare qualcosa per l’Italia, non era solo questo. Purtroppo in quei tavoli c’era anche la logica del mercato elettorale, del marketing elettorale, per cui questo è il tema che si intesterà all’UDC, questo è il tema che si intesterà a Forza Italia, questo è il tema che, nel provvedimento che si va a votare, si intesterà a Alleanza Nazionale o a altri. Cosa voglio dire? Voglio dire che per fare quella profonda, grande trasformazione dell’Italia, quella sorta di scossa profonda, che deve svegliare energie profonde in questo paese, deve risvegliare una voglia di esserci, di fare, che dev’essere la vera medicina contro il cosiddetto declino, noi abbiamo bisogno di grandi partiti capaci nel loro insieme di rappresentare quello che nell’interesse generale è il bene comune, non fatti particolari. A questo c’è una motivazione storica. La motivazione storica è quella di costruire un soggetto che sia completamente di centro destra, seguendo quello che già è avvenuto in Europa, perché dietro la vittoria di Sarkozy c’è un analogo processo di aggregazione in Francia, e prima ancora, dietro la vittoria di Aznar, dell’allora vittoria di Aznar, c’era un analogo progetto di aggregazione rispetto a queste realtà di partiti unici del centro destra. L’Italia, se vuole stare bene in Europa, e se vuole stare bene nel PPE, deve presentarsi con questa realtà, e non si possono fare sconti, perché, per carità, tutti conosciamo storie, identità, percorsi…, massimo rispetto, però proprio qua al Meeting mi è stata detta tanti anni fa una frase che diceva: non m’importa da dove vieni, m’importa dove vai, e noi dobbiamo andare verso una grande scossa di questo paese, che riesca a mettere insieme queste realtà. E anche il Partito Popolare Europeo deve uscire, ne parlavamo con Mauro, ne parlavamo con vari parlamentari europei, deve uscire da quella logica di subalternità culturale che spesso esiste nel Parlamento europeo. Nel Parlamento europeo le carte le distribuisce il PSE, con tutti gli ideologismi radical-progressisti, che ogni volta cancellano identità, cancellano le appartenenze, che hanno negato il principio, e purtroppo questo è avvenuto anche nell’allora Partito Popolare Europeo, il principio delle radici cristiane nella Carta Costituzionale Europea. Tutte queste cose devono avere un grande soggetto di centro destra, che non abbia complessi di inferiorità rispetto alla cultura radical-progressista, alla cultura di sinistra. Questo è il dato fondamentale. Però, nella convinzione assoluta che questa cosa deve essere fatta, e deve essere fatta in fretta, prima delle elezioni europee, c’è poi il problema di come farla, e su questo penso che Roberto Formigoni sia stato chiarissimo, chiarissimo. Noi vogliamo, proprio perché si crea un grande contenitore, una grande realtà, vogliamo che sia una realtà partecipata, vogliamo che gli strumenti di partecipazione, gli strumenti per cui anche l’ultimo degli iscritti possa dire la propria, siano chiari e ben scritti nelle regole del partito. E siano chiari e ben scritti anche, come ha già detto giustamente Formigoni, mi associo completamente, nella legge elettorale. Vogliamo le preferenze, vogliamo ristabilire il rapporto fra l’elettore e l’eletto, perché, certo, poi ci sono i rischi, poi ci sono i problemi, le clientele, bisognerà fare delle contromisure da questo punto di vista, per carità, ma nessuno può imporre a una persona chi lo deve rappresentare. Va bene uno schieramento politico, va bene un grande partito, appunto per i motivi di cui dicevo prima, ma poi c’è un rapporto da persona a persona, che, se salta, beh, si uccide la partecipazione politica. Se io non posso guardare in faccia il mio elettore, e il mio elettore non mi può guardare in faccia e dire: ti ho votato, e tu ti sei impegnato con me, quasi come un impegno personale, per fare alcune cose, se non c’è questo, dove sta la forza, la poesia, il valore della politica? Ecco, io credo, vedete, io l’ho sperimentato a Roma, perché a Roma è successo questo, è successo una cosa molto strana, è successo che alle elezioni politiche il centro sinistra era avanti al centro destra, e nelle elezioni provinciali ha vinto il candidato del centro sinistra, in maniera abbastanza netta, quindi significa che c’è un gruppo di persone molto consistente, 60-70.000 persone che hanno scelto il candidato del centro sinistra, Zingaretti, alla provincia, e hanno scelto Alemanno al comune. Questo cosa vuol dire? Beh, vuol dire che io devo rispondere a quelle 60.000 persone, vi devo rispondere, al di là del fatto se sono etichettate di destra, di sinistra, di centro, devo capire e ricordarmi ogni giorno il motivo per cui loro hanno deciso di votare me, ribaltando tutti gli schemi e tutte le previsioni della partenza. Allora concludo dicendo: abbiamo di fronte a noi dei mesi entusiasmanti; non ci facciamo prendere, come posso dire, dalle riserve mentali, non ci facciamo prendere dal cinismo e dallo scetticismo, sono mesi in cui nasce un nuovo soggetto politico, che ha radici antiche, profonde, significative. Dobbiamo fare in modo che questa nascita sia una nascita convinta e partecipata, e dipende solo da noi, perché se il popolo, la gente assedierà le nostre stanze, i luoghi in cui decidiamo, in cui riuniamo i comitati, si farà sentire nei gazebo, nelle varie realtà, nei congressi, se questo popolo si farà sentire, io sono convinto che faremo veramente un grande partito, con tutta l’energia necessaria per cambiare l’Italia.
MODERATORE:
C’è un tema importante, è scritto nell’agenda politica dei prossimi mesi, che già occupa gli spazi dei giornali e dei telegiornali di questi giorni: ed è il tema del federalismo fiscale. E’ stata presentata una bozza, la bozza Calderoli; se ne sta parlando non da poco, perché è un tema evidentemente che ha radici antiche, ecco questa sera forse abbiamo una occasione privilegiata, avendo il presidente di una grande regione e il sindaco di una grande città, per capire innanzi tutto di che cosa si tratta, perché non penso che sia un tema chiaro a tutti, e in secondo luogo per capire se effettivamente il federalismo fiscale, mi riallaccio alla provocazione, prima, del presidente Formigoni, quando diceva che la sussidiarietà è il fondamento del federalismo, ecco, se questo provvedimento, se questa trasformazione può essere una occasione per andare in un approfondimento e quindi in un ampliamento del livello di libertà di cui abbiamo sentito parlare, oppure no. Roberto Formigoni.
ROBERTO FORMIGONI:
Dico subito, a scanso di equivoci, che la cosiddetta bozza Calderoni, che sta girando, è una bozza che mi piace, che mi sembra vada nella giusta direzione. E’ un inizio di cammino. Di federalismo ormai in Italia si parla dal secolo scorso, anzi dal millennio scorso. Qualche chiarezza in più forse è avvenuta, ma forse le chiarezze fondamentali dobbiamo ancora portarle. La prima, scusatemi se mi ripeto, è questa qui. Che cioè il fondamento del federalismo è la sussidiarietà, perché io non vorrei mai che un nostro cittadino, o alcuni nostri cittadini, a cui per vent’anni abbiamo fatto una capa tanta, come si dice nella regione che ci ospita, dicendo che arriverà l’epoca del federalismo e sorgerà l’alba di una storia nuova, di fronte a una riforma federalista fatta in un certo modo, venisse a tirarci per la giacchetta, o magari a inseguirci con il forcone. Perché il punto fondamentale, per la visione del cittadino, è che al centralismo statale non si sostituisca un altro tipo di centralismo, che più vicino è ai cittadini, più è pericoloso. Né il centralismo regionale, né quello provinciale, né quello comunale, quindi, anche perché la sussidiarietà è stata messa in Costituzione, e quindi il federalismo che dobbiamo fare, deve garantire innanzitutto che ci sia spazio per questa sussidiarietà. Il federalismo è una grande occasione se rispetta la sussidiarietà, se spinge ad una chiarezza maggiore, ad una trasparenza maggiore. Il federalismo è il movimento per cui il centro di spesa viene portato dalla grande macchina burocratica statale ad enti, regioni e comuni soprattutto, più vicini ai cittadini, e dà la possibilità ai cittadini di vedere in maniera chiara come sono utilizzati i soldi che egli corrisponde a queste amministrazioni, trasformandoli in servizi messi a loro disposizione. Questa manovra, se è fatta con chiarezza, è già un vantaggio straordinario; permetterà di confrontare tra di loro le diverse performances delle regioni, permetterà ai cittadini di giudicare equo o non equo il prezzo che essi pagano sotto forma di tasse, per i servizi che la regione gli somministra. Tutto questo lo stiamo discutendo evidentemente anche a livello tecnico, c’è un grado di complicazione tecnica, userò qualche termine, ma siete in grado di capirlo benissimo. Il federalismo fiscale del quale stiamo ragionando è un federalismo per cui il finanziamento delle regioni da parte dello stato – dato che siamo ancora prima dell’alba del federalismo e le tasse le percepisce ancora lo stato, anzi in questi anni gli spazi ridotti di autonomia fiscale delle regioni sono stati praticamente cancellati – comunque la spesa pubblica che viene destinata alle regioni dovrà essere commisurata non più sulla spesa storica, ma su costi standard. Cosa vuol dire? Vuol dire che lo stato non trasferirà più della ricchezza fiscale alle singole regioni sulla base di quello che gli aveva dato l’anno scorso e negli anni precedenti, ma sulla base del fabbisogno effettivo, sulla base del costo standard. Il che significa, per esempio, che lo stato garantirà ad ogni cittadino, situato in qualunque comune, in qualunque regione d’Italia, la risposta ai suoi bisogni fondamentali di sanità, di scuola, di assistenza scolastica e secondo certe caratteristiche anche dei trasporti. Ma passerà alla regione i fondi necessari per svolgere il numero delle prestazioni necessarie, e la regione dovrà adeguarsi al costo che le due o le tre regioni più virtuose italiane realizzeranno. Cioè noi vogliamo che finisca il meccanismo per cui se una prestazione sanitaria, una tac, una mammografia, un esame, costa cento in una parte d’Italia, possa in un’altra parte d’Italia continuare a costare diecimila o centomila, perché queste sono le proporzioni e lo spreco, e la corruzione che ci stanno sotto. La seconda osservazione, se ne potrebbero fare tante, è che il federalismo fiscale è una parte della riforma che dobbiamo realizzare. Il federalismo sta in piedi per lo meno su tre grandi capitoli: certamente il federalismo fiscale, un federalismo chiamiamolo amministrativo fatto di trasferimento delle competenze, e infine l’adeguamento della struttura di controllo del parlamento a questa nuova struttura federale dello stato, attraverso l’organizzazione di un vero e proprio senato federale, che rompa il bicameralismo perfetto, che è una palla al piede del sistema italiano, e dia alla Camera dei deputati il controllo politico del governo e al Senato federale, o Senato delle regioni e delle autonomie, il momento del dialogo e dell’accordo o disaccordo permanente tra lo stato e le regioni. Federalismo fiscale e senato delle regioni, trasferimento delle competenze. La regione Lombardia ha iniziato due anni fa con un voto unanime del Consiglio regionale il cammino previsto dall’articolo 116 terzo comma della Costituzione, il titolo quinto, che permette alle regioni a statuto ordinario di chiedere alcune competenze in più in materie nelle quali le regioni siano convinte di poter fornire ai cittadini un servizio più efficiente. Noi abbiamo chiesto di avere una competenza regionale in dodici materie, che vanno dai beni ambientali ai beni culturali, all’amministrazione scolastica, all’amministrazione sanitaria, ai giudici di pace. Sto ricordando in questi giorni al mio amico ministro Bossi e ministro Calderoni che è arrivato il momento di riaprire la trattativa anche sul trasferimento di queste competenze. Lo chiede la Lombardia, lo chiede il Veneto, lo chiede il Piemonte, lo stanno chiedendo tutte le regioni italiane, perché se non c’è trasferimento di competenze, la macchina burocratica statale continuerà ad ammazzarci e a far star peggio i cittadini.
MODERATORE:
Al Sindaco, quali le ricadute per un’amministrazione di un ente locale, certo non sono tutte grandi come il comune di Roma, ma quali le ricadute e quali anche le ricadute per il cittadino?
GIANNI ALEMANNO:
Innanzitutto io vorrei dare anche una risposta a quelli che temono il federalismo fiscale, coloro che magari temono di vedere arrivare meno risorse, nei territori meno competitivi, temono in qualche modo di essere abbandonati un po’ a se stessi. Ecco, io credo che dobbiamo fare una scelta di profondo convincimento. Perché qui si tratta di cancellare il livellamento anche a livello territoriale. Noi ovviamente rifiutiamo il livellamento alle famiglie, non pensiamo che per fare la giustizia sociale bisogna che ne so, creare meccanismi di tipo comunistico, e levare tutte le risorse alle famiglie per poi ridistribuirle uguali per tutti. Questo stesso discorso deve valere per i territori, poter fare federalismo fiscale non significa andare a punire a priori questo o quel territorio, ma significa mettere in atto un meccanismo efficiente in cui si promuova il merito dei territori, la loro capacità di competere, la loro capacità di essere efficienti e si punisca l’incapacità dei territori a rappresentare tutto questo cioè a essere magari livellati su degli standard clientelari che poi costano in maniera insopportabile. Di questa cosa non devono avere paura le popolazioni, possono avere paura le burocrazie, possono avere paura alcune realtà politiche, burocratiche che nel mezzogiorno d’Italia sfruttano da sempre rendite parassitarie sulla pelle innanzitutto dei cittadini meridionali; quindi noi vediamo nel federalismo fiscale un superamento di questo livellamento. E in più, io dico, l’ho accennato prima ma lo voglio ribadire, che noi abbiamo anche una necessità storica per l’Italia. Noi dobbiamo misurarci con un paradosso, le cose più belle del così detto genio italiano o della egemonia culturale italiana, nella nostra storia si sono più realizzate quando non eravamo unico stato che quando invece abbiamo avuto uno stato unitario. E il fatto di fare uno stato unitario calato dall’alto con le prefetture, con gli apparati burocratici, con i meccanismi più o meno giacobini calati dall’alto nelle varie regioni, nelle varie realtà, non hanno prodotto quell’eccellenza a cui l’Italia può e deve aspirare. Allora qual è il punto? Il punto è che per noi il federalismo fiscale, istituzionale, amministrativo deve essere un modo non per separare, attenzione federalismo viene da foedus che significa unire non separare, ma deve essere il modo per ricreare una nuova unità che parta dal basso, che parta dai territori, non dagli apparati burocratici. Allora vedete perché, giustamente, Formigoni sottolinea il legame inscindibile fra sussidiarietà e federalismo. Senza sussidiarietà, senza sussidiarietà orizzontale per essere anche molto precisi, il federalismo rischia di essere solo un boomerang. Il federalismo deve essere uno strumento per permettere sui territori il maggiore spazio alla società civile, alle associazioni, alle imprese, alle famiglie, questo deve essere il meccanismo. Per questo bisogna avvicinare al territorio i centri decisionali, non per creare nuovi centralismi, ma proprio per liberare queste energie che sono presenti. Allora in tutto questo che deve fare Roma? L’ho detto prima, lo ripeto, Roma non aspira più ad essere la capitale della burocrazia, la realtà polverosa dei ministeri, la realtà che in qualche modo gioca su quel mondo stanco che poi si presta a tante accuse, a tante illazioni, sul Roma ladrona e altre cose di questo genere. No, Roma deve riconquistare la sua dimensione universale, Roma deve parlare al popolo italiano come deve parlare agli altri popoli del mediterraneo, Roma deve essere un modo per promuovere, uno strumento per promuovere la nostra comunità nazionale creando una grande spinta. Vedete, nella globalizzazione c’è la globalizzazione degli interessi, dei profitti, degli sfruttamenti che a noi non ci piace; ma c’è una universalità dei valori che deve essere promossa e Roma meglio di qualsiasi altra città del mondo può promuovere questa universalità dei valori, perché ce l’ha scritto dentro la propria identità. Allora, allora dentro, dentro, dentro il provvedimento del federalismo fiscale ci sarà anche un capitolo, un capo, come si dice nel gergo giuridico, dedicato a Roma capitale e su questo versante noi cercheremo di fare in modo che Roma possa sfruttare tutte le sue potenzialità competitive, tutte le sue valenze, possa farlo, possa crescere dal punto di vista culturale, possa dare significato a slogan che oggi sembrano vecchi ammuffiti: la capitale universale della cultura, il centro del mediterraneo. Tutte queste cose che sembrano ammuffite oggi nella globalizzazione possono diventare delle grandi verità e delle grandi realtà. Quindi, il federalismo deve essere vissuto come uno strumento per liberarsi dal livellamento dei territori, per liberare energie della società civile attraverso la sussidiarietà, per fare in modo che il nostro essere italiani non sia tradotto attraverso meccanismi burocratici e di livellamento, ma sia tradotto attraverso una gara di eccellenze che si sfidano verso i più alti valori dell’uomo e della persona umana.
MODERATORE:
Abbiamo ancora qualche minuto. Io ne approfitterei per chiedervi, per farvi una domanda rispetto al titolo di questo Meeting. E’ la ventinovesima edizione, il titolo è “O protagonisti o nessuno”. Sin dall’inizio, sin da ieri mattina in numerosi occasioni abbiamo detto che il protagonista non è colui che ottiene successo, colui che diventa una personalità importante con delle grandi responsabilità. Nel vostro caso però c’è il successo, ci sono delle responsabilità, allora sarebbe interessante poter capire da voi che idea avete del protagonismo, che cosa significa essere protagonisti in quello che dovete fare.
GIANNI ALEMANNO:
Io credo che il protagonismo sia una potenzialità che è nel cuore di ognuno di noi, a prescindere dai successi, dagli insuccessi, dalla scala sociale o dalle varie occasioni di potere o altre cose di questo tipo. Il protagonismo è qualcosa che uno sente dentro, se ha voglia di incontrare il prossimo, se ha voglia di capire la realtà che lo circonda, se ha voglia di andare in profondità, di non accontentarsi di cose superficiali, cioè di non accontentarsi di essere un oggetto che viene in qualche modo commercializzato da qualcun altro, omologato da qualcun altro. Nel nostro cuore c’è il seme del protagonismo, in ognuno di noi e se non c’è in tutti non c’è in nessuno. Questo in qualche modo è nel nostro titolo. Perché anche noi che abbiamo avuto successo, come dicevi tu prima, io, Roberto, altre persone che hanno ruoli importanti, ma se questi ruoli importanti poi non si misurano con lo sguardo alle persone, con il modo in cui loro parlano, in cui creano entusiasmo, hanno possibilità, hanno potenzialità, se la sera quando andiamo a dormire non diciamo bèh, abbiamo dato più possibilità, più spazio a ogni persona, se non c’è tutto questo, bèh allora vi dico che la politica diventa qualcosa di noioso, di avvelenante, di assolutamente negativo. Ecco, per questo, e lo dico sinceramente, questa sfida di protagonismo è una sfida che coinvolge tutto il nostro popolo. E’ il cambiamento, quel cambiamento di cui abbiamo parlato tante volte in questa ora e mezzo, è un cambiamento che deve portare le persone dall’essere oggetto, dall’essere condizionati, dall’essere in qualche modo subordinati ad altre cose, ad essere veramente protagonisti di quella che è la realtà sociale e di quella che è la loro anima, perché quell’anima è il più grande tesoro che ognuno di noi ha.
ROBERTO FORMIGONI:
Sì, ho trovato molto belle queste parole di Gianni che riecheggiano anche nel mio cuore. Io la metterei in questi termini: credo che essere protagonisti significhi avere la possibilità di lavorare per gli ideali in cui credi, di combattere per gli ideali in cui credi, con quella libertà e con quella purità di cuore per cui, appunto, l’importante è poter lavorare e combattere per gli ideali in cui credi: l’esito poi non è nelle nostre mani. Perché è vero, tu Emanuele dicevi si tratta anche di vedere il grado di successo o d’insuccesso che uno ha. Mettiamola dal punto di vista della parabola dei talenti, a chi più è dato più sarà chiesto e quindi il problema non è la quantità di quello che riesci realizzare ma il problema è se nelle condizioni che ti sono date fai tutto quello che ti è chiesto e dai tutto quello che puoi dare nelle condizioni che ti sono date. Comunque dicevo, combattere per gli ideali, uso questa parola combattimento anche perché dentro la parola protagonismo c’è questa idea della battaglia, dell’agone, la radice greca mi sembra questa, e d’altra parte la grandezza di un uomo credo sta in questo, nella capacità di prendere iniziative, perché l’ideale in cui si riconosce, che è più grande di lui, possa essere portato avanti anche di un solo millimetro attraverso la sua azione, perché la sua azione gli possa rendere testimonianza. Certo, quando oggi ci hai detto che ci avresti fatto questa domanda, ripensando a me, alla mia storia, alla mia esperienza indubbiamente la possibilità di essere protagonista è legata agli incontri che ho fatto, all’incontro che ho fatto. E’ legata all’annuncio cristiano che mi è stato donato, alla comunità cristiana che mi ha educato. E’ quello il luogo, l’ambito entro il quale ho capito come questa aspirazione, che sentivo dentro di me e che c’è dentro ad ogni uomo, a realizzarsi, a costruire qualche cosa, a diventare più grande, insomma come questo desiderio di felicità che si declina in mille modi sia una cosa giusta e sacrosanta, non un istinto da reprimere, ma qualche cosa da indirizzare nella giusta direzione. Sono stato grazie a Dio educato in questo modo e questo mi ha fatto capire la positività straordinaria dell’ansia di protagonismo che è dentro ogni uomo. Per cui, come dice giustamente il titolo o si è protagonisti o non si è nessuno. Allora se l’alternativa è non essere nessuno, vuol dire che veramente a chiunque di noi in ogni momento della nostra esistenza è offerta questa possibilità. Ma come fa a vivere questa possibilità? Io credo che uno, o almeno questo capita a me, si senta mille volte sproporzionato di fronte a quello che gli è chiesto. Allora l’altra parola straordinaria per me è la parola del popolo. Io questo protagonismo l’ho scoperto come possibilità per me e per gli altri dentro un popolo, dentro all’appartenenza ad una realtà più grande di me, che mi aveva generato e che mi dà quotidianamente la possibilità di essere protagonista. Questa veramente è una avventura umana che vale la pena di vivere.
MODERATORE:
Afferma don Luigi Giussani sul protagonismo: “Protagonisti non vuole dire avere la genialità o la spiritualità di alcuni, ma avere il proprio volto, che è, in tutta la storia e l’eternità, unico e irripetibile. Il vero protagonista infatti è l’uomo stupito che fa la scoperta commovente – che scaturisce sempre da un preciso incontro con la realtà – di avere un volto unico e irripetibile”. La scheda di presentazione di questa ventinovesima edizione del Meeting chiudeva con queste due righe: “Documenteremo con incontri, dibattiti, testimonianze, mostre e spettacoli, la dimensione di questo tipo di uomo, che è l’unica e possibile rivoluzione per il nostro tempo”. Ecco, io ringrazio davvero Roberto Formigoni e Gianni Alemanno perché non solo non hanno disatteso questo auspicio della scheda del Meeting, ma ci hanno consentito di vedere e sentire che la politica non è l’assenza di ideale, che uno stato laico non è uno stato nel quale non ci sono ideali, ma che per lottare per il bene comune, come loro hanno detto, è necessaria questa personalità, questo protagonismo che ci hanno davvero descritto in maniera affascinante. Buona sera a tutti.
(Trascrizione non rivista dai relatori)